Gli spazi infiniti dell’Estremo Oriente: è il Paradiso a Est, dove tra montagne e yurte la luce e le stagioni si alternano in una danza senza tempo

Spazi infiniti, tantissimi animali liberi al pascolo, montagne e ancora montagne, sorrisi, tratti somatici triturati come in un frullatore, un mix anche di tempo, moderno ma ancora di mille e più anni fa, con i ritmi della giornata guidati dalla luce del sole e dalle stagioni
Partenza il: 04/09/2016
Ritorno il: 14/09/2016
Viaggiatori: 2

Spazi infiniti, tantissimi animali liberi al pascolo, montagne e ancora montagne, sorrisi, tratti somatici triturati come in un frullatore, un mix anche di tempo, moderno ma ancora di mille e più anni fa, con i ritmi della giornata guidati dalla luce del sole e dalle stagioni. Settembre è la stagione della frutta, della transumanza verso le valli, dell’inizio delle piogge, ci si sente anche noi piccoli e ci ricordiamo ancora che amiamo questi luoghi sperduti, con poca densità, con larghissimi orizzonti, con contatti significativi. Un forte richiamo per aspiranti nomadi.

Una nuova partenza: eccoci con le solite emozioni e tanta curiosità di conoscere luoghi nuovi, come sempre all’inizio di ogni nuovo viaggio. La scelta di questa mèta è stata decisamente casuale, abbiamo aperto l’edizione della Lonely Planet “Il Mondo” e sfogliato a caso le sue pagine: “terra semidimenticata di valli montane, laghi scintillanti e yurte di feltro, il Kirghizistan è un sogno per chi ama l’avventura e i viaggi indipendenti, per gli eco turisti e gli aspiranti nomadi.” La foto di monti, cavalli e yurte, la breve descrizione iniziale, i nostro successivi approfondimenti, il volo decisamente conveniente, rispetto alle destinazioni più classiche ed è deciso: si parte! Un pizzico di emozione in più: il richiamo agli aspiranti nomadi prende dentro.

Diario di viaggio in Kirghizistan

Giorno 1 – Bishkek

Partiamo con la compagnia aerea Pegasus da Bergamo. Su internet avevamo letto di sedili stretti, a noi invece l’aereo è parso perfetto, posti normali e tra l’altro anche abbastanza vuoto, sia nella prima tappa per Istanbul che nella tratta fino a Bishkek. Atterriamo in orario, al buio della notte fonda; fuori non si vede neppure l’ombra degli aerei militari che transitano di qui per l’Afghanistan! Noi siamo fuori dall’aeroporto in meno 5 minuti, incluso il visto… i vantaggi del bagaglio a mano! Meno di 8 chili a testa, per 10 giorni, incluso vestiario pesante e caldo. Gli scarponi sono ai piedi. Ci pare incredibile che alle 5 del mattino ora locale (4 ore di fuso orario con l’Italia) ci siano tanti controllori per i passaporti, rapidi e gentili e sorridenti. Timbro sul passaporto e fuori senza altre incombenze; troviamo subito il nostro autista, mandato dalla Guesthouse. In mezz’ora arriviamo alla nostra residenza per le prossime 3 notti: Ultimate Adventure contattata da casa, alla periferia nord di Bishkek, vicino alla chiesa ortodossa. Ci svegliano i rumori della colazione nella veranda del gruppo di francesi in partenza per i trek. Siamo un po’ sfasati per il fuso, facciamo anche noi un’ottima colazione e torniamo di nuovo a riposare.

A mezzogiorno ora locale, usciamo per visitare la capitale e per organizzare i prossimi giorni. La città è piena di alberi e parchi, le piazze sono squadrate e ampie in stile sovietico, le strade piuttosto trascurate; le persone sono un misto tra russi, cinesi e turchi. Occhi a mandorla, zigomi pronunciati; le donne molto carine, abbastanza moderne, spesso con capelli corvini lunghi e lisci, altre volte coperti da discreti veli.

