Antigua, consigli pratici per una vacanza fai da te

Mare, relax, flessibilità e buon cibo...
Scritto da: ManuPi
antigua, consigli pratici per una vacanza fai da te
Partenza il: 29/04/2011
Ritorno il: 08/05/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Abbiamo scelto Antigua perché tra le destinazioni caraibiche raggiungibili senza scali da Londra, nostro punto di partenza, era quella che univa tante spiagge a qualche collina interna con molta vegetazione. Soprattutto, con un volo al giorno (British Airways tutti i giorni, e Virgin Atlantic 2/3 voli a settimana) abbiamo potuto scegliere la durata più comoda per noi e per le nostre ferie. Una dritta: prenotando per tempo, anche poche settimane prima, il volo British Airways da Roma o Milano (ovviamente con scalo a Londra) costa esattamente quanto costerebbe da Londra. E se per organizzare il viaggio fino all’ultimo non vi resta tempo per lo shopping di creme solari e repellenti per insetti, niente paura: i negozi Boots di Gatwick hanno un “summer store” fornitissimo.

Atterriamo alle 14 locali, caldo ma ventilato; pochi metri a piedi dall’aereo per raggiungere l’aerostazione, dove ci accolgono un ragazzo che canta Three Little Birds di Bob Marley, accompagnato da un altro alla tastiera, e due ragazze che offrono a ciascuno un bicchiere di succo di frutta fresco e buonissimo… il migliore inizio di vacanza che mi sia mai capitato! Fuori dall’aeroporto ci aspetta Barry, il tassista prenotato dall’hotel, che nei 20 minuti di strada ci fa un riassunto completo e vivace della storia di Antigua. I taxi hanno tariffe fisse, che trovate anche online; ovviamente le mance sono gradite e, nel caso di Barry, sicuramente meritate!

Siamo al limite tra la stagione secca e quella delle piogge, ma – a parte qualche acquazzone mattutino, sempre passato in tempo per farci sfruttare la mattinata in spiaggia – in realtà troveremo solo un giorno di tempo relativamente incerto, che sfrutteremo per girare l’isola. Il sole sorge alle 6 e tramonta poco dopo le 18; ma svegliarsi all’alba per sfruttare al massimo le ore di luce non è un peso, quando la sveglia viene data da centinaia di uccellini dagli alberi di fronte alle finestre…

Tra le 365 spiagge di Antigua abbiamo deciso per la Dickenson Bay grazie a consigli di amici che già c’erano stati e alle recensioni e descrizioni trovate online; perché c’è un resort Sandals, catena di alto livello (una settimana all inclusive costa dalle 3.000 £ a persona in su) che quindi ci faceva ben sperare sulla posizione; perché si trova sul lato Caraibico, con acqua più calda e meno agitata rispetto al lato Atlantico, ed è sufficientemente vicina a St. Johns, la capitale. L’isola sembra piccola, ma gli spostamenti non sono velocissimi: delle persone che alloggiavano in una spiaggia sul lato Sud ci hanno raccontato di non essersi mai allontanate da lì, se non in barca, perché scoraggiate dai tempi di percorrenza troppo lunghi per arrivare a St. Johns.

Ma la Dickenson Bay è bellissima anche al di là della posizione strategica. La sabbia è bianca e la spiaggia ha un aspetto curato ma non troppo trasformato; da un lato ci sono altre strutture alberghiere, dall’altro lato – oltre un piccolo cumulo di sassi popolati da granchi, due dei quali si sono subito esibiti in un accoppiamento coreografico… peccato che la macchina fotografica fosse ancora nel bagaglio! – ancora una distesa di spiaggia bianchissima e completamente selvaggia, con alle spalle un grande stagno. Su questo tratto di spiaggia, e su altri distanti dagli hotel, abbiamo spesso visto le persone del posto, che arrivano in auto e stanno qualche ora; e nessun turista (eccetto noi!). La scelta della spiaggia si è rivelata azzeccata anche per un altro motivo: quando siamo arrivati noi si stava concludendo la “sailing week”, un evento importantissimo per loro, e le ultime sere erano previsti dei party; quello di domenica era sulla nostra spiaggia, quindi ci siamo sentiti un po’ del concerto, ovviamente di musica raggae, affollato di antiguani che ballavano e mangiavano dai vari barbecue sistemati per l’occasione (che noi non abbiamo avuto il coraggio di provare).

L’acqua non è trasparente e pulita come in Sardegna o alle Maldive: un po’ per la sabbia che si solleva quando ci si cammina, un po’ per le correnti che portano frammenti di piante acquatiche – quelle stesse piante acquatiche che apprezzeremo durante lo snorkeling. Ma è sempre calda, e guardando verso la spiaggia si vedono palme, mangrovie e colline verdi, quindi… va benissimo lo stesso! Nell’isola ci sono tantissime lagune con piante acquatiche e tanti uccelli, soprattutto nella zona costiera ma non solo; gli uccelli vanno avanti e indietro tra le lagune e le spiagge, dove passeggiano e nuotano vicino ai bagnanti senza nessun timore.

