Giappone in 15 giorni: consigli, curiosità e i luoghi da non perdere assolutamente

Scritto da: Gallu
giappone in 15 giorni: consigli, curiosità e i luoghi da non perdere assolutamente

Trascorrere una vacanza nel Sol Levante può essere un’esperienza tanto magnifica quanto straniante, per la diversità di cultura che caratterizza il paese nipponico. Ecco come godersi il Giappone in 15 giorni, il tempo sufficiente per vivere un paese che ha tantissimo da mostrare, offrire e lasciare a bocca aperta.

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Giappone in 15 giorni. Diario di viaggio

Giorno 1 – Partenza da Roma

Partenza da Siena alle 6,15 con Flixbus. Arrivo a Fiumicino alle 10 (attenti ai possibili ritardi, stamani 30 minuti..ma in largo anticipo sul volo Ita delle 15). Io a Monica aspettiamo i nostri amici e poi ci imbarchiamo. Volo ottimo e in perfetto orario

Giorno 2 – Tokyo (Ueno)

tokyo tower

Arrivo ad Haneda alle 11,15. Ci vuole un bel po’ per i controlli doganali, per recuperare i bagagli, ritirare la Ninja Wireless (fondamentale) e per fare la Suica Card (altrettanto fondamentale). Prendiamo la comoda monorail (monoreru in giapponese) e al capolinea della stessa prendiamo la famosa linea Yamanote che ci conduce alla stazione Ueno da dove proseguiamo a piedi fino al vicino Hotel (Villa Fontaine Ueno). La camera (che risulterà piccola ma non troppo data la media giapponese e in particolare di Tokyo) non è ancora pronta per cui torniamo a Ueno per visitare il parco. Lungo la strada ci imbattiamo nei primi piccoli Shrine o Jinjia (tempio) in attesa di vedere quelli grandi, comunque esperienza interessante per qualche minuto. Il parco brulica di gente in questo giorno festivo domenicale.

È tardi per visitare il tempio più importante, tutto placcato d’oro con pagoda limitrofa; ci accontentiamo di uno più piccolo dove vediamo le prime bancarelle che vendono biglietti e cartoncini da 100, 200 o 300 yen; nei pressi c’è una specie di struttura con attaccati fogliettini messi tipo nastro. Noi pensiamo nella nostra ignoranza che siano tipo lucchetti dell’amore, invece giorni dopo una guida locale ci spiegherà che i giapponesi in genere non sono religiosi ma scaramantici: vanno nei templi a chiedere fortuna, benevolenza, salute e quant’altro al dio di turno (nello scintoismo) e comprano questi bigliettini che possono avere frasi fortunate o sfortunate. Ci pare di aver capito che quelli portatori di sventura vengono attaccati alla struttura. Non vediamo foliage, purtroppo quest’anno causa riscaldamento globale è in ritardo, e pensare che siamo venuti apposta in questo periodo; speriamo di vederne più avanti. *

Proviamo a vedere il panda gigante nello zoo (pare sia uno dei pochi posti nel mondo), ma oggi il panda non si può vedere per “congestion”, qualcuno di noi pensa a una malattia ma il motivo è l’eccesso di persone in questa festività. Pazienza. Passiamo dall’ufficio Japan Rail della stazione di Ueno dove teniamo impegnata la paziente impiegata una mezzora per fare tutti i biglietti per le tratte dello Shinkansen (il bullet train) Tokyo-Kanazawa, Kanazawa-Kyoto e Kyoto-Tokyo. Specialmente quest’ultima tratta è congestionata quindi meglio prenotare per tempo. Inoltre non dovendo andare fino nell’Hokkaido o ad Hiroshima ci conveniva non fare il pass, risparmiando così almeno 230 euro a persona (considerando un biglietto per altra località che sarebbe stato compreso e così è da fare a parte, comunque un bel risparmio dato il nostri itinerario e la durata della permanenza). Cena in una Sushiya (ya sta per “che fa, negozio con attività che si occupa di..), ma niente di che. In Giappone fanno cena presto, quindi attenti a non superare le 20 nemmeno a Tokyo, anche se esistono locali aperti fino a tardi.

Giorno 3 – Team Lab Planets, Ginza, Tokyo Sky Tree

ginza

Partenza in direzione Team Lab Planets, per cui è necessaria prenotazione con largo anticipo. Metro per circa 20 minuti con la comodissima carta Suica che ti consente di prendere qualsiasi linea senza correre il rischio di trovarsi con biglietti e abbonamenti utilizzabili solo parzialmente (ci puoi anche comprare ai supermercati e te la ricaricano anche lì). Segue tratto a piedi per circa 20 minuti (possibile anche bus) e ci siamo. Ti fanno togliere scarpe e calze e anche zainetto o borsa e k-way da lasciare in armadietti personali e poi si entra iniziando da una salita con esperienza sensoriale di acqua sui piedi, che serve anche a lavarli, tanto che all’apice ci sono teli per asciugarseli. Dopo piccoli percorsi iniziali in pavimenti con elasticità variabile facciamo la prima esperienza tecnologico-sensoriale che è quella che giudicheremo un po’ tutti la più bella, con diverse migliaia di led, ma non entriamo in particolari, è una esperienza non facilmente descrivibile anche perché il lab è progettato perché le varie esperienze cambino in risposta alle reazioni del pubblico. Le cose da sapere sono che non è centrale, ci vogliono circa 2 ore per visitarlo e vale la pena. Usciti dal lab verso le 12 sfruttiamo la nostra Suica anche per il bus verso il mercato del pesce (Tsuki), composto da una via principale e vie più strette, tutto pieno di street food a prezzi astronomici, a parte la omelette. Grandi file, tante persone ma il vero mercato era chiuso per festività. Peccato. Vale una visita ma mangiate altrove.

Dallo Tsuki sempre a piedi arriviamo al vicino quartiere di Ginza. Si passeggia piacevolmente sui larghi marciapiedi con a fianco begli edifici che ospitano le catene del lusso mondiale e si può deviare leggermente a sinistra verso il Tokyo International Forum, un edificio molto interessante dal punto di vista architettonico. A poca distanza la zona della stazione centrale di Tokyo, da cui prendiamo una metro che ci porta all’altro obiettivo principale della giornata, la Tokyo Sky Tree (consigliata prenotazione). La prima cosa che resta impressa è la gentilezza del personale, che ci conduce ad un ascensore che percorre i primi 350 metri con velocità massima di 600 metri al minuto per cui in poco tempo arriviamo al primo viewpoint posto a 345 metri. Un nel po’ di gente ma si riesce a vedere bene a 360 gradi da diversi punti presso i quali sono posizionati degli schermi che segnalano i punti di maggiore interesse. Noi abbiamo scelto il turno delle 16, così abbiamo visto Tokyo con luce piena, al tramonto e poi di notte. Saliti in cima ci godiamo le prime luci che si accendono su Tokyo dai 451 metri di vetta massima raggiungibile. Riscendendo siamo passati dai metri 340 dove c’è un piccolo camminamento sul vetrocemento, carino ma non come quello del Deck di Chicago dove sotto c’è il niente, mentre qui una griglia al piano di sotto attenua notevolmente la sensazione di camminare nel vuoto, comunque da provare.

Usciamo e la torre è illuminata, molto bella. Poco sotto la torre c’è la biglietteria della linea Tobu, quella che si legge essere la migliore per Nikko, meta di domani. Ci accorgiamo che siamo nettissimamente in ritardo per la prenotazione, c’è solo un treno diretto alle 11, ci vengono proposti dei regionali con cambi e fanno tentativi per dissuaderci da andare per poco tempo dopo un viaggio di due ore, ma alla fine convinciamo il pazientissimo e gentile bigliettaio e ci accontentiamo di una visita di poche ore, tornando peraltro con un treno che parte due ore dopo la chiusura di tutti gli spazi visitabili. In realtà a Nikko si va anche con la Japan Rail ma ci vuole ancora più tempo e non c’è il treno diretto, per cui consiglio di prenotare per tempo una volta messi d’accordo tutti i partecipanti alla gita (nel nostro caso ci sarebbe stato bisogno di svegliarsi alle 6, con il fuso ecc.. non pensavamo che fossero sold out tutti i viaggi di mattina verso le 8, ma sbagliando si impara). Peraltro il posto è bello e nella bella stagione vale la pena pernottare, magari in un ryokan. Cena al quartiere Asakusa, ampia scelta di locali ma ancora attenzione perché chiudono presto. Ho chiesto, usando anche un poco di raffazzonatissimo giapponese studiato su Duolingo, di un locale aperto fino a tardi per la sera successiva (ritorno da Nikko alle 20,40..) e i infatti lo abbiamo trovato e prenotato (vedi giorno seguente).

