Dopo Milano, Osaka: a 10 anni dall’edizione italiana, ecco come il Giappone celebra il suo Expo

Ritorno in Giappone: Osaka, Expo 2025, Tokyo e dintorni. Come non amarlo?
Torno in Giappone per la terza volta ed è sempre lo stesso fascino e lo stesso amore! Questa volta è un viaggio mamma/figlie, mio marito purtroppo rimane a casa. La prima volta è stata nel 2012, famiglia al completo, viaggio meraviglioso (diario su TPC). La seconda l’anno scorso per un mese io, marito, fratello e cognata (diario su TPC!). L’obiettivo questa volta è l’Expo di Osaka e i giorni a disposizione sono ahimè pochi, soprattutto in confronto all’anno scorso nel quale mi sono permessa un mese intero on the road. Inoltre per problemi vari prenotiamo il volo con poco anticipo e per spendere poco invece di partire da Bologna con Emirates (comodissima) partiamo da Malpensa con la Thai Airways via Bangkok e a Bangkok ci tocca un lungo scalo diurno! Il prezzo però è ok e soprattutto possiamo fare l’andata su Osaka e il ritorno da Tokyo.
Partiamo il 5 maggio e scopriamo il giorno prima che anche il Giappone dal primo maggio ha messo una e-arrival card da fare online. Ci provo ma non ci riesco e leggo che comunque per i primi tempi ammettono ancora l’arrivo tradizionale con foglietto da compilare a mano.
Prenoto gli alberghi dopo aver deciso di stare metà giorni a Osaka e metà a Tokyo facendo qualche gita ma senza spostare hotel. Cerchiamo stanza tripla, ahimè non facile in Giappone, e soprattutto trovo prezzi molto più alti rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Che sia l’effetto Expo o la mania per il Giappone ormai diffusissima, ma i prezzi questa volta sono decisamente alti. Speriamo che almeno il cibo sia rimasto a buon prezzo! A questo punto valutiamo il Japan Rail Pass non certi che convenga veramente (509 € per 14 gg) visto che non faremo lunghi spostamenti a parte l’Osaka-Tokyo e le gite (Okayama e Yokohama), ma le due città hanno entrambe le linee urbane JR che useremo senza meno e i transfer da /per aeroporto. Alla fine quindi lasciamo perdere i conti e pensiamo anche alla grande comodità di avere il pass e lo ordiniamo. Poi compriamo nella nostra banca degli Yen in modo da non dover cambiare all’arrivo e ordino il pocket wifi alla Japan Wireless che avevo già sperimentato l’anno scorso funzionare in maniera fantastica. Lo preferisco alla e-sim perché così stiamo tutti collegati con un unico acquisto.
Infine decidiamo che giorno andare all’Expo e acquisto i biglietti per un giorno solo. Nei primi due mesi di apertura costa un po’ meno. Leggo che un giorno solo è poco, ma noi vogliamo fare anche altro e ci accontentiamo. Il sito è un delirio, ma alla fine ce la facciamo!
Per ultimo facciamo l’assicurazione sanitaria.
- Volo Thai (andata su Osaka ritorno da Tokyo): 1.098,00 €
- Assicurazione sanitaria: 68,00 €
- Japan Rail Pass per 14 giorni: 509,00 €
- Pocket Wifi per 14 giorni: 69,60 €
- Biglietto Expo 5000 Yen: 31,72 €
Hotel Osaka 158 € a notte la tripla con prima colazione a buffet
Best Western Plus Hotel Fino Osaka Kitahama
30 metri dalla linea K della metro, 500 metri dalla linea M
Hotel Tokyo 179 € a notte la tripla con prima colazione a buffet
Super Hotel Ueno-Okachimachi attaccato alla fermata della Yamanote JR
a due fermate dalla stazione di Tokyo e una da Ueno
Indice dei contenuti
Diario di viaggio in Giappone
Giorno 1 – Da Milano a Bangkok
Si parte alle 7 da Forlì in macchina e arriviamo a Malpensa senza problemi. Mio marito ci lascia nella zona 15 minuti gratis (una specie di Kiss & Fly di Bologna ma più semplice) e poi aspetta un po’ nella zona esterna per vedere se è tutto ok. Volo in orario e quindi riparte. Riempiamo le borracce, facciamo colazione e imbarchiamo. La tratta Milano-Bangkok è lunga, più di 10 ore, cerchiamo di dormire.
Giorno 2 – Bangkok
Alle 6.30 di mattina siamo a Bangkok. 5 ore in più per fuso (perché da noi c’è l’ora legale). Prima di partire avevo telefonato all’ambasciata Tailandese di Roma per sapere se in transito potevo uscire e andare in città e mi hanno assicurato di sì. Le nostre valigie vanno direttamente a Osaka e noi passiamo l’immigrazione e alla domanda su quando ripartiamo e con che volo, faccio semplicemente vedere la carta d’imbarco della sera e andiamo.
Poiché in febbraio sono stata per una settimana proprio a Bangkok ho ben in mente trasporti e come muovermi in città così cambio un po’ di euro in baht e partiamo con la Airport Rail Link fino a Makkasan dove prendiamo la metro per andare al Wat Po, l’unica visita che vogliamo concederci. Durante il tragitto becchiamo un bel temporale, ma ahimè non rinfresca l’aria. La temperatura e l’umidità sono alle stelle. Entriamo nel santuario con pochissima gente, è mattina presto e ha appena piovuto, e giriamo tutto in tranquillità (in febbraio era strapieno). Il Buddha sdraiato è sempre mitico così come gli stupa coloratissimi e super decorati di ceramiche e i giganteschi guardiani in pietra. Imperdibile.
Usciamo e prendiamo un tuk tuk (che guida come un pazzo) per andare a Khao San Road. Essendo mattina ed essendo caldissimo non è animatissima ma ci beviamo qualcosa di fresco e giriamo tutta la zona pedonale fino al fiume Chao Phraya dove decidiamo di prendere il battello, nel nostro caso un “bandiera arancione”, anche se non ho ancora capito bene la differenza fra le varie bandiere (sembra che fermino più o meno tutti dappertutto!). Questo perchè vogliamo arrivare al mega centro commerciale Icon Siam per stare un po’ al fresco, pranzare e riposare un po’! Passiamo davanti al Palazzo Reale e al Wat Arun e oltrepassata Chinatown scendiamo e entriamo finalmente al fresco. Ci giriamo tutta la zona Thay. Bellissima, c’è perfino un piccolo mercato galleggiante e tantissimi negozi di artigianato e tanti stand per mangiare. Mangiamo un classico pad thai squisito e saliamo fino all’ultimo piano alla zona ristoranti di classe, ambientazioni scenografiche, verde, giardini e al centro una fontana con giochi di luce che scende dal tetto tipo un po’ Changi Airport di Singapore. Troviamo uno Starbucks e ci piazziamo al fresco a riposare un po’. Siamo cotte e stasera ci aspetta un altro volo e domani Osaka!! La terrazza panoramica, a parte la temperatura esterna infernale, merita veramente.
Con calma decidiamo di tornare in aeroporto. Traghetto per riattraversare il fiume, metro e Sky Train fino al Suvarnabhumi Airport. Facciamo l’ingresso con il nostro boarding pass e ci andiamo a cercare un posto in zona “salottini” dove riposare in attesa del volo. Ovviamente all’ingresso ovazione di meraviglia per l’immenso complesso di statue del Churning of the Sea of Milk, la rappresentazione di uno dei miti più iconici dell’induismo, una profonda storia di creazione, equilibrio e armonia cosmica.
Si fa finalmente l’ora di imbarcarsi e partiamo. Il volo è decisamente più breve, meno di sei ore, e atterriamo finalmente a Osaka (regione del Kansai, che dà il nome all’aeroporto internazionale, nell’isola di Honshū).
Giorno 3 – Arrivo in Giappone
È mattina, sono quasi le 8, immigrazione rapida, a parte il modulo da compilare vecchio stile che a bordo non ci avevano dato, valigie che arrivano per ultime con un po’ di ansia, e ci tocca aspettare perché sia la consegna del Pocket Wi-fi che l’apertura dell’ufficio del turismo sono alle 9! Intanto che ci orientiamo andiamo alla stazione dei treni annessa all’aeroporto e ci facciamo attivare il JRPass e già che ci siamo prenotiamo la tratta Osaka-Tokyo e Osaka-Okayama e ritorno. Incredibile, ma ci troviamo una ragazza italiana che vive in Giappone, quindi riusciamo a capirci molto bene e ci dà ottimi consigli. Alle 9 in punto ci consegnano il mitico Pocket Wi-fi che è ovviamente identico a quello dell’anno scorso e che mettiamo subito in funzione e ci colleghiamo tutte e tre, anche se in aeroporto c’è il wi-fi free. Funzionerà perfettamente sempre e ovunque. Poi andiamo all’ufficio del turismo deve ci organizziamo per capire bene i mezzi con cui raggiungere l’hotel e le principali cose che vogliamo visitare. Troviamo anche un desk per l’expo con volontari non informatissimi ma carinissimi che ci fanno una gran festa! Torniamo alla biglietteria della stazione per fare il biglietto (sempre compreso nel JRPass) per andare in città.
Subito treno decorato con Hello Kitty e addetto alle pulizie con strumentazioni varie che velocissimamente pulisce le carrozze e fa girare tutti i sedili. Dobbiamo fare un solo cambio e prendere la metro, così facciamo il giornaliero e scendiamo a Kitahama, il nostro hotel è a due passi ma ovviamente il check in è alle 15. Ci danno modo di usare bagno e cambiarci, visto il caldo e i due giorni di viaggio, e tostissime partiamo già operative. Decidiamo di fare subito una prima visita: il tempio shintoista Tenmangu. Metro e lo troviamo facilmente. Immenso torii all’ingresso, grande shimenawa (sono innamorata di queste grandi corde di paglia di riso o di canapa), botticelle di Sakè decorate, lampade e un colorato oroscopo cinese rotondo nel soffitto del portale, elemento interessante in Giappone anche se non tipico.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa (siamo stanchine) e si è fatta l’ora di tornare in albergo per avere finalmente la stanza! Essendo in tre la stanza non è proprio piccolissima ma comunque molto piccola, alla giapponese! Doccia veloce e si riparte. Al momento della prenotazione ho fatto piuttosto fatica a trovare stanze triple, molti hotel proponevano una doppia e una singola con prezzo più impegnativo. Decidiamo di buttarci in zona Namba. Pazzeschi chilometrici labirintici camminamenti sotterranei, tutti pieni di negozi e persone. Ci si perde. Usciamo e troviamo le strade commerciali di superficie, sempre coperte, della zona di Dotonbori.
Alla fine ci facciamo tutta la strada più famosa di Osaka, guardando e fotografando tutte le insegne luminose, alcune animate e affacciandoci al canale sui vari ponti. La gente è a fiumi e siamo all’imbrunire. Cielo sereno e luce bellissima. Siamo proprio in Giappone! Per completare l’atmosfera ci facciamo i famosi takoyaki, le palline con polipo, nel posto più rinomato. Se devo essere sincera le avevo già mangiate e non sono la mia passione, ma qui è un rito imperdibile. Purtroppo, come in molti piatti, sopra ci mettono il katsuobushi (sottili scaglie di tonno bonito affumicate e seccate) e il sapore aggiunto non migliora l’insieme, diamo la colpa al fatto della stanchezza e della prima sera….non siamo ancora giapponesizzate!
Torniamo in hotel e crolliamo a letto. È stato proprio un viaggione e il diversivo di Bangkok ci ha stordite ancora di più!
Giorno 4 – Osaka
Sveglia gasate e riprese direi completamente. Andiamo curiose a colazione e la troviamo fantastica. Tanto per cominciare zuppe di due tipi e riso con curry sia vegetale che di carne meraviglioso (lo mangeremo tutti i giorni) tutti i tipi di insalata, pesce, uova, frutta e dolci particolari, mochi al matcha e alla fragola. Insomma un vero pranzo. Partiamo e con la metro arriviamo alla fermata per il castello. Distanza dalla fermata al castello piuttosto significativa, ma buona parte nel bellissimo giardino. Inizia la rumba del cava e metti felpa, cappello e sciarpa. È caldo ma c’è vento e nei mezzi aria condizionata. Comunque è un disagio accettabile. C’è molta gente, temiamo coda, invece arriviamo e direttamente biglietto e ingresso. Scegliamo di salire i 5 piani con l’ascensore, proprio per poca coda, e poi gli ultimi due si fanno comunque a piedi. Il tempo è meraviglioso e la vista spacca. Altro mio amore le grandi carpone dorate in cima ai tetti (adoro anche quelle vere nei laghetti, per me sono ipnotiche) e ci facciamo varie foto. Scendendo i piani coi gradini si vedono le esposizioni museali varie inerenti la storia del castello, dell’assedio di Osaka e dei vari daymo, soprattutto di Toyotomi Hideyoshi fino al famoso clan dei Tokugawa. Bellissimo shop dove ovviamente facciamo acquisti (ero caduta nel trappolone anche l’anno scorso, ma c’è sempre qualcosa di nuovo!). Ad esempio uno dei piccoli asciugamani quadrati di cotone con il castello è da non perdere. E’ una sorta di mini-tenugui (il tenugui classico è 35X90 cm ed è un telino multiuso, se ne trovano tanti, bellissimi) e ne vendono ovunque con belle fantasie. Scendendo c’è anche una postazione per farsi le foto vestiti da samurai e consorte. Ovviamente facciamo.
