È uno degli arcipelaghi più lontani al mondo, ma solo qui si possono visitare le isole del sorriso e degli ex-cannibali

Scritto da: balzax
Partenza il: 05/07/2014
Ritorno il: 15/07/2014
Viaggiatori: 1
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All’arrivo alle Fiji si rimane subito colpiti dai sorrisi della gente e dal calore dei saluti (“bula!!”) di tutte le persone che si incontrano (doganieri, impiegati, cambiavalute, tassisti, commesse). Immediatamente si percepisce un senso di amicizia e di comunanza che è raro trovare in altre parti del mondo. Ci si sente come “adottati” dalla popolazione locale. Eppure, quello che oggi è uno dei popoli più cordiali e amichevoli del mondo, fino alla metà del XIX secolo era un’accozzaglia di tribù feroci perennemente in lotta tra loro, che si affrontavano scagliandosi giavellotti di bambù e roteando mazze taglienti e uncinate in grado di infierire colpi devastanti. I perdenti facevano una bruttissima fine: i prigionieri sopravvissuti alla battaglia molto spesso venivano fatti a pezzi, cucinati e divorati durante i banchetti dei vincitori. In queste isole il cannibalismo era una pratica comune e costituiva la massima forma di espressione della supremazia sul nemico vinto, come si leggerà più avanti nel diario.

Fiji, un arcipelago da conoscere

Le Fiji si possono raggiungere dall’Italia con un solo scalo aereo via Hong Kong con la Cathay Pacific, proseguendo poi con Fiji Airways che vola da Hong Kong a Nadi due volte la settimana. In alternativa, ci si può arrivare dall’Australia o dalla Nuova Zelanda.

Queste isole, chiamate anche Viti in lingua locale, sono un arcipelago dell’Oceania situato nel cuore dell’Oceano Pacifico (distano da Roma “soli” 17mila chilometri) e costituiscono una repubblica indipendente. L’arcipelago è costituito da 322 isole, di cui 106 abitate permanentemente, più alcune centinaia di isolotti disabitati. Le due isole più importanti sono Viti Levu e Vanua Levu, che contano circa l’87% della popolazione, che in totale assomma a 850.000 abitanti. La metà circa appartiene al ceppo melanesiano dei Fijiani. Il resto sono indiani (44.8%), fatti venire qui dai coloni inglesi che avevano bisogno di manodopera per tagliare la canna da zucchero, cinesi e c’è un’esigua minoranza di europei che vive nella parte sudorientale di Viti Levu.

Le isole sono montuose, con cime alte fino a 1300 metri, e coperte da fitte foreste tropicali. Viti Levu ospita la capitale Suva, ed è la residenza di circa tre quarti della popolazione. L’area totale compresa entro i confini della nazione è di circa 194.000 km², di cui però solo il 10% è rappresentato da terre emerse.

Le Fiji sono il primo posto al mondo a vedere il nuovo giorno. Il 180º meridiano passa proprio attraverso Taveuni, un’isola Fijiana del nord-est, ma l’International Data Line viene appositamente deviata per consentire a tutto il gruppo di isole di avere la stessa ora. Perciò, se si viaggia nel Pacifico in direzione Ovest, per esempio da Papeete a Nadi, pur impiegandoci poche ore si arriva il giorno dopo.

Le lingue dell’arcipelago

La lingua ufficiale è il Fijiano, idioma di ceppo austronesiano. La lingua Fijiana però è parlata solo da circa il 40% della popolazione, più un altro 20% che lo parla come seconda lingua. Quasi tutti parlano correntemente l’inglese, al punto che capita abbastanza raramente di sentire conversazioni in Fijiano. La numerosa comunità indiana parla l’hindi.

La parola buona per tutti gli usi e i momenti è “bula”, che vuol dire un po’ di tutto: ciao, arrivederci, benvenuto, come stai. Ognuno di questi significati dipende dalla situazione. La parola letteralmente significa “vita” ma è più comunemente usata come saluto, come il nostro “ciao”. “Bula” si usa salutando la gente per strada, conoscendo nuovi amici, in qualsiasi tipo di incontro o per augurare felicità e buona salute. Dovunque andiate, chiunque incontriate, sarete sempre accolti con affettuosi “bula” da parte della cordialissima popolazione Fijiana. Se risponderete al saluto sarete immediatamente ricambiati con sorrisi e calore. “Bula” è una specie di parola magica che descrive uno stile di vita semplice e allegro. Non a caso le pittoresche camicie colorate “hawaiane” che si trovano dovunque alle Fiji si chiamano “bula shirt”.

Un’altra parola che si sente spesso è “vinaka”, che vuol dire grazie. Quasi tutti i discorsi si concludono con un caldo “vinaka” finale.

Cosa vedere alle isole Fiji tra natura, templi e giardini

Viti Levu

Viti Levu è l’Isola più grande delle Fiji, nonché quella più abitata e più importante dal punto di vista politico e commerciale. Ha una superficie di 10.400 kmq (più o meno come l’Abruzzo), il che la pone al 75mo posto tra le isole più grandi del mondo. La zona occidentale dell’isola gode di un clima secco, con cieli spesso limpidi e sole splendente, mentre la zona orientale è caratterizzata da nuvoloni e frequenti acquazzoni.

L’intero perimetro dell’isola è percorso da una buona strada statale che si divide in Queens Road e Kings Road. La Queens Road è completamente asfaltata e percorre l’isola in direzione sud-est da Lautoka e Nadi verso Suva. La Kings Road è in parte non asfaltata, ma comunque transitabile anche con un veicolo normale, e unisce Suva a Lautoka lungo la costa est e nord. Percorrere tratti di strada non asfaltati può essere un po’ avventuroso, ma alla vista si offrono panorami incredibili e c’è sempre la possibilità di fermarsi per una visita a uno dei numerosi villaggi tradizionali Fijiani. Il giro completo dell’isola è lungo circa 450 km.

Le principali attrattive di Viti Levu si trovano lungo la Queens Road e sono descritte nelle prossime pagine del diario.