Giorno 4 – Nikko

nikko

Alle 11 prendiamo il treno dalla stazione di Asakusa (quella di Perfect Days) e arriviamo alle 12.50. C’è un servizio bus navetta ma in circa mezzora in lieve salita siamo comunque al famoso ponte Shinkyo dove ci fermiamo per foto di rito, bella soprattutto se non ci salite sopra ( e risparmiate anche). Essendo a una certa altitudine si sperava nel foliage, invece poco o niente. Ci incamminiamo in salita verso il Tosho-gu. Data la mancanza di tempo dobbiamo rinunciare alla visita di altri santuari per concentrarsi su questo che è immancabile. C’è una certa fila alla cassa; scopriamo che si può pagare anche questo con la Suica. Superiamo il grande Torii in pietra all’ingresso e siamo alle audioguide. Il luogo è affollato ma notevole. Le tre scimmie sono l’immagine più famosa, ma le decorazioni degli edifici sono tutte davvero straordinarie. Il complesso del tempio vale sicuramente il viaggio. Consigliabile arrivare presto la mattina dato che a Nikko ci sono 103 edifici religiosi, le cascate, i percorsi di montagna, le statuette dei monaci con bavaglino rosso (Rijo) e molto altro. Comincia a piovere, ci imbattiamo nell’unico punto con un poco di foliage e poi giù verso la stazione dove troviamo una pasticceria dove restiamo fino alla chiusura alle 17,30.

Il treno è dopo un’ora, che passiamo nella piccola e scomoda stazione. Arriviamo ad Asakusa in orario e ci troviamo vicinissimi al ristorante prenotato il giorno prima. È sul fiume, accanto a un ponte con vista sulla Tokyo Sky Tree ma soprattutto è molto bello: ci mettono ad un lungo tavolo con vista fiume, c’è buona musica (in Giappone sono per mia fortuna fissati con il Jazz) e personale che capisce perfettamente l’inglese e simpatico. Ogni tanto parte una specie di pereppeppè e ogni volta che entra qualcuno tutti insieme dicono una frase, che poi ho capito essere Irasshaimase, cioè benvenuto. Bella atmosfera e cibo all’altezza ad ottimo prezzo (circa 15 euro a persona). Si chiama Gonpachi (con l’accento sulla prima sillaba) e, googlando, scopro che è la stessa catena di un altro ristorante, sempre di Tokyo, dove è stato girato Kill Bill vol. 1 di Quentin Tarantino. Questo altro locale è nella zona Ovest, a Roppongi, ed è quello dove Uma Thurman alias Beatrice Kiddo alias “la sposa” sostiene il combattimento cardine di entrambi i volumi, quello con la tuta gialla che è in tutte le locandine del film. Provo subito a prenotare per il 6 sera ma nel locale di Roppongi cena sold out fino almeno alla nostra partenza 12 giorni dopo, e immagino anche molto dopo. Magari ritenteremo nei prossimi giorni.

Giorno 5 – Tokyo (Senso-ji, Hanaka, Akihabara, Ginza)

senso-ji

Partenza per la zona del tempio Senso-ji. Arriviamo alle 9 e già c’è tanta gente ma niente in confronto al delirio di due ore dopo quando usciremo. Consiglio di arrivare prima ma tenete presente che le botteghe più tipiche aprono verso le 9,30-10. Foto di rito sotto il grande Torii rispettando la fila, poi entriamo nel corridoio bordato da negozietti acchiappacitrulli (quelli per lo più aperti) fino ad arrivare al tempio che è molto bello e grandioso, il tetto molto spiovente e con interno molto spirituale. Davanti all’ingresso bruciano incensini nel grande braciere: ci si avvicina e si dirige il fumo verso i nostri abiti con la speranza che li attraversi e ci porti vari benefici.. e tante vendite di bigliettini bene-o malauguranti (vedi sopra Ueno). A noi sembra un grande bisinesse come direbbero ne il Padrino.. Interessante anche il parco intorno, da visitare per i piccoli tempietti e le gigantesche carpe colorate. Il tempio è nel quartiere Asakusa, quello più vecchio di Tokyo, che risale almeno al sesto secolo dopo Cristo. Già, dopo Cristo ma qui Cristo non lo riconoscono, infatti con il mia scarsissima capacità di interpretare i caratteri, vedo che nelle varie incisioni e scritture tradotte in inglese, dove si parla di After Christ c’è una cifra e un riferimento a una loro era. A una delle uscite, con le spalle al tempio sulla destra, dopo i bagni pubblici, numerose attività che sanno di antico, Fra i negozietti c’è anche la libreria dove Hirayama, il protagonista di Perfect Days di Wim Wenders, va a cercare libri da leggere prima di addormentarsi (mi pare si chiami Cheizuku), purtroppo oggi chiusa- Mi prendo una crepe al Matcha (molto buona) e poi andiamo verso l’uscita dove nel frattempo la folla è molto aumentata. Senso-Ji assolutamente da vedere, ma arrivate prima.

Passiamo dal quartiere Hanaka (niente di che) e ci dirigiamo in metro fino ad Akihabara, il quartiere famoso per la elettronica. La via principale è piena di centri commerciali di stampo più cinese che giapponese, un mercato enorme di tutto e apparentemente di scarsa qualità, ma forse abbiamo sbagliato posti. Le poco più che bambine vestite da cameriere ti invitano a entrare nei Maid Cafè dove pare che giovani e anche goffi uomini di mezza età cerchino consolazione in complimenti (non erotici ci dicono) da parte di altre ragazzine. Forse ci sono anche dei cat cafè ma due di noi sono allergici e quindi niente Maid Cafè, causa allergia, per sensazione di tristezza della cosa in sé, per aver superato la mezza età e soprattutto perché per fortuna non abbiamo bisogno di essere consolati.

Mentre torniamo verso la metro vediamo altri grossi viali con altrettanto grossi palazzi più belli rispetto a quelli della via principale, magari la famosa città dell’elettronica è lì, ma non abbiamo tempo rimasto da dedicare. Ripartiamo alla volta dell’orto botanico, dove pare si possa vedere un po’ di foliage. Sosta pranzo in un piccolo parco e poi ci dirigiamo al parco principale che è carino, un po’ di foliage c’è e bello il ponticello “half moon”, il tutto circondato da palazzi moderni, poca gente e tanto silenzio, vale la pena. Era prevista anche una esperienza Onsen (Hotspring) alla limitrofa SPAlaqua, ma poi vediamo che non ha niente dell’onsen tradizionale essendo un grosso centro termale con dentro di tutto e quindi proseguiamo verso il parco imperiale. Arriviamo alle 15,40 ed è già chiuso (poi scopriamo che non è aperto tutti i giorni e va comunque aggiunta una visita a un’altra struttura interna, da prenotare).