Trascorriamo la giornata in città: carichiamo la scheda telefonica consegnataci all’aeroporto con il gestore O! (ben 200com di carica, pari a 2,6euro); all’ufficio della CBT (Community Based Tourism) paghiamo il giro definito via mail (560 euro a testa, inclusi auto e autista) e concordiamo la partenza; cambiamo i soldi (100 euro = 7700Com che ci avanzeranno). La giornata è calda, la gente è simpatica, non parla molto l’inglese, ma ci si intende. L’Italia è nota per Al Bano, Toto Cotugno, Del Piero e Pirlo. Torniamo alla guesthouse, con doccia rigenerante in piccolo locale che si affaccia sul giardino, con chiavistello rotto e doccino che non si aggancia… ma è un piacere ugualmente! Non sappiamo quando potremo avere ancora acqua calda. Riceviamo informazioni sulle olimpiadi dei nomadi, World Nomad Games, che si stanno disputando a Cholpon Ata e cui avremo la fortuna di assistere passando proprio da quelle parti fra qualche giorno!

Giorno 2 – Ala-Archa

Ieri sera siamo andati a fare un po’ di spesa al piccolo super sulla via accanto alla guesthouse e preso delle focaccine ripiene in una simil-trattoria d’asporto lungo la strada. Abbiamo quindi cenato sui tavoli in giardino, in un ambiente rilassato e sereno, in compagnia di altri turisti pronti per partire all’avventura: tutto buono e leggero, innaffiato da abbondante tè offerto dalla casa. Serata tranquilla e romantica sul divano del giardino in silenzio, anche se in sottofondo si sentono i rumori della città, perché Bishkek è pur sempre una capitale con traffico e tutto il resto.

Notte e dormita tutta filata, su letti duri, singoli ma comodi. Mattina: dopo l’ottima e abbondante colazione, alle 8.30 ci viene a prendere Dimitri, l’autista che ci porterà al parco Ala-Archa, a 30 km a sud di Bishkek, con gole e montagne che arrivano a quasi 5000 m s.l.m., vette coperte di ghiacciai. Alle 10.00 ci mettiamo in cammino verso il rifugio/bivacco Ratsek a 3.300 m s.l.m., ma non ci arriveremo. La salita iniziale è in piedi, si prosegue su un crinale ai piedi di alte montagne ove pascolano liberi molti cavalli. Non siamo soli, incontriamo una decina di altri trekker, qualcuno va a dormire al bivacco, di fianco al ghiacciaio, altri come noi tornano in giornata. La méta per i più è la cascata; la valle sotto di noi è bella e selvaggia, il sentiero ben calpestato. Il cielo si annuvola, comincia a tuonare. Alla cascata facciamo quindi marcia indietro. Il bosco è pieno di scoiattoli, che saltano tra gli alberi e curiosano nel nostro zaino.

Torniamo al bivio di partenza intorno alle 14.30, visitiamo una yurta, la casa dei nomadi kirghisi per antonomasia, che ci accolgono disponibili a fare foto con noi. Poi ci addormentiamo sotto un gazebo, mentre il sole torna a fare capolino, dopo che la pioggia ci aveva un po’ inumidito. Abbiamo il tempo per percorrere tranquillamente per un tratto anche il ramo destro della valle, fino alla congiunzione dei fiumi. Lo spettacolo dal basso sulle vette candide è notevole. L’autista ci viene a riprendere alle 17 e torniamo alla capitale: il traffico è intenso non solo per l’orario di punta, ma anche per l’inizio di una partita di calcio. Con pochi euro, circa 2, riusciamo a prendere yogurt, formaggio, un paio di calze, acqua e con altri 2 euro ravioli ripieni e tortille ripiene allo stesso ristorante take-away di ieri. Mangiamo da soli, stasera siamo in pochi alla guesthouse e sentiamo in sottofondo i tifosi della partita di calcio… lo stadio deve essere qui vicino. Naturalmente i tifosi usano le trombe campagnole e i tamburi locali.

