È il paese dei Sorrisi e dei magnifici templi dorati: qui l’Asia si mostra con il suo abito più colorato e allegro

Bangkok, traversata da sud a nord e Pattaya
Scritto da: fabri979

Thailandia, Bangkok, traversata da sud a nord e mare a Pattaya

Abbiamo voluto concludere un viaggio che aveva lasciato in noi un vuoto dal lontano 1987, in un Paese, la Thailandia che tanto ci affascinò al primo approccio. Tante cose sono cambiate da allora, e l’avvento di internet ha accorciato le distanze e semplificato decisamente il modo di viaggiare, rendendone più facilmente realizzabile l’organizzazione. Abbiamo effettuato  questo itinerario per conoscere il volto vero di questo Paese attraverso le sue antiche capitali, seguendo un tragitto da sud a nord, che ci ha permesso di visitare una parte del Paese ancora non brutalmente inquinata da un turismo sempre più dilagante.

Partenza il 13 luglio 2019 da Roma Fiumicino, vettori Swiss e Thai International. Volo interno il 22 luglio Chang Rai – Bangkok. Rientro il 28 luglio da Bangkok a Roma con volo diretto. Hotels a Bangkok e Pattaya prenotati dall’Italia approfittando di appetibili offerte promozionali, i rimanenti direttamente in loco, tramite internet.

Diario di viaggio in Thailandia

Giorno 1, Roma–Zurigo-Bangkok

Voli per la Thailandia completi, siamo costretti a fare la tratta di andata passando per Zurigo. Partiamo da Roma in tarda mattinata con volo Swiss, ed abbiamo il tempo di gustare il cioccolatino di cortesia (io, sfacciato, ne prendo due, al latte e fondente) che siamo già a terra. Trascorriamo il tempo che ci separa dal volo Thai pomeridiano ciondolando nel terminal; l’attesa non è lunga, e si parte. Il B747 è comodo, occupiamo la fila di sinistra, e viene servita la cena con tanto di cognac Remy Martin finale che aiuta a trascorrere la nottata senza tanti problemi. Ogni tanto un’occhiata al monitor che ci indica tempi e distanza alla destinazione. Riesco stranamente ad addormentarmi, e quando apro gli occhi vedo sullo schermo la nostra posizione e la dicitura “mouths of Irrawaddy”, il che significa che siamo in prossimità del confine thailandese.

Giorno 2, Bangkok

Arriviamo di mattina, come consuetudine, in un aeroporto che ogni volta trovo cambiato ed ingrandito, e scendiamo al piano inferiore dove c’è il terminal del rail link, il collegamento per il centro città. Scendiamo alla fermata di Silom Road, di fronte al tempio indù, e fermiamo un tuk tuk che di lì a breve ci lascia di fronte alla vetrata dell’hotel Shangri-La. Avevamo soggiornato in questo splendido hotel nel lontano 1987, ed oggi torniamo a quei momenti di buoni ricordi. Espletiamo le formalità di accettazione, quindi ci viene assegnata la camera, al 19° piano; dalla grande finestra osservo il fiume Chao Phraya: siamo due livelli più in alto rispetto al precedente soggiorno, ma la prospettiva è la stessa anche se molto è cambiato l’orizzonte: qualche ponte in più cavalca il fiume, ed una moltitudine di nuovi palazzi svettano verso il cielo dalle sponde. La città continua vorace a mangiare terreno, per far fronte all’incessante arrivo di nuovi disperati speranzosi in una vita migliore. Ci rigeneriamo con una doccia, ed alle 15 usciamo per la visita dei templi della città. Una cappa di afa soffocante ci avvolge, snobbiamo le limousine che stazionano all’ingresso e, fatte poche decine di metri nella strada, saliamo su di un tuk tuk in attesa.