Garden of the Sleeping Giant

Il giardino dello “Sleeping Giant”, ovvero del gigante dormiente, è uno splendido parco botanico che si trova a pochi chilometri dall’aeroporto internazionale di Nadi, in direzione nord. Il giardino occupa una collina ai piedi della catena montuosa del Sabeto, che ha una forma singolare somigliante alla sagoma di un gigante addormentato, da cui il nome del parco. La passeggiata attraverso i padiglioni del giardino è piacevolissima e rilassante. Oltre ad alcuni ambienti naturali locali, con alberi d’alto fusto, pozze d’acqua con ninfee, scorci di foresta tropicale e heliconie penzolanti dai tronchi delle palme, colpisce l’incredibile numero e varietà delle orchidee presenti, a cui è dovuta la fama del parco. Il giardino fu ideato nel 1977 per ospitare la collezione privata di Raymond Burr (più noto come Perry Mason) ma a seguito del grande entusiasmo che ne scaturì i Fijiani hanno deciso di trasformarlo in un vero e proprio parco.

Alla fine del tour la gentile custode del giardino vi offrirà un fresco succo di ananas o mango da gustare mentre vi riprendete dalla camminata per la visita.

Nadi

Nadi (pronuncia “nandi”) è la terza città delle Fiji per dimensioni, in sostanza un paesotto con circa 10.000 abitanti. Circondata da estese piantagioni di canna da zucchero, è il maggiore centro turistico di Fiji. Qui si trova la più alta concentrazione di alberghi e villaggi. Il territorio circostante è vario e piacevole, con tratti di campagna coltivata a taro e yam, colline verdeggianti e spettacolari viste sulle zone montane da una parte o sull’oceano dall’altra.

Nadi è la base migliore per l’escursione verso le Mamanuca, le Yasawa e gli altri arcipelaghi a Ovest. A Nadi ho alloggiato al Club Fiji Resort, che si trova sulla baia di Denarau Marina alla periferia della città, per circa 70 € a notte.

Sri Siva Subramaniya Swami Temple

sri subramaniya swami

Mai più uno si immaginerebbe di trovare un tempio indù qui in mezzo all’Oceano Pacifico. Invece c’è: Sri Subramaniya Swami è un bellissimo tempio indù che si trova alla periferia di Nadi, in direzione sud. Il tempio è uno dei pochi al di fuori dell’India (altri sono a Singapore) che permettono di ammirare la tradizionale architettura dravidica tipica dell’India del sud. Sicuramente è quello che si trova più a oriente. Il tempio e gli edifici laterali che compongono il complesso sono decorati con centinaia di statuine di legno colorato delle divinità indù, portate qui direttamente dall’India. Il peso, l’altezza e la larghezza di ognuna delle rappresentazioni hanno uno specifico significato religioso.

Il tempio si può visitare pagando una modesta quota di ingresso. Quando visitate Sri Siva Subramaniya, ricordatevi che è un luogo sacro e quindi degno di rispetto. E’ necessario vestirsi in modo decoroso e togliersi le scarpe. Dentro il tempio è proibito scattare fotografie, che invece sono permesse in tutta l’area esterna.

Sigatoka

A circa 80 km da Nadi, Sigatoka (pronuncia “singatoka”) è una bella cittadina posta sul fiume omonimo, dominata da una colorata moschea-albergo-ristorante posta su una collina all’imbocco della Sigatoka Valley che si estende verso l’interno. A Sigatoka ci sono molti negozietti che vendono manufatti di artigianato locale e ci sono ottime opportunità di trovare souvenir da portare a casa. I migliori sono quelli della catena “Tappoo”. Io ho preso delle collanine di conchiglie e un completino da bagno con reggiseno di cocco e gonnellino di paglia che devo ancora decidere a chi regalare.

Poco prima di arrivare alla città, lungo la Queens Road, si incontra l’ingresso del Sigatoka Sand Dunes Park, che è un parco ricavato lungo un tratto della costa sud di Viti Levu. Le dune si trovano a est della foce del fiume di Sigatoka, il secondo fiume più grande delle Fiji. Esse sarebbero generate dell’erosione fluviale dell’entroterra costiero con conseguente accumulo di sabbia e detriti di varie età e origine.

Potete scegliere tra la passeggiata individuale breve, di 1 ora – 1 ora e mezza, oppure la visita guidata che dura 4 ore. Il percorso si snoda tra alcuni avvallamenti a ridosso dell’oceano, poi prosegue accanto alla lunga lingua di spiaggia dove si trovano le dune, è piacevole e affatto stancante.

Kula Eco Park

Il Kula Eco Park è un parco naturale situato nella parte sud della costa di Viti Levu, circa a metà strada tra Nadi e Suva. Su una serie di passerelle di legno si attraversano ruscelli e aree di foresta pluviale. Lungo il percorso sono posizionate ampie gabbie e voliere che ospitano animali e uccelli tipici o endemici delle Fiji: le iguane verdi, i pipistrelli frugivori, colonie di tartarughe di mare e il lori solitario, un bellissimo pappagallo dal piumaggio granata e verde-azzurro che è l’uccello simbolo nazionale delle Fiji. C’è anche un acquario dove vengono tenuti pesci tropicali e coralli vivi. All’entrata del parco e in alcuni stand lungo il percorso vengono presentati momenti della vita delle antiche popolazioni Fijiane, con ricostruzioni storiche, attrezzi di lavoro, armi da guerra, raffigurazioni di artisti dei villaggi.

Riguardo alle iguane verdi, sicuramente ve le troverete tra le palme e nei giardini degli alberghi: attenti a quando scartate una caramella o addentate un biscotto, perché le simpatiche bestiole sono in agguato pronte ad arraffare il dolcetto che avete in mano.

Il Kula Eco Park è stato riconosciuto più volte come una delle migliori attrazioni turistiche in Fiji. Viene finanziato da alcuni enti nazionali ed internazionali per la salvaguardia e il ripopolamento della fauna tipica dell’arcipelago, tra cui The National Trust for Fiji, The Endangered Species Recovery Council di San Diego (USA), The Parks Board del New South Wales (Australia) e molti altri.