Giorno 3 – Burana e Chong Kemin

Ieri sera dopo cena, piacevole relax nel giardino al buio nella guesthouse e poi a letto. Stamattina colazione alle 8, salutiamo il nostro autista e abbracciamo la gentile signora che ci preparava la colazione, parlante russo, ma anche con gli occhi e il sorriso. Incontriamo Ormon, il nostro autista-guida con Subaru volante a destra, che pare ben messa anche se ha 10 anni. Qui le macchine hanno il volante a destra o a sinistra a seconda se vengono acquistate in Giappone o in Europa, mentre la circolazione è a destra come in Italia. Lasciamo Bishkek in mezzo al traffico e ci dirigiamo verso est. In lontananza le montagne hanno le punte incappucciate di candida neve. Questo è il mese della frutta e ad ogni incrocio c’è un mercatino pieno di meloni, angurie, mele, pere, frutti di bosco. Numerosi sono anche i controlli della polizia, e da qui si può capire il vantaggio di far guidare un locale, che ha l’occhio per i limiti di velocità spesso non indicati ma sottintesi. Dopo un’oretta giungiamo alla Torre di Burana, che i sovietici hanno valorizzato. Si tratta di una torre storica islamica, con le pareti intarsiate. Nei prati vicino ci sono molte pietre funerarie antiche con visi scolpiti, trovate sui monti e raccolte in questo luogo. Si può salire sopra la torre, l’ingresso è free e gli scalini interni sono alti e ripidi e stretti. Dall’alto, intorno a noi si vedono bene le montagne e la valle.

Ripartiamo e ci dirigiamo verso la Chong Kemin Valley, parco nazionale al confine con il Kazakistan. Nel villaggio Karool Dobo, un luogo agricolo alquanto sperduto e rustico. La valle è lunga, affascinante, allo stato primitivo, senza insegne o pilastri della luce, poche strade asfaltate; cavalli e cavalieri nei campi, un fiume che scorre veloce. Siamo accolti dalla famiglia, che ci ha subito mostrato e destinato un’ampia stanza piena di tappeti con due letti singoli fatti in modo artigianale: tronchi di albero fissati in modo abbastanza rudimentale. Naturalmente abbiamo disposto i materassi a terra per essere più vicini e comodi! La tavola era imbandita, con un pranzo luculliano, benché preventivamente avessimo avvisato che non siamo dei mangiatori seriali: pane fatto in casa, dolci, zuppa con verdura e carne, peperoni ripieni, confetture di lamponi, bacche rosse e altri frutti di bosco fatte in casa. Tutto molto buono e gustoso. Nel giardino della casa e dintorni vediamo pulcini con vere galline, un vero gatto campagnolo con in bocca un gran topo, cavalli, pecore che sembrano muggire, insomma un paese fattoria. Girovagando per il paese, ci lasciano affascinati i ragazzini che galoppano su cavalli senza selle ed un anonimo negozio in mezzo alla polvere e senza insegne, dove i conti e le somme si fanno con l’abaco. I bambini tornano dalla scuola, vestiti con la divisa ormai tutta impolverata, le bambine con un grande fiocco bianco ai capelli; altri giocano stesi in mezzo alla strada; un temporale rumoreggia sulle cime vicine ma non si addentra nella valle; il muezzin prega alle17.30 con il solito canto lagnoso, che a Bishkek si faceva fatica a sentire.

Il nonno della casa è dentro la yurta in giardino, costantemente fisso davanti alla televisione con un parabolone e la toilette (cabina in lamiera intorno ad un profondo buco in terra) ad un angolo del giardino accanto a due grandi meli.

Giorno 4 – Cholpon-Ata e Karakol

Ieri sera la cena è stata abbondante e gustosa, ma la serata è stata un po’ deludente: i numerosi presenti parlavano solo in kirghiso e non ci hanno degnato di uno sguardo, né salutato quando si sono alzati dalla tavola. Abbiamo scoperto poi che il padrone di casa è l’imam del paese, indossava il cappellino tipico e quando gli abbiamo chiesto cosa facesse, ci ha risposto che faceva il maestro. Di che cosa? Abbiamo chiesto, ma tale domanda forse non gli è andata giù, dato che forse si sentiva molto riconoscibile per l’abito. Ci ha risposto, in maniera ironica, che faceva il maestro di sport. L’abbiamo forse disturbato durante l’ora del canto del muezzin della valle, quindi durante la preghiera: avranno capito che in buona fede non siamo in sintonia con la loro religione. In ogni caso la presenza del marito attivava automaticamente il servilismo della moglie, presente in piedi solo per servire gli uomini e gli ospiti. La passeggiata serale, al buio totale, su strada sterrata (e piena di escrementi animali), ci ha mostrato una volta stellata che ci ha riconciliato con l’intero Universo. Per qualche strana coincidenza, l’acqua in bagno non ha funzionato dalla sera fino al mattino, quando abbiamo chiesto di ripristinarcela. Vabbé, cerchiamo di non farne un problema.