Iniziamo con il farci condurre a China Town, non molto distante, per una visita veloce senza scendere dal mezzo, quindi iniziamo con Il primo tempio: è il Wat Traimit, il Buddha d’oro, rappresentato in una statua in oro massiccio alta più di due metri e del peso di circa 55 quintali, riscoperto nella metà del secolo scorso per un caso fortuito: a seguito di una caduta durante un trasferimento, si ruppe lo strato di terracotta dipinta con la quale era stato ricoperto per sfuggire alla razzia degli invasori birmani, e riemerse il nobile metallo con il quale la statua che si credeva perduta era stata fusa. Ai lati altre statue più piccole vengono costantemente ricoperte di piccole lamine d’oro da parte degli innumerevoli devoti fedeli. Proseguiamo alla volta del Wat Benchamabophit, il tempio di Marmo (di Carrara), bianco scintillante, dove visitiamo l’interno con la statua del Buddha bronzeo ed il corridoio costellato di statue nere, fra le quali ritrovo quella ingobbita e scheletrica che tanto mi aveva impressionato la volta precedente.

Facciamo una foto all’esterno, sul rosso ponte che separa gli alloggi dei monaci, quindi ci dirigiamo sul lungofiume al Wat Po, il Buddha disteso, dove tocchiamo la palla portafortuna nelle fauci dei leoni di guardia, e ci soffermiamo nel corridoio delle statue dorate; la statua sdraiata è imponente, ricoperta di lamine dorate, e osserviamo i disegni impressi nelle piante dei piedi, poi raccogliamo un contenitore di monete e seguiamo la folla dei fedeli ponendo una moneta in ognuna delle tante ciotole collocate lungo il perimetro del percorso attorno alla statua. Francamente non ne comprendo il significato; siamo solo entrati nella parte.

Raggiungiamo ora il piccolo molo di legno poco distante; sull’altra sponda del fiume si erge il Wat Arum, il tempio dell’aurora, splendido nella sua copertura maiolicata che riflette i raggi del sole, e prendiamo un battello che per pochi bath ci traghetta fino al molo opposto in concomitanza dell’ingresso al tempio. La visita è breve, il massimo sarebbe attendere il tramonto per vedere la cupola cambiare di colore, ma è ancora troppo presto e siamo stanchi; allora traghettiamo sull’altra riva del fiume e fermiamo un altro tuk tuk: la scelta dovrebbe essere la migliore, ma nonostante la guida sciolta che permette a questi abili tricicli di disimpegnarsi nel traffico caotico, trascorriamo ben più di mezz’ora in un grande ingorgo congestionato a respirare gas di scarico a gogò. Rientriamo in hotel che calano le luci della sera, e dopo un’altra doccia usciamo a piedi; all’incrocio con Silom Road svoltiamo a sinistra e ci fermiamo al Silom Village, bel ristorante che sembra fatto al caso nostro, per una pantagruelica cena a base di pesce, non certamente economica ma più che gradita.

Giorno 3, Bangkok

wat phra kaew

Facciamo colazione sulla veranda che da sul fiume, e sto armeggiando con un mangustin che non riesco proprio a sbucciare, quando un cameriere mi mostra il modo corretto: un taglio lungo tutta la circonferenza ed il frutto si scappuccia mostrando gli spicchi bianchi della polpa. Fatta scorpacciata di frutta tropicale (i mango semplicemente li adoro) prendiamo un tuk tuk e ci facciamo accompagnare al Palazzo Reale, escursione che ci prende tutta la mattinata. Ripercorriamo i bei prati verdi che fanno da cornice alle alte cupole dorate, osserviamo le statue di pietra colorate dei guardiani dalle maschere feroci, visitiamo sale che meritano una sosta, prima fra tutte quella dove è riposto il Buddha di smeraldo, forse il più venerato dai Thailandesi. Le vicissitudini di questa statua (che non è di smeraldo, ma di giadeite) fanno girare la testa, e percorrono un cammino che parte dall’India qualche anno prima di Cristo per transitare attraverso Ceylon, Cambogia, Siam e Laos, per fare ritorno definitivamente in Thailandia alla fine del XVIII secolo. Cambogiani e Laotiani ne rivendicano ancora oggi il possesso.

