12 giorni nella magica terra di Scozia: un viaggio d’autore tra Re e Regine, libri antichi, fari e meraviglie della “Terra del Nord”

Una vacanza fuori dagli schemi, a base di sorprese e sorrisi
Scritto da: superele1982
12 giorni nella magica terra di scozia: un viaggio d'autore tra re e regine, libri antichi, fari e meraviglie della terra del nord
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Questo sarà un diario fatto di verde, di vento, di mare, di fiumi, di ruscelli, di Scozia ovviamente. E poi cascate, castelli, fiori, pecore, cavalli, mucche, cervi, arcobaleni, stradine, ma anche libri, sorprese, avventure culinarie, sorrisi, sogni avverati. 12 giorni, 2.100 chilometri, 1.500 foto, ma soprattutto emozioni e meraviglie. Ci siamo affidati alla nostra agenzia di viaggio di fiducia di Parma, Gattinoni, e alla loro simpaticissima Silvia, per la prenotazione di voli, noleggio auto e hotel di Edimburgo sia per l’inizio della nostra vacanza che per l’ultima notte, riuscendo così ad usufruire di alcune facilitazioni che avevamo a disposizione. Abbiamo invece prenotato in autonomia su Booking.com tutte le altre sistemazioni per la notte, ma facendolo molto in anticipo: anche muovendoci in anticipo a marzo, alcune soluzioni erano già esaurite!

Diario di viaggio in Scozia

4 agosto 2024 – Arrivo a Edimburgo

Partiamo presto da Parma, l’autostrada per Orio Al Serio è piuttosto sgombra e arriviamo in aeroporto in anticipo. Il nostro volo Ryanair per Edimburgo parte abbastanza puntuale, e arriviamo nella capitale scozzese dopo due ore e mezza di volo, sotto una pioggia poco incoraggiante. La mia valigia ha esalato i suoi ultimi istanti di vita, è arrivata mezza aperta ma il rivestimento interno ha fatto in modo che niente si perdesse in giro per l’aeroporto. La trascino mesta fino al punto di attesa dei taxi, dove un intelligente sistema semi-automatico rende la nostra attesa praticamente nulla. Sotto questa pioggia preferiamo spendere di più ed arrivare comodamente in hotel senza far ricorso ad autobus o navette. Il nostro taxi ci conduce in centro, e arriviamo davanti al nostro hotel, il Ten Hill Place, in poco più di mezz’ora (35 sterline).

Il tempo di salire in camera e toglierci i nostri vestiti estivi da 40 gradi in Val Padana, e siamo già pronti per la nostra cena al pub “The Southsider”, che dista pochi metri dal nostro alloggio. Avevo prenotato un tavolo per due tramite la app The Fork per le 20.30, e arriviamo giusto in tempo prima che la cucina chiuda. Il pub è affollato, ma il nostro tavolo è in un’ottima posizione: da qui possiamo seguire in diretta le gare delle Olimpiadi di Parigi, anche se per l’Italia non è una serata fortunata… noi comunque ceniamo bene, e spendiamo appena 27 sterline per una bella porzione di macaroni & cheese, patatine, un hamburger con formaggio e bacon e due belle pinte di birra (una è inclusa insieme al burger). Il ragazzo al bancone è italiano, e mi lascia un po’ di materiale informativo sul Festival che si sta tenendo in città proprio in questi giorni. Facciamo due passi intorno all’hotel, ma siamo stanchi e torniamo presto in camera – c’è anche piuttosto freddo e continua a piovere. Nella speranza di un miglioramento delle condizioni meteo per domani, ci addormentiamo contenti nella nostra bella camera.

5 agosto – Edimburgo

La sveglia alle sette ci trova ancora addormentati nella nostra camera al Ten Hill Place Hotel. La colazione a buffet, sia di tipo continentale che di tipo “British”, è particolarmente ricca: noi prendiamo uova strapazzate, bacon, salsicce, tattie scones di patate (simili agli hash brown già gustati in Irlanda), frutta fresca, yogurt, croissants, pains au chocolat, latte e caffè. C’è anche l’haggis (praticamente un trito di interiora di pecora marinato con spezie, per farla breve), ne assaggio un millimetro cubo ma proprio non fa per me… è carichissimo di pepe! Ci alziamo sazi, ripassiamo un momento in camera e poi usciamo per la nostra prima giornata di esplorazione di Edimburgo.

La posizione dell’hotel è particolarmente favorevole alla visita del centro della città: ci troviamo nel quartiere detto “dei Chirurghi”, e in effetti vicino all’albergo ha sede il Museo della Chirurgia e della Medicina – da queste parti, fino a qualche centinaio di anni fa, andava per la maggiore procurarsi cadaveri e analizzarli per scopi di ricerca. Quando usciamo, verso le 9, le strade sono ancora piuttosto deserte (i negozi aprono verso le dieci).

La nostra prima destinazione è il Castello di Edimburgo, che però vogliamo vedere solo da fuori. Da ciò che ho letto, le 22 sterline per il biglietto d’ingresso sono davvero eccessive per ciò che effettivamente si trova all’interno del castello. Strada facendo, passiamo davanti al cimitero di Greyfriars, che visiteremo nel pomeriggio, e alla statua di Bobby, il cagnolino che, dopo aver passato più di dieci anni sulla tomba del suo padrone sepolto proprio qui, è stato nominato mascotte della città e seppellito all’entrata del cimitero. Lungo la strada, passiamo anche per Victoria Street, coloratissima, che ci accoglie gioiosa sotto un bel cielo azzurro in cui danzano veloci grandi nuvole bianche. Da qui al castello ci sono pochi minuti a piedi. L’imponente struttura sorge su un’altura rocciosa di origine vulcanica, posizione che lo ha reso inespugnabile nel corso dei secoli. C’è già tantissima gente in fila, e infatti i cartelli informano che i biglietti per la giornata in corso sono esauriti. Scattiamo qualche foto, ci facciamo un selfie e procediamo nel nostro cammino verso i Ramsay Gardens, che ci conducono direttamente ad un bellissimo punto panoramico sul centro della città: di fianco a noi il New College (in cui facciamo una rapidissima incursione, nel cortile a cui possiamo accedere c’è una bella statua di John Knox, eminente teologo, ministro e scrittore), ma ai nostri piedi la vista spazia e ci regala una cartolina magnifica sulla capitale scozzese.

Torniamo in Victoria Street, fotografiamo l’esterno di “The Elephant House” (dove J.K. Rowling scrisse parte del primo volume di Harry Potter), e – sulla strada verso il monumento a Walter Scott, ci fermiamo ad ascoltare la struggente melodia di una cornamusa suonata da un elegante ed austero signore vestito di tutto punto in stile tipico scozzese.