Ci dirigiamo quindi in metro verso Ginza per vederla con le luci della sera. In effetti le aspettative non sono deluse e la illuminazione die palazzi rende tutto più bello. Entriamo a scuriosare nel negozio a 11 piani della Yamaha; saliamo al piano degli strumenti dove il sottoscritto, che suona indegnamente il sax, non resiste da chiedere di provare l’ultimo sax soprano Yamaha /leader mondiale di questo strumento), un affarino che costa 9000 euro. Lo strumento suona perfettamente.. ringrazio l’addetto, faccio finta di intendermene dicendogli “sukoshi betabeta), che vuol dire un po’ duro (in realtà perfetto, ovviamente). Proseguiamo in mezzo a negozi di lusso di orologi, abbigliamento, gioielli (bella soprattutto la illuminazione del “Damiani”) ma poi arriva il momento di tornare in albergo. Andiamo a cena in zona stazione Ueno dove ci sono molti ristoranti, la maggior parte in realtà di pessima qualità. Alla fine presi dalla entriamo in uno che aveva sei posti ma in un tavolo da cinque.. sennò accanto alla cucina con panche senza schienali.. più della fame (fama) potè il digiuno e ok. Alla fine sapore abbastanza buono, servizio da rivedere dato che l’ordinazione si faceva con un barcode e ognuno sceglieva ma poi la distribuzione era un po’ a casaccio, tanto che Claudio ha avuto la mia e Monica non ha avuto il grapefruit wein (e per fortuna alla fine none era nel conto.. ma per capisri..). Insomma stazione di Ueno non il topo per mangiare.

Giorno 6 – Kanazawa

kanazawa

Partenza la mattina (Shuinkansen da Ueno). Viaggio ottimo. Alle 11 arriviamo a Kanazawa station ( da vedere). Ci avviamo verso l’Hotel (Forza Kanazawa), vicinissimo al mercato centrale di O-Micho; ho un minimo di preoccupazione perché in una coppia l’una chiama l’altro “micio” ma alla fine non ci sono stati misunderstanding.  La camera qui è più grande che a Tokyo e costa anche un bel po’ meno. Prima sosta al quartiere dei Samurai, dove l’ambiente è rimasto intatto ( a parte degli strani oggetti rotondi che sono posti a distanza uguale lungo la dorsale della strada.. poi ci intendiamo in qualche modo con dei passanti e ci spiegano che gettano acqua quando la neve di Kanazawa, particolarmente pesante, cade copiosamente). Visitiamo un paio di case di Samurai, inclusa quella più famosa di Nomura. Esperienza interessante ma non immancabile.

Sosta pranzo nel quartiere Korinbo, dove troviamo un buon ristorante di carne e si spendono ben 10 euro a testa! Nel pomeriggio andiamo nel quartiere delle Geishe, piazzetta e due vie ma molto ben conservato. La cosa più interessante da fare forse è la visita alla casa da tè Kaikaro, l’unica conservata e visitabile, mentre le altre sono state convertite in localini tipo bar-caffè. La visita costa 750 yen a testa (circa 4,5 euro) e ci è piaciuta molto; si possono vedere anche spettacoli con due-tre geishe per circa 80 euro a persona ma sinceramente non interessa proprio a nessuno nel nostro gruppo.. forse dopo Kyoto con il senno di poi non sarebbero stati buttati. Solito ristorante al mercato O-Micho, aspetto così così e non proprio tipico ma il cibo era accettabile e il costo molto basso, come al solito.

Giorno 7 – Kanazawa

kanazawa

Piccolo giro al mercato O-Micho, interessante per i tipi di pesce e per come sono confezionati; particolari i crostacei fra cui meritano una menzione speciale i granchi di tutti i tipi e prezzi. Ci dirigiamo al must di Kanazawa, il giardino Kenrokouen, ritenuto fra i tre giardini paesaggistici più belli del Giappone, da alcuni addirittura indicato come il migliore. Una delle caratteristiche del grande giardino è la presenza di imbracature ai rami di alcuni alberi che confluisco su un grosso palo (spesso di bambù) con il risultato di ottenere delle curiose forme coniche. All’ufficio informazioni ci spiegano che questo sistema (visto anche nella casa di Nomura) serve per evitare che i rami si spezzino sotto la neve di Kanazawa, particolarmente densa e che può abbondare nella stagione fredda (in effetti qui è molto più freddo che a Tokyo) ed erano stati sistemati da poco, all’inizio di Novembre: quindi una fortuna poterli vedere. Per il resto il giardino è bello e curato, c’è anche una piccola fontana (una rarità assoluta in Giappone), peccato che il foliage sia appena visibile; c’è anche una vecchia casa da tè con reperti molto ben conservati e brevi informazioni date in inglese. Visitiamo anche l’esterno del castello e il limitrofo parco, nettamente inferiori rispetto al Kenrokouen.

Da lì ci dirigiamo in discesa e poi a sinistra fino al Museo del ventunesimo secolo, dove osserviamo opere d’arte contemporanea e alcune mostre ma soprattutto abbiamo la grande fortuna di capitare in uno dei tre giorni di quest’anno dedicati ai craftworks, lavori fatti a mano: vedere quattro artigiani (tre uomini e una donna) impegnati davanti ai nostri occhi in lavori di cesello di altissima qualità, producendo oggetti magnifici, per ora l’esperienza che ci ha più colpito in Giappone. Torniamo in albergo per rapido pitstop.. vado nel bagno dell’albergo e la seggetta si abbassa da sola al mio entrare, qui i bagni sono stupefacenti. Torniamo al parco perché stasera c’è free entrance per vederlo illuminato; siamo lì circa alle 18,30: molto bello. Stiamo fino alle 19.15, poi dobbiamo tornare per cena. Stavolta il locale è più bello e la cena composta di assaggini sushi e non solo, tutto molto carino e ancora a prezzi contenuti.. magari con qualche istruzione in più si sarebbe evitato che io maldestramente arrotolassi il riso invece che nell’alga nel vassoietto di bambù.. ma poco male, anche divertente. Tutti aletto perché domani mattina presto partiamo per Kyoto.

Giorno 8 – Kyoto

kinkaku-ji

Partenza alle 8,40 con puntualissimo Shinkansen, un cambio treno e alle 11,15 siamo a Kyoto. Ci vuole un bel po’ per districarsi dalla calca, vediamo la linea della metro che dobbiamo prendere ma, una volta usciti (e dobbiamo uscire obbligatoriamente) chissà dov’è.. poi la troviamo e fatte due fermate scendiamo. Raggiungiamo il nostro ryokan (Sakura Kyomachiya usushitei) verso le 12. Dalle descrizioni dei ryokan (case tradizionali giapponesi con parete scorrevoli in carta di riso, tatami e se va bene futon) mi aspettavo un paio di vecchietti arzilli con le gambe arcuate che ci concedevano la loro camera per una notte, invece super bello e organizzato, cinque piani, personale che parla perfettamente l’inglese (sono filippini), possibilità di attività, e la camera altro che futon, finalmente un bel letto e tanto spazio. Forse i tipici ryokan (con onsen) sono ad Hakone e sulle montagne, ma come esperienza questa va benissimo. Scegliamo di fare qui la cerimonia del tè e anche un private bath per me e Monica. Pausa pranzo nei pressi e poi andiamo a cercare uno shop dove fanno Kintsugi, l’arte di riparare usando anche fogli d’oro arricchendo così l’oggetto, arte che è diventata una vera filosofia se applicata alle ferite della mente. Siamo fortunati che il kintsuguya indicato all’ufficio informazioni in tutta Kyoto è proprio a due passi dal ryokan, ma purtroppo accettano solo persone del settore o anche ignoranti spettatori ma con interprete e alla modica cifra di 50 euro all’ora cadauno. Insistiamo che ci basta solo osservare anche senza capire ma niente da fare.

Ci dirigiamo allora verso la parte moderna dove un grosso vialone porta a uno dei ponti che collegano nuova e vecchia Kyoto. Di impressionante lì c’è il food market, che è composto da due lunghissime gallerie con soffitto molto alto e con tantissime attività commerciali, compresa una coltelleria dove acquisteremo in seguito un piccolo coltello originale giapponese (ne potete trovare di tutti i tipi, molto belli e taglienti, ma molto costosi). È qui che abbiamo la prima esperienza con la sala di Pachinko: si apre la porta di un grosso locale insonorizzato ed esce un frastuono di musiche che escono da una miriade di schermi davanti ai quali esseri umani con lo sguardo perso giocano sperando nella sorte, una immagine desolante. Accanto al mercato c’è una zona vecchia con un parco e vie strette (Pontocho) che ospitano ristoranti, anche molto costosi. Torniamo nel nostro ryokan per la cerimonia del tè che facciamo con lo Yukata, una specie di Kimono di bassissima lega che abbiamo trovato pronto in camera, va messo con la parte sinistra sotto la parte destra, altrimenti siamo vestiti come confezionano i morti. Lo sapevo ma chiaramente ho sbagliato verso e la maestra mi ha rivestito. La cerimonia è stata carina e a prezzo moderato come clienti del ryokan; la giovane maestra in perfetto kimono e con perfette movenze ci ha spiegato la storia del matcha, che risale al 1200, poi ci ha illustrato come si prepara, facendolo per ognuno di noi e poi lo abbiamo bevuto accompagnato da dolcetti buoni (il tè di per sé è denso e amarissimo).