Facciamo una gustosa colazione alle 7.00. Partiamo 7.30, senza incontrare per fortuna il marito permaloso, ma salutando con grandi abbracci Lira, la moglie gentile, cui abbiamo fatto sapere che abbiamo apprezzato il suo ottimo cibo (oltre al pane fatto in casa, prepara il suo tè, dolci che neppure a Natale, marmellate, piatti di verdure e zuppe – naturalmente tutto ben disposto sul tavolo in contemporanea, secondo l’uso locale). Ci dirigiamo verso Cholpon-Ata, sul lago Issyik Kul, dove si tiene l’ultimo giorno del World Nomad Games, la seconda edizione dei giochi voluti dall’attuale Presidente. Partecipano quest’anno più di 50 paesi tra i quali anche l’Italia. Andiamo all’ippodromo dove si tengono le corse dei cavalli. Sono lunghe corse, dove vince il cavallo più resistente, oltre che veloce, sfiancato al galoppo da fantini giovanissimi e leggeri. La gara si svolge su un percorso di 2 km, 10 giri, per un totale di 20km al galoppo, sullo sfondo del grande lago salato (secondo lago alpino al mondo per grandezza dopo il Titicaca). Alle 14.00 arriva il must della giornata, cioè la finale dell’incredibile gioco del Kok Boru, finale disputata tra il Kirghizistan e il Kazakistan. È una sfida di due squadre formate da 4 cavalli e cavalieri, che devono raccogliere e contendersi la preda da terra, una pecora morta di 34 kg per buttarla dentro un canestro, dove spesso finisce il giocatore insieme alla pecora. Si tratta di un misto tra polo, basket e football americano, dove i cavalli si fronteggiano quanto i cavalieri, si spingono, cadono nella polvere, scartano e i cavalieri cercano di prendere la pecora e buttarla nel grosso canestro. Una sfida lunga, faticosissima e pericolosa. Il folto pubblico impazzisce e gioisce, per la vittoria della squadra di casa. Sugli spalti una calca di tifosi eccitati, con cappellini in feltro tipici, urla e si agita. In definitiva molto bello e caratteristico, direi unico.

È stata una coincidenza davvero singolare, trovarsi a passare da qui proprio il giorno della finale! Finita la gara, riprendiamo l’auto come se fossimo all’uscita di San Siro, in un traffico da stadio e ci dirigiamo verso Karakol per la prossima notte. La nostra guida conduce il veicolo allegramente, tra strade dritte senza segnaletica e mucche che attraversano lentamente ed hanno la precedenza come dei tir. Io che gli sto di fianco, controllo che non si addormenti e non sono sempre tranquillo, mentre Laura ronfa sul sedile posteriore. Arriviamo e questa volta la guesthouse è perfetta, con doccia e WiFi, ospita anche una famiglia di turisti francesi simpatici. Ci togliamo il chilo di polvere che abbiamo addosso e mangiamo bene, a parte la zuppa con gli spaghetti-noodles che non riesco proprio a finire per quanto mi faccia schifo. Ottimo come sempre invece è il tè: a tavola l’acqua non esiste… si beve solo il té, molto buono anche con l’aggiunta della marmellata fresca in sostituzione dello zucchero. Ora a nanna, domani è il giorno del trek lungo che ci preoccupa un pochino per il dislivello e la lunghezza indicate dal CBT.