Ci riposiamo qualche minuto su una panchina di fianco allo Scott Monument, tributo al celebre scrittore scozzese nativo di Edimburgo Sir Walter Scott. Questa imponente torre gotica è alta 61 metri e domina lo skyline di New Town. Abbiamo altri programmi, e decidiamo di non intraprendere la salita dei 287 gradini fino alla cima – la prossima tappa ci offrirà un panorama sicuramente altrettanto affascinante. Strada facendo, ci fermiamo incantati ad osservare per qualche minuto uno spettacolo coloratissimo vicino alla stazione di Waverley. Per pubblicizzare il loro spettacolo teatrale, i ballerini e i cantanti del gruppo coreano Ari stanno intrattenendo i passanti con una bella esibizione, dall’elegante stile coreano. Siamo nel cuore della Scozia, ma questi artisti sanno trasportarci in Oriente insieme a loro!

Il tempo di fare qualche foto e i complimenti ai teatranti (che mi regalano un gadget della compagnia a mo’ di ventaglio), e riprendiamo il nostro cammino. Parco pubblico cittadino situato su di una collina, Calton Hill si rivela sin da subito un ottimo punto panoramico, reso particolare da alcuni monumenti che ricordano l’architettura greca. Ad appena quindici minuti a piedi dal monumento a Scott, questa collina ci regala una vista a trecentosessanta gradi davvero spettacolare, e il cielo – pieno di veloci nubi bianche, è una scenografia splendida in continuo mutamento.

Ci riposiamo un altro po’, poi – nel tragitto di ritorno verso l’hotel, passiamo per la medievale Old Town, dove un rapido acquazzone ci fa rifugiare dentro ad un negozio di whiskey. Il Royal Mile è affollatissimo, tra turisti, teatranti del Festival e artisti di strada. Scattiamo qualche bella foto, ma ormai siamo stanchi e vogliamo trovare un posticino tranquillo lontano dalla ressa dove pranzare. Poco prima di Greyfriars, ci fermiamo al Pub George IV. Tutto in legno e specchi, fiocamente illuminato da poche lampade, il locale ha davvero l’aspetto di un tipico pub britannico. Con 46 sterline, pranziamo bene a base di tartine di salmone affumicato con mousse di formaggio e capperi, ciabatta con salmone fresco e patatine, cheesecake al cioccolato con salsa ai lamponi e crema inglese, due pinte di birra e una bottiglietta di acqua frizzante (che costa quasi più di una pinta di birra!).

Il Greyfriars Cemetery, istituito a metà del XVI secolo, è la nostra ultima tappa di oggi. Annoverato tra i luoghi più infestati di Edimburgo, è famoso anche per essere aver ispirato J.K. Rowling per il suo Harry Potter, e per essere il luogo di sepoltura di Greyfriars Bobby. Appena entrati, vediamo infatti la statua del cagnolino in mezzo ad una coloratissima aiuola di fiori. Il fedele Skye Terrier ha vegliato sulla tomba del suo padrone, John Gray, per quattordici anni. Si dice che l’amorevole cane si allontanasse dal suo padrone solo per andare a mangiare, e trascorse tutto il resto della sua vita a vegliare sulla sua tomba, forse nella speranza di poterlo rivedere. All’epoca in cui morì John Gray, tutti i cani senza licenza (che non appartenevano a nessuno) dovevano essere soppressi, ma la storia di Bobby commosse così tanto gli abitanti di Edimburgo che invece gli salvarono la vita.

Guardandoci attorno non possiamo fare a meno di notare delle grosse grate di ferro che sbucano fuori dal terreno, chiamate “mortsafe”, che un tempo si usavano per proteggere i corpi dei defunti dai ladri di cadaveri. Era un’attività piuttosto redditizia e diffusa, prima che, più o meno a metà Ottocento, la fornitura legale di cadaveri per scopi medici venisse regolata.

Facciamo una rapida visita all’interno della chiesa, che però non ci ispira molto. Usciamo, e – in poco meno di dieci minuti, arriviamo in camera. Mentre Davide decide di riposare un po’, io voglio andare alla scoperta di alcuni “charity shops” che ho intravisto stamattina appena partiti dall’hotel. Ho scoperto questo tipo di negozi l’anno scorso a Londra, rimanendone affascinata (avevo trovato anche alcune meraviglie a prezzi irrisori). Si tratta di piccoli negozietti gestiti da associazioni benefiche molto popolari nel mondo anglosassone. Nel Regno Unito il fenomeno del charity shop è largamente diffuso: ad oggi si contano circa 9.000 negozi che fanno capo ad oltre 300 organizzazioni. Ad esempio, Cancer Research UK vanta una catena di oltre 500 negozi.

Dentro ci si può trovare di tutto: abbigliamento, accessori, libri, cd, dvd, oggetti d’arredo (mobili compresi) e bigliettini d’auguri. Tutto di seconda mano, si tratta di oggetti donati al negozio da privati o aziende. I prezzi a volte rasentano il ridicolo… Gli allestimenti sono degni di un vero negozio e tutto è in ottime condizioni. Acquistando da un charity shop si sostiene l’associazione che così può godere dei benefici previsti dall’ordinamento britannico. Per ogni sterlina spesa dai clienti, l’associazione potrà chiedere al governo 25 centesimi e sostenere così le sue attività benefiche. I punti vendita sono tutti gestiti da volontari.

Nicolson Street, a Edimburgo, a due minuti scarsi dal nostro hotel, è letteralmente un Paradiso per chi come me ama i mercatini, ma soprattutto il riuso solidale: nel giro di cinquanta metri ci sono ben nove charity shops (Shelter, British Heart Foundation, due punti vendita Oxfam, Barnardo’s, Samaritans of Edinburgh and the Lothians, PDSA, Cancer Research UK, Save the Children). Inizio da quello più lontano, con l’idea di avvicinarmi poi sempre di più al nostro hotel (avevo già avvisato mio marito di non preoccuparsi se avessi tardato… mi conosco troppo bene!). In poco più di un’ora e mezza li visito tutti e nove. Alla fine, spendo in totale 14.50 sterline portandomi via un libro fotografico su Ayrton Senna per mio marito (2 sterline!), un libro nuovissimo sugli itinerari più nascosti della Scozia, un calendario fotografico “Explore Scotland 2025”, e due “ponchi” di plastica nuovi con la scritta “Scotland” per quando vagheremo nelle selvagge lande scozzesi tra pioggia e vento. Raggiungo Davide in camera, e gli mostro entusiasta tutti gli acquisti. Verso le 19.30 usciamo per cena, ho già prenotato da casa su Internet un tavolo al “Wuzhen of China”, che promette molto bene con il suo ricco menù. Tra l’altro, ho letto una certa notiziola sul sito… che in effetti tornando dalla nostra passeggiata quotidiana abbiamo già verificato, ma che va approfondita stasera. Nel pomeriggio avevamo preventivamente cercato il ristorante su Nicolson Street, e avevamo visto che all’esterno c’era una piccola targa che spiegava che in questo stabile J.K. Rowling aveva scritto i primi capitoli di “Harry Potter e la Pietra Filosofale”. Prima di arrivare al locale, ci fermiamo nel cortile del Museo della Chirurgia e della Medicina, e scattiamo qualche foto alle statue dei chirurghi e al bel giardino intorno a noi. Il Museo è chiuso, sarebbe bello trovare il tempo per andarci, ma il nostro programma per domani è già pieno di posti da esplorare… vedremo!

