Albania: un paese giovane che cresce

Di nuovo un’occasione di viaggio per lavoro che trasformo in un momento di conoscenza e di riflessione. Sono già sull’aereo, partito da Fiumicino, e sto attraversando uno stretto braccio di mare per arrivare in un paese a noi vicinissimo, dove forse nessuno penserebbe d’andare… sì, vado in Albania questa volta e per una manciata di...
Scritto da: Ivan Dal conte
albania: un paese giovane che cresce
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
Di nuovo un’occasione di viaggio per lavoro che trasformo in un momento di conoscenza e di riflessione. Sono già sull’aereo, partito da Fiumicino, e sto attraversando uno stretto braccio di mare per arrivare in un paese a noi vicinissimo, dove forse nessuno penserebbe d’andare… sì, vado in Albania questa volta e per una manciata di giorni. Mi chiedo se in così poco tempo potrò dare corpo alle fantasie ed aspettative che mi sono fatto in patria in questi anni. Dopo la comunicazione del mio viaggio ho attivamente approfondito molti aspetti di questo Paese con Eva, una ragazza albanese con cui lavoro e che da qualche tempo tenta di spiegarmi le ragioni storiche e politiche di una realtà così complessa. Non posso nascondere di provare qualche preconcetto perché il quadro che possiamo farci qui in Italia è molto “filtrato” dai media e da tutto. Ci sono poche informazioni, guide scarne … a fronte di molta gente albanese.E’ curioso invece che gli Albanesi ci conoscono molto bene, conoscono tanto dell’Italia e quasi tutti parlano la nostra lingua. Io in compenso quando li sento parlare non capisco nulla, quasi un sì o un no… Scherzosamente chiedo ad Eva di insegnarmi tre-quattro parole di salvezza… la prima è Mire dita, ovvero buon giorno, e la seconda Mirupavshi, ovvero grazie. Sento da sempre nelle parole di Eva, e anche nei discorsi di molte persone albanesi incontrate in occasione di lavoro, un misto di gentilezza e di ruvida tristezza. Adesso che sto per atterrare all’aeroporto di Tirana potrò chiarire questo piccolo mistero che mi accompagna.

L’arrivo nell’aerostazione è il primo assaggio di una realtà che non pensiamo possa essere a solo un’ora di volo da Roma. La coda allo sportello per i cittadini non albanesi è quadrupla (tutti rigorosamente in giacca, cravatta e ventiquattrore griffata stile Ministero, salvo poi essere banali venditori di serrature e porte) rispetto a quella riservata ai nativi. Nella nostra coda si sgomita come pochi, i cosiddetti businessman imprecano perché il loro tempo è danaro; qualcuno infila dollari nel passaporto e lo sventola apertamente. Un americano di fronte a me urla che lui è americano e che è atteso dopo il controllo da un’importante funzionario…Insomma il solito mondo dei furbi per bene fa sì che io sia scavalcato da diverse persone…Compreso l’americano che mi guarda con un beffardo sorriso dopo aver passato il controllo! Dall’altra parte delle transenne aeroportuali molti parenti si sbracciano per i loro cari ed amici che sono invece in fila ordinata e calma vicino a noi e che rispondono affettuosi ai festosi richiami.

Un autista mi attende nella calca numero due fuori dallo scarno scalo aeroportuale : sul cartello di cartone è scritto il mio nome e così salgo su una Mercedes ; attraverserò quasi tutto il paese in sua compagnia. Non capisco il suo nome, qui lo chiamerò Petre. Scopro nelle quattro ore di viaggio lungo strade schizofreniche (a tratti larghe quattro corsie ben asfaltate, a tratti praticamente sterrate) che Petre è laureato in ingegneria e ha lavorato per quasi vent’anni in un’industria dove si occupava di tutti gli impianti elettrici. Di nuovo nelle sue parole la ruvida tristezza che sentivo in Italia… Mi parla con un sufficiente italiano del suo Paese, della sua vita, dei suoi sogni svaniti e dell’emigrazione in Germania. È stato cinque anni lassù per tornare poi nel suo paese con i soldi necessari alla costruzione di una casa. Dai discorsi intessuti anche nei tre giorni che seguiranno con la gente, emerge che la casa resta una necessità assoluta, un bene primario irrinunciabile costi quel che costi, un desiderio da incarnare secondo le proprie fantasie e desiderata. E anche il paesaggio me lo dimostra. La campagna che attraversiamo è costellata da centinaia di costruzioni di ogni forma, foggia o stile, senza nessuna regola, ognuno se le costruisce con quel che impara e che vede all’estero, copiando ora lo stile italiano, ora quello tedesco, ora inventando. Una caratteristica però accomuna tutte: nessuna è finita, in molte gli intonaci non esistono così come i tetti ricordano il nostro meridione, costellato di armature per cemento armato da usarsi in un futuro solo in parte prevedibile. Molte case sono anche abbattute. Chiedo a Petre se è l’effetto di un passato difficile, laconicamente mi afferma che spesso le case sono gettate giù dagli stessi albanesi per problemi di gelosia, vicinato, semplicemente perché non si doveva in quel luogo, dichiarato proprio da una legge non scritta, così su due piedi e pertanto le cose altrui sono abbattute. Qui la terra, un tempo proprietà dello Stato, ora è di nessuno, o di chi se la prende.

