Secoli di tradizione e un gusto inconfondibile: ecco come la pasta di Gragnano è diventata la più amata al mondo

Dall’incontro delle diverse culture, il prodotto italiano per eccellenza
Manuela Titta, 02 Set 2025
secoli di tradizione e un gusto inconfondibile: ecco come la pasta di gragnano è diventata la più amata al mondo
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La pasta e i suoi formati sono il risultato di secoli di storia della gastronomia, un patrimonio non solo culinario, ma culturale. Prodotti che arrivano sulle nostre tavole dopo secoli di contaminazioni, innovazione e creatività. Ognuno di questi formati è speciale, perché porta con sé non semplicemente la forma, ma anche la sostanza. È il sapore che passa attraverso le varie tipologie, perché ognuna di esse è in grado di esprimersi al meglio con condimenti diversi. Ogni tipologia nasce per incarnare una ricetta e portare a tavola tutta la tradizione che c’è dietro, e per rappresentare al meglio uno dei capisaldi della dieta mediterranea che, proprio nei carboidrati trova la sua base fondante. E che ben si esprime nella ricchezza, storica e gastronomica, della pasta di Gragnano, elemento cardine della cucina campana e di quella ricchezza del mangiare che è divenuto patrimonio immateriale dell’Umanità UNESCO.

La storia della pasta, dal Medioevo alla “scoperta” del pomodoro

lasagne

Fino al Medioevo la principale tipologia di pasta in uso era la lasagna, realizzata e consumata fresca con impasto di farina e acqua, stesa a sfoglia larga. La pasta secca è invece di tradizione araba, di forma stretta, che aveva il vantaggio della conservabilità e risultava quindi trasportabile. I ricettari medievali citano questa seconda tipologia di pasta, a testimonianza di una forte contaminazione tra la cucina araba e quella nostrana: fondamentali per la diffusione di questa pasta secca sono state le città marinare. Intorno al ‘300 la produzione di pasta secca è un fenomeno non solo genovese, ma si diffonde nelle zone regionali del sud Italia, mentre la produzione di pasta fresca riguarda di più il nord del nostro paese.

Il miglioramento a livello tecnologico permette alla lavorazione della pasta di guadagnare in termini di maggior produzione a costi più bassi, tutto ciò a beneficio dell’accumulo di risorse alimentari, una questione non banale nei secoli scorsi quando le carestie erano sinonimo di fame. Gramola e torchio meccanico sono le innovazioni che permettono di abbassare i costi di produzione: siamo nel XVII e la tecnologia consente di gestire al meglio le risorse della farina. Se la pasta era considerata un prodotto sfizioso nel secolo precedente, ora comincia a guadagnare la sua identità! Non dobbiamo dimenticare che il condimento con il pomodoro cominciò ad essere sperimentato solo nel XVIII secolo e la sua diffusione è del secolo successivo: fino ad allora la pasta era condita con formaggio, a Napoli con carne e cavoli.

La pasta diventa un cibo principale, si potrebbe anche parlare di cibo di strada, anche mangiato con le mani, proprio a sottolineare la sua larga diffusione. C’è anche da dire che rispetto alla popolazione del nord, che si nutriva prevalentemente di polenta, al sud c’è un miglior apporto proteico dato dal glutine che migliora la qualità della dieta.

I mangiamaccheroni e la primazia della pasta di Gragnano

gragnano

‘Mangiamaccheroni’ era un termine che identificava la zona di Napoli tra il ‘600 e il ‘700, perchè la dieta era completamente cambiata: se prima i napoletani venivano definiti mangiafoglie a causa dell’elevato consumo di cavoli e broccoletti (i ben noti, e usatissimi ancora oggi, friarielli), l’impatto a livello culturale e sociale della pasta caratterizzò questo nuovo appellativo. Intorno alla pasta e alla modalità di consumo in questa terra si è generato un vero e proprio folklore arrivato prepotentemente fino a noi, immortalato dalle scene leggendarie dei film, in particolare quella di Totò in Miseria e nobiltà, in cui il principe della risata si riempie di spaghetti le tasche.

La pasta di Gragnano è la perfetta rappresentante, culturale e gastronomica, della passione dei campani per la pasta: IGP dal 2010, in molti la definiscono la pasta migliore d’Italia. Quel che è certo è la qualità delle materie prime, tra la semola di grano duro e l’acqua che proviene dalla falda acquifera locale: la lavorazione artigianale, con la trafilatura al bronzo e la lenta essiccazione completano il quadro. Ma di cosa si intende esattamente con trafilatura al bronzo? Ci si riferisce alla natura dello stampo che andrà a caratterizzare la porosità e quindi la superficie del prodotto: con la trafilatura al bronzo la pasta trattiene meglio i condimenti risultando molto più gustosa. Tutta questa lavorazione permette anche di preservare le proprietà nutritive dell’impasto, tra cui proteine, fibre, vitamine e sali minerali.

I formati della pasta di Gragnano tra tradizione e innovazione

pasta di gragnano, calamarata

I formati di pasta campana incarnano la fantasia e la ricchezza gastronomica che questa terra esporta in tutto il mondo. A iniziare dai paccheri, formato che riempie il piatto con poche unità; quindi, molto apprezzato da chi, soprattutto in passato, non aveva molte possibilità economiche. Il nome deriva da schiaffo, pacchero in napoletano, probabilmente dal suono che questa pasta fa una volta tuffata nel sugo: proprio per questo i paccheri vengono anche chiamati schiaffoni. È una pasta che non teme confronti, per la sua grande versatilità: i paccheri trattengono a meraviglia il condimento e risultano particolarmente ghiotti sia con la carne che con il pesce. Oggi, si presentano meravigliosamente anche come finger food, riempiti e serviti anche con verdure.

La calamarata è un pacchero corto, dalla forma simile a un anello spesso: proprio per questo sembrano somigliano al mollusco tagliato e pronto per la cottura. Anche questo formato risulta particolarmente versatile e sta conoscendo un vero e proprio successo su scala nazionale, magari proprio con un condimento di calamari e pomodori ciliegino.

Gli ziti sono probabilmente il formato più rappresentativo della pasta di Gragnano e della cucina in Campania. Il nome è quello dialettale che era dato ai fidanzati, e proprio questo era il formato di pasta spesso servito nei pranzi di nozze, per celebrare l’amore e concedere anche ai meno abbienti un pasto ricchissimo. Tubolari, lisci e dalla lunghezza di circa 25 cm, venivano anche spezzati a mano prima di essere cotti: il condimento per eccellenza è uno dei simboli della tradizione napoletana, il ragù. È una ricetta elaborata perché questo sugo richiede una lunga preparazione, con grande assortimento di carni e ingredienti, ed è diversissimo da quello bolognese: il ragù bolognese si fa col macinato di manzo e vuole anche un goccio di latte, mentre il ragù napoletano si fa con pezzi di carne di manzo e maiale cotto nel San Marzano per almeno 6 ore. 



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