Siamo ormai vicini all’orario per cui abbiamo prenotato il nostro tavolo al ristorante cinese, saliamo al primo piano accompagnati da un cameriere e veniamo fatti accomodare nella grande sala con una bella vetrata sulla via principale. Sembra di essere in Oriente! Il rosa dei lunghi rami di un ciliegio in fiore allieta i nostri occhi, e sul fondo del locale una grandissima foto sembra ingrandire l’orizzonte portandoci su una barca lungo un tranquillo fiume cinese. Sul lato opposto, vedo un angolo interamente dedicato al “Binario 9 e tre quarti”, chiaramente ispirato ad Harry Potter, di cui anche qui si vantano giustamente le origini. Il tempo di scattare qualche foto e siamo poi pronti ad ordinare. Il ristorante non è affollato, i nostri piatti arrivano in un tempo accettabile. Ceniamo davvero bene (e abbondantemente! Le porzioni sono veramente molto generose) con 50 sterline per una porzione di toast di gamberi condivisa, tagliatelle di riso ai frutti di mare, spaghettoni udon con manzo alla piastra e due bottigliette di birra cinese. Ci siamo trovati bene, torneremo sicuramente!

All’uscita, decidiamo di fare due passi tra Southgate e Old Town: i negozi sono tutti chiusi, rimangono aperti i ristoranti presi quasi tutti d’assalto da tantissimi turisti. Il Royal Mile, quasi deserto, è deliziosamente silenzioso. In Cockburn Street, una bella strada di netta impronta medievale che parte dal Royal Mile, fotografo la bella vetrina di un curioso negozio che espone borsette e portafogli ispirati ai grandi capolavori della letteratura britannica: da Amleto a Ragione e Sentimento, questa collezione è davvero originale! Siamo piuttosto stanchi, e c’è un venticello freschino che fa venir voglia di andare sotto le coperte. Rientriamo in camera, e ci addormentiamo felici per la bella giornata trascorsa in questa bellissima città.

6 agosto – Edimburgo

Appena pronti, scendiamo per la colazione abbondante che abbiamo inclusa nel prezzo del nostro soggiorno al Ten Hill Place Hotel. Alle 9, siamo in partenza per la nostra prima tappa di oggi. In poco più di venti minuti, siamo già nei paraggi di The Vennel View Point, una scalinata che ci porta all’angolo sud-occidentale di Grassmarket e che permette di raggiungere una posizione panoramica per la migliore vista del lato meridionale del Castello e della sottostante Castle Rock su cui è edificato. Dato che siamo un po’ in anticipo sulla tabella di marcia, decidiamo di fare una puntatina in un bel negozio di souvenir su Grassmarket (un tempo sede di esecuzioni capitali). Il primo negozio a portata di mano non sembra avere niente di che, ma il secondo già sin da subito sembra più curato. Scegliamo cartoline, magneti, confezioni di tè da portare a casa a genitori ed amici e – mentre ci avviciniamo alla cassa, il commesso ci chiede se abbiamo bisogno di un cestino per i nostri acquisti. Traduco velocemente la sua richiesta in italiano, e subito vengo sgamata: il commesso viene da Varese, si è trasferito qui in Scozia da qualche anno e si trova divinamente. Ci dà qualche dritta gastronomica, e ci scambiamo qualche impressione sul Paese che stiamo visitando. Ci fa anche un piccolo sconto sui nostri acquisti, ed usciamo contenti di aver trovato un connazionale tanto simpatico qui a Edimburgo, e in un negozio tanto bello.

Da qui alla libreria “Armchair Books” la distanza è veramente breve: questa e la libreria che visiteremo più tardi sono due indirizzi imperdibili per gli amanti dei volumi d’epoca e di seconda mano, e non potevamo davvero lasciarceli sfuggire. L’esterno della libreria, dipinta in un verde un po’ scrostato, è decadente e polveroso, ma appena apriamo la porta si apre un mondo che tanto amo: sin dai primi respiri, il magnifico odore di vecchia carta stampata pervade i nostri sensi alle prese con la meraviglia di queste piccole stanze piene zeppe di libri, dal pavimento fin quasi al soffitto. Scaffali e scaffali di libri, mappe, stampe, suddivisi più o meno per genere, fanno capolino in ogni dove. La scelta è ampissima, ma devo cercare di contenermi, nonostante abbia adocchiato diversi libri interessanti. Esco dopo una decina di minuti con la shopper (vuota!) in tela del negozio, almeno mi porto via un bel ricordo di questo posticino così meraviglioso!

Nel raggio di poco più di cento metri troviamo “Edinburgh Books”, che ci dà il benvenuto con la sua (polverosa) vetrina dipinta di azzurro. Anche qui, un forte ma gradevolissimo profumo di libri antichi, stipati su decine e decine di scaffali insieme a mappe e spartiti musicali. I locali sono piccoli e pieni zeppi di libri in ogni dove, c’è persino un piano interrato che si rivela essere un piccolo Paradiso: Davide scova il reparto dedicato a vecchi libri di automobili, io trovo i libri dedicati alle antiche civiltà, all’archeologia e all’antichità classica. Staremmo qui per ore, ma in qualche modo riusciamo a risalire in superficie solamente con un paio di libri illustrati su particolari auto d’epoca. Riesco a far stare tutto nella mia capiente tracolla celeste (grazie a Cinzia per il regalo provvidenziale!), e ci mettiamo in marcia verso la prossima tappa di oggi, il Dean Village. Da qui, dista circa un chilometro e mezzo, ma questa città è una meraviglia continua e il tragitto non ci pesa più di tanto, visto che troviamo qualcosa di interessante in ogni angolo.

Il Castello, con la sua mole imponente, ci accompagna ancora per un bel pezzo, poi arriviamo nel West End, dove una fiera di hobbistica creativa ci dà il benvenuto con i suoi colori sgargianti. Arriviamo a destinazione dopo una mezz’oretta di cammino: ci troviamo nella parte più settentrionale della città, appena fuori dalla New Town. Passeggiare all’interno del Dean Village è come fare un tuffo indietro nel tempo: basta lasciare il traffico cittadino svoltando in Bells Brae, la stretta stradina di ciottoli che scende a livello del fiume, per ritrovarsi in un altro mondo, tranquillo, rilassato, che sembra davvero di un’altra epoca. L’origine di questo quartiere si colloca attorno al 1100: in riva al fiume, sfruttando la corrente, vennero costruiti molti mulini, ed il villaggio venne chiamato semplicemente “Water of Leith Village”. Il nome Dean, assegnatogli solo in seguito, significa “valle profonda”, e sta ad indicare l’avvallamento in cui il villaggio è inserito e che si apre davanti ai nostri occhi appena guardiamo oltre il primo ponticello. Appena oltrepassato il pittoresco Dean Bridge, svoltiamo in Miller Row per imboccare la Leith Walkaway in direzione Stockbridge.