Usciamo e rimaniamo colpite dalla coda disumana infinita per la biglietteria sotto un sole cocente. Lo stesso avevo constatato l’anno scorso, ma noi andando sempre alla mattina all’apertura evitiamo spesso questo problema.
Torniamo alla metro e ci spostiamo a visitare lo Shitennoji, uno dei più antichi templi buddhisti dell’intero Giappone, infatti fu costruito nel 593, per celebrare i quattro Re Celesti grazie ai quali, secondo la leggenda, il principe Shōtoku Taishi ottenne la vittoria contro i nobili devoti alla religione shintoista. Grandi edifici, lunghissimi porticati con lanterne, una pagoda a 5 piani sulla quale saliamo e un portale che è considerato la porta d’ingresso alla Pura Terra dell’Ovest. Si paga l’ingresso e poi si gira liberamente. Bellissimo.
Ripartiamo verso la stazione di Umeda, praticamente un tutt’uno con la Osaka Station, tutt’altra cosa da Shin Osaka, la stazione dei treni a lunga percorrenza. In sintesi, essendo la seconda volta che mi trovo a Osaka, un minimo mi oriento, ma vi assicuro che le stazioni e soprattutto i sotterranei infiniti di congiunzione sono fatti per perdersi disorientati e camminare all’infinito.
Umeda in particolare è una città sotterranea, fra l’altro con una zona ristorazione ricchissima e a buonissimo prezzo. Anche fuori terra è animatissima, stradine con locali, negozi, alberghi. Cerchiamo l’Ohatsu Tenjin. Questo luogo tranquillo, che contrasta con il vivace quartiere di Umeda in cui è situato, nasconde la storia d’amore drammatica tra la geisha Ohatsu e l’apprendista commerciante Tokubei, presumibilmente basata su un doppio suicidio realmente avvenuto nel santuario nel 1703 La storia di Ohatsu e Tokubei è una delle più famose leggende giapponesi, spesso paragonata a Romeo e Giulietta e ha ispirato molti adattamenti teatrali e cinematografici. Il santuario ospita un monumento commemorativo in pietra dedicato alla coppia.
Qui facciamo incetta di ema a forma di cuore (tavolette di legno, su cui i credenti shintoisti scrivono preghiere o desideri di vari formati e diverse per ogni santuario). Nel tempio ci sono anche diverse installazioni meccaniche con statuine vestite da geisha o diavolo che danno i responsi sul futuro, molto divertente interrogarle. Mi piacerebbe una volta poter assistere alla incinerazione delle tavolette, sia i santuari shinto che i templi buddhisti periodicamente provvedono a bruciare le tavolette offerte, a duplice scopo: rituale ma anche pratico. (Nella religiosità giapponese dimensione pratica e dimensione spirituale riescono a sposarsi serenamente). La motivazione pragmatica è dovuta semplicemente alla necessità di fare spazio!
La motivazione spirituale invece vuole che, attraverso il rito del falò, desideri e richieste delle persone possano giungere al regno dei kami e dei buddha che dovrebbero comunque aver già letto le ema mentre erano appese fuori dai templi.
Ci spostiamo da Umeda, una delle zone più affollate, alveare di grandi magazzini e ristoranti, un labirinto senza fine di stazioni ferroviarie e grattacieli e caos di persone, treni, negozi e ristoranti a Nakazakicho, il quartiere più alternativo e anticonformista di Osaka. Buona parte delle principali città del Giappone vennero distrutte durante la Seconda Guerra Mondiale e Osaka venne ridotta in cenere da massicci attacchi aerei. Sorprendentemente, però, un’area di 500 metri quadrati riuscì a sopravvivere ai bombardamenti che devastarono la città. Ed è proprio Nakazakicho
La maggior parte degli edifici antichi è stata ristrutturata e gli interni sono ora in linea con i tempi moderni, ma le strutture e facciate esterne sono state ricostruite e riparate preservando lo stile originale dell’era Shōwa (25 dicembre 1926 e il 7 gennaio 1989, corrispondente al regno dell’Imperatore Hirohito). Molti di questi edifici ora ospitano deliziose caffetterie, negozi dell’usato e laboratori di artigianato.
Si gira a piedi per strette stradine e sembra veramente di entrare in un altro mondo.
Ci facciamo una ricca sosta in uno dei più famosi locali per giovani del quartiere: Picco Latte, locale insta-bae per eccellenza (modo di dire giapponese per instagrammabile). Coloratissimo e con menu delizioso.
Poi andiamo a vedere il Salon de AManTo, uno dei luoghi più emblematici del quartiere. Aperto nel 2001, è stato il primo locale della zona creato all’interno di una casa popolare ristrutturata. Il suo fondatore è Jun Amanto, artista, ballerino e attore di Osaka.
Troviamo anche Cafe Arabiq, un’altra famosa caffetteria a Nakazakicho, con una bellissima facciata dipinta di blu, abbellita da piante verdi e da una bicicletta accanto alla porta d’ingresso. Ma al suo interno è ancora più sorprendente, perché non è solo una caffetteria ma è anche una libreria e una galleria d’arte.
Numerosi altri locali e negozi di abiti usati, anche di vintage di qualità più costosi! E c’è anche un piccolo tempietto, il Santuario del Drago Bianco, Hakuryu Okami, a protezione del quartiere, con una vistosa svastica rossa. La presenza della svastica nei templi giapponesi è legata al simbolo buddista del “manji”, che ha un significato positivo e fortunato, diverso da quello della svastica nazista. Il manji, chiamato anche “svastika buddista”, è un simbolo molto comune nei templi buddisti giapponesi e sulle mappe per indicare la loro ubicazione.
Questo quartiere è veramente una scoperta piacevolissima.
Torniamo a Umeda e da lì, chiedendo informazioni, dirigiamo all’Umeda Sky Building nel quartiere Kita-ku, una zona ultramoderna sviluppatasi a nord-ovest del distretto commerciale di Umeda.
Il sole sta calando e vogliamo arrivare per il tramonto, così camminiamo velocemente ma la distanza è molta e stranamente non ha una fermata metro vicina. L’edificio è opera del noto architetto Hiroshi Hara, che ha progettato anche la ristrutturazione della stazione di Kyoto. L’originale struttura a ponte è composta da due torri gemelle di quaranta piani collegate tra loro nei due piani più alti; questi ultimi due piani ospitano la struttura chiamata Floating Garden Observatory (osservatorio del giardino pensile), una delle principali attrazioni cittadine.
Si sale con un ascensore trasparente vertiginoso e poi con una lunghissima scala mobile luminosa. Si paga un biglietto e si arriva nell’area circolare tutta finestrata che affaccia sulla città e propone bar e negozi. Da lì si sale all’osservatorio esterno che è veramente mozzafiato. Iniziano ad accendersi le luci della città, c’è un bella falce di luna e la pavimentazione dell’anello ha uno stellato fosforescente. Merita assolutamente. Il fiume Yodo che va verso il mare e i suoi ponti che vi si riflettono hanno una luce bellissima.
In un angolo del camminamento c’è anche una zona dove mettono i lucchetti gli innamorati, tutti colorati e fatti a cuore, e con la postazione dove mettere il telefono per l’autoscatto, cosa che in Giappone ho visto in molti posti dove è bello fotografarsi. Molto utile.
Non scenderemmo più. Da sotto la foto del “buco” fra le due torri è quanto mai iconica.
Invece riprendiamo a camminare e torniamo in zona Umeda per cercare dove cenare. Troviamo un posto molto in stile tradizionale, specializzato in okonomiyaki (letteralmente okonomi = ciò che vuoi, yaki = alla griglia) E’ un piatto considerato agro-dolce, che ricorda nella forma un grande pancake. Ve ne sono diverse varianti, fra le quali si distingue quello della regione del Kansai, tant’è che spesso l’okonomiyaki viene chiamato la “pizza di Osaka”. L’impasto comprende fettine di foglie di verza, acqua, farina di grano e uova. A seconda dei gusti, si possono aggiungere altri ingredienti: carne, seppie, gamberetti, ecc. Solitamente si cucina in appositi ristoranti su una piastra calda chiamata teppan. Spesso tale piastra fa parte del tavolo o del bancone e viene utilizzata per cuocere l’okonomiyaki direttamente o per mantenere caldo quello cotto nella cucina. Si cucina aiutandosi con delle spatole metalliche. Il nostro ristorantino ha proprio la piastra al bancone e una cuoca ce lo cucina davanti. Scegliamo salse diverse ed evitiamo le scaglie di tonno. In parole povere un frittatone fantastico. Una volta cotto la piastra lo tiene caldo e con la spatola se ne porta nel piatto un pezzo alla volta per gustarlo. Bella esperienza. La cuoca contentissima di avere stranieri ci fa anche una bella foto con piastra. Da notare che qui invece dei cesti sotto ai tavoli per mettere borse e giacche essendo il bancone a sette e stretto per via della piastra hanno posto una scaffalatura a parete dove appoggiare le cose. Comodissimo.
Di fatto la giornata è stata massacrante e ci riduciamo a casa piuttosto tardi ben consapevoli che domani sarà pazzesco.
Giorno 5 – Osaka Expo 2025
Sveglia presto, colazione e via verso la grande giornata dell’Expo.
Invece del giornaliero facciamo il biglietto apposito per la linea che ci porterà direttamente al West Gate. La linea ovviamente è strapiena, anche perché ci andiamo per tempo prima dell’apertura come consigliato ma per fortuna anche qui ci sono quelli che io chiamo “facilitatori” con divisa e megafoni che incanalano le persone… tutte miti e obbedienti! La stazione di arrivo è immensa con una marea di scale mobili e poi altri facilitatori che inducono la massa a serpeggiare in infiniti vai e vieni fino a essere tutti schierati in una massa compatta lunghissima e larghissima davanti alle numerosissime porte d’accesso che apriranno alle 9 in punto.
Avevo acquistato online i nostri tre biglietti con data e orario circa un mese prima. Avendo pochi giorni abbiamo deciso di visitarlo un giorno solo. È poco, potendo consiglierei almeno due giorni. Purtroppo la registrazione e l’accesso poi al sito sono brigosi e la continua proposta di “lottery” che non abbiamo ben capito ci ha preoccupato, soprattutto perché i padiglioni più quotati si visitano solo su prenotazione e anche questa non ci è chiara. Seguiti vari blog e pagine di consigli abbiamo certezza che appena entrati e validato il biglietto si può prenotare presso appositi desk. Contiamo sulla nostra cartina stampata a colori dal sito (qui non viene consegnata ma si può comprarla nello shop… con coda!) e su quanto ci ha dato la postazione che abbiamo visitato in arrivo all’aeroporto. Scatta l’apertura e l’ingresso è veloce perché le porte sono tantissime, si passa il controllo tipo imbarco e siamo dentro.
Disorientamento totale per la vastità. Ci sono dei volontari che ne sanno poco e meno ancora d’inglese. Forti della cartina e di un’app non ufficiale corriamo al desk prenotazioni. C’è già la coda. Quando arriva il nostro turno riusciamo a prenotare solo il padiglione del Giappone, un biglietto alla volta e tre orari diversi, scopriamo che solo dopo aver usato la prenotazione si può prenotare altro. Deluse e un po’ incavolate procediamo comunque a vedere tutto il possibile.
L’Expo è stato realizzato sull’isola artificiale di Yumeshima, situata nella baia di Osaka, e affacciata sul Mare Interno di Seto e l’edificio simbolo è “the Grand Roof – Ring”, il Grande Tetto ad anello, comunemente chiamato “Ring”, disegnato dall’architetto Fujimoto Sou, che rappresenta la filosofia dell’Esposizione Universale: “Uniti nella diversità”.
La struttura, costruita interamente in legno ha un diametro interno di circa 700 metri, un’altezza esterna di 17m ed interna di 12m ed è l’edificio in legno più grande del mondo. Esso serve sia come passeggiata esterna, dalla quale i visitatori possono ammirare l’intera zona dell’Esposizione Universale, che come riparo in caso di pioggia.
Si estende per circa 2 chilometri ed è una struttura molto originale e innovativa che si sviluppa con una doppia passerella (una superiore e una inferiore) per ammirare il panorama di Osaka, della baia e dei padiglioni. Il percorso pedonale sopraelevato, chiamato Ring Skywalk, si sviluppa a 12 metri di altezza ed è un lunghissimo camminamento che affaccia sui padiglioni e sul mare, costeggiato da coltivazioni di fiori e piccoli arbusti. Si raggiunge con scale, ascensori e scale mobili dalla zona centrale dei padiglioni.
L’anello rappresenta un elemento di unione, tanto simbolica che fisica, tra i 161 partecipanti all’Expo.
La costruzione del Grand Ring è stata realizzata con legname proveniente da tutto il Giappone e usando i tipici giunti “nucki”, una tecnica tradizionale dell’architettura giapponese senza utilizzo di chiodi.
Appena si entra è la cosa che colpisce di più, veramente immenso, un graticciato circolare a perdita d’occhio. Purtroppo cattura subito l’attenzione a discapito dei padiglioni e viene spontaneo salirci ma poi si rimane “intrappolati” nei camminamenti e in pratica fra distanze per arrivare all’ingresso e ring si è già esausti prima di iniziare le visite.