Giorno 5 – Altyn Arashan

Stanotte bella dormita in un comodo divano-letto matrimoniale, acqua calda, fredda e addirittura wifi! Abbondante colazione insieme ai francesi ospiti come noi qui a Karakol. Sistemiamo gli zaini, lasciando il superfluo nella stanza dove torneremo per un’altra notte. Ci dirigiamo all’ufficio del CBT per prelevare la guida che ci accompagnerà sul sentiero per Altyn Arashan: pare che il dislivello che dovremo superare e i chilometri da percorrere sono molto inferiori del previsto. Il sentiero scorre lungo una profonda vallata che termina con un ghiacciaio di quasi 5000 m s.l.m. L’organizzazione però non è chiara: non sappiamo se dobbiamo portarci da mangiare e siamo confusi sulle distanze e i tempi di percorrenza. La guida/portatore ci pare superflua!

Ci siamo affidati alla CBT, ma forse dovevamo saperne di più prima di partire. La valle è simile a una delle nostre belle valli alpine, la passeggiata semplice e molto piacevole. In fondo il maestoso ghiacciaio di 5.000 m s.l.m. a forma di tenda, farà la sua grandiosa apparizione verso la fine. Percorriamo 14 km e 500 metri di dislivello, non abbiamo portato nulla da mangiare e poco da bere come ci hanno detto, in quanto è previsto un picnic on-the-way. Purtroppo non c’è traccia di picnic e l’acqua è abbondante solo sul fiume… questo ci crea un certo malumore. Comunque arriviamo in una bella piana dopo 4 ore di cammino, troviamo subito una tavola imbandita al rifugio rustico e stiamo subito meglio, il panorama è molto bello, bucolico, primordiale, ma sono soprattutto il rifugio e le persone ad essere speciali. Alla fine avremo incontrato: un coreano che ha mollato tutto e gira il mondo con un’ocarina; il gestore del rifugio, un kirghiso alto e giocatore di scacchi, con il quale avrò 3 sfide, tutte vincenti ma combattute allo spasimo; tre ragazzi della Repubblica ceca che si erano persi sulle montagne insieme ad un ragazzo dell’Alaska; due ragazze australiane di Brisbane, che hanno lavorato un anno in Corea e ora girano per il mondo; alcune ragazze polacche e dei ragazzi russi, fustoni, pronti per scalare le montagne.

Facciamo la conoscenza anche di un papà spagnolo del WWF marino, con figlio 11enne disegnatore, in viaggio dalla Namibia. Insomma, dopo qualche giro intorno al rifugio, la prova della hot spring (la temperatura è esageratamente calda, non ce la facciamo), le partite a scacchi, due chiacchiere con tutti, la cena si trasforma in un vero mix di girovaghi e persone incredibili con canti cechi accompagnati dalla chitarra, dolci musiche con l’ocarina, le bevute, i racconti; si festeggia un compleanno di una ragazza polacca, si mangia quello che c’è. Un posto speciale che ci lascia emozionati e piccoli e con la voglia di viaggiare e evaporare nel mondo infinito e nelle persone che si incontrano e la fratellanza e la leggerezza che la montagna e le persone lasciano tracce e solchi nell’anima. Fuori piove, fa freddo, ma l’atmosfera è speciale.

Giorno 6 – Altyn Arashan-Karakol

Nottata a 2500 m s.l.m. Fredda, in una camera con letti cigolanti di vecchio metallo arrugginito e coperte inguardabili. Ho dormito anche bene, mentre Laura ha sofferto il freddo beccandosi un raffreddore durato fino alla fine del viaggio. Però mi sono solo svegliato con lo squaraus, per fortuna finito subito. Lo spagnolo del wwf marino con il figlio ci hanno fatto compagnia durante la colazione: si è parlato di tutto, del centro America, delle spadare italiane illegali, di diritti, mentre suo figlio è un grande ascoltatore e disegnatore. Mi faccio anche una terza partita di scacchi con il rifugista, mentre piano piano le persone si preparano a lasciare questo avamposto di umanità vergine e non decomposto.