Coral Coast

La Coral Coast si estende per 130 km nel sud di Viti Levu, lungo la Queens Road. Questa parte è la più varia e interessante del periplo dell’isola. Si attraversano foreste di verde lussureggiante, baie sul mare, villaggi di pescatori con le barche per la pesca dei granchi, campi coltivati a taro e canna da zucchero, estesi palmeti, numerosi fiumi che si ingrossano o rimpiccioliscono a seconda del tempo trascorso dall’ultimo temporale. Molti dei prodotti locali vengono venduti lungo la strada in mercatini improvvisati.

La Coral Coast offre diversi tipi di alloggi, dai mega-resort grandi e costosi fino a sistemazioni più popolari e semplici, inclusi ostelli e backpackers. Tutti offrono una magnifica vista sul coral reef.

Pacific Harbour

Pacific Harbour è un complesso residenziale a circa 40 km da Suva, realizzato su una palude bonificata. Le strutture di Pacific Harbour sono ad esclusivo uso e consumo dei turisti: strade ampie, prati tosati alla perfezione, stagni con ninfee creano uno scenario da giardino californiano decisamente insolito per le Fiji. Gli abitanti del posto però ne vanno orgogliosi, e si capisce bene vista la quantità di denaro e commerci che viene smossa dai turisti ospitati nei complessi e negli alberghi. Interessante da vedere qui è l’Arts Village, che è un’esposizione della cultura Fijiana con spettacoli a tema. Attori del posto vestiti in abiti tradizionali ingaggiano finte battaglie o si esibiscono in varie dimostrazioni, tra cui le camminate dei “firewalkers” sui carboni ardenti, la festa del “lovo” e le danze tradizionali. Il programma giornaliero degli spettacoli è esposto all’ingresso dell’Arts Village.

I firewalkers delle Fiji

Uno degli spettacoli più emozionanti e richiesti dai turisti che visitano le Fiji è la camminata sul fuoco a piedi nudi, su un letto caldo di brace o pietre. I posti migliori per assistere a questa performance sono Pacific Harbour e i resort dell’isola di Beqa.

Lo spettacolo si svolge secondo una cerimonia guidata da un capo-sacerdote, il “bete”, al cui comando i camminatori preparano il fuoco e poi si muovono al comando di “Vuto-o” che è il segnale di inizio della marcia sulle pietre roventi. L’effetto scenico viene reso più evidente dai protagonisti che prima di iniziare il firewalking gettano sulle pietre felci e erbe secche che prendono immediatamente fuoco.

Assistere a uno spettacolo di firewalking è un’esperienza sorprendente e coinvolgente. I firewalkers seguono un rito complesso, che comprende la preparazione del fuoco, il riscaldamento delle pietre, esercizi di prova della temperatura raggiunta (come fare accendere pezzetti di carta per il solo appoggio sulle pietre roventi) e finalmente la vera a propria “camminata”. Questa è in effetti molto veloce: i firewalkers non stanno mai molto tempo sulle pietre roventi, e continuano a muoversi senza mai poggiare a lungo i piedi.

L’Arts Village Centre e altri resort e hotel di Pacific Harbour propongono spettacoli pomeridiani e serali di firewalking, che hanno come protagonisti i famosi camminatori dell’isola di Beqa che si trova proprio davanti alla costa.

Un altro esercizio di firewalking praticato qui nelle Fiji è quello degli hindu che camminano sulle braci ardenti durante il Diwali festival di inizio anno. Si tratta di un esercizio diverso da quello sulle pietre dei camminatori di Beqa, ma comunque rischioso, anche se la camminata sulla brace degli indù è ritenuta meno pericolosa di quella sulle pietre roventi. Qualcuno ricorderà che in passato essa fu presentata anche alla TV italiana dal giornalista Mino Damato e dall’illusionista Giucas Casella, durante lo spettacolo televisivo della domenica pomeriggio.

La festa del “lovo”

Il lovo è la tradizionale forma Fijiana di cottura del cibo. Il primo passo per la preparazione di un lovo consiste nello scaldare le rocce che serviranno come base al forno. Delle pietre appositamente selezionate vengono scaldate al fuoco in modo da assorbire il calore. Quando le rocce sono sufficientemente riscaldate, si tolgono dalle fiamme e vengono poste nella parte inferiore di una fossa poco profonda.

Intanto si preparano i cibi da cucinare: pollo, pesce e carne di maiale vengono avvolti strettamente in un intreccio di foglie di palma o di foglie di banana e quindi si pongono in fondo alla fossa lovo. Sopra si mettono varie radici, come il dalo (bulbi e tuberi della pianta di taro), la manioca (radice della pianta tapioca) e l’uvi (patate giganti note anche come “wild yam”). Una volta che la fossa è piena, l’intero foro viene riempito con terra e si lascia cuocere il tutto da due a tre ore a seconda della quantità di cibo. Trascorso questo tempo, i Fijiani dissotterrano il contenuto del lovo con notevole allegria ed eccitazione. I bocconi che emergono sono tolti dal forno naturale e collocati su grandi foglie di banano, fino all’inizio della festa. Il gusto è simile a quello di un barbecue, solo un po’ più affumicato, ma è un modo molto efficiente per cucinare grandi quantità di cibo insieme.

La danza tradizionale “meke”

meke

Un altro spettacolo offerto a Pacific Harbour sono le danze tradizionali. Quella più spettacolare è il meke, che è una danza tipica Fijiana che teoricamente dovrebbe essere eseguita durante feste e festival, ma in realtà oggi viene proposta più spesso a uso e consumo dei turisti.

Nel meke i maschi e le femmine danzano separati senza mai ballare insieme. La danza maschile è chiamata “meke moto”, si svolge con grandi salti e implica quasi sempre l’uso di lunghe lance o mazze da guerra. Questa danza maschile è destinata a simboleggiare il valore degli antichi guerrieri del villaggio. Occhio perché le vostre gentili compagne di viaggio potrebbero non rimanere insensibili ai balzi dei muscolosi danzatori Fijiani.