Finita la prima parte ci ha chiamati uno per uno a fare il tè secondo le modalità prescritte. Ce l’abbiamo fatta dignitosamente e poi si doveva bere la seconda tazza ma senza dolcetti: Claudio e Marina (coraggiosi) lo hanno fatto, noi altri abbiamo fatto finta. Finita la cerimonia ci siamo ritemprati con un bagno privato in una vasca di acqua bollente e poi a cena in un locale di Ramen consigliato dalla reception. Per trovare questo ristorante (Ichiran) ce n’è voluto nonostante gmaps. È sulla Shiya, il vialone principale della zona nuova, ma la scritta che si leggeva da fuori era solo in kanjii e solo in cima alle scale si leggeva l’insegna con caratteri latini. Discreta fila. Poi è il nostro turno e l’esperienza è veramente sorprendente. All’ingresso fai l’ordine su un touch-screen, praticamente solo ramen con bevande, poi entriamo e sembra di essere ognuno un impiegato delle poste o un centralinista, una stanza con una ventina di box affiancati e separati da un pannello di legno, ognuno di noi aveva davanti al tavolo una stuoia che si alza quando i ragazzi da dietro ti servono quello che hai ordinato. Hai anche die cartellini di legno con varie esigenze, tipo son andato al bagno, ora ritorno, sennò vedono il posto libero e lo danno a un altro. Che dire, esperienza interessante per la distanza apocalittica dalle nostre usanze, qui non ci sono né contatti né relazioni. Peraltro si scopre che nel ramen c’è il latte (lo mettono ovunque nei prodotti che trovi nei market). Monica ha intolleranza e deve cambiare, ma lì hanno solo quello. Insomma alla fine capiscono che le devono dare solo i noodles senza il brodo. Qui l’inglese lo sanno in pochi e il mio raffazzonato giapponese non è servito. Peraltro latte si dice ghiuuniuu, ma va pronunciato con le lunghezze e gli accenti giusti e qualcuno lo chiama juuniuu, peccato che con questo sistema delle stuoie non si comunicava nemmeno con il traduttore. Insomma meglio non avere allergie, non paiono molto organizzati (peraltro non lo sono nemmeno nella evolutissima Germania). Torniamo nel ryokan e ci facciamo una bella dormita nel comodissimo letto.

Giorno 9 – Kyoto, quartiere Gion

yasaka

Dopo colazione ci avviamo verso il nostro mini-appartamento collocato strategicamente nel quartiere Gion (in giapponese la G è dura, poi scopriamo che Gion si legge con l’accento sulla prima); il quartiere è il più antico di Kyoto, è quello con le stradine in discesa (e in salita) e le geishe. Già dopo aver attraversato il ponte cambia la struttura della città e mano a mano che ci spostiamo verso est le strade diventano più strette. Il check-in a INA House Gion è alle 15, quindi lasciano i bagagli legati nella apposita stanza e ci avviamo versi la prima meta.

  • Santuario di Yasaka: il tempio è bello e molto colorato (arancione, in realtà vermillion è il colore), e intorno si sviluppa una zona piena di tempietti e abbondano le coppie vestite con abiti tradizionali con fotografo al seguito. Con Monica abbiamo pensato che fossero pre-wedding, promesse, poi fermiamo un fotografato mentre la sua lei si sta facendo fotografare da sola e scopriamo che sono turisti asiatici che si fanno fare servizi fotografici nelle zone dei templi (già visto a Tokyo al Senso-Ji): a conferma si vedono ragazzine vestite di tutto punto, anch’esse con fotografo al seguito. Si respira comunque subito un’aria completamente diversa rispetto a Tokyo, qui è tutto immerso nella natura e comincia ad apparire il vero Giappone antico come ce lo eravamo immaginato.
  • Parco Maruyama: attaccato allo Yasaka con accesso da un bel Torii o anche da altri ingressi. Il parco è molto piacevole e grande, con qualche acero con foglie rosse (finalmente!), ruscelli, ponticini e un laghetto. Risaliamo la strada che costeggia il ruscello dove pullulano le fotografate solitarie, proseguendo su nella Hirashiyama (Yama sta per montagna); incontriamo il
  • Choraku-Ji shrine: non previsto nel nostro progetto ma molto particolare e autentico, immerso nella piccola montagna, un posto dove si intuisce la potenzialità della meditazione. Il percorso termina con una serie di tombe. I cimiteri in Giappone, come credo anche in Cina, sono prevalentemente in alto. 

Torniamo nel parco Maruyama, nella parte pavimentata, che brulica di ragazzi in costume (“gita” scolastica domenicale?) e si stanno tenendo prove di una orchestra giovanile che suona Jazz in un anfiteatro. Passano risciò trainati da ragazzi (anche una ragazza) che devono fare una grande fatica date le pendenze e le temperature che oggi sono alte. Assistiamo anche a una celebrazione nei pressi di una tomba, con persone tutte vestite di nero che fanno offerte di incensini e depositano fiori. Pensavamo a u  funerale ma poi leggiamo che in questo giorno di festa si celebra un famoso personaggio nell’ambito buddista ed erano tutti lì per questo. Tutto intorno molto bello, vale davvero la pena. Ci dirigiamo a nord per la prossima tappa che raggiungiamo dopo cica 8 minuti, lo

  • Shorenin shrine: importante luogo di culto, purtroppo in ristrutturazione; torniamo indietro verso il parco passando dal
  • Chionin shrine: questo vale la pena, anche se non indicato fra le priorità nel nostro programma; ci sono invece molti pullman davanti ed è molto bello, in particolare l’interno, forse il più impressionante finora. Dedichiamo una mezz’ora perché abbiamo da vedere ancora molto prima che calino le ombre della sera; avrebbe meritato più tempo. Ci dirigiamo quindi al
  • Kodaji shrine: se il Chionin valeva una visita questo ancora di più. Immerso nella natura, con percorsi su ponticelli di pietra e legno, laghetto, diverse aree di foliage, un percorso in mezzo ai bambù; una vera delizia, da non perdere (tempo minimo mezz’ora ma è luogo adatto a una permanenza ancora maggiore). Ci spostiamo verso
  • Nene-no michi: Nene era la moglie del padrone del Kodaji che si è fatta monaca per onorare la morte del marito nel 1600 circa. La particella “no” dopo le parole e i nomi è il loro genitivo sassone e “michi” significa “road”, quindi la strada di Nene. E’ una via animata che conduce verso la massima animazione del quartiere Gion.

