Accogliente e meraviglioso, questo paese del Sud-est asiatico è la meta ideale di un viaggio “di scoperta”

Scritto da: fabri979

Malesia – Kuala Lumpur, Malacca, Ipoh, Penang, Palau Redang, Kuala Terennganu, Singapore

Il Sud-est asiatico è una zona geografica che mi ha ammaliato fin dalla prima volta che ci ho messo piede.  Per una serie di eventi che il caso ha deciso di fare incrociare nel cammino della mia vita, ho assunto un legame indelebile con questo angolo del mondo, e quando si creano le condizioni o capita l’opportunità, raramente mi lascio sfuggire l’occasione di fare ritorno in mezzo a questi meravigliosi ed accoglienti popoli. Questo diario di viaggio riporta i miei ricordi durante la permanenza nella penisola malese, ricostruzione dell’esperienza vissuta.

Gli alberghi sono stati prenotati dall’Italia tramite Booking.com

  • Kuala Lumpur: Royal KL, centrale
  • Penang: Golden Sands, costa nord dell’isola
  • Redang: Berjaja Resort

I voli direttamente sui portali delle compagnie.

  • Volo Intercontinentale Singapore Airlines (Roma-Singapore-Kuala Lumpur)
  • Voli interni Malaysia Airlines (Penang-Kuala Lumpur-Kuala Terengganu)

Diario di viaggio a Singapore e Malesia

Giorno 1 – Partenza da Roma

Giungiamo a Roma Fiumicino in mattinata e prima di mezzogiorno ci imbarchiamo sul volo della Singapore Airlines; ci prepariamo rassegnati al lungo volo non stop di dodici ore che ci condurrà nella città stato della penisola malese. Da lì con una coincidenza quasi immediata raggiungeremo Kuala Lumpur, capitale dello stato federale di Malaysia, formato essenzialmente da una parte continentale, la Malesia, ed una insulare, il Borneo Malese, con svariate isole minori quali le Perhentian e Sipadan, paradisi dei sub per via dei fondali marini unici al mondo. In questo viaggio andremo alla scoperta della parte peninsulare, la Malesia, per finire con una settimana al mare sull’isola di Palau Redang, nel mar cinese meridionale.

Giorno 2 – Arrivo a Singapore

Atterriamo a Singapore alle prime luci dell’alba in perfetto orario, ed appena varcato il portellone dall’aereo ed esserci immessi nel tunnel di uscita inizia il lungo trasferimento sui tappeti mobili, in mezzo a piante e fontane, alla volta dell’area di transito per la coincidenza, programmata per le 7,30 con volo Malaysia per Kuala Lumpur. Breve volo di poco meno di un’ora ed eccoci pronti per la discesa, giusto in tempo perché iniziano i problemi di mal d’aria. Riusciamo comunque a toccar terra senza particolari problemi e ci incamminiamo alla fermata della navetta che ci porta al terminal della magnifica e moderna stazione della capitale Malese. Transitiamo al controllo passaporti ed eccoci a prelevare i bagagli da un grandioso nastro inclinato, e passiamo la dogana indenni da controlli. Seguendo la segnaletica prendiamo l’ascensore e saliamo al primo piano, dove acquistiamo i biglietti per il KLIA Ekspres, il treno che nel giro di mezz’ora ci conduce alla Stazione Centrale (KL Sentral). L’autobus costa dieci volte meno, ma esiste il serio rischio di rimanere imbottigliati nel traffico urbano, con conseguente raddoppio dei tempi di percorrenza, cosa che, dopo oltre venti ore che siamo in viaggio, ci fa optare per la prima soluzione.