Lungo il sentiero che si snoda nel verde si trova la St. Bernard’s Well, un tempietto circolare in stile neclassico disegnato dal pittore Alexander Nasmyth nel 1789 e costruito sul luogo dove pare sgorgasse una fonte miracolosa, in grado di curare malattie (perfino la cecità). La statua tra le colonne è quella di Hygeia, dea greca della salute; il tempio è purtroppo chiuso al pubblico e non ci è possibile ammirare i suoi interni che ci sembrano splendidamente decorati. Percorriamo il sentiero all’ombra della lussureggiante vegetazione che ci abbraccia come un bozzolo, ed emergiamo alla luce del sole quando ormai mancano pochi metri a Circus Lane, un’altra tappa sorprendente in questo itinerario che oggi ci sta regalando sorprese minuto dopo minuto. Circus Lane è una stretta via semicircolare caratterizzata da edifici bassi, colorati e ricoperti di fiori, molto fotogenica e molto pittoresca. Ci sembra di essere in un altro mondo, in un piccolo villaggio con un basso campanile che spunta da dietro i tetti spioventi – sembra la foto di uno di quei bei villaggi nei Cotswolds che abbiamo intravisto l’anno scorso mentre lasciavamo Oxford! Scattiamo un po’ di foto, ma ormai siamo piuttosto stanchi. Decidiamo di fermarci in zona per un bel pranzetto all’inglese, e scegliamo il “The Pantry”: con 37 sterline mangiamo bene a base di uova alla Benedict con salmone e pane nero tostato, un toast con broccoli e brie, due bottigliette d’acqua e un doppio espresso. La cameriera mi racconta di quanto ami l’Italia, e ci scambiamo qualche impressione sui nostri due Paesi.

Da qui all’hotel ci sono quasi 3 chilometri, e non ci sentiamo abbastanza in forze per percorrerli a piedi. Tra l’altro è spuntato un sole bello gagliardo, e la temperatura è decisamente salita. Decidiamo di prendere un taxi che ci porti nel quartiere del nostro hotel – lo prenoto con la App FreeNow, ormai collaudata negli ultimi viaggi sia in Italia che all’estero. Derek arriva in pochi minuti con il suo bel taxi d’epoca riverniciato in un simpatico color Tiffany, e ci lascia in Nicolson Street in meno di un quarto d’ora (12.60 sterline). Faccio fare a Davide un brevissimo tour in alcuni dei charity shops che ho visitato ieri, poi troviamo un ferramenta dove acquistiamo del nastro ultra-strong per tenere insieme la mia povera valigia fino al nostro ritorno in Italia. Ci riposiamo un po’ in camera, e dopo le 19 usciamo per la nostra seconda (e ultima) cena al Wuzhen of China. Stasera il locale è pieno di clienti, veniamo prima fatti sedere ad un tavolo un po’ scomodo, ma poi una cameriera solerte accetta di spostarci verso il centro della sala, in un tavolo standard (quello di prima era attrezzato per servire l’hot pot tradizionale cinese, avremmo dovuto mangiare chini rischiando di rovesciarci addosso almeno la metà delle pietanze). Soddisfatti della nostra nuova postazione, ci prepariamo a degustare toast di gamberi (a Davide ieri sono piaciuti tanto che stasera vuole fare il bis!), ravioli con maiale e gamberi, riso con misto mare, zuppa di spaghettoni udon con manzo alla piastra e verdure. Le porzioni sono molto abbondanti, e ci alziamo sazi e soddisfatti (il conto, includendo anche due birre piccole, è di 58 sterline). Siamo stati piacevolmente sorpresi da questo ristorante cantonese, che ci ha dato la possibilità di gustare la vera cucina cinese che già l’anno scorso avevamo provato a Londra (in un ristorante che però proponeva piatti originari della provincia dello Xi’an, che ha tradizioni culinarie più “piccanti”). A Parma, amiamo moltissimo andare al ristorante cino-giapponese, che però inevitabilmente ha adattato la sua proposta a dei gusti più “italici”.

Quando usciamo dal ristorante, decidiamo di fare una passeggiata fino a Old Town, e poi torniamo al pub George IV per una pinta di sidro irlandese e una di Guinness (12 sterline in totale). Caracolliamo stanchi verso l’hotel, dove ci aspetta l’ultima notte di sonno nella bella Edimburgo.

7 agosto – Rosslyn, Glencoe, Invergarry

Dopo la nostra solita colazione abbondante, richiudiamo le valigie e facciamo il check-out nel nostro hotel di Edimburgo. Ci siamo trovati bene, camera e bagno erano spaziosi e puliti, la colazione molto più che apprezzabile e soprattutto la posizione era particolarmente vantaggiosa, vicina al centro e in una zona non troppo rumorosa. Dobbiamo prenotare il taxi che ci porti al punto di ritiro dell’auto che noleggeremo per i prossimi giorni, ma sembra un’impresa più complicata del previsto. Con la App FreeNow non c’è niente da fare: non c’è nemmeno un driver disponibile, nonostante una lunga ricerca. Provo con Uber, e almeno ricevo una risposta – anche se l’autista arriverà dopo un’attesa piuttosto lunga. Poco dopo le 9, comunque, siamo in auto con le nostre valigie e in meno di un quarto d’ora (per poco più di 10 sterline) arriviamo al Centro Commerciale Omni, in Greenside Row. Nel parcheggio, raggiungiamo il piano che ci è stato indicato nella prenotazione e poi troviamo l’ufficio della compagnia di noleggio Drivalia. L’addetto è piuttosto insistente nel proporci un’assicurazione in più che ci tuteli in caso di danni a specchietti e gomme, ma la nostra agente di viaggio in Italia, Silvia, mi aveva avvisata: abbiamo già pagato per una copertura totale, senza franchigia, che all’agenzia in Scozia non avrebbero rilevato; avrebbero quindi sicuramente tentato di farci spendere ancora di più. Ritiriamo la nostra nuova compagna di viaggio, una Opel Corsa nera già piuttosto vissuta (è danneggiata in diversi punti) e iniziamo il nostro viaggio sulle strade della Scozia. Prima tappa: la cappella di Rosslyn, che dista dal centro di Edimburgo circa 15 km, e che raggiungiamo dopo una quarantina di minuti d’auto. Avevo prenotato i biglietti con largo anticipo, pagandoli 10.50 sterline l’uno e scegliendo l’ingresso a partire dalle 10.30. Il parcheggio è abbastanza ampio ed entriamo nel centro visitatori pochi minuti prima dell’orario che avevo richiesto. Presento i nostri voucher in biglietteria e siamo pronti per la nostra visita. Incuriosita dal romanzo e dal film “Il Codice da Vinci”, da tanti anni volevo visitare Rosslyn Chapel. Caratterizzata da un’architettura elaborata e quanto meno misteriosa, con simboli e riferimenti massonici e legati all’ordine dei Templari, racchiude in sé misteri e leggende, ma la principale riguarda il Sacro Graal: sono molti, infatti, ad affermare che venne portato a Rosslyn, qualcuno afferma che vi si trovi tutt’oggi, nascosto da qualche parte. Qualunque sia la verità, la cappella rimane un luogo davvero misterioso ma soprattutto molto affascinante, e non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di visitarlo durante questa nostra vacanza. Già all’esterno, la meravigliosa struttura della cappella cattura il nostro interesse: è imponente e al tempo stesso elegante, e con le sue splendide decorazioni e i misteriosi gargoyle ci ricorda un po’ la Cattedrale di Notre Dame di Parigi, quasi che sia stata riprodotta qui in dimensioni più ridotte. La costruzione della Rosslyn Chapel ebbe inizio nel 1446 per volere di Sir William St Clair (cognome poi mutato in Sinclair), che aveva in mente un edificio molto più grande, ma che morì due anni dopo, non riuscendo a vedere la sua opera compiuta. La Cappella fu terminata il 21 settembre 1450, giorno dell’equinozio d’autunno.