Lo abbandoniamo rinunciando ai lunghi percorsi a perdita d’occhio che portano fino al mare, vediamo persone allontanarsi e temiamo per il loro non ritorno, un po’ alla Fantozzi nelle grotte di Postumia, al decimo km iniziò a serpeggiare il malumore!
Da segnalare anche la mascotte Myaku Myaku, una strana creatura dalle forme mutevoli, di colore rosso e blu. La parte rossa rappresenta la “cellula”, che si divide e aumenta, mentre quella blu è l’“acqua pulita”, che mentre scorre si trasforma. Il suo nome deriva dalla parola “myaku” che in giapponese significa “pulsazione” e dunque, nel senso più esteso del termine, vita. Anche questa ci cattura, è ovunque e diventa subito famigliare.
Alcuni consigli per chi volesse andarci (chiude il 13 ottobre):
- avere con sé la piantina e averla studiata bene prima di entrare
- scarpe comodissime
- cappello per il sole
- crema solare
- ombrellino
- acqua e cibo a sufficienza per la giornata
- eventuali farmaci
- carta di credito o prepagata, non si possono usare contanti in tutto l’expo
- nello zainetto mettere cose indispensabili e cercare di avere poco peso
- una sportina per eventuali acquisti
- un power bank se si teme di non avere carica sufficiente
- se non si vuole comprare (con coda) il librino per i timbri portarsi un quadernino o se si è stampato il biglietto farli sul retro
- i bagni ci sono ma spesso con coda
- lo shop, bellissimo e pieno di cose da sballo, è subito prima dell’uscita. Se si vuole fare acquisti calcolare il tempo prima di uscire perché tenersi addosso gli acquisti per tutto il giorno non ha senso.
Non sto a dire i padiglioni visitati, 15 effettivi completi e altri a caso toccata e fuga.
Il Giappone è stato senz’altro il top, centrato su ambiente e alghe, con spiegazioni semplici e chiarissime e ambientazione meravigliosa, ma la cosa spettacolare è la stanza dove nel buio appaiono le 32 sculture di Hello Kitty tutte verdine in varie tonalità e vestite da diversi tipi di alghe, con tutte le informazioni, a simboleggiarne i molteplici usi. Shop dedicato, ovviamente, e foto a non finire. La spirulina ci fa innamorare. Per entrare, pur se con la prenotazione, abbiamo un po’ da dire perché vorrebbero farci entrare ognuna al suo orario incasinandoci la vita. Alla fine concordiamo che entreremo insieme ma con l’orario più tardivo dei tre.
Per l’Italia non riusciamo a prenotare ma alle 18 attivano una fila dei non prenotati che inizia a scorrere finite le prenotazioni. La struttura ricorda un po’ il Colosseo e un po’ la città ideale della Scarzuola, in Umbria.
“L’Arte Rigenera la Vita” è il tema proposto dall’Italia. All’ingresso il “Ritratto di Itō Mancio” di Domenico Tintoretto, datato 1585. Itō Mancio, nato Itō Sukemasu (1569 – 1612), è stato un nobile giapponese e gesuita, noto per essere stato a capo della prima missione diplomatica giapponese in Europa.
Al centro è posizionata la grande statua in marmo dell’Atlante Farnese – opera originale del II secolo, alta due metri e raffigurante Atlante che porta il globo celeste sulle spalle – che segna il punto di attraversamento dell’intero Padiglione.
Nello stesso grande spazio è esposta l’opera “Apparato Circolatorio” dello scultore Jago. Rappresenta un cuore che pulsa, realizzato in ceramica smaltata e animato in un video a loop, creando un’esperienza immersiva. “Apparato Circolatorio” è il risultato di una ricerca che unisce arte e tecnologia. Jago ha modellato un cuore in argilla, lo ha digitalizzato, e da lì ha ricavato 30 fotogrammi, ognuno dei quali è diventato un cuore di ceramica, creando un ciclo completo di un battito. Le sculture, disposte a cerchio, creano un loop visivo e simbolico, dove il battito non ha inizio né fine, come la vita stessa. L’installazione è completata da un video che mostra la contrazione dei cuori, rendendo l’opera ancora più dinamica ed immersiva.
Il Padiglione Italia accoglie anche quattro disegni del Codice Atlantico di Leonardo Da Vinci, che vengono esposti a rotazione per tutta la durata di Expo.
Lo spazio dedicato alla “Spiritualità” è rappresentato dalla sezione della Santa Sede, per la prima volta all’interno del Padiglione Italia. Al centro di questo spazio è esposto il capolavoro di Caravaggio “La Deposizione di Cristo”. L’opera, posizionata a 30 cm da terra, può essere ammirata ad altezza umana.
Sul tetto un giardino all’italiana e il ristorante di Eataly.
Nell’insieme non ci entusiasma, molto buio e poche spiegazioni, bisogna cercarsele in internet, tralasciamo le zone dedicate alle regioni, siamo anche oggettivamente sfinite.
Fra gli altri padiglioni ci sono piaciuti molto Malesia, Filippine, Brasile e Singapore.
Nel pomeriggio piove pure e le code sono lunghe. Mangiamo le nostre cose sedute al coperto sotto il ring. Quando fa buio si vede effettivamente poco, belli i padiglioni illuminati, ma orientarsi è dura. In lontananza, sul ring molti camminano ancora sperduti sotto la pioggia. Torneranno?
Stop allo shop molto gratificante, direi che ce lo meritiamo, e poi si torna che è già ora di chiusura.
Con la mania di ordinare tutto e mettere in fila i facilitatori ci fanno fare un giro lunghissimo per arrivare alla metro.
In sintesi esperienza esplosiva, felicissime di averla fatta, ritornarci fra due o tre giorni, decantata la stanchezza non sarebbe male, come facemmo all’expo di Milano che, onestamente e inaspettatamente, ci sembra alla luce di oggi molto meglio organizzato. Qui pare comunque centrato su visitatori prevalentemente giapponesi. Poco attrezzato per gli stranieri.
Cerchiamo dove mangiare vicino all’hotel, è tardi e siamo stanchissime, becchiamo una sorta di hamburgheria giappo troppo carina, tutta centrata sul kawai, sul riposare sereni con belle frasi e atmosfera rilassata. Fanno anche mochi fritti squisiti di cui facciamo il bis e ottime bibite (adoro l’highball e il ginger ale).
Piedi e gambe ringraziano quando vedono il letto.
Giorno 6 – Okayama
Per non farci mancare niente anche oggi levataccia, colazione di corsa e poi metro fino alla stazione di Shin Osaka dove alle 8,38 abbiamo lo Shinkansen per Okayama.
Tutto liscio e alle 8.38 spaccate il treno parte. Prima facciamo in tempo a perdere la testa a vedere la meraviglia di un negozio di bento.
Il tempo è bello e in meno di un’ora siamo arrivate.
Come in tutte le stazioni del Giappone è sempre presente un piccolo ma attrezzato ufficio del turismo. Ci danno piantina della città, informazioni sui mezzi per raggiungere i luoghi da visitare, sugli orari e consigli vari.
L’obiettivo è vedere Castello e Giardino, in quest’ordine come consigliato dall’ufficio del turismo.
Dalla stazione si prende un tram, sembra molto d’epoca e caratteristico, si paga cash scendendo al guidatore, come anche nei bus, guidatore che ha regolarmente i guanti bianchi e una divisa che sembra quella delle grandi occasioni. Scendiamo dopo poche fermate a ridosso del fiume e a piedi dirigiamo verso il castello e poco dopo lo vediamo. E’ su una collinetta mentre dall’altra parte del fiume si vede già il giardino. Saliamo per una stradina con vecchi gradini in pietra molto caratteristici e arriviamo al castello. Apparentemente i castelli sono tutti simili, ma in effetti sono diversi. Ne ho visti parecchi, Matsue, Mitsushima, Himeji, ma questo è il “Castello del Corvo” e il nero predominante affascina già da lontano. Piacevole anche che ci siano solo pochi turisti e tutti anziani e giapponesi, grande atmosfera, silenziosa e partecipe. Si fa anche un biglietto che comprende anche il giardino ed è ridotto per gli over 65.
Il castello venne costruito a partire dal 1573 e fu poi completato nel 1597 da Hukita Hideie il proprietario del feudo Bizen. Durante una delle tante battaglie tra clan che caratterizzarono questo periodo del Giappone, Hideie fu catturato dal clan Togukawa e condannato all’esilio (i Tokuhawa ci piacciono molto). Da questo momento il castello passò nelle mani di vari clan, tra cui la famiglia Ikeda che ampliò il castello e fu l’artefice della realizzazione del giardino Koraku-en.
Una particolarità del castello è la facciata esterna, con il suo caratteristico colore nero da cui deriva il nomignolo che gli è stato attribuito: Ujo, ovvero Castello del Corvo. Questo gioiello architettonico presenta anche diversi elementi decorativi preziosi, tra cui i gargoyles a forma di pesce che spuntano dal tetto dell’edificio e sono interamente rivestiti in oro. In origine, prima della battaglia di Sekigahara, anche le tegole del tetto erano in oro, tanto che il castello veniva spesso chiamato Castello del Corvo Dorato.
Si sale a piedi fino all’ultimo piano, ci sono molte cose interessanti esposte, armi, armature dei tre samurai che hanno governato il castello e molte spiegazioni sulla famosa battaglia di Sekigahara,
C’è anche un bar che fa gelati e latte macha con decori a forma di castello. Ovviamente ci fermiamo ed è imperdibile. Usciamo e si attraversa il fiume, dove passano piccole barche in legno, atmosfera da vendere, su un ponticello pedonale e siamo nel giardino. All’ingresso un ristorantino affacciato sul fiume dove si mangia seduti a terra sui tatami, ci sono alcune donne anziane in kimono che mangiano. Sembra una stampa antica e mi concedono la foto. Io dei tatami ne ho avuto assai dormendo nei riokan e nei capsule, le mie ginocchia hanno sofferto molto!
I giardini giapponesi sono una delle cose più belle e interessanti da visitare, rappresentativi della loro cultura e delle tradizioni. Nello scorso viaggio ne ho visti 3 considerati i più belli:
- Parco Ritsurin, a Takamatsu, uno dei tesori nazionali del Giappone, è il più grande giardino giapponese a essersi guadagnato l’etichetta ufficiale di “sito di particolare bellezza paesaggistica”, e ha ottenuto tre stelle Michelin nella Guida Verde del Giappone.
- Giardino Kenroku-en, Kanazawa, “il giardino dei sei elementi“,
- Il Giardino del Museo d’Arte di Adachi, Yasugi, Prefettura di Shimane vicino a Matsue (famosa per il Castello nero detto del piviere).
E mi mancava il quarto: il Giardino Koraku-en di Okayama.
Eccolo: appare all’improvviso, uscendo dagli alberi lungo il fiume, con il suo spazio centrale. Non si può descrivere. Verde accecante, fiumicelli, piccoli edifici con tetti di paglia, una collinetta su cui si sale e si ha la vista sul caratteristico ponticello ricurvo che chiama per le foto, le famose lanterne di pietra, in lontananza gruppi di alberi diversi, pruni famosi per la fioritura, una coltivazione di the, campi interi di iris e spazi con piccoli templi e sale da the. Siamo senza parole.
Ci mettiamo a girarlo e ogni angolo è diverso e particolare. Ci sono turisti, solo giapponesi, e molti giovani in costume tradizionale che fanno foto, forse sposi novelli. Saliamo sul belvedere sulla collina Yuishinzan, da cui si gode di una vista pittoresca sul Sawa-no-Ike, lo stagno più grande, e anche sul al di là del fiume Asahi che sembra stare a guardia del giardino.
Uno dei punti salienti del giardino è l’edificio originale, unico esemplare rimasto intatto, in cui riposava il daymo, il signore feudale giapponese, scendendo dal castello. Sono due pavimentazioni su basse palafitte in legno una di fronte all’altra divise da un piccolo torrente con sassi disposti molto artisticamente e una copertura in legno e paglia con colonnine che sostengono il tetto. Ci si può sdraiare o sedere a prendere il fresco e ascoltare il rumore dell’acqua guardando il castello!
Un altro luogo eccezionale è la voliera delle gru, la raggiungiamo e osserviamo 5 magnifiche gru reali. Il giorno di capodanno, vengono liberate nel giardino per festeggiare l’arrivo del nuovo anno. Il giardino di Korakuen alleva gru dal 1956 e Okayama è la prima prefettura in Giappone per l’allevamento di questi uccelli. La gru dalla corona rossa (Tancho), è un potente simbolo di longevità, felicità e buona fortuna. La gru è anche associata alla pace, alla fedeltà e alla saggezza. La tradizione del Senbazuru, che consiste nel piegare mille gru di carta, è un rito augurale per la salute, la felicità e la realizzazione dei desideri, in particolare legati alla guarigione.
Nei laghetti e negli stagni sono presenti anche le bellissime carpe koi o “carpa broccata” la varietà ornamentale addomesticata della carpa comune, allevate per scopi decorativi. I colori più comuni comprendono il bianco, il nero, il rosso, il giallo, il blu e il color crema. La carpa koi è anche un soggetto popolare nell’arte giapponese, nei tatuaggi e nei koinobori (bandiere a forma di carpa) che si vedono spesso ondeggiare al vento. Nella cultura giapponese sono simbolo di forza, coraggio, perseveranza (nuotano contro corrente), successo, buona fortuna e longevità (vivono anche fino a 100 anni) e sono associate alla figura del samurai.