Lungo la via ci imbattiamo sulla sinistra in una statua gigantesca dentro il cortile di un palazzo; entriamo, ci danno una bacchetta di incenso accesa e vediamo questo enorme Bodisathwa, davanti al quale depositiamo l’incenso nel consueto braciere. Ritorniamo sulla strada e sbuchiamo in

  • Ninenzaka-Sanenzaka: le due strette vie comunicanti da cui si dipartono vie laterali altrettanto strette, che si arrampicano fino al Koyamizu-dera. Negozietti a non finire e soprattutto una densità di visitatori che fa impallidire la stazione di Kyoto all’ora di punta, sarà perché è Domenica ma la stragrande maggioranza siamo noi turisti. Procedendo come lumache ci imbattiamo in un cartello a Sanenzaka dove si avverte di stare attenti a non cadere perché chi cade avrà la vita accorciata di tre anni, se va male saranno solo tre anni da adesso.. con molta attenzione procediamo.. ( alla domanda “sei superstizioso?” potrei risponder “Io no… portasse male!”)..Alla fine arriviamo al
  • Koyamizu-dera: grande tempio vermillion con bellissima pagoda a 5 piani e bel panorama. Un percorso di circa 500 metri ci porta alla pagoda più piccola da dove si gode un panorama suggestivo. Torniamo indietro e apprezziamo meglio questa parte di Gion.. arriviamo anche al classico scorcio con via in discesa e pagoda a destra che si trova in tutte le guide e i depliant, e poi sbuchiamo vicinissimi al nostra appartamentino. C e M sono andati a vedere un Kabuki ridotto che comunque termina alle 19,40; di Domenica molti ristoranti sono chiusi in certe zone o chiudono alle 20-20,30 per cui ci troviamo in difficoltà e troviamo un ristorantino abbastanza scarso. Il giorno successivo scopriremo che la parte alta di Gion ha pochi ristoranti, che invece abbondano nella parte più vicina al fiume. Consiglio di informarsi prima per non ritrovarsi a vagare in zone non adatte alla ristorazione.

Giorno 10 – Kyoto

arashiyama

Partiamo alle 8 con destinazione Arashiyama dove è la famosa foresta di bambù: gli efficientissimi mezzi giapponesi ci conducono sul posto per le 9 e già c’è un delirio di persone. Percorso carino ma non il must di Kyoto. Volendo c’è un bel parco ma dobbiamo ripartire per la prossima meta, il famoso giardino di rocce del tempio di Ryoanji. Arriviamo in bus in circa mezz’ora. L’attrazione principale non è certo così bella allo sguardo ma poi leggiamo e apprendiamo che il numero perfetto in Giappone è il 15; il giardino zen consente di osservare da qualsiasi punto di osservazione un massimo di 14 pietre, per cui il messaggio è che nessuno è perfetto e la perfezione stessa non esiste. Ci spostiamo adesso verso il Padiglione d’oro: è a poca distanza dal Ryoanji (a piedi o con il bus). Ad impressionare non è tanto la placcatura d’oro del padiglione quanto il contesto naturalistico in cui esso è collocato. Proseguiamo verso il Padiglione d’argento: per arrivarci ci vogliono buoni 40 minuti di bus (torniamo nella parte est della città). Qui il giardino è molto bello, quello che ci si aspetta dai giardini i paesaggistici giapponesi, mentre il padiglione è un pochino sgarrufato.

Pranziamo in un ristorantino sulla strada che porta al padiglione, ci toccherebbero posti sul tatami ma per fortuna due giovani appena entrati, permeati dalla gentilezza giapponese che ti penetra i vestiti, ci cedono i posti a sedere a tavola e ci vanno loro.. All’uscita mi concedo la seconda crepe di matcha, con ripieno ancora più gustoso rispetto a Tokyo. Ritorniamo lungo il sentiero dei filosofi, bello con i ciliegi in fiore (Sakura), in questa stagione niente di che.

Giorno 11 – Nara e Gion

cervi di nara

Treno dalla Kyoto Station, o Nara Line o Kintetsu (più costosa ma più rapida). Arriviamo in circa un’ora con la Nara Line e ci avviamo verso il primo tempio, il Kofuko-ji, bello ma ormai meritevole solo di uno sguardo visto che la cosa più bella (la pagoda) è in ristrutturazione. Ci spostiamo verso l’obiettivo principale della gita che è il Todai-Ji. Prima però passiamo dal giardino Isui-en (chiuso) e ci accontentiamo del giardino Yoshiki-en, che è molto bello e curato e vale una visita. Peraltro è attaccato al parco che conduce al Todai-Ji.

Prestissimo siamo circondati dai famosi cervi di Nara, ce n’è un visibilio, infatti l’erba è rasatissima senza bisogno di cura, un tappeto da biliardo dovunque. Si può dare da mangiare ai cervi (più che cervi cervini, il più grande sarà stato la metà di un grosso cervo adulto delle nostre montagne); peraltro in certi periodi di scasa pioggia e durante il Covid questi animali erano diventati magrissimi e vagavano anche nella cittadina Naramachi (dove “machi” sta per “town”). È molto caratterizzante la presenza dei cervi che si riduce solo dopo la porta d’ingresso al vialone che conduce al Todai-ji.

Il tempio vale molto la visita, essendo il più grande al mondo in legno; è davvero enorme come enorme è il Buddha contenuto nell’interno, alto quasi 15 metri e anche molto largo. Verso la parte posteriore sinistra guardando l’ingresso c’è il famoso buco nella base di una colonna, dove si dice che chi ci passa avrà fortuna per la vita, infatti ci sono intere scolaresche che vengono portate e frotte di bambini che passano lungo l’apertura che pare abbia un diametro come quello della narice del Buddha (che è enorme ma è pur sempre una narice); sarei stato curioso di sapere se intanto come inizio sarebbero migliorati i voti degli scolari nel registro, chissà.

Usciamo e, sempre circondati dai cervi, percorriamo la strada lungo le pendici del monte in direzione di Kasuga, antico luogo di culto scintoista immerso nel bosco. Potremmo proseguire per tutta la giornata nel parco immenso ma alle 18 abbiamo la partenza di un tour serale guidato nel quartiere delle Geishe a Gion e quindi ci avviamo verso Naramachi, cogliendo begli sprazzi di foliage lungo la strada. Presi dalla fame entriamo in una bettola con un bancone che ospita massimo 8 persone e una donnina che pare nemmeno gradire tanto la nostra venuta ma poi, tutto da sola, ci tira fuori un pranzetto memorabile facendoci passare anche avanti a due avventori (probabilmente marito e moglie visto che lei ne parlava come di “otto” che vuol dire mio marito, e anche conoscenti di lei che chiamavano “mama”, che non significa mamma ma pareva comunque confidenziale). Poi arriva il conto e mi apre abbiamo speso ben 6 euro a persona bevande incluse. Consigliamo di mangiare in questi locali prevalentemente per giapponesi, ottimi.

Torniamo a Kyoto, piccolo riposo nell’appartamento (non bellissimo ma comodissimo come posizione e ben fornito, anche bella lavasciuga). In pochi minuti siamo all’appuntamento con la guida (David) del Guru-Walk. Il giro è stato molto interessante e il messaggio fondamentale quello che diventare Geisha è durissimo, tanto che il 70% delle apprendiste, le Maiko, non ce la fanno; ma poi diventa un mestiere strapagato (la più scarsa prende 1000 dollari l’ora) e non ha niente a che fare con il sesso; le geishe peraltro non possono restare e infatti si ritirano massimo a 35 anni (iniziano la scuola di 5 anni a 15-16 anni) ricchissime per farsi una famiglia. Entertainment, professionalità estrema ed esclusività sono le tre caratteristiche delle Geishe. Per accedere alle cerimonie per massimo 5 persone che si svolgono nelle case da tè non bastano tanti soldi ma ci vogliono importanti contatti e non è detto che la Geisha ti accetti. Se la persona (anche donne) riescono a pagare una Geisha questo è considerato uno status symbol nella società, aumenta il prestigio personale in certi settori. Quindi secondo la guida, anche se in quindici anni sono passate da 50mila a mille (a Kyoto 211, in leggera ascesa), il legame con lo status symbol garantirà futuro a questo mestiere. La visita termina al tempio Yasaka, che a noi era sembrato bello ma di livello inferiore rispetto ad altri e invece si scopre che il tempio scintoista è importantissimo: ci si venera infatti il dio della tempesta che è il secondo dio per importanza e abita lì dentro (infatti nei templi scintoisti non si può entrare, mentre nei buddisti sì); già che si sono festeggiano anche il terzo in classifica (la luna) e la prima (Amatarasu, la dea del sole: sole che è anche nella bandiera del Giappone e nella parola che significa Giappone: Ni=sole e Hon=conoscenza).