Una volta giunti in città prendiamo la Metro, e raggiungiamo la fermata di Bukit Bintang, da dove raggiungiamo la Jalan (via, o street) Walter Grenier dove abbiamo la camera all’Hotel Royal. Solite formalità al check-in, ma che noia, dobbiamo attendere perché è presto, e ci stiamo surgelando. Finalmente saliamo in camera, con qualche problema ad aprire la porta con la tessera magnetica, poi rapida sistemazione e breve relax, prima di  scendere per il pranzo. Siamo nel punto del globo a più alta densità di mussulmani, ed in effetti in sala ristorante noto parecchia gente di religione islamica, le donne intabarrate nei loro lunghi chador neri che si riforniscono al buffet, mentre gli uomini rimangono rigorosamente seduti in attesa di essere serviti. Rimango folgorato dal piccante di un condimento di una specie di vongola allungata e spizzico qualcosa di poca consistenza, causa la bocca in fiamme, e poi di nuovo in camera. Osservo nella piscina del padiglione di fronte, più in basso, una ragazza che metodicamente macina vasche su vasche in completo isolamento, e più in alto un campo da tennis. Memori delle esperienze passate ci rifiutiamo di dormire, anche se stiamo crollando, e dopo un breve riposo, alle 16,00 prendiamo un taxi per farci condurre attraverso le larghe strade della capitale fino alla Moschea Nazionale, che visitiamo dall’esterno, e via alla piazza della Costituzione (Merdeka Square), dove troneggia un monumento copia approssimativa di quello più famoso di Iwo Jima, eretto a monito contro il pericolo del comunismo, ho letto su una guida. Medito fra me e me che anche la bandiera malese è praticamente una copia di quella degli States, e qui hanno anche assimilato tutte le nevrastenie a stelle e strisce. Camminiamo in un breve giro nel parco e proseguiamo per la vecchia stazione ferroviaria costruita dagli Inglesi, dove prendiamo alcune foto lungo la strada. Altro corto tragitto ed ultima sosta al centro politico della capitale, davanti al palazzo Sultan Abdul Samad, quindi rientriamo in hotel, dove una volta raggiunta la camera crolliamo come due pere mature per un sonno ininterrotto di quasi dieci ore. Non riesco a riordinare i ricordi, e ricostruirò il pomeriggio solo grazie alle fotografie.

Giorno 3 – Malacca

Dopo colazione andiamo alla stazione centrale, e da qui raggiungiamo quella degli autobus TBS (Terminal Bersepadu Selatan) con un mezzo delle linee LRT (Light Rail Transit), a sud della città, dove acquistiamo i biglietti per Malacca. Dopo circa due ore e mezzo siamo a destinazione, e tramite un bus locale (il 17 mi sembra di ricordare) andiamo verso il centro città. scendiamo dopo tre o quattro fermate quando vediamo la famosa chiesa rossa: siamo ora in Dutch Square, un angolo di Olanda, dai tempi in cui queste lande erano possedimenti coloniali dei Paesi Bassi. Visitiamo la chiesa cristiana e gironzoliamo nei pressi della piazza, quindi capitiamo in un  tempio cinese (Cheng Hoon Teng) e finiamo in onker Street, nel vecchio quartiere delle botteghe degli artigiani dove ancora si praticano i mestieri secondo le arti manuali, costruttore di casse da morto compreso. Saliamo quindi alla collina di San Paolo, da dove si gode una vista dello stretto dalla vecchia fortezza portoghese, e si intravede l’isola di Sumatra al di sopra di una lunga serie di palazzoni bianchi con i tetti rossi, tutti uguali.