La danza femminile è invece chiamata “seasea” ed è caratterizzata dall’ uso di tradizionali ventagli e da movimenti rapidi con le mani e le braccia.

Namosi highlands

Le Namosi Highlands sono delle catene montuose che si trovano a nord di Pacific Harbour. Perennemente coperte dalle nubi e spesso avvolte nella nebbia, proprio grazie alla grande piovosità e umidità offrono spettacolari paesaggi di montagna, dense foreste pluviali lussureggianti, fiumi che scorrono in gole profonde e cascate imponenti. Si raggiungono facendo una deviazione dalla Queens Road verso l’entroterra, all’altezza di Nabukavesi. Oppure si può partecipare a un’escursione organizzata da una delle agenzie di viaggi specializzate di Pacific Harbour, che consente anche di effettuare visite guidate nei villaggi.

Navala

Quasi al termine della Kings Road, all’altezza della vivace cittadina di Ba, c’è una deviazione verso l’interno lungo la quale si trovano alcuni villaggi Fijiani ancora costruiti secondo la struttura tradizionale, dove la gente vive nei “bure” coperti di fronde e paglia. La strada, sterrata e sassosa, è meglio farla con un 4×4 (gite di un giorno organizzate da molte agenzie di Nadi).

Il percorso si arrampica sulle Nausori Highlands, le colline dell’interno nel cuore di Viti Levu, tra vallate verdi, ruscelli e bambini che escono dalle case a salutare, fino a raggiungere (40 km da Ba) il pittoresco villaggio tradizionale di Navala, tutto costituito da “bure” fatti con materiali tradizionali. Le gite di un giorno prevedono il pranzo cotto nel “lovo”, il tipico forno interrato Fijiano, e la cerimonia della kava.

Ovviamente, sia a Ba che a Navala vi portano a visitare negozi di artigianato locale nella speranza che facciate qualche acquisto. Alcuni manufatti in legno e le “tapa” in corteccia di pandano non sono affatto male. Il costo di una gita di un giorno a Navala, tutto compreso, è di circa 200 dollari Fijiani (80 €) con Great Sights Fiji, con partenza da Nadi o Denarau alle 8 e rientro nel tardo pomeriggio. Gli organizzatori vengono a prendervi al vostro albergo.

Il “bure” Fijiano e la mancata cerimonia della kava

Il “bure” è la tradizionale casa Fijiana e che sia di paglia o mattoni, solitamente è composta da un unica stanza grande con pochi mobili e senza letti.

Se doveste essere invitati ad entrare in un bure, o comunque in casa di qualcuno, dovrete seguire il protocollo dell’educazione togliendovi scarpe e cappello in segno di rispetto. Mostrandosi attenti alla tradizione si viene accolti con ancora più simpatia e calore.

Qualcosa del genere a me è capitato visitando il villaggio di Yadua sulla Coral Coast. Al momento di lasciare il villaggio mi sono ricordato che la guida Lonely Planet diceva di portare sempre con sé un regalo da dare al capo villaggio in queste occasioni, in particolare un po’ di polvere di kava o yaqona, una radice da cui si ricava un infuso inebriante. Però la mia visita era stata assolutamente improvvisata e involontaria: sono entrato per sbaglio nel villaggio, avendo imboccato con la macchina una deviazione dalla strada principale non segnalata. Così polvere di kava proprio non ne avevo. Preoccupato, ho cercato di rimediare offrendo un biglietto da 20 dollari Fijiani (circa 8 €).

A giudicare dal sorriso con cui il mio dono è stato accolto, credo che i capi villaggio Fijiani siano piuttosto stufi di fare decotti vegetali con le polveri che gli portano i turisti, e non disdegnano affatto la classica mancia pecuniaria.

Lautoka

Lautoka è la seconda città delle Fiji per numero di abitanti. Situata nella parte occidentale di Viti Levu, è considerata il punto di congiunzione tra la Queens Road, che qui ha inizio, e la Kings Road, che qui finisce. È il secondo porto commerciale dell’arcipelago, dopo Suva. È completamente circondata da estese piantagioni di canna da zucchero, tanto da essere soprannominata Sugar City. Qui convogliano dall’intera isola tutti i trenini che trasportano la canna da zucchero, avviati al Lautoka Sugar Mill, uno dei più grandi zuccherifici del mondo.

Un giorno alle Yasawa

Da Port Denarau marina, a 10 km circa da Nadi, South Sea Cruises organizza trasporti e gite verso gli arcipelaghi vicini, in particolare verso le Mamanuca (South Sea Island, Beachcomber, Bounty, Treasure, Mana, Matamanoa, Malolo, Tokoriki) e le Yasawa (Wayasewa, Waya, Naviti, Nacula, Botaira). Matamanoa e Mana sono molto gettonate per viaggi di nozze.

Io ho scelto la gita di un giorno all’Octopus resort di Waya Island, sul giallo catamarano veloce Yasawa Flyer. Costo 90 €, compresa attrezzatura per snorkeling, cocktail di benvenuto sull’isola e uno squisito pranzo preparato dagli abitanti del villaggio di Nalauwaki, a base di eccellente pesce (mahi mahi, un grosso carangide pelagico dalla forma che ricorda la lampuga del Mediterraneo, ma le dimensioni qui sono dieci volte tanto) marinato con lime, cocco e taro. A chi non può permettersi o non ha programmato permanenze più lunghe sui bellissimi gruppi di isolette esterne delle Fiji, consiglio vivamente almeno la gita di un giorno. Per inciso, nel gruppo delle Yasawa, per esattezza a Turtle Island, c’è la “laguna blu” per eccellenza, quella del tropical-polpettone omonimo con Brooke Shields.