Usciamo e ci soffermiamo su una terrazza di fronte al plastico di Angkor Wat, quindi raggiungiamo i giardini di fronte agli alloggi reali nel momento del cambio della guardia, e mi prodigo di far spostare una signora intenta a fare una foto e che rischia seriamente di essere travolta dai soldati nella loro marcia di avvicinamento. Rientriamo in hotel e trascorriamo il pomeriggio godendoci la piscina. La sera prendiamo un Tuk Tuk e raddoppiamo al Silom Village, ma questa sera siamo più morigerati. Dopo aver cenato proseguiamo lungo la via e raggiungiamo il noto quartiere a luci rosse di Pat Pong; in una piazzetta sono ammassate una quantità impressionante di bancarelle, e si fa fatica ad avanzare. Ai lati della piazza ci sono i famosi locali, con una miriade di “butta dentro” che, incuranti della presenza di mia moglie,  tentano in ogni modo di farmi entrare in uno di questi: butto un’occhiata all’interno, dove un plotone di giovani ragazze, dall’alto di una passerella, accennano a passi di danza erotica. Allontano in malo modo il ruffiano che mi si è appiccicato al braccio come una cozza promettendomi favolose prestazioni, e dopo aver fatto un giro e acquistato un paio di pantaloni leggeri, quelli con le gambe asportabili sotto il ginocchio, rientriamo in hotel fermando un Tuk Tuk.          

Giorno 4, Bangkok

 

Partiamo per Damnersaduak, per la visita, al mercato galleggiante, prenotata ieri pomeriggio all’apposito desk nell’hotel. Con un’altra mezza dozzina di ospiti saliamo su un minivan e finalmente riusciamo a soddisfare il desiderio di navigare in mezzo ad una flottiglia di barche che si muovono zigzagando in mezzo ai canali. I thailandesi (la quasi totalità sono donne) commerciano, contrattano, acquistano, mangiano, socializzano: svolgono tutte le loro attività come a terra. Ci dissetiamo acquistando una noce di cocco scoperchiata al momento con un rapido e preciso colpo di un grosso coltello, e ci facciamo largo nei canali intasatissimi spostando a destra ed a manca le prue che ostacolano il nostro tragitto. È stata una delle esperienze che maggiormente mi hanno coinvolto nei miei viaggi in oriente: qui i turisti (tanti) non riescono ad intaccare la genuinità del luogo (fin che dura).

Raggiungiamo successivamente la pagoda di Nakorn Pathom, che spacciano come la più grande di tutto il sud est asiatico, e facciamo una breve visita; noto la presenza di donne avvolte in bianche tuniche, religiose forse. A questo punto proseguiamo per l’ultima tappa, Rose Garden, per il pranzo e lo spettacolo di danze Thai, che per la verità poco ci ha appassionano. Mandiamo giù un boccone in fretta e furia e lasciamo l’ambiente saturo di turisti che occupano tutte le lunghe tavolate per metterci comodi su alcune sdraio sulla riva del fiume, dove mi concedo un sigaro toscano. Sopraggiunge dopo un poco a chiedere l’obolo una vecchia donna che sembra uscita dalla notte dei tempi, ma il suo volto estremamente grinzoso mi regala un sorriso. Rientriamo in hotel in netto ritardo, in quanto una volta giunti a Bangkok si rompe il minivan, e dobbiamo aspettare un pullman stracolmo di turisti che viene a soccorrerci,  e sul quale veniamo trasbordati. Raggiungeremo l’hotel pressati come sardine, in piedi nello stretto corridoio. Chiudiamo in bellezza il soggiorno per la terza sera al Silom Village, con due mega vassoi  di pesce che dovrebbero sfamare quattro persone.