Transitiamo attraverso la Porta di Santiago dove ci appare una statua del salesiano San Francesco Saverio, quindi visitiamo un altro tempietto cinese. A pranzo ci ritroviamo con la sgradita sorpresa di un capello in mezzo ad una porzione di riso bollito, ed alle nostre rimostranze, solo la semplice richiesta di sostituzione, fa riscontro un atteggiamento offeso e quasi ostile. Salutiamo e togliamo il disturbo. Il pomeriggio visitiamo la cisterna, quindi ci apprestiamo al rientro. In questi due giorni abbiamo potuto constatare l’efficacia dei trasporti, dovuta a strutture modernissime e mezzi di prim’ordine, con indicazioni facili da consultare una volta che si è superato l’impatto con la fiumana di gente che vi transita. Il costo dei trasporti su gomma è veramente irrisorio, dovuto al fatto che sotto i piedi abbiamo una immensa riserva di petrolio; la puntualità invece è da rivedere. La sera passeggiamo nei dintorni dell’hotel, saliamo nel vicino centro commerciale Fahrenheit dove acquistiamo delle salviette rinfrescanti per combattere l’afa dovuta alla forte umidità, quindi fermiamo un taxi e ci facciamo portare al mercato notturno di China Town. Appena scesi dall’auto, distratto dal guardarmi intorno vengo quasi investito dalla motocicletta di un poliziotto, che mi fulmina con aria truce; farfuglio delle scuse e ci eclissiamo alla svelta immergendoci in mezzo alle bancarelle, in una atmosfera colorata resa ancora più vivace dalla luce del crepuscolo. Acquistiamo dei gustosi rambutan, che finiremo in camera data la problematica della sbucciatura, e ci godiamo la serata in mezzo alla folla multietnica.  Ci avviciniamo ad un minuscolo “stand” dove sono ammassati un quantitativo impressionante di oggetti per il tempo libero, dai berretti con visiera ai marsupi, ed assistiamo alla trattativa in atto fra la giovane proprietaria ed un ragazzo olandese per l’acquisto di una decina di berretti Nike; al prezzo già fissato dal ragazzo ne acquisto uno anch’io.

Un improvviso acquazzone si rovescia sul mercato, e dopo aver aiutato la ragazza a sistemare in tempo da record un telone impermeabile (la statura del ragazzo dei Paesi Bassi è provvidenziale), ci stringiamo tutti quanti attorno al bimbo della ragazza che è emerso come per incanto dagli scatoloni, aspettando che finisca la breve sfuriata. Come è iniziata, l’acqua svanisce, e proseguiamo nel nostro girovagare. Rientriamo a piedi, lungo una larga arteria straordinariamente illuminata che ha sullo sfondo le Torri gemelle, facendo tappa ad un Mc Donald’s incrociato lungo il tragitto per uno spuntino. Hamburger di rito, e mi andrebbe una birra, ma la rotonda giovane ragazza al bancone mi risponde : “sorry sir, we don’t sell alcoholic drinks” (ovvio, dovevi saperlo che siamo in un paese Musulmano) e quindi vada per una coca-cola.

Giorno 4 – Batu Caves e Petronas Towers

petronas towers

Questa mattina torniamo alla stazione KL Sentral e prendiamo il treno della linea KTM Komuter (circa tre quarti d’ora) per visitare le grotte Batu, oggi tornato luogo di culto Indù, dopo essere stato un punto di osservazione dei giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Il benvenuto ce lo da la statua di Murugan, divinità indù di cemento dorato alta più di quaranta metri; alla base della collina giace il lago sacro, delimitato da una recinzione al cui ingresso è stato ricavato una specie di santuario dove dimorano giovani novizi  vestiti solo con un bianco sarong. Alle grotte si accede tramite una ripida scalinata dopo una interminabile ascesa; se ben ricordo sono trecento scalini.

Una volta raggiunta la cima, all’interno delle grotte osservo colonie di pipistrelli che si godono il riposo a testa in giù, incuranti delle orde di turisti vocianti; gli ampi anfratti non sono niente di che, solo qualche altare con immagini e statue votive. Attraverso alcune aperture verso l’esterno si capisce l’importanza di questo luogo nella strategia militare durante la seconda guerra mondiale. La discesa è impegnativa, ma ottimo il colpo d’occhio sullo stupendo panorama e sulla moltitudine di colori degli abiti delle genti delle varie razze che arrancano sulla scalinata ai lati esterni, dove le ringhiere offrono un gradito appiglio. Man mano che si scende si comincia a fare la conoscenza di qualche scimmia, che poi sempre più numerose si trovano raggruppate in prossimità del portale di accesso, probabilmente viziate dal cibo donato loro dalla moltitudine dei pellegrini itineranti.