Inizia a piovere, e decidiamo di entrare subito. La prima occhiata è da amore a prima vista: la cappella, di dimensioni più piccole rispetto a quanto avessi immaginato, è piena zeppa di decorazioni, che non sembrano aver risentito dei secoli (e che sono comunque state restaurate mirabilmente). Non c’è angolo della cappella che non sia decorato in modo minuzioso: colonne, finestre, pavimenti, soffitto e nicchie sono ricchi di particolari. Con la guida che abbiamo preso in biglietteria, riusciamo a identificare alcuni particolari che a prima vista potrebbero sfuggirci, e comunque è interessante provare a decifrare ciò che stiamo vedendo. Scendiamo prima nella cappella sotterranea, dove ancora possiamo notare i segni lasciati dalle maestranze che costruirono questo luogo meraviglioso. L’ambiente è molto particolare, si respira un’aria di mistero che ci spinge a continuare con curiosità la nostra visita. Risaliamo gli alti gradini e, di fianco all’altare, un elemento in particolare attira la nostra attenzione: si tratta della Colonna dell’Apprendista, protagonista di una leggenda molto singolare. Si narra che il Capomastro, per realizzare al meglio l’intricato motivo, fece un viaggio per studiare l’originale ma in sua assenza un apprendista realizzò il lavoro al posto suo, scolpendo la magnifica colonna che vediamo oggi. Il Capomastro, per l’invidia, uccise l’apprendista col suo martello. La colonna sembra ergersi leggiadra verso l’alto, attorcigliandosi su sé stessa in modo elegante e richiamando la leggiadria della natura. A pochi passi, la Colonna del Maestro non è comunque da meno in termini di eleganza: i motivi decorativi sono stati minuziosamente scolpiti, e si sposano benissimo con la ricchezza di tutto ciò che li circondano qui vicino all’altare. Il soffitto è meravigliosamente decorato così come le pareti, dove compaiono tantissimi simboli misteriosi. A colpirci è sicuramente il cosiddetto “Green Man”, l’uomo verde, un volto umano avvolto dalla vegetazione, con piante che escono dalla bocca o ne circondano il viso. Quello che vediamo noi sembra uscire magicamente dalla parete… Mai vista una cosa del genere, è al contempo buffo ma spaventoso. Ho letto che se ne contano più di cento tra interno ed esterno della cappella, e pare siano un simbolo cristiano di fertilità e abbondanza. È un peccato non poter fotografare tutti i dettagli che compaiono all’improvviso uno dopo l’altro davanti ai nostri occhi, ma senza dubbio questo è un luogo che ricorderemo per sempre per la sua particolarità e per l’atmosfera misteriosa in cui siamo immersi.

Appena usciamo dalla cappella, un’altra bella sorpresa ci attende: sotto una copertura, c’è un piccolo spazio dedicato alla ricostruzione di alcune attività manuali medievali. Sulla sinistra, una ragazza mostra dei lavori con dei fili di lana, mentre a destra un’anziana dama è intenta a scrivere in bella calligrafia su alcuni segnalibri di Rosslyn Chapel. Mi avvicino incuriosita, e capisco che si tratta di un’attività gratuita: scrivo su un biglietto il mio nome e aspetto il mio turno. L’anziana signora, elegantemente vestita e con il capo coperto da un lungo velo chiaro, racconta agli astanti alcune particolarità relative alle tecniche di scrittura che utilizza nel suo lavoro quotidiano, e ci spiega anche come sono fatte le penne (d’oca, di fagiano, di anatra, d’aquila) e gli inchiostri. È tutto artigianale, e ogni cosa segue rigorosamente il criterio medievale che si sta utilizzando per riprodurre questi antichi lavori di calligrafia. Quando viene la mia volta, la dama prende il biglietto e chiede l’origine del mio nome. Le spiego che è il corrispondente in italiano di “Eleanor”, e lei mi risponde complimentandosi per le antiche e nobili origini del nome. Dopodiché, si mette all’opera, dopo avermi svelato – tutta orgogliosa – che per scriverlo utilizzerà dei caratteri risalenti all’ottavo secolo. Niente di meno… Un paio di minuti, e l’opera è compiuta. Ringrazio sentitamente e riparto con il mio bel segnalibro personalizzato che profuma di medioevo, di mistero e anche un po’ di… “Nome della Rosa” di Umberto Eco! Sembrava quasi di essere tornati indietro nei secoli, mentre ascoltavo l’affascinante dama che raccontava la sua esperienza con gli antichi inchiostri e il suo lavoro di amanuense. È ormai ora di riprendere la nostra strada che, dopo un’oretta di viaggio, ci porta a Stirling, teatro della battaglia che vide William Wallace, l’eroe nazionale scozzese (a cui Mel Gibson si ispirò per il suo bellissimo film Braveheart), sconfiggere gli inglesi nel 1297. La mia intenzione sarebbe quella di parcheggiare e visitare solo l’esterno del Castello, dato che ho letto che l’interno è piuttosto deludente. Il Castello, comunque, è la maggior attrattiva della città. Le sue origini risalgono al 1100; sorge su uno sperone di roccia vulcanica, in posizione strategica e quasi totalmente inespugnabile. Lo vediamo mentre iniziamo la salita verso la collina, ed è veramente imponente! Arrivati all’ingresso del parcheggio, una brutta notizia: l’addetto ci informa che non possiamo solamente parcheggiare e fare un giro, dobbiamo acquistare i biglietti per l’entrata al castello. Ci consente di entrare e di uscire subito, faccio in tempo a scendere un minuto e a fotografare la statua di Robert Bruce, il primo Re di Scozia dopo la rivolta capeggiata da Wallace. Un po’ delusi, cerchiamo un posticino dove pranzare al di fuori del centro storico di Stirling, preso d’assalto dai turisti. Google mi trova un pub che dista un paio di chilometri, ma quando arriviamo ci dicono che oggi la cucina non è aperta.