Chi invece ha la fortuna di potersi fermare qui per più tempo, non pensi solo alla spiaggia, allo snorkeling e alle immersioni: dietro il resort c’è una fitta foresta tropicale lussureggiante, attraversata da sentieri che portano ai villaggi vicini e dall’altra parte dell’isola. Le passeggiate offrono panorami eccezionali. In più, la visita dei villaggi, che si raggiungono superando la collina che sta dietro l’Octopus resort, vi permetterà di verificare quanto cordiali sono oggi i Fijiani nei confronti dei visitatori (per il dono vale quanto detto al punto precedente, con una banconota risolvete tutto). Suggestiva anche la camminata sulla lingua di sabbia che unisce le isole di Waya e Wayasewa, ma tenete un occhio attento all’orario perché con l’alta marea si rischia di rimanere bloccati sulla spiaggia dell’isola più piccola. In verità, ci sono disgrazie peggiori…

Il capitano Bligh

Nel 1789 il capitano Bligh, quello famoso dell’ammutinamento del Bounty, toccò le Fiji durante le sue peripezie marittime alla ricerca di un approdo. Tentò di attraccare alle Yasawa, ma non fu un’idea felice. Tallonato da vicino da due canoe di indigeni dall’atteggiamento tutt’altro che rassicurante, il comandante Bligh diede ordine all’equipaggio di remare a più non posso e allontanarsi il più in fretta possibile. Di guai ne aveva avuti già abbastanza, e forse si rese conto che stava correndo il rischio di finire in pentola (a quell’epoca il cannibalismo nelle Fiji era pratica comune).

La fuga riuscì grazie a una insperata bufera di vento che fece gonfiare le vele della scialuppa e la spinse al sicuro in mare aperto. Meno male, perché probabilmente alla voga avrebbero vinto i Fijiani. Ciò permise a Bligh di proseguire la navigazione e raggiungere Timor, dove finalmente poté trovare un approdo sicuro. Lasciò però il suo nome al braccio di mare tra Viti Levu e le Yasawa, che ancora oggi si chiama Bligh Water.

Suva

suva

Suva, la capitale delle Fiji è una città di mare che sorge su una penisola, affacciata sulla costa sud di Viti Levu. Questa parte dell’isola è molto piovosa, ma il meteo può cambiare diverse volte anche nel corso della stessa giornata, con alternanza continua di scrosci e sprazzi di sole.

Suva è la sede del governo e dei più importanti uffici statali e imprenditoriali del paese, oltre che di musei, centri culturali, biblioteche e centri commerciali. In città vivono 120.000 persone, che con l’addotto arrivano a circa 200.000. Sulle vie del piccolo centro storico di Suva rimane ancora qualche edificio in legno dipinto a colori pastello che ricorda il passato coloniale. Con la modernità, per le strade si sono aperti ristoranti di vario genere, negozi, caffetterie, cinema, pub e discoteche. Ma obiettivamente caos e inquinamento appaiono concetti ancora molto lontani.

Da non perdere a Suva è una visita al National Museum of Fiji, piccolo ma molto interessante, che si trova in fondo alla città all’interno dei Thurston Gardens, un parco ombreggiato dove ci si può rinfrescare un po’ in caso di caldo eccessivo. Questo eccellente museo affascina i visitatori proponendo un viaggio archeologico nell’evoluzione delle Fiji, politica, culturale e linguistica. Nel museo sono esposti originali esempi di strumenti musicali, apparecchi di cottura, reperti in ceramica, gioielli, collane di denti di balena, una interessante serie di mazze e strumenti di guerra, e una collezione di forchette per la carne umana e utensili usati per il cannibalismo, che offrono una inquietante visione di quel fenomeno, che fino alla fine dell’800 fu una componente culturale e tradizionale della vita dei Fijiani. Un curioso reperto su questo tema conservato nel museo è la scarpa bollita e mordicchiata del reverendo Thomas Baker, un missionario metodista noto per essere stato l’ultimo missionario ucciso e mangiato, insieme a sette suoi seguaci Fijiani, nel villaggio di Nabutautau nelle Namosi Highlands occidentali di Viti Levu, nel luglio 1867. Gli abitanti del villaggio bollirono il reverendo vestito e tentarono di mangiare i suoi stivali sbollentati, ignari del fatto che non erano parte del suo corpo. Dato che il sapore degli stivali bolliti era vomitevole, gli indigeni decisero che i bianchi non erano buoni da mangiare. L’ascia usata per uccidere il reverendo Baker è ancora conservata e visibile a Nabutautau.

Nel museo sono anche esposte diverse canoe e imbarcazioni, tra cui l’imponente Ratu Finau (si vede nelle foto), una “waga”, canoa a doppio scafo mono bilanciere costruita nel 1913, che misura 13,43 metri di lunghezza e comprende un baldacchino coperto per l’alloggio del capo e un ponte chiuso per il tempo inclemente. Per l’epoca, è una notevole opera di design e ingegneria, ma pare che gli antichi navigatori transoceanici Fijiani e tongani arrivassero a costruirne di lunghe fino a 30 metri.

Altrettanto imperdibile è la visita al Municipal Market di Suva. Negli stand del mercato si trova un po’ di tutto. Non mancate di portare a casa qualche colorato “sulu”, i gonnelloni-pareo che vanno bene sia per gli uomini che per le donne, e i “tapa”, che sono dei panni dipinti, decorati per sfregamento o per affumicamento o tinti, ricavati dalla corteccia del pandano o del gelso. I disegni dei “tapa” di solito sono costituiti da una griglia di quadrati, ognuno dei quali contiene motivi geometrici con figure ripetute, come fiori, pesci e piante. Le tinture tradizionali sono di solito marrone, nero e color ruggine.

Per chi come me ama la fotografia, visitare mercati come questo è una pacchia. Alcune foto del Suva Municipal market sono allegate al diario.

A Suva ho alloggiato all’ottimo Novotel Suva Lami Bay, su una laguna alla fine della Queens Road, 8 km prima della città, per 160 dollari Fijiani (circa 63 €) a notte.