Torniamo a Kuala Lumpur, ed il pomeriggio lo dedichiamo alla visita obbligata delle Petronas Towers, che a quanto mi risulta sono le torri gemelle più alte rimaste sul pianeta dopo il crollo delle due Newyorchesi. Si sale con ascensori supersonici fino al livello 42 per passeggiare sul ponte che unisce i due edifici, ed è un’esperienza unica, e poi si sale al livello 86 dove c’è il punto panoramico. Il costo del biglietto non è certamente economico, ma la particolarità dell’escursione la paghi. Dovrebbe essere fantastica l’ascesa serale, con la città illuminata, ma senza prenotazione diventa impossibile. Bighelloniamo per le strade per il tempo che rimane al resto del pomeriggio, e ceniamo in un locale che incontriamo strada facendo con un tipico piatto a base di riso, pollo e verdure.

Giorno 5 – Ipoh

La mattina lasciamo la capitale per trasferirci a Penang. Dopo colazione raggiungiamo la stazione dei bus TBS e partiamo alla volta di Ipoh, dove arriviamo dopo circa tre ore di viaggio. Una volta giunti a destinazione (la stazione Armanjaya è fuori mano) prendiamo un taxi alla volta di Perak Tong, distante meno di dieci kilometri, dove visitiamo il tempio cinese Sam Poh Tong, costruito in una grotta calcarea, e attraverso una galleria raggiungiamo una radura dove ci appaiono i resti (o meglio, le colonne) di una costruzione erosa dal tempo. Mi soffermo ad osservare meravigliato alcuni operai che solerti stanno rimontando una macchina operatrice, una Case 580K che hanno precedentemente sezionato e trasportato a pezzi attraverso la galleria: stupefacente! Sostiamo a Ipoh per il pranzo in una bettola senza tante pretese, per poi  proseguire nel primo pomeriggio sempre in pullman alla volta di Penang.

Transitiamo ad un casello autostradale, e tramite un veloce percorso su un lunghissimo ponte, il Penang Bridge di 13,5 Km, raggiungiamo l’isola, che ci appare sulla destra con il profilo dei suoi slanciati e  modernissimi grattacieli. Una volta a George Town con un taxi ci facciamo condurre all’hotel, il Golden Sands della catena Shangri La, e prendiamo possesso della camera. Riusciamo ad andare in spiaggia ed a fare il primo bagno in mare.

Giorno 6 – George Town

fort cornwallis

Giornata dedicata alla visita della città. Prendiamo un taxi e andiamo (vorremmo) a visitare il tempio monastero Kek Lok Si, il più bello e imponente della città, ma evidentemente non ci comprendiamo con l’autista, perché ci scarica all’ingresso del Hock Hing Keong, il Tempio dei Serpenti, con questi graziosi animaletti che languono pigri su rami intrecciati.

Raggiungiamo successivamente il centro città e congediamo il tassista; entriamo nel tempio Thailandese Chaiya Mangalaram con il suo Buddha disteso, e preleviamo un biglietto con una profezia dalla ruota dell’indovino. Non credo in queste cose, ma devo ammettere che parte della storia ipotizzata si è avverata. Usciamo e dopo aver attraversato la strada entriamo nel dirimpettaio Tempio Birmano Dhammikarama, molto bello nei suoi colori chiari delicati. Proseguiamo la nostra mattinata alla Entopia Butterfly Farm, una enorme voliera dove svolazzano circa 15000 farfalle di 120 specie diverse in mezzo a centinaia di piccoli rettili come scorpioni, iguane e camaleonti; riprendiamo un bimbo orientale che tiene fra le mani una grossa farfalla con le ali aperte, mentre la madre, indifferente, senza fare una piega continua ad armeggiare con il cellulare.