Ripartiamo sconsolati, ma la strada verso Glencoe è lunga (circa 130 km da percorrere in due ore) e sicuramente ci rifaremo. Se non altro, il nostro itinerario di oggi è fatto di stradine panoramiche che si affacciano sistematicamente su bellissimi laghi. Ci fermiamo lungo la strada al Loch Lubnaig, che ci accoglie con un’aria frizzantina, le sue belle sponde popolate di anatre e un bar che ci ristora con un caffè, uno snack al cioccolato e una pausa alla toilette. Il cielo nuvoloso, in cui qualche sprazzo di azzurro fa capolino, si riflette sulle pacifiche acque del lago. C’è qualche turista, ma è tutto piuttosto calmo, come se fossimo tutti in religioso silenzio davanti a queste meraviglie della natura. Ci sentiamo un po’ meglio, e riprendiamo la nostra marcia verso Glencoe. Durante la strada, riesco a fotografare – anche se da lontano, un bel viadotto, il Glen Ogle Viaduct, che ricorda quello tanto famoso che compare nei romanzi di Harry Potter. La nostra prossima tappa, in realtà, non è Glencoe. L’obbiettivo è ritrovarci nella natura selvaggia che costituisce il paesaggio lungo la strada per quella cittadina, e in effetti le nostre aspettative non vengono affatto deluse: a mano a mano che proseguiamo, la strada si restringe sempre di più, e ci ritroviamo circondati dalle montagne delle Highlands scozzesi, alte e maestose ma contemporaneamente dolci ed armoniose. L’acqua scende copiosa dalle cime creando piccole cascate e formando a valle dei piccoli torrenti, da cui potrebbero anche saltar fuori dei salmoni, per quel che ne sappiamo! Anche qui, sembra di essere in un altro mondo. Ogni tanto ci fermiamo per fare qualche foto, siamo estasiati da un panorama a noi sconosciuto e che mai avremmo immaginato tanto affascinante. Il cielo cambia continuamente, dall’azzurro intenso si scurisce perché qualche grossa nuvola transita spinta da un vento piuttosto impetuoso, la striscia grigia della strada è la coprotagonista di un paesaggio in cui il verde è la scenografia splendida in uno spettacolo di quelli da rimanere a bocca aperta. Arriviamo a Glencoe, un fazzoletto di case, che piove fortissimo, le nuvole hanno coperto le cime delle montagne e le hanno avvolte in una fitta nebbia.

Raggiungiamo Invergarry in mezz’ora, e – alla fine del paesino, troviamo il Corrie View, il bed & breakfast presso cui trascorreremo la notte. L’accoglienza della titolare è molto cortese. L’ultimo piano della casa è tutto per noi: camera da letto, bagno e cucina sono a nostra disposizione. Nel frigorifero troviamo già qualcosa per la colazione, sul tavolino ci sono già torte, pane e marmellate. Abbiamo trovato questo alloggio su Booking, e lo abbiamo pagato 130 sterline (colazione inclusa). I locali sono ampi, curati e molto puliti. Bagno e cucina sono accessoriati con tutto ciò che può esserci utile, dalle stoviglie ai giochi da tavolo, dalle salviette ai fazzoletti di carta, passando alle pastiglie di antipiretico e alle mappe della zona. Il raccoglitore sul tavolo della camera è pieno di informazioni utili e consigli, e lì troviamo diversi menù di alcuni ristoranti e pub della zona. Decidiamo di prenotare al ristorante dell’Invergarry Hotel, a pochi metri dal nostro alloggio. Una telefonata, giusto per star tranquilli e prenotare il tavolo in alta stagione, e dopo una mezz’oretta siamo già davanti al ristorante, dove ordiniamo due belle pinte di birra dell’Isola di Skye e due porzioni di pollo alla Balmoral – versione di Invergarry, tra i piatti speciali del giorno consigliati dallo chef. Guardo su internet, e vedo che dovrebbe arrivarci una specie di rotolo in cui il pollo si sposa con l’haggis e la salsa al whiskey. Ci arriva però, giustamente, la versione Invergarry, per cui il pollo è adagiato sul piatto accompagnato dalla salsa e da un po’ di verdurine di stagione. Ma l’haggis dov’è? Sorpresa! Ci sono due polpette ben impanate, e l’haggis è lì dentro! Assaggio con cautela la prima polpettina e rimango piacevolmente stupita: è buonissima, niente a che vedere con il ripieno di pepe che avevo provato ad Edimburgo a colazione! Spendiamo 61 sterline, ma siamo comunque soddisfatti e contenti di aver assaggiato un piatto tipico e davvero ben fatto (c’era la mano di un bravo chef, e si sentiva). Prima di tornare a Corrie View, facciamo una deviazione. In camera, tra il materiale informativo, ha fatto capolino una bella foto di un castello in rovina, l’Invergarry Castle, di cui non avevo notizie dalle guide consultate prima di partire. Le rovine di questo castello del diciassettesimo secolo sono accessibili attraverso l’entrata del Glengarry Castle Hotel, quindi è possibile che possano sfuggire al visitatore ignaro di cotanta bellezza! Siamo solissimi, c’è solo il vento che soffia tra la vegetazione che circonda i resti di queste antiche mura, che hanno un che di spettrale ma anche di tremendamente affascinante. Sta ricominciando a piovere, e decidiamo di tornare in camera per un bel sonno ristoratore.

8 agosto – castello di Eilean Donan, Isola di Skye

In frigorifero abbiamo trovato salmone affumicato, prosciutto cotto, burro e formaggio. Davide si fa un bel caffè con la macchinetta in cucina e si gode la torta che abbiamo trovato sul tavolo ieri sera. Il tempo di salutare e siamo pronti a partire per la nostra prima tappa di oggi, tanto attesa quanto famosa: il castello di Eilean Donan, utilizzato per le riprese del film Highlander, con Christophe Lambert e Sean Connery (film molto amato da Davide!). Impieghiamo circa 50 minuti ad arrivare, con nostra grande sorpresa il parcheggio non è ancora pieno e troviamo un bel posticino non troppo lontano dall’entrata. Sta cominciando a piovere, ma non sembra ancora una situazione catastrofica. Cominciamo a scattare le prime foto del castello praticamente appena scesi dalla macchina: Eilean Donan è affascinante da lontano, da vicino, da qualsiasi angolatura lo si guardi! Nel centro visitatori troviamo due negozi (uno di souvenir e uno di golosità alimentari locali), i bagni pubblici, la biglietteria tradizionale e i chioschi automatici. La mia intenzione è di vedere il castello all’esterno, anche in questo caso non ho letto grandi cose sull’interno e sono titubante.