Ci avviamo anche noi per altri 15 km, in discesa; via via la temperatura si scalda. Torniamo giù incontrando una strana giapponese difficile da inquadrare: va in giro da sola, con una borsa mignon a tracolla, con una risata da sfasata, collant tutte sfasciate, attacchiamo bottone, per il freddo ha passato un bel po’ di tempo nella hot spring, ha girato il Tajikistan da sola, pare completamente disorganizzata, senza bagagli e andrà in Turchia dal suo boy friend per girare per altri 4 mesi Turchia e Georgia. Raccatta anche un passaggio su un cavallo, poi le offriamo un passaggio in auto fino a Karakol e pare non abbia alcun programma di dove andare a stare, dirigersi e dormire. Ci saluta chiedendo dove è il centro e ci lascia un po’ increduli. Arriviamo in centro di Karakol e ne approfittiamo per visitare la moschea in stile pagoda cinese e la chiesa ortodossa, entrambe di legno; qui troviamo anche una troupe della televisione svizzera che sta preparando un documentario.

Infine, torniamo alla nostra guesthouse dove possiamo finalmente approfittare dell’acqua calda-fredda per lavarci. Siamo abbastanza sfiniti, ma non troppo: attimi d’amore e gran dormita fino all’ottima cena, insieme alla padrona di casa che ha preparato gustosi ravioli ripieni. Anche lei è un personaggio, ha girato e studiato all’estero: ci ha mostrato tutte le cartoline ricevute dai suoi ospiti nel mondo. Questo paese pare proprio l’ombelico del mondo, il paese più lontano dal mare che esista. Proviamo ad uscire per una breve passeggiata post cena, ma è quasi impossibile, non c’è illuminazione notturna nelle strade polverose, ci si perderebbe in un attimo in questo labirinto, e torniamo per riposarci di nuovo e prepararci per il resto di questo viaggio che ci stiamo davvero godendo.

Giorno 7 – JetiOguz, KokJaik, Skazka, BelTam

In questa data particolare, 15 anni dal 2001 e 2 anni dalla partenza per il Perù, siamo ora in una yurta in Kirghizistan, in riva al lago Issik Kol, dopo essere passati ed aver vagato tra le pieghe della terra, in un luogo che è un misto tra il Bryce Canyon, la Cappadocia e il Wadi Rum, ma che poi ha una caratteristica tutta sua, perché è molto esteso e dietro vi sono le montagne innevate. Ricominciando da principio. Stamattina abbiamo salutato Karakol, la famiglia e ci siamo diretti al mercato degli animali della domenica mattina: cavalli, mucche e pecore in un caos totale di odori, rumori, colori, facce, trattative, speranza di vendita, gente da ogni dove. I cavalli sono meravigliosi, non ce ne intendiamo ma riteniamo che si tratti di una razza specifica del Paese, davvero maestosi, superbi ed impressionanti.

Per metterli meglio in mostra venivano fatti esibire in scontri, passi laterali, corsette sul posto. Qualche cavallo aveva la zampa bloccata su un supporto per la ferratura o la pulizia dello zoccolo. Fuori dallo spiazzo principale si vendevano le auto, anche dei vecchi rottami ripuliti per l’occasione, ma pur sempre di 30 o 40 anni fa; il prezzo sembrava alto, in proporzione, ma è immaginabile una contrattazione fra le parti. Tutto molto interessante, quasi di un’altra epoca che noi “occidentali” non conosciamo più, pur avendo certamente vissuto una storia simile nel Passato del nostro Paese. Sullo sfondo le montagne piene di neve aggiungono una nota di fascino. Usciamo da Karakol per dirigerci verso Jeti-Oguz George (le sette palle). All’inizio della valle si stagliano queste sette palle di terra rossa, imponenti. Ci inoltriamo poi nella valle, parallela ad Altyn Arashan. Da qui sarebbe possibile partire per un trek che in 5 giorni conduce alla hot spring di Altyn Arashan.

La valle si chiama Kok-Jaik, la valle dei fiori, ma di fiori è piena solo a maggio e a giugno. Ora è solo una bella valle, piena di animali, con un fiume impetuoso. Siamo saliti in auto su strada sterrata, ma abbiamo deciso di tornare a piedi, lasciando l’autista perplesso, con la richiesta di attendere almeno un’ora prima di avviare il motore dell’auto! Incontriamo per l’ennesima volta i ragazzi israeliani che erano con noi sull’aereo e che evidentemente fanno il nostro stesso giro! Il nostro autista ci supera con l’auto ed allestisce a valle un piacevole picnic in riva al fiume. Un leggero mal di testa ci sta montando, la strada sconnessa ci fa soffrire. Volevamo quasi saltare la sosta in programma per arrivare subito a destinazione e riposarci. Per fortuna abbiamo stretto i denti!

