La terrazza dell’Umbria, un borgo dove il tempo sembra non passare mai

Una tradizione enologica che risale al Medioevo ma che, solo negli ultimi 50 anni, ha trasformato un piccolo paese tra le colline in una delle capitali italiane del buon bere: qui l'autunno è il momento giusto per vivere un viaggio di sapori e colori
Stefano Maria Meconi, 10 Set 2025
la terrazza dell'umbria, un borgo dove il tempo sembra non passare mai

L’autunno è una stagione di transizione, anche e soprattutto nel mondo dei viaggi: lasciate alle spalle le vacanze estive, ed essendo ancora lontane le settimane bianche sulla neve, cerchiamo soluzioni più comode e a portata di mano, anche dal punto di vista economico, per godersi qualche giorno di relax e di scoperta. Ecco perché, proprio nel periodo che segna tradizionalmente la rivoluzione della natura e l’arrivo sulla tavola di sapori tradizionali e autentici come il vino novello, le castagne o la zucca, possiamo andare alla riscoperta dell’Italia attraverso i suoi borghi, i luoghi identitari e che definiscono quel carattere di meraviglia diffusa che è tipico del nostro Paese. Per farlo, possiamo concederci tante possibili soluzioni, certi che in questo periodo dell’anno la nostra nazione difficilmente ci presenterà davanti dei paesaggi deludenti, ma anzi regalandoci grandi gioie. Come quelle della “terrazza dell’Umbria”, un borgo che ha tanto da raccontare e altrettanto da portare in tavola.

L’identità del territorio attraverso il suo prodotto più celebre

montefalco

Come in molte altre zone d’Italia, la storia vitivinicola dell’Umbria è molto antica, ma la sua vera identità è storia recente: è a partire dal secondo dopoguerra che si delinea un vero e proprio percorso di valorizzazione del territorio. I vitigni autoctoni sono particolarmente apprezzati, perché la loro storia è indissolubilmente legata all’ambiente. Il vitigno autoctono incarna tutte le peculiarità della zona di origine ed è per questo che il Sagrantino, vino rosso in Umbria, ci racconta come l’uomo abbia plasmato il territorio. La parola Sagrantino richiama la funzione sacrale alla quale era destinato il vino prodotto prodotto qui, ma che veniva consumato anche nei momenti della vita domestica. Questo vitigno sembra essere arrivato in zona intorno alla metà del ‘400 grazie ai frati francescani: come accennato prima, è fondamentale il fattore umano, che trasforma una pianta in una grandiosa storia di eccellenza. Fino la 1925 la produzione di questo vino era scarsa e lo si faceva solo in versione passita, poi comparì anche quella secca. L’appassimento sui graticci di canne era il modo di custodire questi piccoli, neri e dolcissimi acini da cui si ricava un vino invecchiato per le grandi occasioni. 

Perché è uno dei vini più buoni d’Italia

La storia recente del Sagrantino DOCG (denominazione arrivata nel 1992) inizia negli anni ‘70, quando questo vino si trasforma in un prodotto d’eccellenza guadagnando notorietà. La forte identità territoriale è l’anima di questo vino rosso di grande struttura, che riesce a guadagnare i mercati internazionali, grazie alle sue inimitabili caratteristiche. La DOCG si riferisce a entrambe le versioni, secco e passito. È previsto un invecchiamento minimo di 33 mesi, di cui almeno 12 in botti di rovere, a cui segue un periodo di affinamento in bottiglia. È un prodotto che non teme i segni del tempo grazie ai suoi antiossidanti naturali. Il suo colore è di un rosso rubino intenso, con sfumature violacee, riflessi granati man mano che invecchia. Il profilo olfattivo è molto complesso, dal profumo ampio che sprigiona sentori di frutti rossi, tra cui mirtillo e visciola, tra i fiori spicca la violetta; tra gli aromi terziari conferiti dalla maturazione in botte spiccano la vaniglia, la liquirizia, la cannella, il cioccolato e il tabacco. Nella versione passita le note fruttate richiamano le confetture dei frutti citati, a testimonianza della concentrazione dei profumi, con sentori speziati dolci. Un vino morbido e caldo, l’assaggio denota subito la spiccata astringenza, data dai tannini: molto intenso e persistente, di grande corpo e struttura; va servito ad una temperatura di 16-18 °C in ampio calice, in modo da consentire al vino un’adeguata ossigenazione per sprigionare tutti i suoi aromi.

Gli abbinamenti di questo ottimo vino con la cucina locale prediligono gli arrosti, la carne rossa, il capretto, l’agnello, la cacciagione, la selvaggina da pelo e da piuma. Ottimo anche con le zuppe contadine di legumi e cereali, oppure con preparazioni a base di tartufo, altra eccellenza umbra, mentre il passito è perfetto con i dolci come crostate alla marmellata e dolci a base di marzapane, come gli stinchetti di marzapane, tipici della zona.

Cosa vedere nel borgo-terrazza dell’Umbria

Montefalco è tra i Borghi più belli d’Italia, soprannominato la Ringhiera dell’Umbria sin dal lontano 1568 per la sua posizione, dalla quale si gode una vista straordinaria. Grazie ai vari belvedere, è possibile spaziare dalle valli del Clitunno, al Tevere, al Topino, ma vi si scorgono anche Spello, Assisi, Foligno e Perugia. Circondato da vigne e uliveti, Montefalco deve il suo nome alla caccia al falcone, attività particolarmente amata da Federico II di Svevia che soggiornò qui nel XIII secolo. Come tutta l’Umbria, ogni angolo racconta secoli di storia, con reperti artistici e patrimonio culturale, a testimonianza dei ricchi trascorsi del comune. A iniziare dalla chiesa-museo di San Francesco, museo perché ormai l’edificio è sconsacrato ma chiesa perché le sue tante opere vengono da qui, come gli affreschi della vita di San Francesco di Benozzo Gozzoli o la Natività del Perugino. La centralissima piazza del Comune è il luogo su cui si affacciano il Palazzo Comunale di fine ‘200, il Teatro Comunale, il palazzo De Cuppis e l’Oratorio di Santa Maria de Platea. Da vedere, infine, la chiesa di Sant’Agostino dove ancora si conservano degli affreschi risalenti al ‘300 e al ‘400.



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