Levuka e le Ovalau

A circa 500 metri dal National Fiji Museum, in Thomson Street, c’è il Suva Visitors Bureau dove, dietro mia richiesta, le gentilissime hostess organizzano in mezz’ora una gita di un giorno a Ovalau, l’isola principale delle Lomaiviti (= “Fiji di mezzo”). La gita comprende il volo A/R più il pernottamento al Levuka Homestay, per un totale di 400 FJD (160 Euro).

Le Lomaiviti sono in realtà diversi gruppi di isole separati tra loro, non tutti raggiungibili. Ovalau è la più vicina: si trova una ventina di km a nord di Suva ed è collegata a Suva per traghetto e per aereo. Del gruppo delle Ovalau fanno parte anche alcune isolette nella zona sud (le Yanuca e Moturiki).

Per raggiungere Ovalau le opzioni sono due: via bus + ferry oppure via aereo. La soluzione via bus/ferry, organizzata da Patterson Brothers Shipping, è chiaramente più economica, ma ha il difetto che per il viaggio di ritorno a Suva vi vengono a prendere alle 4.30 di mattina. Molto meglio il volo di 15 minuti che parte tutte le mattine alle 8 da Suva con un turboelica della Northern Air, www.northernair.com.fj e offre vedute spettacolari della costa sud-est di Viti Levu. L’aereo ritorna a Suva alle 8.40.

Sull’isola di Ovalau c’è un minuscolo aeroporto con pista in terra battuta. All’arrivo dell’aereo ci sono dei taxi in attesa per il trasferimento a Levuka, la capitale delle Ovalau, che si trova dall’altra parte dell’isola. Levuka è un paesino minuscolo e delizioso fatto di casette di legno che si affacciano su un’unica strada principale. Eppure questo villaggio, neanche lontanamente paragonabile al concetto di città che abbiamo in mente, è stato la prima capitale delle Fiji, nonché il primo insediamento europeo nel paese.

Il Levuka Homestay si rivela in realtà essere la casa dove abitano i signori John e Marilyn Milesi, una coppia australiana di chiare origini italiane che ha deciso di venire a vivere qui una trentina di anni fa. Per la precisione le origini sono bergamasche, ma devono essere molto molto lontane, perché alla mia domanda se sapevano cosa fosse la “polenta e osei” sono caduti dalle nuvole. Un’ala della casa è dedicata agli ospiti (4 stanze arredate con cura e gusto).

A Levuka si respira un’aria di rilassatezza totale. La giornata scorre tra passeggiate per le vie del paese, nella foresta alle spalle del villaggio e una cena al Whale’s Tale, praticamente l’unico ristorante del luogo (piatto unico un eccellente fish & chips, fatto con dei carangidi locali di cui abbonda il fondale). Un’ottima idea è noleggiare una mountain-bike (5 Euro per l’intera giornata) e fare il giro dell’isola. La strada lungo la costa sud è pianeggiante, mentre è più accidentata lungo la costa nord, comunque sempre su sterrato perché a Ovalau di asfalto non ce n’è. Notevole la Navoka Methodist Church, una delle più antiche chiese Fijiane, fatta di pietra e corallo.

Dietro la chiesa si apre una scalinata di 199 gradini che porta alla sommità della Mission Hill, da cui si apre una bellissima vista sul villaggio e sull’isola.

Levuka è anche un ottimo posto per lo snorkeling, o per le immersioni se siete dei divers. Lo specchio d’acqua davanti al villaggio si chiama Koro Sea. Il fondale è abbastanza profondo e risente poco delle fluttuazioni della marea, che invece in altri punti delle Fiji rendono complicato fare snorkeling senza l’ausilio di una barca. Ciò consente di dedicare allo snorkeling il pomeriggio, cioè il momento della bassa marea. In ogni caso, volendo fare snorkeling più al largo, ci si può accordare con qualche barcaiolo locale.

Il mattino seguente la signora Milesi prepara una deliziosa colazione con caffè, pancake, mango e papaya, in attesa del taxi per l’aeroporto e il ritorno a Suva, con qualche rimpianto a lasciare questo luogo ovattato immerso in una atmosfera d’altri tempi.

Taveuni, l’isola del cambio di data

taveuni

Con un volo di buon mattino da Nadi si raggiunge Taveuni, la più grande delle isole orientali delle Fiji, lunga 42 kilometri e larga 15.

L’aereo è un piccolo De Havilland DC 6 a turboelica che ha ancora i colori della Air Pacific. Fondamentale per questo volo stare vicino al finestrino: lungo il breve tragitto (poco più di un’ora) l’aereo sorvola stupende barriere coralline verde e turchese che si estendono tra le decine di isole dell’arcipelago. Tenete pronto lo smartphone o la macchina fotografica, soprattutto durante l’avvicinamento a Taveuni. Si arriva all’aeroporto di Matei, nel nord dell’isola, praticamente un bungalow al termine della pista di atterraggio. Qui è già pronto lo shuttle del Garden Island Resort di Waiyewo, splendido complesso di “bure” affacciato sul Somosomo Strait. Questo è stato l’alloggio più caro alle Fiji: 150 € notte, ma il luogo è davvero esclusivo e Taveuni è una perla da non perdere.

Conosciuta da tutti come l’isola dell’International data line, Taveuni è considerata l’isola giardino delle Fiji. Una lussureggiante vegetazione ricopre cime vulcaniche che arrivano a toccare i mille metri mentre intorno si aprono vallate zampillanti di cascate e pendici coltivate a dalo e palma da cocco.

Il mare di Taveuni è luminoso e trasparente e vanta una delle più colorate e ricche barriere coralline del mondo, il Rainbow Reef che si estende per 31 km nel braccio di mare tra Taveuni e Vanua Levu. Ma anche chi viene qui senza ambizioni di immersione, come me, trova eccezionali motivi di interesse su questa isola.