Siamo arrivati in un posto me-ra-vi-glio-so, il canyon rosso Skazka, un luogo incantevole. Non so come, ma ogni dolore è passato come d’incanto: sarà stata forse la salita e la passeggiata sulle rocce rosse, i canaloni, le piccole vette, insomma un gran bel posto, che insieme al mercato mattutino, ha segnato questa giornata. Ci saremmo rimasti a oltranza, curiosando fra le colorate pieghe della terra di mille forme e di mille colori. A questo punto a malincuore alla fine abbiamo ripreso l’auto e siamo arrivati a BelTam, una sorta di campeggio di yurte sulla riva sud del lago IssukKol, nel nulla assoluto, con i temporali in giro che ci hanno donato due arcobaleni sul lago quasi completi. Dopo una doccia calda per toglierci la polvere di dosso (in bilico su una pedana di rami irregolari e troppo distanti per riuscire a tenere l’equilibrio…), aspettiamo la cena e vediamo quanto freddo dovremo soffrire.

Giorno 8 – Song Kol lake (3000 m s.l.m.)

Ieri sera, a BelTam, dopo gli arcobaleni e una buona cena abbondante in compagnia di una coppia belga e una coppia padre-figlio olandesi ci siamo seduti intorno ad un fuoco sotto le stelle, poi due passi nel buio, un po’ di altalena e a letto, con Laura un po’ scalcagnata, ma regge. La dormita è stata persino calda, abbiamo dovuto toglierci le coperte e ci siamo svegliati con il sole mattutino che entrava nella nostra yurta riscaldandola piacevolmente. Dopo una colazione, infastiditi dalle numerosissime vespe apparse dal nulla, ripartiamo e diamo un passaggio al padre-figlio olandesi, che percorrevano a piedi la assolata e lunga strada sterrata, appesantiti da zaini enormi. La chiacchierata è molto gradevole e rende più leggero il viaggio in auto. Il padre lavora al tax office olandese; il figlio è in giro per tutti gli stati ex sovietici, il padre l’ha raggiunto per visitare il Kirghizistan.

Li lasciamo ad un bivio, loro tornano verso Bishkek, mentre noi ci dirigiamo verso Kochkor, dove facciamo pranzo offrendola pure alla nostra guida Ormon (paghiamo 6 euro in tutto). Sostiamo all’ufficio CBT per poter controllare con il wifi se ci sono novità o notizie da casa. Lungo la strada incontriamo il boss/gestore del gruppo di yurte dove alloggeremo questa notte: sale in auto e viene con noi. Dopo avere visto per la prima volta nella vita i cammelli vediamo anche gli yak, dei bufali liberi che pascolano liberi e tranquilli sulle montagne. Qui ci sono anche i lupi che d’inverno scendono dalle cime delle montagne. Man mano che si sale, il paesaggio si fa sempre più spettacolare, superiamo un passo a 3400 metri e facciamo alcuni tratti a piedi anticipando la nostra auto.

L’arrivo al lago SongKol è uno spettacolo da far piangere dall’emozione: un bellissimo lago circondato dalle montagne; campi lunghi, orizzonti infiniti pieni di animali. Prendiamo possesso della yurta e lo spettacolo incantevole, bucolico ed essenziale ci lascia senza fiato: spazi liberi, orizzonti senza fine, ti senti piccolo e il cuore diventa grande. Facciamo un giretto. Proviamo per mezz’ora due cavalli. Siamo molto imbranati e i cavalli fanno un po’ quello che vogliono, si mettono a brucare mentre proviamo a farli camminare. Ci riusciamo, anche un po’ al trotto, ma bisogna essere decisi con loro e invece siamo delle mammolette, ma chiaramente non lo siamo è solo perché siamo giustamente prudenti. Prima del tramonto la cena è pronta, peccato siamo soli soletti. La guida e il gestore non ci sono, sono andati a farsi una birretta nella yurta accanto! Ci sediamo su comodi cuscini in terra davanti ad un lungo tavolo basso, sommerso da ogni ben di dio di cibo, compreso un buonissimo pesce di lago, una zuppa e dolci tipo le nostre chiacchiere, con una squisita marmellata, soliti biscotti, noccioline, caramelle. Tè. La donna ci prepara il letto con tanto di piumino per coprire la testa! Ci accende la stufa alimentata con cacca animale! Per ora si sta benone ma siamo pronti al freddo intenso, perché la stufa va solo per qualche ora; teniamo a disposizione altro abbigliamento pesante. Voglio proprio vedere come ce la caveremo, ma non abbiamo problemi, a parte una pancia che sembra una pentola a pressione e un po’ di febbre forse di Laura. Ma ci arrangiamo e ce la godiamo.