Il nostro hotel, o meglio residence, è il Buccaneer Beach Club. La struttura è carinissima, una ventina di appartamenti (in strutture coloniali a due piani) che danno sulla piscina, un vialetto con palme e piante tropicali sui cui tronchi sono stati fissati dei mini vasetti con orchidee e altre piante fiorite coloratissime, e alla fine del vialetto direttamente la spiaggia. Leggete le recensioni su Tripadvisor (tra cui la mia: ManuRecovery) e fidatevi ciecamente!

Non ha un ristorante, anche se trovate in stanza il bollitore e le bustine di tè. Potete cucinare da voi comprando l’essenziale allo shop dell’Antigua Village, pochi minuti a piedi lungo la strada o lungo la spiaggia, oppure comprando tutto ciò che possa venirvi in mente al supermarket “1st Choice” a pochi minuti d’auto sulla strada per St John’s. Oppure potete mangiare fuori scegliendo tra il Coconut Grove, adiacente sulla spiaggia (costoso, bellissima location, servizio lento, cibo buono ma non eccezionale), il buffet e il ristorante dell’Halcyon Bay Resort (il buffet a pranzo molto semplice con ottimo rapporto qualità prezzo, il ristorante non l’abbiamo provato), Potter’s (non l’abbiamo provato, domenica e bank holidays era chiuso, forse perché l’alta stagione era finita!) o Chippy Antigua (fish’n’chips mobile il mercoledì e venerdì sera appena fuori dal Buccaneer: il cod classico è normalmente buono, i gamberi li abbiamo trovati immangiabili, l’aragosta buona), o – con pochi minuti di auto o taxi – lo stupendo Bay House at Trade Winds Hotel. Arrivateci prima del tramonto (dopo esservi tuffati nell’antizanzara): lo spettacolo è eccezionale. E non dimenticate di portarvi appresso la tessera sconto che trovate alla reception: con un main course per due avrete in omaggio una bottiglia di vino. Attenzione: “The Beach by Big Banana”, sulla spiaggia, ha chiuso poco prima del nostro arrivo e pare non riapra, anche se il sito web lo dà ancora in funzione.

La Dickenson Bay è bella ma una volta che siete lì vale la pena noleggiare un’auto per qualche giorno (50/55 US$) e vedere il resto dell’isola. Noi l’abbiamo noleggiata alla prima giornata nuvolosa: chiedete alla reception e tempo un’ora l’auto vi sarà consegnata direttamente al vostro hotel/resort, formalità rapidissime. Potete anche riconsegnarla direttamente in aeroporto, evitando il taxi, e magari sfruttando qualche ora che può avanzare tra il check-out dall’hotel e la partenza del vostro volo per fare ancora un giro dell’isola.

Al prezzo del primo noleggio occorre aggiungere l’acquisto di una “estensione della patente”; non ricordo esattamente il prezzo ma era veramente basso, credo 10/20 US$.

Tra spiagge e punti da visitare, io consiglio il Nelson’s Dockyard, la Valley Church Bay (dove la “sabbia” è formata da tante conchiglie, piccole e grandi), il Fig Tree Drive che attraversa tratti di foresta pluviale, la capitale St. John’s per lo shopping di souvenir e, se avete spazio in valigia, qualche bottiglia di rum locale (attenzione: i negozi chiudono alle 18.00 e la domenica restano chiusi); il Devil’s Bridge, una sorta di arco di roccia separato dal resto della scogliera dalla forza dell’acqua, dove si racconta che gli schiavi esasperati dalla vita nelle piantagioni andassero a suicidarsi. E’ impressionante pensare come a poche decine di metri da spiagge bellissime, e anche con il mare perfettamente calmo, in quel punto si creino onde tali da avere aperto quella cavità, da fare innalzare il livello dell’acqua di alcuni metri contro la scogliera quando arriva l’onda, con spruzzi che salgono ancora di diversi metri.

La driving experience ad Antigua è interessante. Da turisti è indispensabile prendere un’auto a noleggio, almeno per qualche giorno, altrimenti si rischia di stare incollati in spiaggia perdendosi il resto, che invece merita. Le auto in giro sono tante, ma comunque capita (almeno in questa stagione, gli ultimi scampoli della stagione secca) di avere delle spiagge tutte per sé. Il traffico è tranquillo, rilassato… quando uno si deve fermare molla l’auto in mezzo alla strada, senza neppure curarsi di accostare il più possibile, e va a fare le sue commissioni. E siccome le strade sono tutte strette, incrociarsi diventa impossibile: quando si arriva dietro a un’auto in sosta bisogna solo aspettare il momento in cui non arriva più nessuno dall’altro lato. A volte anche alcuni minuti! Però nessuno si attacca al clakson. Surreale, almeno per noi italiani.