Quando il tempo diventa molto brutto i giapponesi vanno a danzare in una zona antistante l’edificio con tantissime lanterne (così tante le abbiamo viste solo a Yasaka) per placare il dio della tempesta. Ed è così che il quartiere Gion e Kyuoto tutta sono nati intorno ai pellegrini che venivano a Yasaka e poi avevano bisogno di alloggi ed entertainment e da qui le Geishe. Facciamo tardi, David bravo ma un po’ prolisso, andiamo a cena vicino alla stazione Gion dove finalmente mangiamo cose servite sulla piastra, riscaldate davanti a noi, altra esperienza tipica giapponese.

Giorno 12 – Fushimi-Inari, Tofoku-Ji, Gion

fushimi-inari

Partiamo alla volta di quello che appare in ogni locandina o su internet come il simbolo di Kyoto insieme a Gion. Arriviamo alla stazione e poco più in su entriamo attraverso il primo grande Torii; poco dopo seguiamo la massa e ci troviamo nel primo tratto di fitti torii vermillion dove la gente è davvero tanta, poi salendo i torii continuano ma la gente si dirada un po’. Facciamo un po’ di fatica ma dopo 1100 scalini arriviamo in cima al monte Inari dove c’è un piccolo altare che è il santuario. Si riscende dall’altra parte percorrendo ulteriore percorso sotto torii e si torna giù, incrociando peraltro una piccola colonia di gatti, gli unici visti in15 giorni. Non ci sono gatti in Giappone, eppure parevano fissati con i “neko” come li chiamano loro, sicuramente un mistero. Tutto il complesso del Fujimi è dedicato al dio del riso e le numerose volpi (stavolta statue) sono lì come messaggere. I torii sono sponsorizzati da imprenditori in cambio della fortuna garantita dal dio di turno. Fujimi, che dire, da fare magari solo in parte ma niente di così spettacolare e memorabile. Ci spostiamo a piedi verso il prossimo tempio, il Tofuko-ji. Ci imbattiamo in un piccolo tempio zen, ci piace ed entriamo. Si chiama Komyonin: piccolo ma delicato, con una bella atmosfera: Ci sediamo e, se non fosse stato per un paio di spagnoli che parlavano a voce alta, qui si poteva sentire l’energia e avere una possibilità per una meditazione. Da consigliare. Proseguiamo e arriviamo al Tofuko-Ji: imponente e con una caratteristica particolare: il piano terra, quello che in Giappone chiamano ikkai (primo piano) non c’è e bisogna salire delle scale così ripide da far impallidire gli hotel del centri di Amsterdam per arrivare in alto dove c’è una bella stanza con il Buddha e una serie di monaci, opera che risale far il quattordicesimo e il quindicesimo secolo dopo cristo: notevole, e bella anche la vista, peccato che le foto siano proibite. La discesa è meno faticosa ma più pericolosa. Entriamo anche nel giardino (anch’esso a pagamento) dove ammiriamo il massimo foliage della vacanza e apprezziamo la bellezza.. peraltro con poca gente, 1000 yen spesi bene.

Ci avviamo verso la stazione e ci imbattiamo in un classico ristorantino, con posti sul tatami e a coppie su sedie normali. A noi toccano le sedie convenzionali, per fortuna (problemi di schiena per entrambi). Qui la signora che prende le ordinazioni è aiutata in cucina dal marito. Cibi buoni (anche se Naramachi è stato imbattibile) e conto inferiore a 6 euro a persona. Torniamo a Kyoto  via treno, riposino e poi torniamo a vedere il Kodai-ji di sera come consigliato dalla guida. Stavolta ci fanno entrare nel tempio dove assistiamo a un bellissimo spettacolo di luci incentrato sul tema delle stagioni. Proseguiamo poi nel percorso già fatto di giorno, incluso il pond che è bellissimo e non da meno è il vialetto di bambù, veramente tutto meritevole. Verrebbe da consigliare di lasciar perdere il viaggio lungo per la foresta di bambù e vedere questo vialetto di giorno e notte: è più breve ma con meno persone e altrettanto bello, se non di più. Proviamo poi ad entrare nel museo delle Geishe dove pare che alle 19 si esibisca una Maiko per circa 15 minuti, ma il museo è chiuso.. Magari ritentiamo domani.

Giorno 13 – Kyoto

kokedera

Oggi la meta principale è il tempio buddista Sahoi-ji. Facciamo un viaggio discretamente lungo da Gion, essendo il tempio collocato in Kyoto ovest (zona Arashiyama). Lo abbiamo prenotato per tempo, circa 2 mesi prima appena si poteva. È un raro tempio non in montagna, quindi vicino e contiene uno dei giardini più belli del Giappone, il Kokedera. Il nostro programma (mi pare si chiamasse Nini Sanpai) comprende una fase in cui si ricalcano molti sutra con dei pennarelli “effetto pennello”. Stiamo seduti su dei banchi o sui tatami e ricalchiamo i sutra, esercizio di meditazione concentrativa. Io ci ho aggiunto anche delle piccole frasi sul mio amore Monica e ho scritto i nostri nomi in caratteri Hiragana… spero che vada bene anche così, ma lo scopo del ricalcare doveva essere quello di concentrarsi sulle attività e non su altro, un principio di meditazione (mi spiegano). Finito questo entriamo nel giardino che è una meraviglia, è un Moss Garden, dove pare ci siano quasi 1200 tipi diversi di muschio. E soprattutto è proibito parlare, finalmente c’è silenzio e anche una cosa inconsueta e non vista negli altri giardini, cioè paperelle nei laghetti. La luce del sole che filtra consente di apprezzare a pieno tutte le sfumature. Bellissima esperienza, ma forse troppe persone anche se silenziose, comunque si comprende come in solitudine in un posto così bello e tranquillo si possano percepire energia e meditare. Dal tempio ci dirigiamo al vicino Onsen Fu Fu, nei pressi della stazione di Arashiyama: un onsen piccolo ma comunque una esperienza unica tipicamente giapponese che comprende un lavaggio a fondo ognuno sul proprio sgabello davanti a un lavandino con nappo della doccia, sapone corpo e shampoo, completamente nudi.. poi ci si mette a mollo in vasche con acqua a temperatura diversa, con davanti un giardino roccioso. Molto rilassante e particolare soprattutto la parte del lavaggio, come si vede in Perfect Days e, come apprendiamo, parte essenziale della pulizia del corpo necessaria per relazionarsi con le divinità..

Seconda parte della giornata dedicata allo shopping.

La sera ci togliamo lo sfizio di una vera Sushija di livello: andiamo al Sushi Taka in zona Gion, a tre minuti dal nostro appartamentino e per tempo (18,30); su Tripadvisor spiegano che il locale è rinomato anche perché c’è da aspettare una mezzoretta già alle 18,30: siamo i primi in attesa e in effetti ci fanno entrare dopo 20 minuti. Serviti al bancone, con vista sul cuoco che con mani abilissime prepara il cibo, molto buono peraltro.. cena di qualità anche se battiamo il record della vacanza (29 euro a persona incluso il sake’). Torniamo a casa presto, domani mattina torniamo a Tokyo.