Visitiamo i due negozi e ne usciamo ben forniti (meglio iniziare a comprare qualcosa per le nostre colazioni nell’appartamento che abbiamo prenotato per tre notti sull’Isola di Skye, e poi non si può resistere nel negozio di souvenir, hanno tante belle cose a dei prezzi nemmeno eccessivi). Ci avviciniamo al ponte che porta al castello, ma non possiamo attraversarlo senza biglietto. Mi guardo intorno e vedo un cartello che informa della possibilità di acquistare biglietti per la cinta esterna. A 3.50 sterline a testa mi sembra che si possa fare! Andiamo al chiosco e prendiamo i biglietti in autonomia con la nostra carta di credito. Finalmente possiamo attraversare il ponte anche noi! Sorrido sorniona alla guardia e muoviamo i nostri primi veri passi verso il ponte di pietra che ci conduce al castello più fotografato di Scozia (e forse anche del mondo), che sorge su di un’isoletta alla confluenza di tre laghi marini, il Loch Duich, il Loch Long e il Loch Alsh. Il nome deriva dal gaelico e significa “castello dell’isola di Donan”, molto probabilmente riferendosi al nome di un religioso irlandese, Donnàn, che tra il VI ed il VII secolo d.C. pare abbia costruito su questo sito un monastero cristiano. Il primo castello sull’isola fu fatto edificare nel 1220 su ordine di Re Alessandro II di Scozia come fortificazione di difesa contro le continue incursioni dei Vichinghi che all’epoca occupavano le isole occidentali. Si racconta che anche Robert Bruce, agli inizi del quattordicesimo secolo, durante la sua fuga dai soldati inglesi, trovò rifugio nel castello. Nel 1719, durante la prima ribellione giacobita, il castello fu bombardato dai cannoni per quattro ore. L’Eilean Donan Castle, parzialmente distrutto dal bombardamento, rimase abbandonato per circa duecento anni fino a quando il sottotenente colonnello John MacRae-Gilstrap acquistò l’isola nel 1911 e diede inizio a degli estenuanti lavori per riportare il castello al suo antico splendore: vent’anni e 250.000 sterline dopo, la struttura ha riaperto le proprie porte al pubblico nel 1955. Il castello che MacRae acquistò nel 1912 era completamente demolito e rimanevano solo pochi resti dell’intero complesso. Il ponte che collega l’Eilean Donan Castle alla terraferma fu costruito durante gli anni del restauro; nell’antichità, l’accesso all’isola era garantito solamente via mare. A lavori di restauro ultimati, vennero trovati alcuni disegni antecedenti il tragico bombardamento, quindi il castello per come lo vediamo oggi è diverso da quello originale, anche se non di molto. Si dice che MacRae avesse bene in mente come il castello avrebbe dovuto apparire una volta ultimato, alcuni affermano addirittura che lo avesse sognato; quando i disegni vennero trovati, scoprì effettivamente che molti dettagli corrispondevano al risultato che aveva immaginato. Ho letto che le pietre usate per il restauro furono fatte arrivare da cave locali, trasportate fino a riva con dei cavalli e portate sull’isola con delle barche; il legno ed il ferro arrivarono via treno da Edimburgo, le tegole di ardesia furono fatte arrivare dal Nord. Il risultato di tante fatiche (e di tanta spesa!) è davanti ai nostri occhi: spettacolare, non ci sono altre parole. Scattiamo tante foto, il castello si staglia contro un cielo plumbeo che però rende il tutto ancora più bello. Facciamo tutto il giro del perimetro, il lago che ci circonda regala al castello un’atmosfera quasi magica da cui non vorremmo più andare via.

Da qui al nostro alloggio sull’Isola di Skye ci vogliono circa 50 minuti, quindi lasciamo il castello a malincuore e ci mettiamo in macchina. Attraversiamo lo Skye Bridge dopo una mezz’ora di viaggio, facciamo benzina e spesa al supermercato a Broadford, e poi rotta verso la parte sud dell’isola, Sleat. Quando stavamo scegliendo gli alloggi da prenotare, ero stata preda dello sconforto più totale: volendo dormire sull’isola, le prime soluzioni che avevamo trovato avevano prezzi improponibili. All’improvviso, poi, sul fido Booking, abbiamo trovato i Knock View Apartments. Per 405 sterline, abbiamo prenotato il soggiorno su Skye per tre notti, con un mini appartamento a nostra intera disposizione.

Arriviamo a Kemble Gardens verso le 12.30. Cerchiamo il nostro appartamento, il numero 5, e dalla casetta di fianco si affaccia un signore che ci comunica che non potremo entrare per lo meno fino alle 14.30. Ci consiglia di andare a pranzo in una caffetteria vicina, quindi riprendiamo l’auto e ci fermiamo al ristorante An Crubh, che dista da qui nemmeno 4 chilometri. Appena arrivati, ordiniamo e poi mi fiondo in bagno – la mattinata è stata molto lunga!

Quando esco dal bagno, mi cade l’occhio sui tanti scaffali pieni di libri sparsi per la grande sala del locale. Mi riprometto di guardare meglio dopo mangiato, non si sa mai… mangiamo bene con poco più di 30 sterline (insalatona con pesce misto affumicato, zuppa di pesce, una porzione di patatine e due bottigliette d’acqua), poi vado in avanscoperta per capire cosa ci fanno qui tutti questi libri. Gli scaffali sono zeppi, ci sono anche dei salvadanai… capisco che si tratta di libri di seconda mano, e che per portarli a casa basta un’offerta di qualche monetina. Ottimo! Trovo proprio un bel libro fotografico sulla Scozia, esattamente ciò che cercavo e non avevo trovato nei charity shops a Edimburgo. Era proprio destino, chissà da quanto tempo questo libro giaceva qui abbandonato nelle lande scozzesi in attesa di una maniaca libromane che lo portasse a casa con sé dall’altra parte dell’Europa! Faccio la mia donazione nel salvadanaio con alcune monete, e torno al tavolo tutta felice.

Usciamo dal locale, e facciamo qualche foto all’esterno: il tempo non è granché, ma questa parte dell’isola è molto selvaggia e anche molto affascinante. Decidiamo di provare a tornare a Kemble Gardens, e in effetti l’appartamento “Raasay” (dal nome di una delle isole qui vicino) è pronto per noi. Scarichiamo armi e bagagli dall’auto e prendiamo finalmente possesso del nostro alloggio. Il salottino che ci accoglie appena entriamo è delizioso: un divano a due posti, una bella poltrona reclinabile e una grande tv saranno i nostri amici nelle prossime ore. La cucina è piccola ma funzionale, e completa di tutto ciò che ci può servire: dal microonde ai fornelli, dal frigorifero alla macchina con le cialde per l’espresso. Il bagno è abbastanza spazioso, pulito e curato. Ci riposiamo un po’, poi – incuranti della pioggia, decidiamo di andare alla scoperta di questa parte dell’isola. Il vicino Caisteal Chamuis si rivela inaccessibile per via del fango, quindi proviamo ad arrivare alla seconda tappa che avevo pensato di visitare nel pomeriggio: Rubha Shlèite (Sandy Beach), che dista 16 chilometri ma che il navigatore dà in 46 minuti di viaggio in auto. Ciò significa che la strada per arrivarci non sarà delle più comode… infatti. Si tratta di una “single track road”, una strada a senso unico, con i vari “passing places” da una parte o dall’altra per permettere il passaggio delle auto che provengono da due sensi opposti. Ne avevamo vista una così anche vicino a Glencoe, sotto un acquazzone da paura, ma questa è differente… ci sono un sacco di buche! Davide è bravissimo ad evitarle, e il cambio automatico è certamente un plus in questa impresa delicata. Ad un certo punto, persino un cervo attraversa velocissimo la strada davanti a noi!