Fermiamo un altro taxi e ci facciamo portare al Fort Cornwallis, dove, vista dall’esterno delle mura, ancora oggi fa bella mostra l’albero maestro di quell’ipotetica grossa nave da guerra che allontanò l’assedio con l’inganno. Una guida sta dicendo al suo gruppo che sembra che sia di buon augurio per le donne senza figli introdurre un fiore di ibiscus nella bocca del cannone; immediatamente osserviamo due aitanti ragazze che si arrampicano sugli spalti per procedere all’operazione. Raggiungiamo ora l’antico quartiere dove c’è il superbo Khoo Kongsi, un grosso tempio cinese che era anche la principale abitazione del clan Hokkien, riccamente adornato da pregevoli intagli di bassorilievi in legno. Facciamo una sosta pranzando in un ristorante indiano con il tipico pollo al curry (o meglio, curry al pollo), quindi girovaghiamo per le stradine dove appaiono i murales che sono venuti di moda dopo che un artista estroso ha tracciato il percorso. 

età pomeriggio rientriamo in hotel e trascorriamo il resto della giornata in spiaggia. Per cena decidiamo di uscire per una visita ai dintorni, ma piove, e non poco; alla reception un gentile portiere ci presta un ombrello, così facciamo un giro nei paraggi dell’hotel, dove troviamo un ristorante che espone vasche con il pesce da cucinare ed entriamo per una cena più che decente. Al rientro, previo permesso del portiere, scambiamo l’ombrello con tre ragazze australiane, una delle quali, venendo a conoscenza che siamo italiani, tutta orgogliosa ci comunica che il suo migliore amico ha le nostre origini, e che la madre di lui le ha insegnato tutte le peggiori parolacce (worst words) del nostro lessico comune, e ce ne da pure un saggio. Simpatica ragazza. Ci ritiriamo, domattina si parte presto, ma prendere sonno è un problema: nella attigua camera comunicante un bimbo, sicuramente iraniano, armeggia rumorosamente alla doppia porta, vuole vedere cosa c’è di qua, ed alla fine, spazientito, batto due pugni sull’uscio e impreco. Ora si dorme.

Giorno 7 – Palau Redang

palau redang

Di primo mattino, è ancora buio, dopo una frugale colazione preparata appositamente per noi, saliamo sul taxi che ci condurrà in aeroporto; lasciamo Penang e proseguiamo per una settimana balneare all’isola di Palau Redang, sulla costa opposta. Sbrigate le solite formalità al check in ci imbarchiamo sul jet della Malaysia e di lì a poco raggiungiamo Kuala Lumpur per prendere la coincidenza per Kuala Terengganu, di fronte al mar cinese meridionale. Un taxi ci conduce all’imbarcadero in attesa del traghetto che ci condurrà sull’isola. L’attesa è sempre noiosa, e oggi pure si dilunga, facendo presagire una giornata persa; scambio di malavoglia due parole con un connazionale, che fa parte di un gruppo che ha visitato il parco del Taman Negara.