Quasi tutte Mercedes sulle strade… è un caso di ricchezza collettiva? No, ovviamente…Mi spiega Petre che sono le uniche vetture che resistono su queste strade, le nostre Fiat dopo uno-due anni sono praticamente da rottamare! La campagna è rigogliosissima: noto che in vaste aree è abbandonata con evidenti segni di un glorioso passato. Petre mi racconta che un tempo lussureggiavano milioni di viti ed olivi, tutti in terrazzamenti ben tenuti, ora sistematicamente abbattuti e bruciati dal terremoto occorso nell’ultimo periodo regime precedente e dalle perdute speranze della nuova situazione. I campi sono abbandonati in vaste aree, pieni appunto di una natura selvaggia e rigogliosa. Il brigantaggio ha reso difficile per un buon periodo la circolazione. Nel tratto di strada che porta da nord a sud e che noi percorriamo era normale fino a qualche tempo addietro essere fermati da capannelli di individui col kalashnikoff che chiedevano un tanto a valigia. Se non pagavi, la valigia restava lì. Adesso incontriamo invece posti di blocco della polizia che chiedono alternativamente i suoi e i miei documenti. In uno di questo posti Petre paga il poliziotto perché andava troppo veloce e la multa incombe…A meno che… Petre mi ricorda che anche loro sono “poveri cristi” e che pertanto si deve comprendere perché lo fanno, insomma vivi e lascia vivere. Lungo la strada centinaia di improvvisati banchetti vendono di tutto, soprattutto oli e lubrificanti, pezzi di vetture o motori, dentifrici. La sensazione è che manchi una generale organizzazione di distribuzione e Petre mi conferma che questo è uno dei problemi nelle piccole cose. In Albania c’è tutto, ovvero risarebbe tutto quel che potrebbe servire ma è difficilmente fruibile. Ad un tratto una scena al limite di un film… Un povero senza gambe sosta in mezzo alla strada su un carretto a quatto ruotine, un tapino dei fumetti, strategicamente piazzato in modo che le auto e i mezzi provenienti dalle due direzioni sono quasi costretti a fermarsi per non investirlo: così chiede la carità e la gente può offrire qualcosa, spiccioli, acqua cibo…Nella nostra idea di opulenza, piena di povertà nuove, dimentichiamo le antiche che qui si ritrovano.