L’attrattiva principale è il Bouma National Heritage Park, un bellissimo parco situato nella parte Est dell’isola, a circa un’ora dall’aeroporto di Matei. Dato che i mezzi pubblici su Taveuni scarseggiano, per arrivarci è meglio accordarsi con un taxista di Matei o di Waiyewo. Assieme a una copia di sposini cinesi, ci accordiamo per 150 dollari Fijiani (circa 60 Euro) per l’intera giornata. L’ingresso al parco costa 60 FJD (24 Euro) invece dei 40 che riportavano i dépliant nella hall dell’albergo. Il percorso attraversa una lussureggiante foresta tropicale che tocca 3 cascate (le Tavoro Falls). La prima si incontra subito, a 5 minuti dall’ingresso. Si affaccia davanti ad una larga piscina naturale, nella quale si può fare il bagno tuffandosi da una piccola grotta a sinistra della cascata. Nuotare in questa piscina rocciosa è una sensazione unica che vi darà un’inimitabile senso di libertà.

Continuando la camminata si arriva alla seconda e poi alla terza cascata, a mezz’ora circa una dall’altra, più piccole ma ugualmente spettacolari. Poco prima della seconda cascata c’è una radura dalla quale si ammira una fantastica vista sulle isole di Matagi, Qamea e Laucala, e sulle montagne di Taveuni. È un panorama a 360 gradi di spettacolare bellezza.

Poco distante dal Bouma Park, sulla stessa strada, si snoda il Lavena Coastal Walk, una bellissima passeggiata di circa 5 km tra spiagge, canyon e villaggi. Il percorso si svolge lungo la costa nella zona dove ci sono delle formazioni rocciose e a forma di fungo dette “Vatuni Epa”, poi su un ponte di corde si attraversa il fiume Wainisairi e ci si riporta verso la foresta tropicale. Anche lungo questo percorso si trovano delle cascate con piscina naturale per fare il bagno. La passeggiata durerebbe 6 ore secondo le guida turistica, ma in realtà 3 ore sono più che sufficienti.

A 10 minuti dal resort di Waiyewo, verso il villaggio di Naqara, c’è la bellissima Wairiki Catholic Mission, dove si può partecipare alla messa della domenica che si celebra in una chiesa di pietra costruita nel 1907. Durante la messa si assiste al tradizionale sermone (in Fijiano, purtroppo incomprensibile) e ai melodiosi canti del coro della missione (anch’essi in Fijiano).

Ma la maggiore curiosità di Taveuni è sicuramente il fatto che questa isola è tagliata a metà dalla “dateline“, ovvero il 180° meridiano, quella linea immaginaria che delimita il cambio di data. Chiaramente, per comodità in tutte le Fiji vige lo stesso orario, tuttavia tecnicamente metà di Taveuni vivrebbe il giorno corrente, mentre l’altra metà vivrebbe il giorno precedente. Sulla linea del 180° meridiano ci sono diversi siti dove poter stare (ipoteticamente, s’intende) tra oggi e ieri. Ok, non immaginatevi di trovare un lunga linea marcata sul terreno o qualcosa di stupefacente: i siti che marcano il passaggio del meridiano sono semplicemente segnati con degli originali cartelli divisi a metà per farvi sentire a cavallo della giornata, o, nel caso del sito vicino a Waiyevo, da una pietra per terra. Grazie alla presenza della dateline, le Fiji sono il primo paese al mondo a dare il benvenuto ad ogni nuovo giorno. Non a caso, sulla prima pagina del Fiji Times (quotidiano locale), sotto il logo potrete leggere la scritta “the first newspaper published in the world today”, ovvero “il primo giornale pubblicato al mondo oggi”.

Il cannibalismo nelle Fiji

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Una stanza del National Museum of Fiji. Copyright foto: facebook.com/fijimuseum

Una visita al National Museum of Fiji di Suva colpisce immediatamente il visitatore per la presenza di reperti, immagini e testimonianze scritte che raccontano episodi passati di cannibalismo praticato regolarmente dalla popolazione. Vedendo con quanta gentilezza, cordialità e disponibilità oggi i Fijiani accolgono e trattano i visitatori, riesce quasi impossibile pensare che anni fa questo popolo praticava il cannibalismo come un fatto assolutamente normale. Eppure così è stato, fino alla fine del diciannovesimo secolo.

Le prime testimonianze del cannibalismo nelle Fiji sono state riportate da alcuni viaggiatori e dai missionari che hanno raggiunto queste terre con l’intento di evangelizzarle e convertirle al cristianesimo. Quelli che riuscivano a tornare in patria riportavano storie macabre e raccapriccianti. Non si conta il numero di religiosi e suore finiti in pentola nel tentativo di portare il verbo cristiano in queste terre: per molto tempo i missionari stessi non hanno fatto altro che rifornire di carne fresca la popolazione locale.

Da Alfred St Johnston, Viaggiatore, Fiji Islands, 1883: “I Fijiani amavano la carne umana, e non mangiavano solo un nemico per vendetta. Probabilmente l’assenza di grossi animali ha dato origine a questo fenomeno”. L’equipaggio di ogni nave che naufragò su queste rive è stato ucciso e mangiato. Spesso un uomo avrebbe deciso di bastonare qualche uomo o donna che lui considerava sarebbe stata buona per la cottura con la scusa che “il suo dente nero faceva male” e solo la carne umana avrebbe potuto curare il suo dolore. Tale era il diritto assoluto di un uomo su sua moglie che avrebbe potuto ucciderla e mangiarla se voleva, cosa che è stata fatta spesso. Così grande era il loro desiderio di questa strana carne che quando un uomo era stato ucciso in uno dei loro tanti litigi, e i suoi parenti avevano seppellito il suo corpo, altri Fijiani venivano frequentemente posseduti da demoni e, scavando il corpo dalla tomba, lo cucinavano e festeggiavano. È divenuta consuetudine per i parenti di un morto far la guardia alla tomba di un uomo sepolto (che non era morto per cause naturali) finché il corpo non era probabilmente diventato troppo ripugnante anche per l’appetito di un Fijiano”.