Giorno 14 – Tokyo

shibuya

Dopo l’ultimo viaggio a bordo dello Shinkansen arriviamo alle 10,28; prendiamo la Yamanote e verso le 11 siano alla stazione nei pressi dell’albergo nel quartiere Shinjuku, quello più alla moda, luminosissimo di notte e insieme a Roppongi il clou della vita notturna dei locals. Qui gli alberghi costano di più a “inferiorità” di dimensioni delle camere, infatti ci è toccato fare una specie di gioco di incastri per piazzare le valigie e comunque da una parte il letto rimaneva irrimediabilmente attaccato alla parete. L’hotel, il Super Hotel Shinjuku Kabuchico (non tanto super), aveva una cosa particolare che avevamo letto ma mai trovato, cioè una rastrelliera con cuscini di riserva: una volta sdraiatici per riposino abbiamo capito: i cuscini erano duri, con dentro dei semi o qualcosa di simile, magari ci si poteva anche abituare, ma guarda caso era l’unico albergo con i cuscini di riserva, che infatti venivano regolarmente razziati. Partiamo direzione zona di Roppongi dove ci aspetta il pranzo prenotato su internet al Gonpachi (unico spazio disponibile alle 12,30). Già nella prima stanza ci sono foto del proprietario (tutt’altro che giapponese) insieme a celebrità come Bian May e Roger Taylor dei Queen, Iniesta, John Travolta.. entriamo e chi come me ha amato i due Kill Bill non può non provare emozione accedendo all’ampio locale dove si svolge la scena forse più iconica del vol.1 e forse dell’intera opera. Chiaramente al centro del locale non c’è la pedana dei combattimenti di Beatrice Kiddo ma la cucina a vista e banconi che la circondano ma è tutto come nel film. Peraltro mi sbaglio a cercare il bagno e vado a finire al secondo (terzo per i giapponesi) piano, dove trovo il giardino dove hanno girato l’ultima scena, in realtà un terrazzo pavimentato ma con l’inconfondibile alberello sulla sinistra. Il cibo non è male, nemmeno caro, ma prenotate per tempo, specialmente se volete fare cena. Dopo pranzo ci dirigiamo verso uno dei bagni pubblici di Perfect Days, che è nei pressi… ormai la prima parte della giornata destinata ai film girati a Tokyo è finita.

Torniamo in albergo scendendo alla stazione Shinjuku East e ci si para davanti il famoso gatto tridimensionale che appare su un palazzo sulla sinistra. Già si intuisce la atmosfera di confusione e la grande presenza giovanile, noi infatti ci sentiamo discretamente fuori posto. Sulla destra un palazzo di Karaoke, in fondo il Gracery Hotel, enorme grattacielo sul quale troneggia la testa di Godzilla, un attraversamento strade che, col senno di poi, vede più persone del famoso Scramble Cross di Shibuya, e tantissimo altro, da provare specialmente  giovani. Piccolo pit stop in Hotel e poi a piedi verso Shibuya.

È già tardino, attraversiamo animatissime strade, poi aumenta il buio e alla stazione del parco Yoyogi cerchiamo di proseguire in metro, peccato che sono le 18 e non c’è posto nemmeno per uno spillo nei vagoni. Ci tocca tornare indietro verso nord dove si trovano molti posti. Per cena ci spostiamo verso una località che si trova appena attraversata la ferrovia tramite un sottopassaggio a livello di Shìnjuku east. Entriamo in Omoide ma non troviamo posto nei piccoli locali per al massimo 4 persone (preferibilmente 2 perché in Giappone sono molto scaramantici e il 4 porta male, Yon vuol dire 4 ma anche morte..). Cerchiamo altrove, tanto a Shinjuku si trova sempre qualcosa fino a tardi.. la qualità stavolta è stata molto scarsa, a partire dalla pulizia e dal servizio. Dopo questa specie di “cena” io e Monica ci avventuriamo nella esperienza del Karaoke. Immaginavamo il Karaoke Bar, invece ci portano in uno dei box insonorizzati dove troviamo il nostro drink, poi con una certa difficoltà da boomer riusciamo a mettere qualche base musicale, che poi regolarmente ritornava anche se premevamo stop, ma alla fine ci siamo molto divertiti. All’uscita vediamo una fila ad un grattacielo. Visto che scorreva veloce andiamo a vedere e ci accorgiamo che a Shinjuku il mondo animato è fuori ma anche e soprattutto dentro: un bar spaziale, sale giochi anche lì, teatri e in cima anche un bel bar con vista sulla notte colorata di Tokyo. La nostra età sommata faceva almeno 6 ragazzi, tutti molto allegri. Torniamo a letto, conservando almeno una vaga idea di questa città nella città che è Shinjuku.

Giorno 15 – Tokyo

harajuku

Subito a vedere gli ultimi due bagni pubblici vicino al parco Yoyogi, quello con le forma di funghi e quello con le pareti che si oscurano se chiudi la serratura interna; purtroppo l’effetto di opacamento che si percepisce nel film non funziona, è tutto uniformemente opacato, ma sono quelli e i vetri devono essere molto resistenti visto che intorno dei ragazzini giocano a pallone. Ci facciamo poi una passeggiata nel parco Yoyogi, bello, grande e con foliage (credo sia il parco più grande e bello di Tokyo); ci dirigiamo verso il quartiere Harajuku e in particolare verso Omotesando, l’equivalente di Ginza nella parte ovest di Tokyo.

L’elemento più eclatante è rappresentato dalle file (ne abbiamo trovata una di almeno 200 metri, misurati a passi) per la qualsiasi.. e pare che di pomeriggio ce ne siano anche di più e più lunghe. Abbiamo chiesto a qualche giovane in fila (età media molto bassa) e praticamente tutti aspettano l’apertura del negozio, diventato virale sui social o di marca (tipo Fendi). Davanti a una caffetteria che avrebbe chiuso il mese successivo c’era chi aspettava da 4 ore.. poi entri per prima (quasi tutte giovani ragazze) e ti tocca anche il primo caffè che è anche il peggiore. Pare che tutto sia legato ai social e che l’obiettivo sia quello di farsi un selfie da mettere su Instagram o altro.

Abbiamo trovato anche una coppia di sposi che teneva un rinfresco nel bar adiacente a Tiffany e gestito dallo stesso negozio. Omotesando esperienza curiosa che ti lascia un po’ stranito ma che ti fa entrare ancora di più nel Giappone dei giovani. Ci dirigiamo verso il famoso Shibuya Scramble Cross, l’incrocio famoso perché nei giorni di punta attraversano fino a due milioni e mezzo di persone. È sabato mattina e probabilmente mancano molti lavoratori e neanche dallo Starbucks è molto impressionante, ma una occhiata merita. Alle 12,30 abbiamo un appuntamento con gita GuruWalk. Prima Monica si fa la foto di rito accanto alla statua del famoso cane Hachiko che ha aspettato per dieci anni proprio lì il suo padrone che nel frattempo era morto. La guida del giro è Alec, un giovane giapponese di Okinawa con padre messicano che abita a Tokyo da 4 anni. Ci spiega perché i giapponese sono così fissati con il Pachinko, che è semilegale, dato che il gioco d’azzardo è proibito, hanno inventato questo sistema per cui tu giochi soldi in queste macchinette con video collegati per provare a vincere delle palle-palline che contengono oggetti che possono essere scambiati con soldi presso sportelli fuori dalla sala giochi; pare che lì intorno e in tutto il Paese girino membri della Yazuka, la potente mafia giapponese, che controlla le sale da gioco.

Alec ci fa passare dal piano terra (o primo, vedi sopra) di un DonQuixote, grande magazzino a 7 piani dove si trova di tutto (loro li chiamano Donki). Dato che mi trovo davanti a una guida giapponese gli chiedo una roba che mi frulla nella testa da quando ho iniziato a studicchiare la lingua: “mia moglie” si dice “tsuma”, e l’aggettivo noioso/a si dice “tsumaranai”.. pare evidente che ci sia la stessa radice: dato che si dice che in Giappone ci sia un certo permanente maschilismo, la cosa mi incuriosisce. Lui non ci aveva fatto caso, prova a rispondere che lo stesso Kanjj significa cose diverse a seconda dei contesti, della classe sociale, della frase, poi però mi fa due inchini di scuse, che magari doveva fare a Monica. Alec ci porta nello Yoyogi Park, dove ogni settimana c’è un festival nazionale (questa settimana la Spagna) e poi torniamo indietro fino all’ingresso del tempio Menjii, quello dove giusto il giorno precedente uno dei torii (poi vediamo anche quale) è stato sfregiato da un giovane turista americano zuzzurellone di 65 anni; peraltro pare che se ti arrestano qui te la vedi bruttina.