Guardarle muoversi e osservare la varietà infinita di disegni e colori della loro livrea ha un effetto calmante e ipnotico.
In uscita dal giardino un piccolo shop a dir poco delizioso. Compriamo altri “telini”, una piccola botticella di sakè, dei ventagli.
Prima di prendere il tram per tornare in stazione ci facciamo un giro nella zona commerciale che ci aveva indicato l’ufficio del turismo.
Anche qui c’è una tipica “shōtengai”. È la classica strada commerciale coperta, generalmente stretta e lunga, spesso vicino a stazioni ferroviarie. Sono presenti praticamente in tutte le città e nei diversi quartieri e offrono una grande varietà di negozi, ristoranti e bar, spesso a conduzione familiare e con una forte atmosfera locale. Infatti molti shōtengai mantengono un’atmosfera tradizionale, con negozi che esistono da decenni o addirittura secoli, creando un senso di storia e comunità.
Questo di Okayama, nella zona vicino al fiume, è veramente un tuffo nella tradizione. Prima di tutto negozi di vintage (sempre molto presenti in Giappone), di abiti tradizionali da uomo e da donna, di semplici ristorantini locali tipo izakaya, ma anche piccoli supermercati e tante panchine per sedersi in atmosfera davvero rilassata.
Riprendiamo a malincuore il tram e in stazione il treno per tornare nella metropoli dopo questo tuffo nell’autentico Giappone!
Arrivate a Osaka decidiamo di andare a vedere una famosa zona di tendenza: Amerikamura. E’ il luogo di ritrovo dei ragazzi più “in” di Osaka. Nella piazza/parco triangolare al centro del quartiere si ritrovano i fan dell’hip-hop, punk-rocker, pattinatori, ragazze vestite strane tipo le Gyaru coi due sottogeneri, le Kogal e le Ganguro. Non sono cosplay, cioè non copiano personaggi dei manga, ma si combinano stranissime. Ne fotografiamo parecchie. Il quartiere poi è l’ideale per lo shopping di abbigliamento e dischi, mentre le serate sono principalmente dedicate alla musica dal vivo e agli eventi notturni nei club.
Il quartiere si è sviluppato alla fine degli anni ’60 e si è rapidamente trasformato in un centro per le nuove tendenze e la moda streetstyle. Molti negozi che vendono jeans e abbigliamento vintage sono stati aperti con importazioni dalla costa occidentale degli Stati Uniti, il che spiega in parte il nome del quartiere. Pensiamo anche che l’atmosfera libera e rilassata del luogo era forse considerata dalla tradizionale popolazione giapponese, generalmente più riservata, come qualcosa di “americano”. Amerikamura è anche piena di negozi di dischi nuovi e usati. Giriamo a lungo stordite dalla gente e dalla confusione, fra le cose vintage un negozio di giocattoli e gadget vecchissimi pazzesco. Le stradine sono tante e quando si arriva alla piazzetta “cuore pulsante” della movida ci chiediamo se è vero che stanno chiusi in casa in solitaria sul pc. A noi i giovani sembrano tutti in giro vivi allegri e chiacchieroni!
È ora di cena. Mentre torniamo verso una fermata metro vediamo un centro commerciale esagerato, strade con tutti gli alberi con le lampadine multicolor e un negozio dei Pokemon che non ci perdiamo! Non c’è zona dove capiti che non sia meravigliosa e diversa.
Torniamo in zona Umeda e troviamo un ristorante carinissimo, un po’ tavoli e un po’ bancone, stile taverna giapponese e ci facciamo ramen e il tonkatsu. In particolare il mio curry ramen è superlativo e il suntory highball di accompagnamento pure, il tutto per 20€ in tre.
Anche oggi giornata strapiena e bellissima.
Giorno 7 – Namba Yasaka
Colazione, tempo ancora bellissimo, e partiamo per il Santuario Namba Yasaka. È domenica e il giornaliero della metro è scontato, è anche mattina presto ma visto che questo tempio è diventato famoso su instagram ci troviamo turisti e pure qualche italiano. Per trovarlo dobbiamo usare il navigatore ed è lontanuccio dalla fermata della metro, ma effettivamente è molto particolare: l’edificio, nel quale non si entra, è a forma di testa di leone molto grande con all’interno un tempietto, la testa è alta 12 metri e larga 11 metri, ha zanne enormi e sguardo penetrante. Sulla destra il tempio vero e proprio. Molto originale e direi unico, almeno per la mia esperienza.
Ripartiamo e torniamo alla metro. Decidiamo di fare la mini escursione a Sakai, apparentemente nella periferia di Osaka in direzione dell’aeroporto. Però bisogna prendere una linea di treno dalla stazione di Namba. Non sto a dire l’immensità della ragnatela di sotterranei pieni sempre di negozi e locali e ovviamente bagni. Facciamo il biglietto per Sakai e partiamo un po’ nervose perché abbiamo già perso un sacco di tempo nel cercare la stazione di partenza. Quando vediamo Sakai ci buttiamo per uscire ma non troviamo la porta alla fine della nostra carrozza e corriamo alla prossima ma il treno è già ripartito. Tutti i treni in Giappone fermano per 3 secondi e bisogna spicciarsi a scendere. Scendiamo a quella dopo e aspettiamo un treno che ci riporti a Sakai. Ce la facciamo e anche qui piccolo ufficio turistico ben attrezzato con addetta bravissima che ci spiega tutto il possibile. Sakai è famosa oltre che per le tombe Mozu per i coltelli e le biciclette (ci sarebbe anche il museo).
Partiamo con un autobus per la prima tappa: l’osservatorio al 21° piano del Sakai City Hall che offre una vista panoramica a 360° della città da un’altezza di 80 metri. Non è così facile individuare la fermata ma ci aiuta una ragazza che addirittura ci accompagna fino all’ascensore. Capita spesso, sono tutti così gentili e disponibili!
Il motivo che ci ha portato qui sono proprio le tombe Mozu del periodo Kofun. In particolare il mausoleo Daisenryo Kofun, Tomba dell’Imperatore Nintoku, una delle tre tombe più grandi del mondo, e i mausolei satellite intorno. I Kofun sono le tombe dei governanti dell’antico Giappone, delle loro famiglie e di altri importanti funzionari. Da lontano, sembrano collinette boscose con strane forme irregolari che interrompono la distesa urbana della pianura di Osaka, ma in effetti sono capolavori di ingegneria architettonica e civile, e sono stati recentemente iscritti nella lista del Patrimonio mondiale dell’UNESCO.
La cultura dei tumuli sorse in Giappone a metà del III secolo d.C., all’inizio di quello che oggi chiamiamo periodo Kofun (che va dal III al VI secolo d.C.). I 49 tumuli di sepoltura esistenti sono suddivisi in due gruppi: le tombe di Mozu, che si trovano a Sakai e il gruppo di Furuichi, sempre nella zona di Osaka, e sono state costruite nel V secolo, all’apice della pratica di costruzione dei kofun. Questi e altri tumuli di sepoltura sono ora ricoperti da alberi e da una fitta vegetazione. Alcuni sono circondati da 1 o 2 fossati. I costruttori scelsero di sopraelevare questi siti in modo che i kofun acquisissero ancor più rilievo.
I tumuli possono essere di quattro forme diverse: un buco della serratura, una conchiglia, un quadrato o un cerchio, in ordine gerarchico discendente. Le tombe a forma di buco della serratura sono state trovate solo in Giappone.
Il Mausoleo dell’imperatore Nintoku, a forma di buco della serratura, misura 486 metri di lunghezza e 34,8 metri di altezza e ha un perimetro di 2,8 chilometri. È una delle tre tombe più grandi del mondo, insieme al mausoleo del primo imperatore Quin in Cina e alla Grande Piramide di Giza in Egitto.
L’osservatorio è aperto gratuitamente tutti i giorni, ha tavole esplicative, materiale informativo, comodi salottini e bagni. C’è anche un anziano volontario con casacchina fosforescente con il kofun disegnato sulla schiena che assiste i visitatori. Di questi anziani ne abbiamo visti parecchi, anche ieri a Okayama. Di una gentilezza disarmante e assolutamente non invasivi. Dall’alto si vede più che altro una grande foresta inestricabile in mezzo alla città e altre due un po’ più lontano. Ci aspettavamo il formato del buco di serratura più evidente ma il tumulo è completamente ricoperto di vegetazione. Inoltre la tomba è off-limits anche per gli archeologi e protetta dall’Agenzia della Casa Imperiale. I fossati sono stati mantenuti e costituiscono un santuario per pesci e uccelli acquatici.
Scese dall’osservatorio andiamo a prendere un altro autobus, sempre pagamento a bordo col solito sistema cash (durante il tragitto mia figlia lascia il posto a un signore anziano senza una mano che, quando scende, le regala una bottiglietta con matcha-latte troppo carino.), che ci porta a quello che sarebbe l’ingresso del tumulo. L’effetto delle dimensioni è imponente, vediamo bene i due grandi fossati che lo circondano e il portale che darebbe accesso al tumulo. Lo spiazzo è curatissimo ed è considerato luogo sacro, infatti il portale è un grande torii. Ci avvicina una anziana signora con casacchina come il signore dell’osservatorio che ci chiede se vogliamo una foto e abilissima con il telefono ce ne scatta più d’una, ci indica un po’ di cose e poi avvicina altri turisti…..giapponesi! Poco più avanti c’è il vero e proprio centro visitatori. Bellissimo, con uno shop pazzesco e con rappresentazioni tipo plastico di Bruno Vespa dei vari tipi di tumuli e finalmente capiamo cosa c’è sotto le foreste senza capire la scelta di lasciarli invadere e ricoprire così, se non per preservarli dall’erosione. Sono visibili anche le statuine di terracotta non smaltata Haniwa trovate in un tumulo di sepoltura molto caratteristiche e rappresentate ovunque.
Dal centro visitatori si accede ad un grande parco che, con lunga passeggiata un po’ impegnativa ma in mezzo al verde, ci porta alla base di un altro kofun con grande fossato e ben visibile anche se solo dalla base e di lato, per cui la famosa forma a serratura per la quale ci siamo sobbarcate tutta questa trafila la vediamo effettivamente solo nelle numerosissime foto dall’alto che sono ovunque. Ci vorrebbe un drone! Però fiere di aver visto una cosa veramente unica riattraversiamo tutto il parco e andiamo a prendere il treno a Mozu dopo aver attraversato un quartiere di abitazioni tradizionali troppo bello. Torniamo così alla stazione di Namba. Ma quante stazioni ha Osaka!!!!!
Ci spostiamo nella zona Namba/Dotonbori a cercare il Tempio Hozenji, unico monumento storico della zona, è un tempio buddista del 1600 e anche questo è visitabile gratuitamente. Particolare del tempio è una statua di Budda ricoperta di muschio, chiamata Mizukake Fudo, che i visitatori bagnano con dell’acqua, nella credenza che ciò porti fortuna, mantenendolo così completamente muschioso e di un bellissimo e freschissimo verde. La stradina davanti al tempio e la parallela accanto, conosciute come Hozenji Yokocho, sono molto caratteristiche e rappresentano uno degli scorci da “vecchia Osaka”, con i suoi pavimenti in pietra e i tanti piccoli izakaya (tipo di locale informale giapponese, simile a un bar o una taverna, dove si servono bevande e cibo).
Ci fermiamo in un locale molto caratteristico e farci degli spiedini fritti tipicamente giapponesi: i Kushikatsu (o Kushiage), nati proprio ad Osaka, consistono in vari ingredienti (carne, pesce, verdure) infilzati in uno spiedino, passati in pastella e poi impanati nel panko (panatura giapponese) e fritti. Il menu è incasinato perchè infilzano e friggono qualsiasi cosa e scegliere è difficile. Buonissimi. Peccato solo che questo locale permette che si fumi, ma visto l’orario del primo pomeriggio non ci sono fumatori accaniti, sarà peggio alla sera.
Rifocillate ci buttiamo nella Shinsaibashi-suji Shopping Street. Si tratta di una mega galleria commerciale coperta, lunga circa 600 metri, che ospita una grande varietà di negozi, dalle boutique alla moda ai negozi di grandi marche, oltre a ristoranti e punti di ristoro, e poi nella Tenjinbashi-suji Shopping Street, il cuore pulsante di Osaka nota come la più lunga galleria commerciale coperta del Giappone, che si estende per oltre 2,6 chilometri, offrendo un mix unico di cultura tradizionale e moderna. Un delirio. E ci ritroviamo anche nell’Ebisu Bashi-suji. E questo solo in superficie.
Sempre in zona Namba andiamo a cercare Rikuro no Ojisan, per la famosa Rikuro’s cotton cheesecake, una golosità giapponese molto popolare, famosa per la sua consistenza soffice e leggera come una nuvola. Originaria di Osaka, questa torta è caratterizzata dalla mancanza di biscotti nella base dove mettono un po’ di uvetta e dalla cottura a bagnomaria, che le conferisce una consistenza unica. Non usano la ricetta originale delle cheesecake ovviamente (queste sono cheesecake giapponesi e non hanno nulla a che vedere con la tradizione americana). Le torte, che costano circa 900 yen ciascuna, vengono sfornate di continuo e c’è sempre la coda per l’acquisto. La lavorazione è tutta a vista ed è veramente imperdibile, una vera catena di “sfornaggio” con tutti gli addetti per ogni passo della procedura fino allo stampo sulla crostina e all’inscatolamento. Ci facciamo la nostra brava coda e ce la compriamo. La mangeremo stasera in hotel.