I capi dei villaggi erano temuti da tutti e venivano considerati come discendenti degli dei. Un capo villaggio poteva decidere la vita o la morte di ogni componente del villaggio e non. Un capo villaggio doveva dare l’esempio ed incutere timore non solo nelle sue decisioni ma anche nella sua forma fisica.

Rev. John Watsford, Ono, Fiji, 6 Novembre, 1846: “Noi non vogliamo e non possiamo dirvi tutto quello che sappiamo sulla crudeltà e sulla criminalità Fijiana. Ogni nuovo atto sembra elevarsi al di sopra dell’ultimo. Un capo a Rakiraki aveva una scatola in cui teneva carne umana. Le gambe e le braccia erano salate per essere conservate in questa scatola. Se il capo avesse visto qualcuno, anche dei suoi amici, che era più grasso di lui, lo faceva uccidere sul posto, ne faceva una parte arrosto e il resto lo conservava sotto sale. Il suo popolo ha dichiarato che mangia carne umana ogni giorno.”

La carne umana non si mangiava solo cotta nel lovo (il forno interrato di cui si parla in un’altra parte del diario) ma soddisfaceva diverse ricette, per esempio veniva lessata. Nella preparazione di un pasto non vi era solo disordinata ferocia ma anche cura nel trattare, preparare e cucinare il piatto forte che veniva poi consumato con golosa ingordigia.

Una forma di cannibalismo particolarmente crudele era il vaka-totgana, la tortura, durante la quale venivano tagliate alle vittime, dal corpo vivo, pezzi di carne per mangiarle sotto i loro occhi con parole di insulto o persino costringendoli a mangiare pezzi della loro carne cotta.

Un’altra simpatica usanza, che avrebbe suscitato l’invidia del dottor Hannibal Lecter del film “Il silenzio degli innocenti”, era quella di infilzare con un amo la lingua del malcapitato prigioniero per poterla meglio tirare fuori, dopodiché veniva tagliata e il capo vincitore la divorava arrostita oppure anche cruda e sanguinante davanti agli occhi dell’ex-proprietario.

Sern, il Capo Villaggio, ordinò che un amo da pesca fosse messo nella loro lingua, la quale doveva poi essere tirata fuori il più possibile prima di essere tagliata. Questa è stata arrostita e mangiata davanti ai due uomini ancora in vita alle provocazioni di ‘Stiamo mangiando la tua lingua!’

Cakobau

Purtroppo la pratica del cannibalismo moltiplicò a dismisura le guerre in un circolo vizioso dove “tutti erano contro tutti” e la vita su queste isole, un tempo felice, divenne un vero e proprio inferno sino a che Ratu Seri Epenisa Cakobau (1815-1883), un capo-tribù convertito per necessità di potere al Cristianesimo (convertendosi si assicurò l’amicizia degli Europei), aiutato dagli Inglesi riuscì ad assoggettare tutte le terre sotto il suo dominio e ordinò che le pratiche di cannibalismo fossero abbandonate. La cessazione dell’antropofagia avvenne per due motivi: il primo di carattere tradizionale, in quanto era considerato un reato gravissimo punibile con la morte non seguire l’esempio del capo (appunto di Cakobau); il secondo di carattere sociale, in quanto la riunificazione di tutte le tribù sotto un unico capo faceva cadere le rivalità tra clan e villaggi e quindi le motivazioni del cannibalismo.

I fijiani e il cannibalismo oggi

Oggi i Fijiani sono il popolo più gentile e cordiale del mondo. Il periodo del cannibalismo è considerato un tempo oscuro e visto con macabro rispetto. Visitando il Fiji Museum di Suva o l’Art Village di Pacific Harbour si possono “ammirare” reperti, foto e testimonianze di quelle che in passato i naviganti Europei chiamavano “Isole dei Cannibali”. L’avvento del cristianesimo ha reso i Fijiani quelle fantastiche persone che sono oggi. In alcuni casi c’è chi, per sdrammatizzare il passato delle Fiji, racconta barzellette (come lo staff delle rappresentazioni culturali dell’Art Village di Pacific Harbour), oppure c’è chi si pente delle storia delle Fiji e degli atti perpetrati a scapito delle persone divenute un “pasto”. Questo è il caso della popolazione del villaggio di Nabutautau che nel 2003 ha fatto le sue scuse per aver cannibalizzato il reverendo Thomas Baker e 7 dei Fijiani della sua missione nel 1867. Questo rimane forse il più famoso atto di cannibalismo perpetrato nelle Isole Fiji.

La cucina (non umana) delle isole Fiji

Alle Fiji prevalgono due tipi di cucina, quella indiana e quella Fijiana, ma è possibile trovare anche la cucina internazionale in tutti gli alberghi. Non sono inoltre rari ristoranti cinesi, giapponesi, coreani e l’immancabile McDonald non ha risparmiato nemmeno questo paradiso naturale, lo potete trovare sia a Suva che a Nadi.

Vi starete magari chiedendo: e la pizza? e la pasta? A Nadi c’è il negozio “Italiani a Fiji”, gestito da una coppia italiana residente, che vende solo cibi italiani. Così, volendo, si può acquistare la pasta Barilla, olio extravergine di oliva, aceto di vino rosso, parmigiano reggiano, formaggio pecorino, sottaceti e sughi pronti.

Fiji fai-da-te

Le Fiji sono indubbiamente una meta lontana, ma un viaggio in queste isole si può organizzare self-made senza alcun problema. Tutto si può trovare e prenotare attraverso il web: passaggi aerei internazionali e nazionali, alloggi e pernottamenti, noleggio auto, escursioni alle isole che preferite. Oppure ci si può rivolgere a agenzie e visitor centre locali, che troveranno la migliore soluzione per soddisfare le vostre richieste. Come livello dei servizi, quello che si trova alle Fiji è paragonabile all’Australia e alla Nuova Zelanda, quindi gli standard offerti sono di livello assolutamente elevato.

Grazie per avere letto questo diario, anzi, Vinaka!

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sri siva subramaniya swami hindu temple in nadi, fiji

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