Sopraggiunge una Range Rover con un occidentale alla guida accompagnato dalla moglie asiatica e da tre figli in scala; presumo si tratti di un’auto a noleggio, in quanto la consegna ad un malese che presto se ne va. Osservo distrattamente due escavatori che lavorano allo stendere e posizionare pietrame a protezione della riva dall’assalto delle mareggiate, mentre il cielo si fa cupo. È ormai pomeriggio quando iniziano ad arrivare le imbarcazioni, ed il gruppo in attesa si assottiglia. Finalmente giunge il nostro turno, e ci insediamo nella cabina di un motoscafo veloce, assieme a una mezza dozzina di malesi. Abbiamo da poco lasciato il molo quando il mare si ingrossa, ed alte onde si infrangono contro lo scafo della barca, facendola dondolare ed innalzare di scatto a prua: la pioggia batte con violenza sui vetri. Siamo tutti seriamente preoccupati, stringendo le valige che altrimenti comincerebbero a correre per il piccolo corridoio. I nostri due nocchieri non si scompongono, e seguitano a parlottare e a gesticolare fra di loro incuranti di tutto e di tutti, a tratti abbandonando pure la ruota del timone per meglio simulare con le mani non so cosa. Dopo un tempo non quantificabile, che a noi è apparso un’eternità, approdiamo sull’isola, dove un pullmino ci reca a destinazione; continua a piovere, anche se con minore intensità. Tutti gli ospiti del resort sono sotto l’ampia veranda, sorpresi evidentemente dallo scroscio improvviso della tempesta, trascorrendo il tempo leggendo o giocando in società. Posso notare una folta presenza di italiani, che con gli australiani rappresentano la maggiore identità dei vacanzieri.

Giorno 8 – Palau Redang

Il Resort, il Berjaia, è semplicemente fantastico. È formato da una serie di casette in legno ad un piano, molto accoglienti, quattro camere per blocco, rivolte a mare. Ci tocca un piano terra in seconda fila, che si raggiunge camminando sulla bianca sabbia; è d’obbligo cambiare le calzature all’ingresso. Unica, ma consueta pecca è il numero limitato di ombrelloni fatti con foglie di palma, che mi costringe a levatacce per prendere il posto in prima fila (ma riesco sempre a beccare l’ultimo o, quando va male, il penultimo dove finisce la spiaggia ed iniziano le rocce levigate dal mare). Sono giorni scanditi da immersioni in apnea a vedere i bellissimi fondali, forse scarsi di pesce ma ricchissimi di flora e coralli. Passo ore ad immergermi e sfiorare le coloratissime valve di enormi conchiglie che si chiudono di scatto con un tonfo sordo, o rimirare da vicino creature che stazionano sul fondo, numerosissimi i cetrioli di mare. L’ottimo ristorante ha una cucina prevalentemente marinara, ma c’è un angolo dove un bravissimo cuoco cucina piatti etnici indiani, cinesi e vietnamiti. Una sera ho la fortuna di giungere per primo al rifornimento di una vasca di granchi, in modo da sceglierne quattro di notevoli dimensioni: magnifica cena.

Le giornate si susseguono nel relax più totale, fra ozio all’ombra conquistata tutte le mattine e nuotate di ore nei fondali di fronte alla spiaggia. L’ultima sera della nostra permanenza è in programma un barbecue all’aperto, sapientemente apparecchiato, ma giusto un attimo prima dell’inizio una violentissima folata di vento fa presagire  un uragano che non tarda ad arrivare: ritirata veloce all’interno del ristorante con i camerieri che si spezzano in quattro per approntare una cena interna. Tutto riesce bene, alla perfezione, ad eccezione del bel vestito di mia moglie, del quale andava fiera, che scopriamo bucato dalla brace di una sigaretta o da un lapillo delle griglie trasportato dal vento. Amen.