Facciamo anche un bel giro alla vera e propria stazione di Namba che nella piazza che fronteggia l’edificio ha un bellissimo allestimento col castello di Osaka illuminato e un gruppo di attori vestiti da samurai che si fanno fotografare oltre a giochi per bambini e tanto altro. La facciata dell’edificio delle Ferrovie Nankai-Nanba ha un bellissimo fregio in ferro battuto con dipinti e serve tre linee della metropolitana ed è l’hub principale delle linee Midosuji, Yotsubashi e Sennichimae della metropolitana. Nei pressi, collegate tramite la galleria sotterranea Namba Walk, si trova la stazione di Ōsaka Namba, che serve le Ferrovie Kintetsu e Hanshin, e la stazione di Namba JR della JR West. Questo preso da Wikipedia tanto per dare l’dea dell’intreccio collegato chilometricamente delle infinite stazioni.
Esauste ci troviamo una location sempre confortevole e molto giapponese per un’ottima cena a base di tonkatsu e tempura. Prendiamo pure tofu (a casa non riesco a mangiarlo ma qui è tutto diverso, fresco e cremoso), buonissimo, e fagioli di soia da sgranocchiare. Sempre ottimi.
E’ l’ultima sera e siamo tristi. Osaka ci è piaciuta troppo e ci sono rimaste troppe cose da vedere! Toccherà tornare! In camera ci slurpiamo la cotton cheesecake, indimenticabile. E’ grande ma leggera e buonissima, the matcha e a letto, domani ci aspetta Tokyo!
Giorno 8 – Verso Tokyo
Sveglia presto, colazione e metro fino a Shin-Osaka dove prendiamo il mitico Shinkansen per Tokyo, sempre a minuto spaccato. Abbiamo scelto alla prenotazione i posti dal lato dove si dovrebbe vedere il Fuji, stiamo attente ma ovviamente niente. Le altre due volte che sono stata in Giappone si è sempre negato, mi sa che pure stavolta!
Arrivate in stazione solito disorientamento per immensità e diramazioni ovunque ma troviamo la biglietteria dove prenotiamo subito il Narita express per quando andremo in aeroporto e chiediamo per Yokohama che però ha molte connessioni e non serve prenotare. Poi andiamo all’ufficio del turismo, efficientissimo, dove chiediamo un po’ di cose per capire come muoverci per i nostri obiettivi di visita e come arrivare all’hotel anche se già lo sapevamo dalla prenotazione. In pratica due fermate della linea Yamanote, la linea ferroviaria circolare, gestita da JR, e quindi compresa nel JRP, che serve le principali stazioni e i quartieri centrali di Tokyo. È una delle linee di trasporto pubblico più importanti della città, utilizzata quotidianamente, ahimè, da milioni di persone.
Prendiamo la direzione Ueno e scendiamo a Ocachimachi. Due passi in zona tutta negozietti e ristorantini, propaggine di Ueno e vicina a Akihabara, e troviamo il nostro albergo. Devo dire molto caro e scopriremo poi con la stanza più piccola del mondo. L’ultima volta avevo usato molto gli APA con prezzi accettabili, ma questa volta ho trovato gli hotel molto più cari e l’APA inarrivabile. Forse effetto dell’Expo. Al solito dotazioni di ogni genere a disposizione compresa tuta e cuscini aggiuntivi e set di creme di benvenuto. Ovviamente no check in fino alle 15, lasciamo le valigie e ripartiamo subito.
Decidiamo per il vicino santuario Kanda Myojin che si trova a soli 5 minuti a piedi dalla stazione Ochanomizu. Nel tragitto attraversiamo l’Hijiribashi Bridge che è uno dei ponti che attraversano il fiume Kanda e si trova proprio sul lato orientale della stazione JR Ochanomizu. Notiamo sul ponte diverse persone ferme che osservano e fotografano e ci incuriosiamo. Dal ponte infatti si ha una visione su diverse linee ferroviarie e metropolitane, incredibile assistere al passaggio dei numerosi treni in contemporanea nei due sensi. E fotografiamo pure noi!
Il Kanda Myojin è uno dei santuari storici più influente di Tokyo. Con una storia di quasi 1.300 anni dalla sua fondazione nel 730 d.C., ci cala subito in atmosfera tradizionale e religiosa. Bellissima la porta a due piani, una volta oltrepassata colpisce l’edificio principale del santuario, dal colore rosso acceso e i dettagli decorativi interni in oro; non a caso al santuario è stato attribuito il nome Myojin, che letteralmente significa “divinità brillante”. Le statue delle divinità (kami) sono collocate in vari punti del complesso fra cui le principali sono Daikokiten ed Ebisu, che sono legate alla fortuna negli affari. Infatti nel tempio si vedono molti uomini in giacca e cravatta intenti a fare rituali di preghiera.
Stradine con negozietti carini e anche un grande “dashi”, enorme carro allegorico usato nei matsuri (processioni rituali). Ci facciamo una frittellina di riso con miele tipica de santuario che però non ci entusiasma, ma il negozietto merita proprio.
Torniamo in hotel per prendere possesso della camera/loculo. È dotata di un matrimoniale piccolo (francese?) con al traverso sopra le teste un letto singolo a castello cui si accede di lato da un graticcio in metallo che fa da mini attaccapanni. Tutto intorno zero spazio, un tavolino con l’immancabile bollitore e tre tazze e un bagno mini con un unico rubinetto che a seconda di dove si gira apre l’acqua della doccia o del lavandino stesso. Aprire la valigia sarà durissima, una alla volta in terra davanti alla porta. Ma la cosa più terribile è il cuscino del matrimoniale, uno strudel unico e lungo pieno di nocciolini o sassini durissimo e pesantissimo, idem il singolo del soppalco. Assurdo! Per fortuna per i nostri standard in camera ci stiamo pochissimo! Unica cosa positiva pur essendo all’undicesimo piano si apre la finestra di una decina di cm e c’è una mega tv con campionato di sumo in corso che ci cattura!
E poi usciamo ancora, stavolta miriamo alla zona di Shinjuku per vedere non tanto i famosi grattacieli, ma bensì il famoso gatto gigante in 3D calico (come la nostra adorata gattina) che si muove e miagola in cima a un grattacielo su un tabellone pubblicitario all’uscita est della stazione e che appare più volte al giorno. Impressionante e catturante.
Poi ci spostiamo verso Kabukichō, il distretto a luci rosse famoso per la vita notturna e gestito, pare, dalla yakuza, per vedere l’altra attrazione imperdibile: la grande testa di Godzilla che sporge dalla terrazza all’ ottavo piano dell’hotel Gracery ed è mastodontica e inquietante. Stordite dalla gente e dalla confusione animatissima delle strade e dei locali, siccome il quartiere è tipico per i gatti, decidiamo di cercare un neko caffè per fare anche questa esperienza. Ne troviamo uno fra i più noti, il Cat Cafe Mocha. Si paga a tempo di permanenza, ci si deve togliere borse, giacche e scarpe e metterle in appositi box. Vengono date delle ciabatte e si possono prendere autonomamente delle bevande da dei distributori e portarle all’interno. Dopo un po’ di stress per capire i percorsi con scarpe e senza e come prendere le bevande e come lavarsi, dato che le ragazze che spiegano sono poco pazienti, entriamo. Dentro salotti e salottini con molti gattoni dall’aria vecchiotta e annoiata. A disposizione degli avventori diversi giochi da utilizzare coi gatti, dispenser di cibo a pagamento, lettini dove stare sdraiati e rilassarsi, ammesso di convincere il gatto a stare con te. Nel complesso ci fa tutto una gran tristezza, i gatti sono stufi degli stupidi giochini e l’aria così ovattata è un po’ opprimente. L’uscita è indaginosa per lasciare le ciabatte e rimettere le scarpe con percorsi sempre badati col fucile dalle ragazze che non si fidano di noi. Nel complesso esperienza che si può anche evitare. Ero stata a Lipsia in un bar con gatti che però era completamente diverso, era un normalissimo bar dove ti sedevi e ordinavi e nell’ambiente giravano gatti, compreso sui tavoli. Non entusiasmante pure quello. Personalmente se uno ha voglia di frequentare animali ci sono tanti rifugi di cani e gatti che hanno bisogno di volontari, mi sembrerebbe una cosa migliore!
Si è fatto tardi, ci cerchiamo un bel ristorantino e mangiamo al solito benissimo con poca spesa in ambiente confortevole e molto giappo!
Torniamo in albergo, sempre usando solo la Yamanote, e dopo la rumba dell’apri e chiudi una valigia alla volta e un leggero brontolio in merito, crolliamo al solito esauste. Gli orribili cuscini completano l’opera, così come il fatto che mia figlia si deve fare da sola il letto accucciata nel soppalco! Anche qui vige che se vuoi che ti rifacciano la stanza lo devi dire.
Vedremo domani!
Giorno 9 – Tokyo tra santuari e camminate
Sveglia molto presto e colazione praticamente all’apertura perché i posti a sedere a livello normale sono pochi, la maggior parte sono alti a muro e non ci piacciono. Il buffet è più scarso di quello di Osaka anche se completo di riso, zuppe, curry, pesce, insalata, fiocchi e varie cose fritte e uova. Comunque tutto buono.
Partiamo verso la prima visita, stamattina tocca al Santuario Meiji Jingu, situato all’interno del parco Yoyogi, uno dei più grandi e belli di Tokyo, a sud di Shinjuku e a nord di Shibuya (l’ingresso principale è adiacente alla stazione Harajuku della Yamanote). È il santuario shintoista più grande di Tokyo, molto popolare e molto frequentato dai giapponesi, sia per motivi religiosi che ricreativi, soprattutto di domenica.
L’ingresso principale è preceduto da un enorme torii in legno di cipresso giapponese, veramente mastodontico. Poco più avanti se ne trova un altro ancora più immenso. A seguire la famosa e unica serie di botti in legno di sakè, tutte colorate e dipinte con fantastiche rappresentazioni, che sono state donate al santuario da vari produttori giapponesi. Dal lato apposto, invece, si possono osservare una serie di botti di vino, donate dai vari produttori francesi (su ogni botte è indicato il nome del donatore) in segno di amicizia tra le due nazioni.
Continuando, un percorso immerso nel verde e tra migliaia di alberi (donati dalla popolazione giapponese durante la costruzione del santuario) porta alla fine al vero tempio e agli edifici annessi. Ci sono anche il giardino degli iris e un museo visitabili. Immensa la postazione per gli ema.
Ma la cosa più incredibile è l’immensità del verde, degli alberi, della pace, tanto che la megalopoli frenetica scompare completamente e si entra veramente in un altro mondo.
La camminata è lunghetta, a sinistra chi entra e a destra chi esce, tutti silenziosi e assorti nell’atmosfera e in vari punti addetti alla pulizia del viale con scope di saggina dal gradevole rumore di grattugia che raccolgono le foglie secche (cartacce non pervenute!), altro che i terribili soffioni che imperversano da noi!
Ci ributtiamo nella mischia. Negozi fantastici, fra cui un Uniqlo ricco di magliette della serie PEACE FOR ALL e di limited edition a tema giapponese stupende. Ma il nostro obiettivo è la strafamosa Takeshita Dori, imperdibile, che inizia proprio a due passi dall’ingresso del tempio. Ce la facciamo tutta con calma, guardando i negozi e le persone, molte le ragazze abbigliate in maniera stravagante, negozi di calzini e fantasmini pazzeschi, locali di vario genere e soprattutto un mega Daiso (Daiso è la più grande catena di negozi a 100yen di tutto il Giappone. La sede più conosciuta dai turisti e dagli abitanti di Tokyo è proprio quella della Takeshita Dori) nella quale ci perdiamo per acquisti di varie cose da cucina, per gli animali, per la casa e regalini carinissimi. Segnalo tanto per curiosità i calzini a forma di piede di animale per le gambe delle sedie o del tavolo, uno schiaccia tubetto di premietto per gatto, il “chiudi gioza”, i porta onigiri, gli infiniti ventagli e, che gusto andare alla cassa e spendere pochissimo!
Sempre più stordite dal contrasto tempio/Daiso arriviamo alla Omotesando, il grande viale alberato noto per lo shopping di lusso e l’architettura elegante. È spesso paragonato agli Champs-Élysées di Parigi per la sua atmosfera chic e la presenza di negozi di alta moda. Ce ne passeggiamo un bel pezzo, diamo un’occhiata al famoso Tokyu Plaza con la fantasmagorica scala mobile e da fuori all’Omotesandō Hills, progettato da Tadao Ando. Lusso sfrenato ma per fortuna ci salva un 7-Eleven e ci compriamo degli onigiri fantastici, non fosse altro che per le originali strategie di confezionamento, e li mangiamo seduti su una panchina con una bella bibita a sorpresa (le etichette sono sempre misteriose). Da notare che le principali catene di konbini, tutti simili fra loro, sono tre: oltre a 7-Eleven ci sono Lawson e FamilyMart. Le loro insegne si vedono ovunque nelle città giapponesi e sono dei veri salvavita rassicuranti.
