Nella città che ogni turista vuole visitare almeno una volta c’è uno dei monumenti più brutti al mondo
Nella Città Eterna il tempo è sospeso sia fra le antiche rovine che in coda ai semafori quando piove, tra opere d’arte immortali e ristoranti che vendono la felicità in un piatto di cacio e pepe. Ogni angoletto di Roma racconta una storia, che sia una di quelle parti di Roma che già conosciamo per le bellezze storiche, che sia una di quelle parti un po’ meno mainstream (tipo la zona che sembra Londra) o una di quelle prettamente segrete. Non importa, dove ti giri ti giri, trovi bellezza, sempre… quasi sempre. Ma in fondo, cosa potrebbe andare storto in una città che è il sinonimo di bellezza? Nella Caput Mundi c’è il Colosseo, il Pantheon, la Fontana di Trevi ed una lista infiniterrima di cose belle. Ma come ogni turista che si rispetti, lo sappiamo già tutti: se è vero che l’abito non fa il monaco, le prime impressioni sono comunque molto importanti, e creano un sacco di Conversazioni.
No, non mi riferisco al traffico, ai tentativi di attraversare la strada sulle strisce, agli insoliti ritardi di Trenitalia… ma al benvenuto di molte, troppe persone, quello poco dopo essere scesi dal treno. Il benvenuto che ricevi non appena hai capito dove andare ringraziando Google Maps e che per fortuna trovi subito dopo essere arrivato a Stazione Temini per andare a Piazza dei Cinquecento (leggasi: due minuti a piedi dopo essere scesi dal treno) a prendere un bus. Ma nella città in cui appena scavi trovi un reperto, ci sarà un benvenuto artistico, no? Napoli ha le stazioni della metropolitana artistiche, cos’ha la Capitale? Se ci fosse un monumento di benvenuto, se ci fosse… ma il problema è quello: c’è. Da anni. E di Conversazioni ne ha ispirate anche troppe.
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La perla (non) nascosta che dà il benvenuto a Roma: la statua di Giovanni Paolo II. Quando, come, perché
La statua di Giovanni Paolo II di Stazione Termini, chiamata “Conversazioni”, di Oliviero Rainaldi. Mikhail Malykh, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons
Anzitutto, ciò che vedi è la seconda versione della statua, che è leggermente migliore della prima. Rimane impressa, tocca i tuoi sentimenti, magari non nel modo inteso dalla statua e dall’autore stesso, ma ci riesce bene. Ma a proposito di intenzione originaria… quando, come, ma soprattutto perché? Non lasciarti rovinare da subito l’ingresso a Roma: lasciati deliziare dalla storia di un (involontario) capolavoro.
Anno domini 2011, Roma decide di omaggiare Giovanni Paolo II con una statua monumentale nel cuore pulsante della città, ovvero Stazione Termini, uno dei due caotici crocevia trafficati che accoglie a milioni fra turisti e non (l’altro è Stazione Tiburtina). Un’opera dall’intento nobile, quello di rendere omaggio al papa polacco, il Papa Buono, figura iconica per l’umanità intera. L’idea di una scultura in bronzo che raffiguri il pontefice non è male: un gesto di protezione col mantello aperto, in un abbraccio simbolico e accogliente, idea da una foto del 1993 quando Karol Józef Wojtyła in un convegno ha avvolto col mantello un bambino seduto su una scalinata.
Il progetto è promosso col sostegno del Comune di Roma e affidato allo scultore Oliviero Rainaldi, conosciuto per lo stile modernista e astratto. E fin qui, tutto ok. Problema è che, come molto spesso succede con l’arte contemporanea, l’intenzione non corrisponde facilmente alla percezione pubblica. E fu così che il 18 maggio 2011, in cerimonia, la statua si svela. Ahia.
Conversazioni, si chiama la statua di Oliviero Rainaldi. Davanti a una folla di dignitari e cittadini romani si erge un monumento di 5 metri a Piazza dei Cinquecento ma qualcosa non va. La figura carismatica e paterna di Giovanni Paolo II è un po’ off, un po’ enigmatica, non si capisce. No, non si capisce, affatto: un mantello semplicemente tozzo e soprattutto una testa squadrata con un’espressione degna dei peggiori bar di Caracas. E quella che c’è qui sopra è la seconda versione!
Conversazioni, di Oliviero Rainaldi. Ecco com’era la prima versione della statua per la beatificazione di sua santità Giovanni Paolo II
Brutto, brutto, aiutame a di’ brutto, diceva Enrico Brignano in “Io per voi un libro aperto”. Non sulla statua, ma il sapore è quello. Pippo-b, e pietro scerrato, CC BY-SA e CC BY 3.0, via Wikimedia Commons
Conversazioni, questo il nome della statua di Oliviero Rainaldi, che di conversazioni ne ha create eccome. Le reazioni sono decisamente a catena e poco lusinghiere: un blocco di bronzo, Papa Batman, l’ingresso istantaneo fra i monumenti più brutti al mondo secondo la CNN americana al tempo, le critiche dell’Osservatore Romano (giornale ufficiale fatto dal Dicastero del Vaticano, ndr.), i peggio nomignoli sui social media. Se per questo la CNN americana fa derivare il paragone da una lista fatta da Iain Aitch, che equipara la posa della prima versione a “Mussolini che tenta di rapire un minore“.
Insomma, si stava meglio quando si stava peggio. L’involontario successo mediatico piove da ogni angolo, mica solo dai romani. Pure in Polonia l’opera è accolta col gelo, perché il fatto che il papa non si riconoscesse proprio era universale. “Astratta, distante”, dicevano, dicono. Il paragone con tante altre statue di Wojtyła per il mondo ma pure per Roma è lampante, ma non è tutto, perché la situazione è peggio di quel che sembra. Si attacca il processo creativo, in una città piena di storia e di dettagli minuziosamente scolpiti si fa posto, per qualcosa di così importante, l’astratto. Conversazioni è stata ribattezzata semplicemente come “la campana di Termini” e le critiche non mancano.
Le critiche raggiungono chi di dovere, tant’è che nel 2012 vengono fatte modifiche importanti. Il Comune di Roma e il Ministero dei Beni Culturali decidono di intervenire, e il volto del papa diventa riconoscibile, il mantello si alleggerisce e la base della statua rimpicciolita. Il restyling placa un po’ le polemiche ma rimane quel che è. Fai il paragone fra le due foto.
Dopotutto, non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace, direbbe qualcuno. Problema di fondo è che non piace e che l’originale era meglio: le polemiche peggiorarono a causa della bozza del progetto originale, resa pubblica da un cardinale, che effettivamente a Karol Wojtyła ci somigliava. Oliviero Rainaldi si espresse sul restyling di Conversazioni, con tanto orgoglio, dichiarando che il progetto aveva tenuto il suo valore artistico. In molti continuarono a vedere il tutto come un errore di comunicazione fra l’intento dell’artista e il gusto del pubblico, rovinando una commemorazione importante.
Potreste provare a toccargli il sedere per avere un po’ di fortuna, un po’ come si fa con la statua di Manuela Arcuri… ma non ha un sedere, poiché il corpo è astratto. Pazienza, anzi, amen.