Un’altra caratteristica del paesaggio che balza subito agli occhi è la costante presenza di bunker di cemento armato a scopo militare. Sono oltre 700.000, la maggior parte sulle coste e pianure di un territorio di appena 28.000 km2, il 70 % del quale è montagnoso con aspri rilievi talvolta che circondano la nostra vista costantemente. Furono costruiti dai cinesi su commissione del Governo comunista allo scopo di difendere i cittadini albanesi da un temuto possibile sbarco, e dalla successiva “invasione”degli italiani, come avvenne nel 1912 a Valona .. Non servono commenti , solo che oggi sono quasi indistruttibili e ineliminabili, inservibili per ogni scopo. Un costante campanello che ricorda il passato recente. Petre mi riferisce che sotto il precedente regime totalitario la gente stava relativamente bene fino a quando la politica di Enver Hoxha, penultimo tiranno comunista, non ha trascinato il paese in un delirio di sofferenza, indifferenza, isolazionismo, scarsità di stimoli culturali ed odio reciproco, con distruzione sistematica di tutto quanto potesse provenire dall’esterno. L’isolamento internazionale ed interno è certamente uno dei mali che ancora si respira qui nel paese. All’orizzonte fioccano qua e là i minareti, testimonianza che oltre l’80 % della popolazione è di religione musulmana, anche se nei giorni successivi non sentirò molto questa presenza religiosa nella vita quotidiana delle strade. A parte Tirana, che vedrò solo nella sua periferia uguale a cento altre città del mondo, il mio viaggio ha toccato diversi piccoli agglomerati ed alcuni centri più importanti. Abbiamo attraversato Cerrik, Lushnje e Fier, in cui la difficoltà della vita quotidiana è maggiormente visibile (palazzi rotti, fogne a cielo aperto, asfalto inesistente) ma sempre accanto a sorrisi e colori. Fine del viaggio a Vlore (Valona) dove abbiamo assaggiato la vita locale. Valona è tristemente nota a noi italiani per essere soprattutto un porto di “scafisti”. La città non fa una bella impressione, è grigia, abbastanza triste e pesantemente cementificata. Non un albero, un fazzoletto verde al di fuori del giardino centrale in cui troneggiano alcune vestigia del passato. Di tanto in tanto residui monumenti inneggiano al caduto passato socialista. Dai muri delle case penzolano centinaia di fili elettrici che fuoriescono da pochi punti di distribuzione. Mi racconta D., la nostra accompagnatrice locale, che la regola è allacciarsi abusivamente per avere l’energia. Nei negozi ci guardano con un po’ di curiosità, i turisti praticamente non esistono. Prezzi talora elevatissimi, alte volte decisamente molto bassi. Un pasto di pesce costa poco, la carne è già più cara. I dolci ricordano sapori e fogge vagamente orientaleggianti. Se si vuole un ristorante caro lo si trova lassù, sulla collina a rimirare chi sta in basso… Pochissime banche, nessun sportello per la carta di credito, poche vetrine che ricordano i Paesi dell’Est nell’epoca comunista. Ovunque sembra evidente lo sforzo di fare, ma non brilla il fare bene. Sulle strade centinaia di persone sfaccendate testimoniano la principale problematica locale: non c’è lavoro! Tutti sanno fare tutto, in particolare i muratori e tutti hanno bisogno di lavorare. Camminiamo tra la gente suscitando molti sguardi. Mi rendo conto improvvisamente che siamo in cinque, ma solo io maschio con quattro donne di cui due alte, bionde e belle, mentre in strada transitano solo uomini…Chiedo a D. Dove siano le loro donne. Mi racconta un’antica realtà difficile ai nostri occhi. Le donne vivono una condizione ancora fortemente sottomessa al ruolo maschile. Pare che viga ancora, in molti casi, una regola scritta nel “Kanun”, regola secondo la quale durante i matrimoni il padre della sposa regala al futuro genero una pallottola da usare in caso la sposa non segua fedelmente i dettami della vita di famiglia. Molte delle loro donne erano rapite negli scorsi anni soprattutto nei paesi in montagna, per essere poi “spedite” in Grecia od in Europa. Chi sfugge al mercato della strada dopo le immaginabili difficoltà trova al rientro in Patria un’accoglienza altrettanto difficile. La famiglia non accetta facilmente una donna col passato segnato che rischia di diventare un peso economico se non trova un marito. Drammaticamente mi è spiegato che la difficile condizione economica dell’entroterra in molti casi aveva spinto le famiglie stesse a organizzare i rapimenti per avere denaro…Ora pian piano questa realtà sta cambiando e molte donne sognano un ruolo più autonomo che in certi casi inizia ad avverarsi, sfuggendo così ad una sorta di predestinazione. Ancora però nelle strade di Valona i bambini (quasi tutti maschi…) sono ovunque da soli, giocano per terra con tutto quel che hanno, e sono davvero molti, un’immagine che nelle terre italiane non siamo più abituati a vedere. L’albergo dove risiedo vuole avere grandi pretese, con tanto di pubblicità, hall di rappresentanza e almeno quattro antenne satellitari sul tetto, ma dentro le camere le forniture, le suppellettili, e le piccole cose tradiscono una crescita rapida e senza cura del particolare accanto a qualche attenzione divertente per il cliente. Ci troviamo la sera invitati ad una festa per gli Italiani. Ho così l’occasione di conoscere alcuni rappresentanti delle Forze dell’Ordine Italiane che lavorano lì, che di sera a cena mi raccontano con grande serenità la situazione. L’arrivo delle forze italiane ha realmente messo un poco di ordine, serve a garantire il poter passeggiare nelle strade, il fiorire di piccoli commerci non illegali, serve a poter ricostruire l’aeroporto della zona e dare loro la possibilità di apprendimento logistico che serve per far funzionare le cose. Serve per contrastare e riconvertire quell’odioso traffico di anime e corpi che tante volte sul posto di lavoro mi è stato raccontato e che sui giornali ci è scaraventato in faccia a ondate. Servono questi interventi a restituire quel piccolo barlume di speranza che nel fondo di ogni essere vivente esiste prima di dire non ce la faremo mai… Strano, per la prima volta mi trovo di fronte ad un volto umano delle nostre Forze Armate, in un paese che sa fin troppo bene come si usano le pistole. Gli Albanesi stanno imparando che non c’è solo la legge del più forte, dell’ultimo che è arrivato, di chi comanda. E’ un processo lungo e difficile che va guidato ed assistito. D. Mi conferma che la collaborazione tra i due Governi è vitale e che si sente, che la vita del popolo nella sua semplicità si sta trasformando piano piano e che il male peggiore è il miraggio di un’America Italiana, facilmente raggiungibile a sole due ore di distanza, che si può vedere a occhio nudo dalla spiaggia, che si vede tutti i giorni grazie alle antenne della televisione. Un modello di vita bello e facilmente arrivatile, che sembra a portata di mano come lavarsi i capelli con una sciampo che rende belli, morbidi e setosi i tuoi capelli. Mi fa soffrire un piccolo racconto di D., confermato poi anche da Eva in Italia. Molti Albanesi sono impressionati dalla pubblicità di cibo per animali e automaticamente pensano che se noi Italiani abbiamo tanta attenzione per un gatto chissà cosa facciamo per gli umani, e che, se nei supermercati c’è tanta disponibilità di cibo per cani allora per ci deve essere l’inimmaginabile per noi… La realtà è ben più dura in Italia per loro ma spesso è un’opportunità per uscire dall’isolamento economico e culturale in cui sono piombati per molti anni. Quello che andrebbe ricordato è che il popolo Albanese ha una grande potenzialità e voglia di lavorare e che andrebbe aiutato nell’incanalare queste energie. Hanno un importante passato culturale che è stato sistematicamente schiacciato dai vari regimi e che è sconosciuto ai più; forse gli unici che hanno qualche ricordo sono le comunità albanesi italiane storiche in Sicilia e Calabria, che hanno sviluppato movimenti letterari italo-albanesi fin dal 1500.