Troviamo una fermata metro e andiamo dirette a Shibuya. La stazione di Shibuya è la terza della capitale giapponese per numero di passeggeri annui, soprattutto pendolari, (dopo la stazione di Shinjuku e quella di Ikebukuro) con una media di circa 2,4 milioni di utenti giornalieri. Ovviamente quando si arriva il delirio della scelta dell’uscita è notevole. Per fortuna l’uscita per la statua di Hachiko, imperdibile, è indicata col simbolino del cane. Ci sono i soliti chilometri da fare ma alla fine usciamo. Anche qui, come in altre zone di Tokyo, grandi lavori in corso e Hachiko è inglobato in un angolo protetto. Coda per la foto e poi nel piccolo ufficio informazioni davanti alla statua deliziosi souvenir in stile Hachiko!
Cerchiamo anche di localizzare i cartelloni pubblicitari dove ogni ora appare il cane in 3D è della razza Akita, la stessa del celebre Hachiko, sbucando fuori e giocando. I cartelloni con immagini coloratissime in movimento sono tantissimi, alla fine troviamo la zona giusta e il cane appare ma la cosa dura poco ed è meno bella del gatto che rimane il nostro preferito!
Ci dedichiamo al famoso incrocio, lo Scramble Crossing, dove tutte le macchine si fermano contemporaneamente e tutti i pedoni passano contemporaneamente in tutte le direzioni e pure in diagonale. Lo percorriamo a più riprese e poi saliamo allo Starbuck’s caffè per qualche foto dall’alto. Le strade circostanti sono un delirio di gente e di negozi ma noi abbiamo come obiettivo il famoso 109 per l’abbigliamento femminile di tendenza. E ce lo giriamo tutto. Per i camerini per provare i vestiti niente scarpe e una specie di passamontagna usa e getta per la testa per non sporcare con trucco e rossetto!
Riprendiamo la metro per andare al Sensō-ji, il grande complesso templare buddista situato nel quartiere di Asakusa. È il tempio più antico della città, e uno dei più importanti. E’ dedicato al bodhisattva Kannon (Avalokiteśvara). L’entrata del tempio è contrassegnata dalla famosa Kaminarimon, la “porta del tuono” da cui pende l’enorme lanterna di carta, dipinta di rosso con caratteri di colore nero. Dalla Kaminarimon si estende la Nakamise-doori, una strada affollata di negozi, fino alla Hōzōmon la “porta della casa del tesoro”, che costituisce l’entrata vera e propria al recinto del tempio e ai cui lati sono appesi due enormi sandali di paglia (ogni dieci anni vengono sostituiti a cura della città di Murayama). Finalmente si vedono l’imponente pagoda a cinque piani e il padiglione principale con la statua di Kannon.
Anche qui, come stamattina al Meiji Jngu, un sacco di donne in kimono, bellissime. E un’atmosfera veramente coinvolgente. Abluzioni, incensi, ema ovunque. Ci stiamo a lungo girando in ogni angolo.
Decidiamo di andare in zona Ueno per cercare dove cenare. Troviamo un posto carino per tonkatsu e tofu, ovviamente sempre tutto con riso e brodino. E mi faccio finalmente il lemon Sour, nome piu comune del lemon Shūhai, un bevanda alcolica con shōchū (distillato d’orzo), acqua gassata e aromatizzata con succo di limone, originaria del Giappone. Mi incuriosiva molto e la trovo buonissima. Il nome chūhai è un’abbreviazione di ”shōchū highball”, in Giappone la versione highball di qualsiasi cosa, anche di frutta, è gettonatissima, piace un sacco il boccalone pieno di ghiaccio!! Questo cocktail negli ultimi anni è diventato molto popolare a Tokyo e comunemente viene servito nei ristoranti in stile izakaya, ma esistono anche un ricco numero di varianti in lattina che possono essere acquistate nei combini.
In una pasticceria fai da te, quelle con vassoio e pinza per servirsi tipo a buffet, prendiamo dei melonpan e in un combini il gelato al matcha e in camera festa grossa prima di smadonnare per la rumba delle valigie e i cuscini.
Niente più sumo ma c’è baseball. Qui gli sport che si vedono in tv sono solo tre: sumo, golf e baseball!
Giorno 10 – Tokyo, Gotokuji
Anche oggi tempo bello e programma fitto! In pratica ha piovuto solo il giorno dell’Expo!
Colazione e si parte per trovare il tempio Gotokuji, famoso per i maneki neko, letteralmente “il gatto che saluta”. Abbiamo fatto un po’ fatica a capire come raggiungerlo. In pratica si deve andare alla stazione Shinjuku e da lì prendere la linea ferroviaria Odakyu, scendendo a Gotokuji Station, circa 20 minuti in tutto. Dalla stazione il tempio dista 10-15 minuti a piedi. Si trova nel tranquillo quartiere residenziale di Setagaya, lontano dal caos, un piccolo tempio in un luogo suggestivo e dall’atmosfera serena poco conosciuto dai turisti. Il complesso è grazioso, composto da una pagoda, un cimitero, una piccola struttura ricolma di statuette di Maneki Neko, e incorniciato da tantissimi alberi di ciliegio Il gatto originale è di colore bianco, e ce ne sono ovunque di tuttissime le dimensioni. Inaspettatamente, immagino sempre dovuto a instagram, vediamo arrivare diversi turisti pure qui! Nell’ufficio/shop del tempio c’è già la coda per comprare i gattini!
Ad ogni modo il posto merita veramente anche per il quartiere che si attraversa, i negozietti, le case. Essendo raffreddate cerchiamo disperatamente fazzoletti di carta ma pare che qui non ci siano e guardano curiosi i nostri pacchetti. Alla fine troviamo dei facsimili piatti e quadrati con un decina di salviette in ogni pacchetto. Diversi ma comunque utilizzabili. Da notare anche che le verdure e la frutta sono già tutti confezionati in piccoli sacchetti/porzione in maniera che nessuno tocchi niente, super igienico!
Torniamo e con la metro andiamo nuovamente all’ingresso del Meiji Jngu dirigendo però allo Yoyogi Park perché oltre a vedere il parco (meglio sarebbe essere qui alla fioritura dei ciliegi!!!) grandissimo e pieno sia di laghetti che di bellissimi alberi secolari e prati, vogliamo trovare i bagni “mimetici” di Perfect Days, una delle cose che ci siamo messe assolutamente in agenda. Sono stati progettati da Shigeru Ban e fanno parte del progetto “The Tokyo Toilet”. Questi bagni, realizzati con vetri speciali che diventano opachi quando ci si chiude dentro a chiave, sono diventati un’attrazione turistica e un esempio di design che unisce funzionalità e arte. Ovviamente però non ci sono indicazioni ma in perfetto stile giapponese i bagni in giro per il parco sono tanti. Alla fine chiedendo, e dopo una discreta scarpinata, li vediamo, in uno spiazzo a bordo parco con anche delle panchine accanto. Sono fantastici. Uomo, donna e handicap, 3 colori dei vetri in tonalità verde/giallo, un sacco di foto, ovviamente li utilizziamo e osserviamo alcuni giapponesi usarli. Ti pareva e arriva anche una coppia di turisti.
Avendo in pratica attraversato tutto l’enorme parco decidiamo di andarci a cercare un’altra fermata della metro da questo lato e scopriamo, non molto distante, in un piccolo parco giochi, un altro bagno trasparente nei toni del rosa/viola, proprio quello che si vede nel film. E qui zero turisti e relax su panchina. Uno dei nostri obiettivi raggiunto. Sia perché il film è nel nostro cuore, lezione di vita incredibile, sia perché l’arte abbinata al bagno è geniale.
Riprendiamo la metro e ci spostiamo per andare a vedere il tempio Zojoji.
Si accede al tempio Zojoji dal grandioso portale principale Sangedatsumon, un esempio di architettura buddista nel cuore di Tokyo che insieme al tempio è l’unico a non essere stato bombardato durante la Seconda guerra mondiale. Il portale è attualmente in restauro, per fortuna un anno fa l’avevo visto libero. Intorno al tempio numerosi edifici e un bellissimo parco. Da tutte le angolazioni si vede la Tokyo Tower e le foto sono bellissime.
Non vogliamo perderlo sia per le tombe di sei shogun Tokugawa, che per l’iconica posizione accanto alla Tokyo Tower, e per i famosi bambini “Dōji Jizō”, ovvero le statue in pietra di Jizō nella forma di bambino in memoria dei bambini morti alla nascita o per aborto che i genitori proteggono con berretti e giocattoli per allietarne il viaggio nell’aldilà.
Queste “statue-memoriale” sono facilmente riconoscibili, poiché contengono le iscrizioni con i nomi postumi dei defunti: terminano con –dōji quelli dei maschietti e –dōnyo quelli per le femminucce. Di solito, come dono a queste piccole anime, è usanza portare presso le statue, giocattoli, frutta o caramelle e hanno tutte un berrettino rosso all’uncinetto.
Visitiamo tempio e edifici annessi ma ahimè le tombe dei Tokugawa sono in chiusura e non ci fanno entrare anche se sono solo le 15. Ci toccherà tornare!
Decidiamo allora per il Ghibli Clock! E’ l’orologio progettato da Hayao Miyazaki, situato all’esterno della Nippon Television Tower nel quartiere di Shiodome. Inaugurato nel 2006, l’orologio è alto 10 metri, largo 18 metri e pesa quasi 30 tonnellate: è enorme!! Ci sono voluti sei anni per completare quest’opera d’arte ed è visibile gratuitamente.
L’orologio è stato progettato da Hayao Miyazaki e realizzato da Kunio Shachimaru.
Come i film di Miyazaki, anche l’orologio è ricco di dettagli, non tutti visibili immediatamente o decifrabili in una sola visita. Sebbene Miyazaki non l’abbia mai confermato apertamente, l’orologio pare proprio ispirato a “Il Castello Errante di Howl” date le notevoli somiglianze.
Tra i dettagli più immediati da notare ci sono le zampe con possenti artigli che sorreggono l’orologio, le stesse che muovono il castello di Howl, e che evocano quelle di un dragone o di un dinosauro.
Tante scene e personaggi ad abitare i vari ambienti, distinguibili in due categorie, di cui la prima è “l’uomo lanterna”, con il corpo umano e la testa di una lanterna, visibile nell’ala sinistra. La lanterna si accende quando l’orologio si anima. Gli uomini lanterna lavorano come fabbri e artigiani. L’altra tipologia di personaggio è “l’uomo campana”, posizionato a destra dell’orologio: in questo caso al posto della testa c’è, appunto, una campana che sembra suonare e vibrare quando il meccanismo dell’orologio entra in funzione. Due degli uomini campana sono posizionati in una sorta di “sala comandi” in cui devono azionare un orologio in miniatura.
Ogni giorno a intervalli regolari l’orologio prende vita ed è un momento di spettacolo imperdibile in cui si possono vedere i vari meccanismi della scultura e i personaggi che si animano in sequenza proprio come nelle scene di un film. Lo spettacolo si svolge secondo l’orario esposto davanti all’orologio.
La zona è Shimbashi/Shiodome, pazzeschi i camminamenti sopraelevati e i grattacieli spettacolari.
Poiché il quartiere è pieno di uffici aziendali, Shimbashi viene anche affettuosamente chiamata “il territorio sacro dei salaryman” ed è debitamente famoso per la sua capacità di offrire un sacco di modi per rilassarsi, prendere qualcosa da bere e sfogarsi un po’ dopo il lavoro. Anche qui negozi e locali dappertutto.
Ovviamente arriviamo e lo spettacolo inizierebbe dopo più di un’ora. Non vogliamo perderlo ma neppure stare qui a ciondolare fino alle 18, anche se in ambiente spettacolare, così decidiamo di riscarpinare fino alla metro perché a un paio di fermate c’è il ponte Nihonbashi, un’altra delle cose che ci eravamo segnate come must.
Il ponte venne costruito agli inizi del 1600 per volere dello shogun Tokugawa Ieyasu. Il ponte Nihonbashi non fu solo un semplice collegamento tra due sponde, ma un vero e proprio simbolo della prosperosa città di Edo: rappresentava infatti il punto di partenza delle cinque maggiori strade che collegavano Tokyo al resto del paese. E così mentre il quartiere si è evoluto e sviluppato, il ponte, seppur ricostruito in pietra, è rimasto al suo posto e offre un affascinante contrasto tra il suo profilo pittoresco e le strutture moderne che lo circondano, compreso un cavalcavia (la strada Shuto Expressway) che passa proprio sopra il ponte stesso.
Effettivamente quando lo si vede, e l’abbiamo percorso nei due sensi scendendo da entrambi i lati per vedere gli scorci migliori delle due arcate, risalta l’aspetto storico, ricco di particolari e dettagli, tanto che è designato come bene culturale parte del Patrimonio Nazionale. Si nota subito la targa in bronzo che riporta la dicitura “Origin of Roads in Japan” per ricordare appunto come Nihonbashi fosse il punto di partenza delle 5 principali vie che univano Tokyo alle altre maggiori località del paese. Il ponte viene tutt’oggi usato come riferimento per la misurazione di tutte le distanze in km sulle strade nazionali.