Ci fa purificare all’ingresso (acqua nella mano sinistra, poi si passa nella destra, si riunisce e si porta alla bocca senza berla), poi ci mettiamo in fila e al nostro turno gettiamo una monetina in delle feritoie Poi due inchini, due battiti di mano e poi un altro inchino finale che facciamo anche all’ingresso e alla uscita dai torii. Alec ci spiega che i giapponesi non sono religiosi, casomai scaramantici, soprattutto a Tokyo, mentre a Kyoto hanno conservato religiosità. Come ultima meta torniamo a Harajuku; durante il viaggio Monica chiede il significato del dressing code e delle vestizioni da personaggi tipo Manga. Alec ci spiega che il tutto si può ricondurre a un movimento di protesta giovanile contro la rigida sobrietà imposta dalla tradizione giapponese. Ci addentriamo in Takeshita Dori, che sembra più stretta di quello che è per la calca di persone, prevalentemente turisti: carina ma non vale la pena ripercorrerla per tornare alla stazione di Harajuku. Torbate indietro solo se vi siete perso il pigbar, dove piccoli maialini stanno in grembo a ospiti paganti… ce ne saranno una ventina, più degli ospiti. De gustibus non disputandum est, come diceva il mio nonno in italiano riferendosi a chi “ciuccia” i pomelli del letto in ferro battuto (lui non diceva “pomelli”, ci siamo capiti). Peraltro volendo si può giocare in altri locali, sempre pagando, con un hamster o altri animali. Appena fuori sulla destra un negozio che propone dei cuccioli di cane o catto, non abbiamo capito bene se sono cani o gatti.

Torniamo in albergo passando attraverso le vie di Shinjuku che si stanno animando e si sta già formando una doppia fila affrontata di giovanissimi ragazzi e ragazze vestiti (le ragazze anche poco) in maniera pittoresca e con dei cartelli con su scritto 1000 o 3000 o 5000 fino a 10000 yen: il quartiere Kobachico di Shinjuku era quello a luci rosse: i prezzi esposti sono quelli che devi pagare per andare a bere insieme a loro, poi quello che può succedere dopo non si sa. Insomma un meccanismo tipo Pachinko 2, essendo la prostituzione proibita. Piccola sosta in hotel e poi ripartiamo verso l’ultimo obiettivo, il Metropolitan Government Building che raggiungiamo in una mezzoretta a piedi sotto una pioggerellina insistente. C’è una fila di circa 20 minuti (non eccessiva per il Sabato sera), ci fanno entrare nell’ascensore che gratuitamente porta al 45mo piano da dove una bella vista notturna di Tokyo vista dalla parte ovest.. forse più bella l’esperienza della Tokyo Tower, ma comunque consigliabile se avete tempo. Torniamo in albergo dove Claudio ha organizzato un mini rinfresco per il suo compleanno e poi ultima esperienza ristoratrice. Avevamo scelto un ristorante salutistico con ottime recensioni ma lo troviamo chiusi per cui entriamo in un altro nei pressi dove facciamo la esperienza dello shobu-shobu: ogni avventore ha ai tavoli uno spazio per hot-pot, che vengono riscaldate da fornellini disposti sotto il tavolo. Ti portano verdure, funghi e carne e ti fai il brodino bollente dove poi metti a cuocere i pezzi di carne, peraltro molto buoni: ottima esperienza, da consigliare e al solito buon prezzo. Per digerire andiamo a fare un giro al limitrofo Golden Gai, con vicoletti pieni di localini bar-ristorante, frequentato a quest’ora da molte persone fra cui giapponesi non proprio esempio di gentilezza a meno che non abbiano da contattare le persone non in compagnia per offrire sostanze illegali, comunque un posto adatto per provare locali “essenziali” e magari partecipare a un karaoke, lì davvero tutti insieme e a prezzi molti bassi.

Giorno 16 – Rientro in Italia.

In circa un’ora siamo perfettamente in orario ad Haneda con la metro (spesa circa 6 euro), ci separiamo dai nostri fedeli e utilissimi pocket wifi e ci mettiamo in coda per la consegna bagagli al check-in.

Viaggio in Giappone. Informazioni utili

Spesa a persona per 15 giorni con sistemazione in camere di almeno 15 metri quadrati: 3300 euro (inclusi ingressi ai templi) con volo diretto; con uno o più scali si può risparmiare 200-300 euro a persona. Si può spendere meno scegliendo camere più piccole e ancora meno optando per ostelli o cabin hotel; molto di più se si scelgono alberghi di livello maggiore e ristoranti di alta cucina.

Trasporti

Fare la Suica assolutamente (peraltro ci si acquista anche ai Market e nei negozi e si accede anche a qualche tempio). Japan Rail Pass solo se fate almeno 4 tratte con lunghe distanze, altrimenti è più conveniente fare i biglietti alla Japan Rail per gli Shikìnkansen, alla Tovìbu per Nikko, o anche prenotare online. Anche con Japan Rail Pass conviene sempre prenotare il posto, specialmente nelle tratte molto frequentate come Tokyo-Nikko e Tokyo-Kyoto. Per spostarsi a Tokyo metropolitana e Yamanote Line, volendo qualche bus. La Yamanote e gli Shinkansen, entrambi a gestione JR, si riconoscono dal colore verde chiaro. A Kyoto e dintorni ci si sposta più con treni di superficie e bus.

Telefono e internet

Si possono fare anche contratti o usare schede giapponesi, ma noi ci siamo trovati molto bene (e probabilmente abbiamo speso meno e siamo stati sempre tranquilli e coperti) con il pocket wi-fi, che si può prenotare e ritirare all’aeroporto o, probabilmente, anche acquistare direttamente sul posto. Una power-bank è fornita con il pocket ,a conviene portarne anche un’altra dietro.

Ristoranti e cibo

Sfatiamo il mito che mangiare in Giappone è molto costoso: le nostre migliori esperienze quotidiane sono state nei posti per giapponesi, con i banconi o comunque con pochi posti. Nella maggior parte dei locali ci sono pochi posti, solitamente sono organizzati per  due persone e cercano di evitare tavoli per quattro (vedi sopra significato del numero 4). Per spendere 30 euro bisogna impegnarsi ma ce la si può fare anche a spenderne 150; noi abbiamo speso una media di 30 euro al giorno fra colazione, pranzo e cena e siamo tornati senza disturbi e con lo stesso peso della partenza. Si beve birra (molto buona e leggera), tè o sakè di solito.

Intolleranze

Questo è un tasto dolente. Sono molto indietro e peraltro ficcano il latte dovunque nei prodotti dei mercati più o meno super: in quelli più spaziosi qualcosa si trova.

Natura

Non siamo stati in montagna o al mare, ma la capacità dei giapponesi di creare e mantenere (intere squadre impegnate) i giardini paesaggistici è impressionante.

Persone

Alla fine del viaggio io e Monica abbiamo fatto la classifica delle cose che ci hanno più impressionato positivamente e in testa c’era la “gentilezza” dei giapponesi. Sono anche molto ordinati e corretti e, almeno dove siamo stati, non si percepiva mai alcun pericolo pur senza vedere quasi mai forze dell’ordine.

Luoghi

Tokyo vale una visita di almeno 4-5 giorni; Kyoto e dintorni 5 giorni. Kanazawa vale per il giardino Kenrokouen e per l’atmosfera di Giappone più indietro e più antico: un giorno può anche bastare.

Periodo dell’anno

Noi siamo stati fortunatissimi con il meteo; se avessimo aspettato altri 10-15 giorni il foliage sarebbe stati al top, ma ci sarebbero state meno ore di luce, più freddo e maggiori possibilità di precipitazioni. Altro periodo top è quello della fioritura primaverile dei ciliegi, ma anche qui il cambiamento climatico l’ha spostata, quindi è un po’ un rompicapo.

Vestiario

A cipolla, prevedendo di passare da 7-8 fino a 25 °C (credo che Kyoto sia sullo stesso parallelo di Tunisi)

Riduttori

Gli alberghi di solito sono organizzati per il voltaggio diverso e per le multiprese, ma conviene portare con se un adattatore da viaggio universale.

Pulizia

Non si vedono rifiuti di nessun tipo per le strade, però nemmeno cestini o cassonetti (se non sporadicamente) che invece trovate nei bagni, i quali sono generalmente pulitissimi, con sedile riscaldato, musica, e lavaggi delle parti intime con piacevole getto caldo.

Guarda la gallery
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