Terminiamo la serata in tristezza… Mi portano a vedere il bar dove gli scafisti sono soliti riunirsi per preparare il loro lavoro, per parlare o bere una birra solamente. Al bar stesso chiacchieriamo con due giovani locali che ci raccontano la loro Albania fatta di speranze e di illusioni, di poco lavoro e grandi miraggi rapidamente costruiti e spesso altrettanto rapidamente svaniti. L’albergo stesso dove io soggiorno, mi raccontano, è il frutto dei soldi guadagnati da una famiglia con i gommoni; soldi, tanti soldi fatti in fretta che non sono serviti ad appagare il dolore per il figlio più piccolo scomparso durante una traversata notturna in pieno inverno fatta per guadagnare di più, per contribuire anche lui al benessere raggiunto… Quel che colpisce qui a Valona è appunto la coesistenza di grande sobrietà, povertà, modestia e passato, con grandezza di facciata, lusso e bicchieri scintillanti. Usciamo dal ristorante, dove su tavole impeccabili ci hanno servito un pesce ottimo ed un vino locale delizioso, per posare il piede nel fango delle strade sconnesse e vedere, affogata nel cemento anonimo sovietizzante, la casa da cui fu proclamata l’indipendenza albanese, che resiste di fronte ad un mare pescoso ma anche ostile Nei giorni successivi la nostra minicompagnia si recherà più a sud a vedere bellissime spiagge incontaminate, acqua cristallina e servizi semplici, minimi, familiari. Io non potrò vedere questo lato della costa per il lavoro che mi trattiene e certamente spero di tornare per godere la prossima volta di questo bel mare che mi è solo raccontato. Più a Sud però i problemi del Paese sembrano più acuti, così come lo sono nell’interno.

Devo concludere, ma non so come … L’esperienza intensa ma breve mi ha sollevato molti dubbi e mi ha dato anche certezze rispetto questo Paese. E’ un paese piccolo che cresce, che deve trovare una sua nuova via e, come tutti gli adolescenti in crescita, è pieno di contraddizioni e ha bisogno di essere seguito nel suo sviluppo. E’ un giovane ai nostri occhi ma alle spalle, e non va dimenticato, ci sono secoli di tradizioni fortissime come i bastioni delle montagne che circondano questo mare in comune con l’Italia.



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