Ma soprattutto sono le statue e i lampioni a colpire con lo stile e l’originalità. Da notare anche un punto informativo delizioso con aiuole fiorite, personale in kimono e souvenir molto carini, a sancire l’importanza di questo monumento.
E via di ritorno e alle 18 ci godiamo lo spettacolo del Ghibli Clock illuminato e in movimento con tanto di musica. E’ incredibile, siamo veramente felici!
Ci attardiamo in un negozio a tema Miyazaki e a osservare i vari locali, di livello piuttosto chic, fra cui un ristorante italiano dal nome curioso “Buco di muro”.
Scale mobili, ascensori, camminamenti, la luce del tramonto riflessa ovunque sui grattacieli, proprio bella questa zona.
Ci spostiamo alla stazione centrale per vedere le sale principali e l’esterno restaurato in puro stile olandese a mattoncini rossi che si sta illuminando. Bello! Ci cerchiamo un ristorante. Quello che ci piaceva è pieno e ne scegliamo un altro molto in stile taverna in uno scantinato. Il menu è un po’ particolare, ha anche sushi, comunque mangiamo bene e via a casa per il nostro matcha, stasera con gelato al matcha preso al 7-Eleven!
Giornata pienissima e tanti chilometri.
Giorno 11 – Yokohama
Oggi è la giornata che abbiamo deciso di dedicare a Yokohama. Dalla stazione di Ueno (ennesima enorme stazione) prendiamo una linea che va diretta a Yokohama. Appena arrivate intercettiamo un ufficio del turismo dove ci facciamo indicare come muoverci (metro in prevalenza). Anche Yokohama è come Osaka, stazione centrale (dove siamo arrivate noi) e Shin-Yokohama un po’ fuori dal centro dove passano i treni super veloci.
Yokohama è la seconda città più popolata del Giappone dopo Tokyo, capoluogo della prefettura di Kanagawa, regione del Kantō. La zona più turistica è il quartiere dei grattacieli, Minato Mirai 21, nel quale svetta la Landmark Tower (296,33 m), sino al 2013 l’edificio più alto del Giappone, la Torre marittima che, con i suoi 106 m, è il più alto faro del mondo, il quartiere cinese, la zona di Yamate con il cimitero degli stranieri e la vista sul porto con la grande ruota panoramica.
La prima cosa che vogliamo vedere è la Landmark Tower per salire all’osservatorio, chiamato Sky Garden, situato al 69º piano, con il terzo ascensore più veloce al mondo, da dove è possibile osservare il panorama della città e del porto e se si è fortunati il Fuji. Raggiungiamo il grattacielo con la metro, paghiamo il biglietto e saliamo. L’osservatorio è molto bello e curato, con bar e shop e pareti in vetro con piccoli telescopi e le descrizioni del panorama che è effettivamente spettacolare. Mentre ci godiamo la situazione notiamo agitazione e accorriamo, ebbene sì, si vede il Fuji!!!!!! Dovete sapere che le altre due volte che sono stata in Giappone mi si è sempre completamente negato con grande delusione, tanto che stavolta manco ci pensavo, invece…eccolo spuntare con la sua cima bianca fra le nuvole, certo è lontanuccio e lo fotocamera dello smartphone tira il giusto, ma col telescopio è uno sballo. Ci sediamo nei bei divanetti, estasiate, e ci godiamo il saluto del mitico Fuji-san!
Poi purtroppo scendiamo, abbiamo altro da fare!
Yokohama è stato uno dei porti principali del paese e oggi è possibile riscoprire il passato marittimo della città visitando il Parco Memoriale Nipponmaru. Questa grande area si estende dove sorgeva l’antico porto della città e comprende una serie di attrazioni, tra cui un museo e la storica barca a vela Nippon Maru, praticamente l’Amerigo Vespucci giapponese.
Decidiamo di visitarla, 97 metri di lunghezza e quattro altissimi alberi. La nave si visita in tutti gli ambienti interni: bellissime le cabine, gli oggetti personali di numerosi marinai che fanno apparire la nave “ancora viva” e gli strumenti di navigazione di un tempo. Una cosa particolare sono le coperte dei letti delle cabine, disposte in modo tale da creare degli origami tutti diversi e con la descrizione di ognuno. Dal ponte poi si ammira l’altezza vertiginosa degli alberi. Una visita molto interessante.
Riprendiamo la metro per andare a Chinatown, conosciuta anche come Yokohama Chukagai, è la più grande del Giappone e una delle principali attrazioni turistiche della città. Si trova a breve distanza dalla stazione metro e offre una vivace atmosfera cinese con numerosi ristoranti, negozi e templi. Si entra attraversando il colorato portale Zenrinmon e poi non resistiamo e mangiamo ravioli e pollo fritto piccante. Tutto buonissimo. Ci giriamo strade e stradine e vari negozi fino ad arrivare al tempio Kuan Ti Miao Kanteibyo dedicato al famoso generale cinese Guan Yu, protagonista dello storico romanzo “Il Romanzo dei Tre Regni” in cui è descritto come impavido, leale, potente e saggio. Una figura simbolica, divenuta per molti immigrati cinesi in Giappone un’àncora a cui aggrapparsi, un legame con la terra lasciata alle spalle, nonché una sorta di divinità da pregare per avere più successo in campo finanziario. Oggi che le cose sono più semplici per gli immigrati, Guan Yu è divenuto il protettore degli uomini d’affari e degli imprenditori. Il tempio è coloratissimo e ricco di dragoni e lungo le scale bassorilievi in pietra che ricordano, in piccolo, quelli della Città Proibita a Pechino.
Torniamo alla metro, poi in stazione e da lì alla stazione di Shin-Yokohama per andare a quello che, dopo l’eventuale Fuji, era il nostro obiettivo principale: il museo del Ramen! Durante un collegamento fra le linee in un mega centro commerciale intercettiamo un’orchestra di musica classica al completo dal vivo con tutta la gente in ascolto in religioso silenzio. A Yokohama c’è anche il museo dei CupNoodles ma noi preferiamo assolutamente il ramen.
Il Ramen Museum, interamente dedicato all’omonima zuppa giapponese, è stato aperto nel 1994 e ospita punti vendita appartenenti a celebri catene, come ad esempio Ide Shoten, Shinasobaya, Keyaki, Ryushanhai e Komurasaki. Il museo ospita inoltre vari punti vendita dove poter acquistare prodotti alimentari, mentre al piano terra vi è un negozio di souvenir che vende ciotole di ramen, utensili da cucina, confezioni di ramen sottovuoto e altre cose inerenti.
Si sviluppa su tre piani, al piano terra si trova la parte museale, con esposizioni dedicate al celebre piatto giapponese e alla sua storia, oltre al negozio ufficiale. Nei due piani seminterrati è stata ricreata in maniera veramente coinvolgente l’atmosfera retrò del Giappone anni ’50 e ’60 e l’atmosfera dello storico quartiere popolare Shitamachi.
Più che un museo ordinario, si tratta di una specie di parco a tema storico e, a differenza della maggior parte dei musei, resta aperto fino alle 23, per accogliere coloro che desiderano fermarsi qui e cenare in maniera speciale.
Assistiamo anche nel laboratorio ad una lezione di preparazione dei noodles dove la pasta viene tirata con grandi pali di bambù. I ragazzi che stanno imparando ci pare che vengano anche piuttosto sgridati! L’esposizione vera e propria prevede numerosi display, utensili vari per la preparazione del ramen, e, cosa veramente affascinante, oltre 300 ciotole da ramen tutte diverse e bellissime, bacchette, tessili e grembiuli, pannelli interattivi, confezioni di ramen provenienti da tutto il mondo e monitor che tramettono non stop i vari spot di ramen degli ultimi 25 anni. Tra gli oggetti più particolari, una replica del primo piatto di ramen mai mangiato, ossia quello consumato da un samurai del 17 ° secolo di nome Mito Komon. Per sedersi dei puff, piuttosto rigidi però, a forma di uovo e di naruto (il naruto nel ramen è in realtà un tipo di kamaboko, una torta di pesce giapponese, caratterizzato da una spirale rosa o rossa al centro. Questo ingrediente, chiamato narutomaki o naruto, viene spesso utilizzato come guarnizione nel ramen, aggiungendo un tocco di colore e un sapore delicato al piatto. Il nome “naruto” deriva dai vortici che si formano nello stretto di Naruto, tra le isole di Awaji e Shikoku, che ricordano il disegno a spirale della torta di pesce).
Fantastica la struttura del Giappone in metallo con le ciotole di ramen corrispondenti alle varie zone con le loro tipicità. E’ enorme e sospesa nella sala principale.
Nell’area sotterranea della “Ramen Town”, cui ci si affaccia scendendo le scale con un colpo d’occhio veramente meritevole, sono presenti le rappresentanze di otto celebri catene di vendita di ramen, scelte con cura tra decine di migliaia in tutto il paese, e dove si servono varie specialità di ramen, a seconda della città di provenienza, tra le quali Sapporo, Fukuoka, Kumamoto, Preda e Tokyo. Ogni negozio è caratterizzato da una sua tipologia di ramen e da una particolare scelta di condimenti. Si paga, si ordina e si può scegliere anche la dimensione del piatto. Qualità insuperabile. Abbiamo ancora in pancia il raviolone cinese ma questo è imperdibile!
Super soddisfatte torniamo in stazione e riprendiamo il primo treno utile per Tokyo, non senza esserci fermate da GU. Questo marchio ci ha incuriosito perché vediamo tantissime persone che hanno fatto acquisti e girano con la sporta della marca. Scopriamo che GU è il marchio gemello di Uniqlo. Simile per la tipologia di vestiti e la qualità si caratterizza per un costo medio leggermente inferiore e un target più giovane ed è molto presente sul mercato giapponese, quasi sempre proprio nelle vicinanze di Uniqlo. Dopo una giornata di cammino inarrestabile un po’ di shopping ci sta e le cose sono veramente carine.
Scendiamo a Ueno e decidiamo di fare un giro nel parco e di arrivare almeno alla famosa pagoda a 5 piani. Il parco è immenso e al suo interno ci sono diversi templi, laghetti, musei e anche lo zoo. E’ particolarmente gettonato per la fioritura dei ciliegi.
Noi cerchiamo il piccolo tempio Kaneji, che appartiene alla setta esoterica Tendai, famoso per la grande pagoda a cinque piani. Il tempio purtroppo sta chiudendo ma la luce è ancora buona e c’è pochissima gente. Ci godiamo le grandi lanterne di pietra (ce ne sono circa 200) ma non riusciamo a vedere il cimitero dove sono sepolti sei dei quindici shogun Tokugawa che hanno regnato sul Giappone durante l’epoca Edo (1603-1868). Contiamo di vedere le altre tombe domani allo Zojoji.
Per cena scegliamo un ristorante in zona Tempura tendon tenya, molto famigliare e con ottima scelta e stasera sperimento una Kirin Honshibori Lemon Chu-Hi, incuriosita dal lunghissimo nome. In pratica una sorta di radler ma molto più buona!
E anche oggi abbiamo dato!
Giorno 12 – Tokyo
Colazione e si parte per la prima meta della giornata. Oggi tempo piuttosto grigio e afoso. Facciamo il giornaliero della metro perché oggi la dovremo usare molto. Con un paio di cambi arriviamo alla fermata Sengakui e da lì la distanza è breve per arrivare al tempio omonimo, quello dei 47 Ronin, il Sengakuji appunto!
Questo luogo sacro ospita le tombe dei leggendari 47 ronin, simbolo di lealtà e onore nella cultura giapponese. Costruito nel 1612 dallo shogun Tokugawa Ieyasu, il tempio Sengakuji divenne lo scenario di uno degli episodi più famosi della storia dei samurai. Situato nel quartiere di Takanawa, questo santuario zen attira ogni anno un gran numero di visitatori per rendere omaggio a questi leggendari guerrieri.
La vicenda è raccontata anche nel bellissimo film con Keanu Reeves e Hiroyuki Sanada, visto e rivisto più volte.
Il tempio ospita anche un piccolo museo dedicato alla storia dei 47 ronin. Contiene oggetti personali appartenuti ai samurai e documenti che raccontano la loro storia. Sebbene le spiegazioni siano principalmente in giapponese, l’atmosfera del luogo è sufficiente a far percepire l’importanza storica e culturale di questo episodio. Inoltre in un edificio a parte una serie di statue riproduce tutti i 47 samurai. Veramente suggestivo.
Sebbene il tempio Sengakuji sia di dimensioni modeste rispetto ad altri santuari di Tokyo, la sua architettura e i suoi punti di interesse meritano una visita. La porta principale (sanmon) è uno dei pochi elementi originali del tempio, sopravvissuto a incendi e ricostruzioni successive, ovviamente il cimitero del tempio, dove riposano i 47 ronin e il loro signore, è il punto focale della visita. Le tombe, identificate dal nome e dall’età di ciascun samurai (ce n’è persino uno di 83 anni), sono disposte intorno a quella di Asano Naganori. Un’imponente statua del capo dei ronin, Ōishi Kuranosuke, sorveglia l’insieme.
Per accedere alla visita invece del biglietto d’ingresso si deve acquistare un mazzetto di incensi che vengono accesi e bisogna deporne almeno uno davanti a ogni tomba. Rituale che facciamo ben volentieri e con sentimento.