Giorno 5, Ayuttaya

lopburi

Inizia il Tour verso il Nord: ad un’agenzia nei pressi dell’hotel ho acquistato due biglietti per Phitsalunok, con sosta a Bang Pa In, e Lopburi. Ora ci organizzeremo le giornate al meglio, avendo solo come unico obbligo il volo di ritorno da Chang Rai il giorno 22. Lasciamo quindi la nostra magnifica alcova con i suoi ricordi. Dopo colazione giunge il van, che conclude il   giro degli hotel per raccattare tutti i passeggeri, per poi sbarcarne una coppia di troppo che è erroneamente salita sul nostro minibus, quindi ci muoviamo in direzione di Bang Pa In, dove arriviamo dopo circa un paio d’ore; una volta usciti da Bangkok il percorso diventa una passeggiata.  Visitiamo l’antica residenza reale con i suoi prati all’inglese e le sue siepi potate a modo di animali, e successivamente il parco archeologico di Ajuttaya, con il suo bianco Buddha disteso, quindi il viale delle statue rivestite di drappi gialli ed il grasso e lucido Buddha dorato di foggia decisamente diversa dallo standard. Saliamo sugli stupa e facciamo qualche foto alle rovine, poi entriamo nel tempio pervaso da un forte profumo di incenso,  e all’uscita veniamo fermati a scambiare qualche parola in un inglese molto approssimativo con due giovani studentesse nelle loro divise da liceali.

Raggiungiamo Lopburi a metà pomeriggio, una sorta di Ayuttaya ma molto in piccolo, con i suoi stupa e le abitazioni dei monaci. Sbirciando fra i vari locali rimango impressionato dalle offerte lasciate dai fedeli ai religiosi, fra le quali, in mezzo al riso, alimento base, spiccano delle enormi orecchie di maiale lessate. Una miriade di scimmie la fa da padrone, sono dappertutto, e conoscendo la loro indole, evitiamo tranquillamente ogni approccio. Visitiamo anche qui le rovine ed un tempietto che custodisce un pregevole Buddha dorato scintillante, poi ripartiamo per giungere a Phitsalunok; siamo con due coppie di bolognesi che hanno anche loro come meta Chang Mai, così ci scambiamo opinioni e organizziamo la giornata di domani. Prendiamo le camere all’hotel Amarin Lagoon, e ad una delle agenzie turistiche locali prenotiamo una escursione per Sukhothai. Faremo la sola andata, e vedremo di proseguire per il nord in qualche modo. Tornare a Phitsalunok vorrebbe dire fare a ritroso una sessantina di kilometri e perdere una notte.

Giorno 6, Sukhothai

wat si chum

La mattina partiamo per Sukhothai, e proseguiremo successivamente per Sri Atchanalai per la visita dei due parchi archeologici, separati da una trentina di kilometri.  Sukhothai fu capitale del regno siamese i primi anni del 1200, dopo aver cacciato i dominatori khmer che fino ad allora vi avevano imperato; successivamente subì la dominazione birmana, ed all’interno del sito sono presenti reperti di fattura khmer, singalese, birmana, indiana e thai. L’area è molto vasta, noi ci concentriamo alla visita della cittadella, circondata da ciò che rimane di una cinta muraria e di un fossato: all’interno di essa ci sono le rovine di quello che era il palazzo reale e svariati templi, fra i quali il Wat Si Chum. Ci trasferiamo quindi all’altro sito di Sri Atchanalai, la residenza del principe ereditario, che a mio parere è meglio conservato e più interessante. Questa città esisteva al tempo della dominazione khmer, e riuscì a sopravvivere alla rovina di Sukhothai, con la quale ha tante analogie.

Su tutti spiccano il Wat Phra Sri Ratana ed il Wat Chang Lom, il Chedi a forma di campana. Nel primo pomeriggio facciamo ritorno a Sukhothai, dove decidiamo di fermarci per prendere un altro mezzo e proseguire per Lampang, dove pernotteremo nella nostra tappa di avvicinamento al nord del Paese. Facciamo una sosta tecnica di mezz’ora ad un mercato, dove ci immergiamo fra la gente nei colorati banchi che espongono frutta e verdura delle più disparate varietà, un’esperienza che sempre mi appassiona. Troviamo tre camere presso il Lampang River Lodge, molto bello e caratteristico, tutto in legno. Facciamo una foto ricordo su un ponticello tibetano, e la sera dopo cena decidiamo di fare due passi, ma appena oltrepassato il cancello facciamo la conoscenza di un allegro serpentello che lesto lesto ci attraversa la strada; la sua vista ci riporta a più miti consigli, e quindi rapido dietro front e a nanna.

