La capitale italiana del vino cotto è un piccolo borgo di 2000 abitanti tra le colline delle Marche

A ridosso del mare ma non lontane dai Monti Sibillini, emanazione locale degli Appennini, le colline delle Marche disegnano uno scenario dolce che guida il visitatore verso l’entroterra, caratterizzato da paesaggi da cartolina e dove, alla bellezza del paesaggio naturale, si uniscono i vari borghi nati in epoca passata. Non solo meri abitati, ma luoghi di antica memoria che testimoniano la storia di questo territorio. Oggi come allora, questa terra preziosa viene adeguatamente valorizzata ed è capace di regalare grandi prodotti di enogastronomia. Soprattutto negli ultimi decenni, il lavoro mirato alla cura del territorio ha trovato i giusti connotati. Così, tutto ciò che era tradizione oggi è diventato un simbolo, qualcosa che identifica in maniera univoca questi luoghi. Come è successo in un piccolo borgo del maceratese, che grazie alla (ri)scoperta del vino cotto, è assurto a nuova e meritata fama. Scopriamolo insieme.
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Un paesaggio incantevole
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Siamo tra Macerata e San Ginesio, non troppo lontano dalla costa. Qui, appena si arriva, si rimane incantati dalla bellezza del panorama, dominato dal centro storico perfettamente conservato e caratterizzato dalla presenza del castello dei Signori di Loro, anche denominato Castello dei conti Brunforte. Il Castello è stato edificato nella parte più alta del paese, da cui si gode di insuperabili paesaggi sulla campagna circostante, e fu costruito sopra le antiche mura del castrum romano. L’imponente Torre della Vittoria offre una vista straordinaria: da qui si scorge molto lontano, dal Monte Conero ai Sibillini, fino alla Maiella nel vicino Abruzzo. Non è finita qui: la visita si può infatti estendere agli edifici religiosi del borgo, come la chiesa di Santa Maria di Piazza del 1200, che fu edificata dai Benedettini, e la chiesa di San Francesco. Altra curiosità: i palazzi nobiliari che caratterizzano le strade del borgo vennero progettati in modo tale da favorire la lavorazione dell’uva, e disposti in modo tale che le attività legate alla vendemmia avessero adeguato spazio al loro interno. La pigiatura dell’uva e la bollitura del mosto nelle enormi caldaie di rame era la normalità, ed è da qui che nasce la produzione della vera specialità di questo borgo.
Il borgo del vino cotto, la specialità più famosa della regione
Loro Piceno è noto per il vino cotto, tipico del sud delle Marche. Qui il legame con questo prodotto è particolarmente evidente, testimoniato anche dal Festival che si svolge nel mese di agosto e che quest’anno è giunto alla sua 53° edizione. Un prodotto ancestrale, come dimostra la pratica di cuocere il mosto, le cui prime testimonianze risalgono all’epoca romana. La tradizione locale aveva individuato nella cottura del mosto un ottimo strumento per impedire l’acidificazione del vino e preservarne la longevità. La qualità delle uve di un tempo non assicurava la maturazione ottimale per avere dei vini di buona qualità, pertanto si andava incontro velocemente all’inacidimento: con la cottura e la riduzione del volume, si otteneva quella concentrazione zuccherina che manteneva stabile il prodotto. Spesso, in cottura, si aggiungeva anche un altro ingrediente, la mela cotogna, per favorire la diminuzione del volume e aromatizzare la bevanda, nelle proporzioni di una mela per ogni quintale di mosto. Importanti riferimenti storici del vino cotto risalgono al XVI secolo ad opera di Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III: nei suoi scritti menziona l’esistenza di vini cotti di diversa qualità e di grande bontà, tanto da elevarlo alla dignità del rito sacrificale nella Santa Messa. Andrea Bacci, filosofo, scrittore e medico di Sant’Elpidio a Mare ne fa menzione nell’opera De naturali vinorum historia (1596): il trattato, suddiviso in sette libri, descrive anche la produzione del vino cotto, della sapa, dell’acquaticcio e del vino novello proprio della zona dell’Alto Tronto. Nel 1971 Mario Soldati descrive così un vino cotto di 60 anni “…. Come vino da dessert lo trovo ottimo, di un bel colore rosso mattone e riflessi di oro cupo, il sapore strano affumicato e ruvido nella sua moderata dolcezza, corregge ed evita quella dolcezza vischiosa e a volte nausebonda di tanti passiti o marsalati.”
Proprietà e abbinamenti
Quando si visita Loro Piceno, si apprende che per la produzione del vino cotto viene utilizzata l’uva dei vitigni tipici delle zone citate: la riduzione a caldo del volume di un terzo del mosto iniziale dà vita a un prodotto che, messo poi in botti di legno, subisce una lenta fermentazione e successivamente l’invecchiamento. Secondo una ricerca scientifica, vanno segnalate importanti proprietà in questo prodotto tipico: si sottolinea l’alto potere antiossidante, dovuto alla caramellizzazione degli zuccheri durante la pastorizzazione del mosto; ricordiamo che gli antiossidanti combattono i radicali liberi e aiutano a prevenire malattie tumorali e cardiovascolari. Non a caso, nella tradizione contadina, il vino cotto è stato sempre considerato un prodotto quasi terapeutico. Questo studio avvalora le usanze contadine secondo le quali un bicchiere di ‘Cotto’ andava bene per un po’ tutti i malanni. Perfetto con la pasticceria secca, il vino cotto è sorprendentemente buono con i formaggi erborinati, riuscendo a bilanciare armoniosamente la potenza gustativa di questi prodotti, per un viaggio sensoriale davvero sbalorditivo.