Torniamo poi allo Zojoji, incappiamo anche in una suggestiva cerimonia e dobbiamo aspettare fino alle 11 per l’apertura delle tombe. Sedute in una panchina nel verde osserviamo ambiente e persone e riposiamo. Da notare la presenza qui e in altri luoghi di visita di tante scolaresche di varie fasce d’età tutte con divise differenti e molto eleganti. Per strada anche tanti bambini piccoli con cartelle rigide particolari, le bambine con cappellino, soli o a piccoli gruppetti che si recano o tornano da scuola, ovviamente in divisa.
Le tombe sono dei grandi monumenti, fatti quasi come lanterne, in pietra scura disposti intorno ad un cortile di ghiaia e circondati di verde con sullo sfondo la Tokyo Tower. Direi un filo deludente, sulle tombe scritte solo in giapponese. Molte delle tombe sono di coppia del samurai e della sua sposa. Decidiamo di non visitare anche il tesoro perché abbiamo altre cose impellenti. Prima di tutto andare a Odaiba!
Ci si accede o tramite il Rainbow Bridge o con il futuristico treno Yurikamome. Odaiba è una modernissima zona per l’intrattenimento su un’isola artificiale nella baia di Tokyo.
Ovviamente decidiamo per la monorotaia Yurikamome perchè è il mezzo più comodo e panoramico, è una linea automatica, cioè senza guidatore, che collega la stazione di Shimbashi con l’isola di Odaiba, offrendo viste spettacolari sul Rainbow Bridge.
Nella stazione di Shimbashi c’è del personale in divisa gentilissimo che ci dice quale fermata scegliere e ci aiuta a fare il biglietto specifico andata e ritorno. Questi personaggi, che noi chiamiamo “facilitatori”, sono veramente fantastici per essere sempre al posto giusto proprio dove ti servono e gentilissimi.
Essendo la Yurikamome un treno senza conducente è consigliabile sedersi nel primo vagone per godersi il panorama inoltre essendo sopraelevata attraversa il Rainbow Bridge, infilandosi nella sua “pancia” percorrendo un anello tipo montagne russe e offrendo viste mozzafiato sulla baia di Tokyo.
Scendiamo e la prima cosa che si vede è l’edificio della Fuji Tv che si riconosce dalla sfera sospesa tra le due ali della struttura, formato un po’ tipo pellicola, e che è diventato uno dei simboli di Odaiba e anche di Tokyo. La sfera, chiamata “Hachitama”, si trova al 25° piano ed ospita un osservatorio.
Tutti i percorsi sono pedonali, sopraelevati e panoramici con panchine e piante e anche con molta gente che cammina……come al solito. Decidiamo di andare subito alla Statua della Libertà che avevamo avvistato già dalla monorotaia.
Questa replica della statua è stata donata dalla Francia al Giappone nel 1998 per celebrare gli intensi scambi commerciali tra le due nazioni e doveva essere esposta a Odaiba fino al 1999, ma dopo il grande successo, l’anno successivo ne è stata posizionata una nuova replica nel punto in cui si trova ancora oggi. La visione di questa Statua della libertà in miniatura, dopotutto è alta solo 18 metri, con alle spalle lo skyline di Tokyo, il Rainbow Bridge che assomiglia al ponte di Brooklyn e la Tokyo Tower che è una copia della Torre Eiffel, è un po’ strana, ma comunque ha un suo fascino e a dimostrazione di questo c’è che nessuno resiste dal non fotografarla. Panorama bellissimo!
Dopo questa altra bella camminata fino al centro commerciale Diver City, davanti al quale c’è un bel giardino ma, soprattutto, l’enorme statua bianca di Gundam Unicorn, personaggio di anime e cult di fantascienza. La statua a grandezza naturale del Gundam è un altro dei simboli di Odaiba e anche se non si è appassionati di anime non si può non rimanere affascinati da questa riproduzione in scala 1:1 alta quasi 20 metri di uno dei robot più amati e famosi del Giappone. Il Gundam ogni giorno a orari prestabiliti si trasforma nella sua controparte dalla versione Unicorn a quella Destroyer con musica e luci. Ovviamente anche qui come per l’orologio aspettiamo l’ora sedute sotto gli alberi e con noi un sacco di gente! Alle spalle del Gundam c’è l’imperdibile negozio ufficiale “Gundam Base” e ovviamente non ce lo perdiamo.
Riprendiamo la monorotaia e stavolta riusciamo a piazzarci, non senza lottare un po’, nel primo vagone e ci godiamo lo spettacolo del viaggio.
Decidiamo di fare un salto al mercato del pesce per mangiare qualcosa.
Il mercato del pesce più famoso di Tokyo è lo Tsukiji, quello storico con l’asta dei tonni all’alba si è invece trasferito a Toyosu e nel vecchio quartiere sono rimaste bancarelle, mercato di pesce e altri prodotti alimentari, ristorantini, qualche negozio dei famosi coltelli. Ci cerchiamo dove mangiare finalmente un vero sushi, un po’ di corsa per ché nel primo pomeriggio il mercato chiude. Troviamo un posto molto carino con il banco da cui si osserva la preparazione in diretta di quello che hai ordinato. Tutto buono e a un prezzo accettabile.
Ci attardiamo a osservare uno storico negozio di coltelli (sarebbe vietato fotografare). Hōchō è il termine utilizzato per indicare i versatili coltelli giapponesi, noti per la loro affilatura, specializzazione, precisione e qualità artigianale. Sono un elemento fondamentale della cucina tradizionale giapponese e riflettono la precisione e l’attenzione ai dettagli tipiche della cultura giapponese. I coltelli giapponesi sono considerati oggetti di valore e sono spesso regalati in occasioni speciali, e i prezzi sono notevoli. Ci piace molto sapere che la produzione tradizionale di coltelli è un’arte per cui la città di Sakai, dove siamo state, è particolarmente rinomata.
Ci spostiamo a Ginza, il volto elegante di Tokyo: qui si concentrano principalmente boutique di alta moda ospitate in gioielli architettonici futuristici che fanno a gara per catturare l’attenzione dei passanti e che negli anni sono divenuti l’attrattiva principale del quartiere. Ai negozi si affiancano ottimi e costosi ristoranti, centri commerciali, gallerie d’arte, locali notturni, pasticcerie raffinate e caffetterie che offrono spunti per trascorrere un intero pomeriggio di shopping e divertimento.
Sbuchiamo dalla metro proprio a Ginza Wako, un grande centro commerciale specializzato in articoli di lusso, gioielli e tanto altro che affaccia su un mega incrocio proprio in stile Shibuia. La struttura è di per sé interessante ed è tra le più antiche del quartiere: risale al 1932 e sfoggia uno stile neo rinascimentale con un orologio posto al centro dell’edificio che negli anni è diventato uno dei simboli principali di Ginza, nonché un punto di riferimento per orientarsi nel quartiere. Ovviamente foto e poi camminiamo a testa in su a guardare gli incredibili edifici e la marea di gente impegnata nello shopping.
Ci facciamo anche Suzuran Street, una strada commerciale nota per i suoi negozi e ristoranti di classe, ma anche per quelli più modesti, che riflettono il carattere vario di Ginza.
Purtroppo manchiamo Yurakucho Yokocho, una zona composta da un dedalo di piccoli vicoli dalle atmosfere tradizionali e famosa principalmente per i suoi ristoranti sotto i binari della ferrovia, e manchiamo pure Itoya, la cartoleria per eccellenza, che era nei nostri programmi insieme a Pigment! Pazienza. E’ sempre bello a fine viaggio fare l’elenco di ciò che non si è riusciti a vedere, così si può ricominciare a sognare!
Però ci facciamo un mega negozio di Hello Kitty che ci ripaga insieme a quello dei Pokemon visto a Osaka.
Dimenticavo, in giro ci sono ancora cabine del telefono, ma col cartello che all’interno hanno free wifi! Forte!
Il tempo stringe, si riparte verso Jimbocho, il quartiere delle librerie. Definito appunto “la città dei libri”, Jimbocho ospita all’incirca 200 negozi di libri, ciascuno con una propria offerta, servizi e atmosfere diverse: catene moderne ma anche tante piccole botteghe specializzate in libri usati e prime edizioni.
Il nome del quartiere deriva da un potente samurai del 1600, Nagaharu Jimbo, che viveva proprio qui. Sin dalle sue origini, prima ancora che venissero fondate le università, Jimbocho era rinomato per i suoi negozi di libri antichi e di seconda mano, ma fu attorno al 1880 che Jimbocho divenne il centro letterario di riferimento per gli studenti della facoltà di legge della vicina Università Meiji, dando un forte impulso al quartiere.
Uscite dalla metro ci perdiamo un tantino nella ricerca delle strade dove ci sono le librerie caratteristiche e alla fine le troviamo. Ne giriamo parecchie con libri fitti fitti, vecchie ma anche di stile più moderno. In uno scatolone fuori da una di queste vecchie librerie, mi catturano delle kokeshi (bambole tradizionali in legno) piuttosto grandi e affascinanti. Non resisto e ne scelgo una, femmina, pentendomi poi di non aver preso la coppia! Metterò la cosa nell’elenco di cui sopra! Credevo di essere innamorata solo dei daruma, ma anche questa kokeshi mi ha preso il cuore.
Esauste ci manca ancora almeno un obiettivo, Golden Gai.
Di corsa ci spostiamo a Shiniuku. Dentro la stazione ci piazziamo davanti a una delle piantine per capire quale uscita prendere e un ragazzo, alto, robusto e di gamba lunga, si mette a cercare pure lui l’uscita. Ci parliamo un attimo e dice che ci accompagnerà! Troppo carino. Unico problema parte a gambe levate e stanchezza e statura nostra praticamente ci fanno correre. Così ci porta proprio all’ingresso del quartiere. Il Golden Gai è un luogo veramente magico che si trova a Kabuki-cho, il quartiere di Shinjuku che non dorme mai.
Si tratta di una zona con circa 280 bar di dimensioni micro che ospitano dai cinque ai dieci clienti ciascuno e sono davvero molto piccoli. L’atmosfera è decisamente amichevole e fare amicizia con i pochi clienti presenti pare sia questione di pochi secondi, vista la quantità di alcool che gira!
Questo luogo è stato famoso in passato, ed è famoso tuttora, per ospitare spesso artisti, musicisti, attori e registi anche molto famosi, come anche viene detto nel vecchio film Tokyo Ga di Wim Wenders, che però non ho visto ma lo cercherò.
Golden Gai, che nel secondo dopoguerra era una zona a luci rosse, conserva la stessa atmosfera dei primi anni Cinquanta, prima che il Giappone si modernizzasse rapidamente. Al contrario delle molte zone che a Shinjuku sono state smantellate e poi ricostruite diverse volte nel corso degli anni, Golden Gai mantiene il suo antico fascino.
Vicoletti strettissimi, casine vecchie, lucine ovunque ma nel complesso ambiente un po’ buio, moltissimi turisti “scoppiati” e porticine con ripide scale fiocamente illuminate che portano misteriosamente al piano superiore.
Nel complesso veramente strano.
Torniamo in zona Shinjuku per un ultimo addio al gattone 3D e per riprendere la metro.
Ceniamo ottimamente nel ristorante della prima sera, tofu, soia, udon.
Ultimo gelato al matcha e via con la preparazione delle valigie. Domani ahimè si torna.
Giorno 13 – Rientro in Italia
Yamanote fino alla stazione, poi Narita express fino in aeroporto. La prima cosa che facciamo è mettere il Pocket Wifi spento nella busta da loro predisposta e imbucarlo direttamente. Per sicurezza facciamo un paio di foto della procedura e ci attacchiamo al wifi dell’aeroporto. Il giorno dopo essere tornata a casa mi arriverà la mail di ringraziamento da Japan Wireless per aver avuto tutto di ritorno! Velocissimi.
Imbarchiamo le valigie con discreta coda pur essendo molto presto e partiamo in orario. Aereo piuttosto scalcagnato. Tasche nel sedile strappate, schermo ancora con il telecomando che si estrae con filo, braccioli basculanti e soprattutto sedili che si reclinano troppo. Balliamo per tutto il volo fino a Bangkok dove staremo ahimè parecchie ore, ma essendo ormai sera non usciamo e ci cerchiamo un ristorante per un ottimo pad thai. L’aeroporto è bellissimo e veramente confortevole. Acqua per le borracce ovunque, negozi aperti tutta notte, aree relax molto comode, molti negozi di frutta e artigianato thai, per fortuna non solo grandi firme! Il tempo passa velocemente, solo il gate è veramente lontanissimo e senza possibilità di sedersi, con al solito le chiamate a settori per l’imbarco molto incasinate. Aereo un po’ meglio dell’altro, ma cibo scadentissimo. Personale gentilissimo.
Si riparte e siamo a Milano. Recuperate dal marito torniamo a casa stordite dal lungo viaggio e dal Giappone che resta stampato nel cuore.
Poter viaggiare è una grande fortuna. Ci vogliono anche curiosità, forza fisica, coraggio e un po’ di soldi. E poi bisogna scegliere le mete col cuore, non per moda, non per mettere bandierine sul mappamondo, non per vantarsi. Si viaggia per conoscere, per imparare a essere migliori e più forti, per respirare aria nuova, per vivere insieme a chi si ama esperienze che uniscono nell’emozione dell’avventura. E farlo in autonomia è particolarmente gratificante.
Dunque il Giappone per me era e rimane una meta del cuore.