Giorno 7, Chang Mai

wat chedi luang

Su indicazione del personale alla reception, andremo a Chang Mai con bus di linea. Fatta colazione con calma, attendiamo il pullmino che fa il giro degli hotel per prelevare i passeggeri prenotati, e partiamo per il breve viaggio. Una volta giunti a destinazione ci separiamo dai nostri compagni di viaggio, avendo due destinazioni diverse, quindi raggiungiamo l’hotel Westin; all’ingresso troneggia un grosso cartello con un ananas inscritto in un cerchio sbarrato da una striscia rossa, ma in realtà è un divieto categorico al consumo di durian (mi sembrava infatti illogico), il frutto dall’odore pestilenziale di aglio di cui i thailandesi sono ghiotti. Sebbene non sia l’orario, possiamo già prendere possesso della camera e così, depositati i bagagli, usciamo per visitare il Wat Chedi Luang, il complesso monastico nel centro della città; l’area è molto vasta, essendo formata da due templi distinti che sono stati inglobati in un unico monastero. Fuori dall’ingresso, su di una bacheca, a monito di guida sregolata, sono state attaccate fotografie di macabro gusto che riportano gli effetti di molteplici incidenti mortali, a giudicare dai corpi straziati delle vittime. Immagini a dir poco raccapriccianti.

Giorno 8, Chang Mai

wat phrathat

Dopo la colazione contattiamo e concordiamo con uno dei tuk tuk che stazionano nei pressi dell’hotel il noleggio per tutta la mattinata, e ci facciamo condurre in cima alla collina di Doi Suthep che sovrasta la città, allo scopo di visitare il Wat Phrathat, forse il complesso religioso più importante. Qui, per la prima volta, mi impongono di coprirmi le gambe con una lunga sottana, sebbene indossi pantaloni al ginocchio: osservo che la regola vale per tutti. Giriamo in lungo ed in largo, ed alla fine incappiamo in una sala dove un monaco impartisce benedizioni ai fedeli, legando loro un filo di bianco cotone al polso. Mi sento spingere, è mia moglie che sentenzia: “vai, che può solo farti bene!”.

E così mi prendo pure la benedizione. Scendiamo ora al parcheggio tramite una lunga e ripida scalinata di oltre 300 pedate delimitata da due corrimani a forma di naga, i serpenti sacri; nel piazzale acquistiamo tre bellissime stampe su tessuto di folklore locale, che conservo gelosamente alle pareti di casa. A questo punto andiamo a visitare il bellissimo giardino botanico dove si coltivano le orchidee, e fanno bella mostra una miriade di piante tropicali; sempre nella stessa struttura possiamo ammirare una schiera infinita di gatti siamesi, con i loro belli occhi blu e la caratteristica coda mozza.  Il pomeriggio gironzoliamo per la città, e ad una agenzia acquisto due biglietti per un tour che ci porterà a Chang Rai, la nostra destinazione finale. La sera ceniamo, senza infamia e senza lode, in un locale di cucina rigorosamente Thai, con intrattenimento di danze tradizionali.

Giorno 9, Chang Rai

Partenza mattutina con un pullmino da dieci passeggeri, e sosta a Mae Ping, sulla riva del fiume, per la visita alla Scuola di addestramento degli elefanti, tappa della quale avrei volentieri fatto a meno. Controvoglia osservo una dozzina di pachidermi nei loro esercizi, dal sollevamento allo spostamento di tronchi precedentemente segati ed  al loro accatastamento in pile incrociate, poi al bagno nel fiume con i loro mahut ed infine agli esercizi tipici da circo, come il tiro al pallone o il trenino sulle zampe posteriori. Questa parte proprio non la digerisco, e raggiungiamo in anticipo il van per andarcene. Dopo questo esempio di istruttiva didattica proseguiamo verso Tha Ton per una sosta ad un villaggio di una tribù Mom, dai chiari tratti somatici cinesi.