Camminare a piedi è meno sicuro: i marciapiedi sono pochi e irregolari, ogni tanto ci sono buchi che danno sugli scarichi, o semplicemente voragini, o gradini d’ingresso che occupano tutto lo spazio del marciapiede; anche fuori città non ci sono praticamente banchine laterali, e anche le strade sono piene di crateri. Per camminare al buio devi conoscere a memoria la mappa delle buche; loro evidentemente la conoscono perché vanno e vengono molto allegramente, quasi in mezzo alla strada, e chi guida deve stare attento il doppio perché la notte spesso non li si vede fino all’ultimo…

Ci sono tanti taxi e i tassisti più giovani sono anche delle brave guide, ma l’auto a noleggio è molto più economica e dà maggiore indipendenza. Ci sarebbe anche un servizio più o meno pubblico, piccoli van più o meno nuovi che percorrono due linee con tante fermate senza orari ben definiti; la cosa carina è che le fermate, quasi tutte a pensilina per ripararsi dalla pioggia (che quando butta… butta!!), sono sponsorizzate da negozi e imprese, oppure “adottate” da persone in memoria dei loro cari. Chi le adotta ne cura la manutenzione, non so se anche le spese.

Le persone sono tutte molto gentili, se ti vedono fermo per strada a consultare la cartina subito ti chiedono se hai bisogno di aiuto; anche i venditori (soprattutto di collane fatte di conchiglie o di pezzetti di legno) sono simpatici ma non invadenti, se dici che non comprerai ti propongono anche solo di guardare e sono contenti se fai i complimenti per gli oggetti che vendono. I due sabati siamo andati in chiesa; alla fine della messa (lunghissima!! e con i canti accompagnati al pianoforte) il sacerdote chiede chi compie gli anni o festeggia l’anniversario in quella settimana, e per loro ci sono una benedizione e un “tanti auguri” (non quello classico, uno diverso che però non riesco a ricordare) cantato dal coro; chiede anche se ci sono visitatori: noi ci siamo alzati, e anche per noi c’è stato un canto di benvenuto da parte del coro!

Le ultime 24 ore abbiamo preso nuovamente l’auto; abbiamo fatto ancora un giro la sera, a vedere un fortino con ancora i cannoni ben conservati, e poi in città per la messa; e dopo l’ultima mattina in spiaggia, visto che dovevamo liberare la camera per le 14 ma il volo era la sera tardi, siamo andati ancora in giro per l’isola, a vedere un’altra spiaggia e, soprattutto, il fig tree drive: una strada lungo la quale sono coltivati, per diversi km, tantissimi alberi di banane. Attraversa la parte centrale dell’isola, e per un certo tratto si vedono scorci di foresta pluviale. Si potrebbe fare qualche trekking, debitamente attrezzati; ma quando ci siamo passati noi si è scatenato il diluvio universale, che uno capisce davvero perché si dice “foresta pluviale”! La cosa assurda è che pochi km più a valle, arrivati al mare, c’era di nuovo il sole. Siamo tornati indietro per la stessa via, e di nuovo in mezzo al diluvio!

Gli antiguani hanno la cultura dello street food: in città come fuori, dopo una certa ora compaiono decine e decine di barbecue artigianali, cioè vecchi scaldabagni piazzati su un trespolo, e tavolini con vasche di polistirolo che poi sono delle borse frigo artigianali. La gente compra il pane (in cassetta) su un banchetto, la carne dal barbecue e la bibita dalla borsa frigo, e mangiano lì per strada. Sul cibo, mi è rimasto il rimpianto di non aver assaggiato quasi nulla della cucina creola. A parte i crostacei, tutti i ristoranti dove siamo stati proponevano menu standard, e quasi nulla dei piatti locali (a parte una zuppa di molluschi che non era eccezionale, ma forse dipendeva anche dal cuoco, perché non era il migliore tra i ristoranti che abbiamo provato).

Una delle cose forse più belle è stata, il giorno prima di partire, l’escursione in barca alla Bird Island, che io credevo fosse l’isola degli uccelli, invece porta semplicemente il nome di un governatore inglese (al quale è dedicato anche l’aeroporto). La barca partiva dal Jolly Harbour, a Sud – Ovest dell’isola, un’altra spiaggia, ma siccome la nostra spiaggia era di strada sono passati a prelevarci di fronte al nostro albergo. Due sessioni di snorkeling, una al mattino nella barriera corallina – bellissima e molto viva, anche se purtroppo la visibilità non è neppure lontanamente quella delle Maldive – e una al pomeriggio in una spiaggia piena di stelle marine, grandi e di vari colori. E il pranzo sulla spiaggia, sotto gli alberi, con alcune insalate preparate dalla moglie del Capitano Glen (il padrone della barca) e le aragoste arrostite lì sotto i nostri occhi (e sotto gli occhi dei lucertoloni che popolano le isole, e che si avvicinano a chiedere gli avanzi): a parte la suggestione del posto, credo sia la più buona che abbia mai mangiato.

La cosa meno bella? Mentre raggiungi il tuo aereo per tornare in Europa, invidiare i turisti appena sbarcati che, poco più in là, vengono accolti con cocktail alla frutta e musica raggae, e consolarti pensando che mancano “solo” 7 mesi al nuovo anno e al relativo “pieno” di giorni di ferie…



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