Giorno 9 – Bishkek

Oggi è la giornata prevista per rientro a Bishkek. La notte nella yurta a SongKol, a 3000 metri sul livello del mare non è stata così gelata come ci si aspettava. La stufa ha funzionato fino alle 2 del mattino. Mi sono alzato in piena notte, era nuvolo e la luce della luna era coperta, piovigginava, ho fatto una decina di passi e mi sono lasciato andare, come fanno tutti i cavalli e gli altri animali. Sotto le coperte abbiamo dovuto spogliaci, altro che dormire vestiti! Al chiarore dell’alba è tornato il sereno, non faceva freddissimo. Gli orizzonti sterminati ci incantavano. Ci siamo scaldati con l’amore, come se il freddo e la solitudine facessero ancora più del magnetismo che ci unisce. I bisogni fatti davanti a montagne innevate e animali, toeletta con simil-lavaggio in un simil-lavandino all’aperto attivato a pedale con l’acqua presumibilmente del lago portata in spalla dagli asinelli. A colazione, sempre una marea di roba, con calma prendiamo la via del ritorno con un po’ di tristezza nel cuore. Arriviamo a Kochkor e sta per piovere, facciamo in tempo a trovare la bandiera e i fazzoletti da naso, e riprendiamo la via del ritorno.

La nostra guida Ormon non ci lascia tranquilli, oggi sembra che si addormenti sul volante, ogni tanto vacilla, io sento la pancia brontolare, il cielo sempre più cupo. Arriviamo integri a Bishkek e da Ultimate Adventure, dove sono molto accoglienti e carini e ci hanno tenuto una camera affacciata sul giardino. Ci occupiamo subito di fare il check-in on line, (senza bagaglio) con l’aiuto di Aziz di U. A., che si occupa anche di organizzarci il taxi alle 3 di notte (per 700com, circa 10 euro).

Qualche acquisto in un supermercato, due passi, un continuo mio va e vieni dal bagno, e per fortuna abbiamo con noi delle pastiglie anti diarrea, che comunque compriamo ancora da una farmacia … dove parlano solo in kirghiso e russo, ma ci facciamo capire con gesti eloquenti e mostrando un rotolo di carta igienica. Torniamo, ceniamo alla guesthouse con un po’ del nostro cibo, quello che va giù, un po’ per il magone della fine vacanza, un po’ per il mal di pancia; prepariamo gli zaini; io penso solo a come cavarmela il giorno dopo, prendo quello che posso e andiamo a dormire presto.

Giorno 10 – Rientro in Italia

La notte è filata via bene, mi sono riaggiustato, il taxi puntuale e l’orario del decollo pure. Tutto a posto. Ora siamo a Istanbul in attesa del volo di ritorno a Milano.

Considerazioni finali sul Kirghizistan

Una paese unico, un mix di culture e un esempio, speriamo lo sia anche nel futuro, di come le varie culture e religioni possano coesistere. Spazi infiniti, tantissimi animali liberi al pascolo, montagne e ancora montagne, sorrisi, tratti somatici triturati come in un frullatore, un mix anche di tempo, moderno ma ancora di mille 2000 e più anni fa, con i ritmi della giornata guidati dalla luce del sole e dalle stagioni, che caratterizzano ancora molto le giornate. Settembre è la stagione della frutta, della transumanza verso le valli, dell’inizio delle piogge, ci si sente anche noi piccoli e ci ricordiamo ancora che amiamo questi luoghi sperduti, con poca densità, con larghissimi orizzonti, con contatti significativi.

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