Giorno 9 – Kuala Terengganu

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La mattina si parte. Saldo il conto alla hall e quindi ci accomodiamo su un divano in attesa del pullmino che ci porterà all’imbarcadero. Finiamo in bellezza compatendo una signora italiana, la stessa che ho notato ieri mattina, giunta in spiaggia un attimo dopo che mi ero accaparrato  l’ultima postazione, che cercava di comprare un inserviente promettendogli una mancia se le avesse riservato per le mattine a seguire un ombrellone; evidentemente la cosa non è andata a buon fine, perché  petulante si lamenta ad alta voce, quasi isterica, con l’impassibile addetto, per gli inadeguati servizi del Resort. Come si dice in gergo, li guardi e li pesi; un vero peccato, perché il personale si è sempre dimostrato attento e disponibile ad ogni richiesta o esigenza. Ed eccoci a percorrere la strada sterrata verso il molo; una grossa iguana ci attraversa la strada poco prima di giungere a destinazione, dove ci imbarchiamo sul traghetto con una passerella di fortuna, essendo la piattaforma stata divelta dall’uragano di ieri sera. La traversata è più lunga rispetto all’andata, essendo il battello decisamente grande e lento, e comincia quasi subito la nausea. Usciamo all’esterno per respirare un poco di aria, ma è densa dei fumi di scarico dei motori, ed osservo una giovane donna che sorretta dal compagno rigetta in mare; triste presagio che fortunatamente non si avvera. Appena sbarcati ci dirigiamo verso il bus per l’aeroporto, ma è presto, saranno forse le due o le tre del pomeriggio, e allora prendiamo un taxi e concordiamo con l’autista un giro panoramico per Kuala Terengganu.

La prima sosta è presso dei costruttori di barche, rigorosamente in legno, dove mi fanno firmare un libro delle visite, quindi proseguiamo verso la città, dove sostiamo ad osservare un enorme pitone centenario, carcerato a vita dentro una cella che è divenuta estremamente ridotta con l’evolversi delle dimensioni della bestia; a poca distanza polli rassegnati che nelle loro stie attendono il loro infausto turno. L’autista ci informa che il serpente è stato trovato tanti anni prima ai margini della foresta, e che è venerato come un dio per non so quale motivo. Dietro mia richiesta ci conduce presso un commerciante che ci espone due meravigliosi kriss di altre epoche: uno, antico con manico e custodia in avorio è semplicemente favoloso, ma la richiesta di 1100 dollari non mi invoglia neppure ad iniziare una contrattazione, e me lo fa rimanere nel mondo dei sogni irrealizzabili. A questo punto raggiungiamo l’aeroporto per il volo per Kuala Lumpur e la coincidenza per Singapore. Il volo è alle dieci circa, ma ci siamo da poco accomodati su di un divano quando sul tabellone luminoso noto che c’è un volo in partenza da li a pochi minuti, in anticipo di due ore rispetto al nostro prenotato; vale la pena tentare, e così imbarchiamo i bagagli e facciamo il check-in.

Chiamano già il volo, ma faccio in tempo ad acquistare una maglietta Lacoste blu a prezzo di realizzo, prima di entrare nel tunnel di imbarco; ottimo. Il Boeing 777 è quasi vuoto, parecchi giovani rampanti nelle loro “divise” di Yuppies nella prima classe e tanti spazi vuoti nella seconda; il breve viaggio è molto comodo, e sbarchiamo a Singapore. Al controllo passaporti mi soffermo ad osservare una giovane funzionaria, chiaramente indiana, con un rosso bollino stampato in mezzo alla fronte. All’uscita prendiamo posto su un pullmino che ci condurrà in centro città facendo il giro degli alberghi.

La massiccia autista inizia a guidare, scandendo ad ogni fermata il nome dell’albergo. Siamo rimasti ormai in pochi, quando improvvisamente noto un tempio indù con l’indicazione della via laterale: Pagoda Street. Una vita fa siamo stati qui per visitare questo tempietto, ma abbiamo potuto sostare solo all’ingresso perché il resto era chiuso per restauro; spero vivamente che il nostro hotel sia nei paraggi, e fortunatamente lo è. Con immensa gioia mi propongo di visitarlo domattina. Nella hall dell’hotel, il Concorde, posizione centrale, al momento della registrazione è un andirivieni continuo da e per gli ascensori a tubo di giovani ed avvenenti ragazze in abiti succinti che non lasciano dubbi sulla loro professione. La receptionist ci assegna in un secondo tempo una camera ad un piano più elevato per farci godere un panorama migliore, che apprezzeremo senz’altro. Ceniamo al primo piano con un menù fisso orientale, e poi a nanna.