Visitiamo una scuola e facciamo la conoscenza della maestra e di un paio di indiavolati bimbi, quindi finalmente arriva la parte più interessante dell’escursione: prendiamo posto su lance a motore e risaliamo il fiume Kok alla volta di Chang Rai attraverso un magnifico tragitto fluviale. Ad un certo punto piove pure, null’altro che un breve acquazzone tropicale, ma siamo equipaggiati ed indossiamo i K-Way. Osservo la fitta vegetazione che ricopre le sponde, e mi sembra di essere entrato in uno spezzone del film Apocalypse Now. Facciamo un’ulteriore sosta presso un imprecisato villaggio dove sgorgano acque termali, e metto mano in una piscina dove l’acqua è così calda che potresti cuocere delle uova.

Terminata la breve sosta tecnica proseguiamo la navigazione, ed a fine pomeriggio attracchiamo al molo dell’hotel Dusit Island, con pernottamento compreso nel pacchetto. La sera facciamo un salto al mercato notturno, dove in mezzo ad una miriade di bancarelle girano giovani ragazze nei loro coloratissimi costumi montani. A parte la scenografia, di interessante non c’è proprio nulla, a parte la folla di turisti che oramai ha preso il sopravvento sulla genuinità del contesto.

Giorno 10, Chang Rai–Bangkok–Pattaya

tachileik

La mattina confermo al nostro Caronte che non torneremo a Chang Mai, e meno male, perché sono sicuro che non era stato avvertito dall’agenzia, e quindi gli evito il fastidio e la perdita di tempo di aspettarci o, peggio, di venirci a cercare.  Siamo giunti alla fine del tour, ma avendo la mattinata libera, ed essendo nel triangolo d’oro, sulla linea di confine di tre Stati, decidiamo di fare due escursioni supplementari, in Laos ed in Birmania. Ci aggreghiamo quindi ad una sparuta comitiva di vacanzieri e andiamo ancora più a nord, dove, una volta giunti a Mae Sai raggiungiamo il molo e ci imbarchiamo su una lancia a motore per raggiungere il centro dell’immenso Mekong, rosso a causa della costante erosione della riva che assorbe l’urto della corrente, per sbarcare sull’isolotto Don Sao, ufficialmente una stazione di posta, ma in realtà una terra franca ad uso dei contrabbandieri, nonostante la presenza di un piccolo presidio dell’esercito. Faccio una foto ricordo con un giovanissimo ed impacciatissimo soldato comparso per incanto, e poi facciamo due passi in mezzo a varie mercanzie, fra le quali whisky e sigarette la fanno da padrone: non c’è anima viva. Torniamo sulla riva thailandese, e con un breve trasferimento raggiungiamo il Check Point di Tachileik, per passare in Birmania, un ritorno nel medio evo, dirà la nostra accompagnatrice che abbiamo dovuto arruolare per forza per poter varcare il confine. Prendiamo dei risciò e raggiungiamo una bellissima pagoda, e di seguito il monastero dove giovani monaci sono intenti alle loro funzioni. In questo frangente il nostro asmatico conducente ha gonfiato le camere d’aria della bicicletta, così che riesce a completare il giro ansimando molto meno che all’andata. Adesso è proprio finita: rientriamo in hotel attraverso un bel paesaggio contornato da risaie e ci trasferiamo in aeroporto per il volo TG141 delle 15,35 che ci riporterà a Bangkok, aerostazione di Dong Mueang.

Una volta giunti a destinazione troviamo quasi immediatamente un van in partenza verso Pattaya, dove trascorreremo gli ultimi giorni in relax al mare. Viaggiamo su un pullmino che nel giro di un paio d’ore ci porta a destinazione, proprio all’inizio del centro abitato, ma praticamente in una zona stranamente deserta: non c’è ombra di taxi o di tuk tuk. Scorgo una guardia giurata nei paraggi, e gli domando la strada per il centro: mi guarda e non proferisce alcun suono, non capisce. Azzardiamo, andiamo a sinistra, ma subito dopo una rotatoria ci rendiamo conto che siamo fuori strada, quindi invertiamo la rotta, e pian piano notiamo aumentare luci, suoni e gente per strada. Raggiungiamo il nostro hotel, il Dusit Resort, direttamente sulla spiaggia, dove facciamo la registrazione, quindi usciamo per la cena percorrendo la strada maestra che costeggia il mare. Ci fermiamo in uno dei primi locali che incontriamo, lo stomaco comanda, e ceniamo con pesce arrosto.

