Madagascar, la strada che cambia l’anima

C’erano anni che sognavamo il Madagascar, ma ogni volta lo rimandavamo. Forse perché certi viaggi non si fanno a metà: o ti ci butti completamente, o resti a casa. Questa volta abbiamo deciso di farlo davvero. E per farlo bene ci siamo affidati a un’agenzia locale che, fin dal primo momento, ci ha preso per mano e ci ha accompagnati in un Paese dove la strada è polvere, vento, onde e soprattutto incontri. Un 4×4 robusto, un autista che conosceva ogni buca come si conosce un vecchio amico, e una guida che parlava italiano con la naturalezza di chi ama far scoprire la propria terra a chi arriva da lontano. Non eravamo soli: eravamo parte di un viaggio più grande.
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Il viaggio in Madagascar
Quando l’aereo è atterrato ad Antananarivo, ho sentito qualcosa muoversi dentro di me. L’aria della capitale aveva il profumo dell’inizio: spezie, fumo di legna, colore. Guardavamo la città scorrere dal finestrino, come un film troppo veloce. Quella prima notte, alla Résidence Ankerana, abbiamo dormito poco per colpa dell’emozione. La strada verso ovest, il giorno dopo, è stata un lungo susseguirsi di risaie, colline rosse, villaggi dove i bambini salutavano ogni macchina con un entusiasmo che non siamo più abituati a vedere. Era solo l’inizio, ma già capivamo che il Madagascar non è un luogo: è un ritmo, un modo diverso di respirare.
Attraversando paesaggi che cambiavano come pagine di un libro, abbiamo raggiunto Morondava e poi Betania, dove ci siamo imbarcati su una piccola piroga scivolando tra le mangrovie. L’odore del mare, il vento caldo e quella luce bianca ci hanno accolti come un abbraccio. E poco dopo, sulla lunga pista che porta a Bekopaka, il Madagascar ci ha mostrato la sua natura più selvaggia: polvere, salti, fiumi da attraversare su chiatte improvvisate, donne e bambini che ci guardavano dalla riva come si osservano i viaggiatori rari. Il Grande Tsingy è stata una rivelazione. Nessuna foto potrà mai raccontare cosa significhi camminare tra quegli aghi di pietra, sospesi nel vuoto, dentro un mondo antico che ti ridimensiona. Là dentro il silenzio parla, e noi abbiamo ascoltato. Sulla via del ritorno a Morondava, stanchi e impolverati, abbiamo ritrovato un luogo che da solo vale un viaggio: il Viale dei Baobab al tramonto. Il cielo si è incendiato di arancio e viola, e quei giganti silenziosi sembravano custodire tutte le storie dell’isola. È stato uno di quegli istanti in cui capisci perché si viaggia: per sentirsi parte di qualcosa di più grande.
Poi è arrivato il vento di Belo-sur-Mer, le piste infinite che portano a Morombe, la laguna irreale di Andavadoaka, il paradiso remoto di Ambatomilo. Giornate leggere, lente, piene di mare e silenzi. A volte abbiamo fatto semplicemente nulla: ed era meraviglioso.
Ripartire non è mai facile, ma la strada ci ha portati alla foresta sacra di Renala, ai pescatori di Anakao che tornano al villaggio al tramonto, e infine verso l’entroterra, dove il rosso della terra diventa sempre più intenso. Il Parco dell’Isalo ci ha accolti con canyon scolpiti dal vento, piscine naturali e un paesaggio che cura lo spirito. La riserva ANJA, con i suoi lemuri maki, ci ha fatto sorridere come bambini. A Ranomafana, la foresta umida profumava di terra bagnata e vaniglia, viva di suoni e misteri. Poi ancora strada, mercati, colline, villaggi: un mosaico di vita che sembrava riassumere tutto il viaggio. Quando siamo tornati ad Antananarivo, all’Hotel San Cristobal, sapevamo che il viaggio stava finendo, ma non dentro di noi. L’ultimo sguardo alla città dall’auto, l’ultimo abbraccio alla nostra guida, e poi l’aeroporto.
Lasciavamo il Madagascar, ma non il modo in cui ci aveva cambiati.
Informazioni utili
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