Giorno 10 – Singapore

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Abbiamo il volo di rientro a Roma a mezzanotte, e quindi abbiamo tutta la giornata a disposizione per visitare Singapore. Dalla camera guardando in basso ho notato un piccolo parco alberato dove transitano in continuazione degli autobus, così, una volta fatta colazione, raggiungiamo la prima fermata e chiedo ad una persona in attesa se sa dirmi come raggiungere il tempio indù che c’è nelle vicinanze. Gentilissimo mi da tutte le delucidazioni del caso, e una moneta per il biglietto dell’autobus, che voglio a tutti i costi rimborsargli e che forse urta un pochino la sua suscettibilità per l’ospitabilità rifiutata. Di li a poco passa il bus indicato, e dopo un breve tragitto lo stesso personaggio ci indica che è ora di scendere: siamo proprio all’ingresso del tempio Sri Marianman!

Lasciamo le calzature sullo scalino all’ingresso, come da consuetudine, ed entriamo; cercando di scavare nella memoria ripercorriamo altri momenti, ma oggi possiamo visitare anche la sala interna che allora ci era stata preclusa. Alcuni fedeli pregano e assumono della cenere come fosse un’ostia della religione cristiana, ma si vocifera siano le ceneri dei defunti cremati (!). Siamo nel quartiere di Chinatown, ma oltre il tempio indù a poca distanza c’è anche la moschea Masjid Jamae; la visita è breve, quindi ci spostiamo ad intuito verso il vecchio quartiere cinese, ma con profondo sconforto constatiamo che oggi non esiste più: le vecchie, fatiscenti, basse abitazioni dove lavoravano sui marciapiedi sarti, barbieri, calzolai, sono state rase al suolo per far posto a nuovissime ed altissime costruzioni di vetro e cemento.

Riusciamo comunque a trovare la zona di Chinatown Street Market, dove ad un piano sotto il livello stradale, ci tuffiamo in mezzo alle varie e profumate mercanzie di un mercato. Proseguiamo nel nostro girovagare trovando ancora qualche piccolo angolo del vecchio quartiere sopravvissuto al cemento, ancora sopravvive qualche artigiano, ma per il resto è una zona divenuta asettica e di scarso interesse. Scavando nell’archivio della memoria e chiedendo lumi alla gente ritroviamo il tempio cinese Thian Hoch Keng, ma questa volta non sostiamo ai tre altari, come tradizione vuole, perché si sta facendo tardi. Lungo il tragitto del ritorno ci fermiamo ad una vecchia bottega a comprare due souvenirs, una scatoletta di argento smaltato ed una maschera lignea e ci soffermiamo inorriditi sul marciapiedi ad osservare due grossi sacchi di juta stracolmi di cavallucci marini essiccati, le solite fantasie della medicina cinese.

Raggiunto l’hotel ci precipitiamo nella doccia per una rinfrescata veloce, e fortuna che le valigie sono pronte, perché un inserviente giunge a reclamare la camera; le lasciamo in custodia al deposito dietro la reception e usciamo per pranzare ad un fast-food nelle vicinanze. Torniamo in albergo per usufruire dei servizi igienici, quindi risaliamo Orchard Road, per andare a curiosare nelle vetrine del lusso. Entriamo in un paio di centri commerciali per fare qualche acquisto di elettronica, e facciamo trascorrere il pomeriggio. Con una tranquilla camminata rientriamo in hotel che il sole tramonta per darci una sommaria rinfrescata e prepararci per il rientro. È buio quando lasciamo l’albergo e ci mettiamo in viaggio per tempo alla volta dell’aeroporto, dove il nostro volo Singapore Airlines, puntualissimo, a mezzanotte lascia la pista. Atterriamo a Roma in perfetto orario alle ore 7.30.

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