Giorni 11-12, Pattaya

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Trascorriamo queste due prime giornate all’insegna del più totale relax, nella spiaggetta semi deserta sotto la piscina dell’hotel. Pranziamo con della frutta, ed oziamo sui lettini a disposizione dei quali abbiamo ampia scelta. Lettura e dolce far nulla sono le uniche occupazioni. La sera ceniamo in piccoli ristoranti che incontriamo lungo la via che conduce alla zona pedonale più popolata, osservando allibiti l’alto numero di transessuali che popolano la città.

Giorno 13, Pattaya

La mattina partiamo alla volta di Coral Island, per rompere la monotonia delle giornate tutte uguali. Si tratta del solito pacco ad uso e consumo dei turisti, anche se non è dei peggiori che abbiamo via via incontrato. Raggiungiamo l’isola dopo una breve navigazione, e sbarchiamo su una spiaggia dove facciamo le stesse cose che avremmo fatto a Pattaya, poi pranziamo su una lunga tavolata ed almeno in quest’occasione c’è cibo per tutti; quindi nel pomeriggio risaliamo in barca per raggiungere un basso fondale dove possiamo ammirare splendidi coralli colorati attraverso il fondo di vetro della nostra imbarcazione. La sera solita passeggiata verso la zona pedonale chiusa al traffico.

Giorno 14, Pattaya

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Trascorriamo la giornata fra spiaggia e piscina, e la sera decidiamo di chiudere con una cena di pesce in un ristorante sul mare che ho adocchiato le sere precedenti. Guardiamo distrattamente le vasche contenenti i pesci vivi all’ingresso del locale, tante murene, e ci accomodiamo sulla palafitta che funge da veranda sul mare: ci concediamo una bottiglia di vino rosato portoghese Matheus, con una grigliatona mista. L’ambiente è guastato dalla presenza di quattro schifosi cinesi in compagnia di altrettanti ragazzi locali che si prostituiscono per quattro soldi (o meglio, probabilmente solo per due); fortunatamente, dopo rumorosi schiamazzi e volgarità neanche tanto celate, ma solo una volta dopo aver contestato il conto, si levano di torno, ed abbiamo il piacere di chiudere la serata guardando l’orizzonte buio sul mare.

Dopo cena raggiungiamo il “centro dello shopping”, e mia moglie acquista per pochi dollari una borsa da viaggio che ci tornerà comoda per il bagaglio a mano sull’aereo, mentre io nel frattempo vengo avvicinato da una vecchia ruffiana dall’apparente età di Matusalemme, che mi propone una bella serata con le sue ragazze del vicino locale a luci rosse. La lascio di stucco quando le dico che non mi interessano giovani ragazze, ma lei: sul momento strabuzza gli occhi, poi mi da una pacca sulla spalla, mi manda al diavolo e si congeda con una roca e fragorosa risata.

Giorno 15, Pattaya-Bangkok–Roma

Passiamo l’ultima giornata alla solita spiaggia dell’hotel dopo una colazione più abbondante del solito, e nel tardo pomeriggio lasciamo Pattaya per tornare a Bangkok direttamente verso l’aeroporto internazionale. Non ci sono intoppi o ritardi, ed il volo di mezzanotte è in perfetto orario. L’aereo stranamente non è al completo, abbiamo tutta una fila centrale a disposizione, e riusciamo anche a dormire.

Giorno 16, Roma

Arrivo a Fiumicino in prima mattina, come di consueto, e fine dell’avventura, una delle tante, fortunatamente, che rimarranno indelebilmente nell’archivio di ricordi.

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