cabina telefonica

Sembra di non arrivare mai a destinazione, e infatti non ci arriviamo perché la strada, a pochi chilometri dalla meta, si interrompe. Un grande cancello mette la parola fine alla nostra escursione, ma siamo comunque contenti perché lungo la strada abbiamo visto panorami mozzafiato e scattato bellissime foto. Facciamo inversione tornando da dove siamo venuti, e scoviamo persino una vecchia cabina telefonica rossa abbandonata, a picco sul mare. Le foto si sprecano, c’è un vento gagliardo ma noi non ci scoraggiamo.

Lungo la breve “single track road” che conduce al pub dove ceneremo, scorgiamo un piccolo stagno dove nuotano tranquille alcune anatre. A fianco, un cartello stradale che invita a fare attenzione per… attraversamento anatre!

Per cena, dopo aver consultato le proposte che ci ha lasciato il proprietario dell’appartamento, abbiamo scelto l’An Praban Bar, che in effetti avevo già segnato tra i papabili mentre preparavo l’itinerario (e in più è segnalato anche sulla nostra fidata guida della Lonely Planet).

Arriviamo al Praban Bar, nella zona di Isleornsay di Sleat, verso le 19.15: il pub è piuttosto affollato, ma ci trovano un tavolino e ci accomodiamo. Ecco un bel pub in stile british, tutto in legno, con una bella musichina scozzese come sottofondo. Qui niente libri, ma si mangia molto bene! Con 52 sterline, ci godiamo un piatto enorme di haddock (una specie di merluzzo) servito con patatine, piselli (che ovviamente scarto, li odio!) e salsa tartara, e un enorme burger di cervo con patate fritte e insalata. Le due pinte di birra locale sono praticamente d’obbligo. Quando usciamo, c’è ancora luce, ma riprende a piovere forte e raggiungiamo di corsa la macchina. Arriviamo nel nostro caldo (e asciutto) appartamentino e ci rilassiamo un po’ tra lettura e tv, prima di goderci un buon sonno in attesa delle nostre prossime giornate di esplorazione su Skye.

9 agosto – Portree, Baia di Staffin, Fairy Glen

Mi sveglio alle 5 e poi, per non disturbare Davide, mi rintano a leggere in salotto sulla bella e grande poltrona reclinabile. Il sole sorge piano piano, poi si mette a piovere, ma per fortuna dura poco. Quando anche Davide si alza, facciamo colazione a base di scones al burro con marmellata di fragole, croissant e pain au chocolat, caffè e latte. Ci equipaggiamo per tutti i tipi di condizione climatica e partiamo con l’auto alla volta di Portree, che dista da qui una sessantina di chilometri. Strada facendo, incappiamo nell’ordine in: un arcobaleno, un bel cielo azzurro, delle scure nuvole e poi un acquazzone terribile proprio quando decidiamo di fermarci a fare qualche foto ad un antico ponte di pietra su un bel torrentello che scorre impetuoso di fronte ad un grande albergo delle Highlands. Siamo nel Glen Siglachan! Fotografo anche una coppia di statue che si stagliano in mezzo alla nebbia e all’acqua, ma non faccio in tempo a sapere cosa rappresentino perché piove come se non ci fosse un domani. Niente da fare, corriamo verso l’auto e riprendiamo la marcia. Portree è il centro abitato più grande di Skye, e ci accoglie con un cielo che non fa ben sperare (ma almeno non piove). Lasciamo la macchina nel parcheggio che troviamo nel centro del villaggio (per mezz’ora, la sosta è gratis). Facciamo due passi nel piccolo porticciolo dalle graziose casette colorate, scattiamo qualche foto, passiamo velocemente dai bagni pubblici (pulitissimi) e poi riprendiamo la nostra strada.

Prossima tappa: Kilt Rock e la vicina Baia di Staffin. Prima di Kilt Rock ci fermiamo a fare qualche foto davanti al sito dell’Old Man of Storr (che intravediamo in mezzo alle nuvole, è una montagna frastagliata e smilza ideale per amanti dell’escursionismo) e su una scogliera poco lontana. Parcheggiamo lungo la strada, ma poi ci accorgiamo che è possibile lasciare l’auto anche più in alto, vicino al sentiero che porta alla scogliera, quindi spostiamo l’auto. Mai mossa fu tanto provvidenziale! Il tempo di scendere, salire a piedi ancora un pochino più su verso la punta, fare due foto dalla cima della scogliera, e si scatena un vento fortissimo che ci fa inzuppare di pioggia dalla testa ai piedi, nonostante le giacche a vento e i cappucci. Davide fa in tempo a prendersi un caffè americano, sembra impossibile ma un genio ha pensato di posizionarsi qui con il suo furgoncino per rifocillare turisti incuranti del clima scozzese.

Arriviamo a Kilt Rock in una manciata di minuti. Ci sarebbe da pagare il parcheggio, ma non voglio bagnarmi più di quanto sia già – ci tratterremo pochi minuti, anche perché il vento soffia fortissimo anche qui. A chiamarsi Kilt Rock è la scogliera basaltica che, per la sua particolare conformazione rocciosa, ricorda le pieghe di un kilt. Dalla sommità della scogliera c’è una vista incredibile sulla costa e la cascata, Mealt Falls, che si tuffa in mare da un’altezza di novanta metri, è davvero mozzafiato. Una provvidenziale inferriata ci impedisce di scattare le foto che vorremmo, ma meglio essere in sicurezza, con questo vento poi… Riprendiamo l’auto, attraversiamo la Baia di Staffin (panorama stupendo, anche perché per fortuna ha smesso di piovere e il cielo è quasi tutto azzurro) e decidiamo di continuare a percorrere la strada per poi arrivare fino al sito di Fairy Glen. Durante il viaggio in macchina, riesco a scattare molte belle foto al panorama circostante e anche alle pecore che, incuranti dell’auto, passeggiano tranquille e beate in mezzo alla strada. Al parcheggio visitatori c’è un altro parcometro, ma stavolta è meglio pagare, perché la sosta non sarà di una manciata di minuti. E facciamo bene! Davide è davanti alla macchinetta quando vediamo arrivare gli addetti alla sosta. Faccio una corsa e mentre il solerte incaricato sta già preparando la multa, lo avviso del pagamento in corso. Pericolo scampato, sarebbero state 100 sterline di multa per una sosta non pagata per 3 sterline! Dal parcheggio, la passeggiata nel verde del sito è piuttosto breve, ma abbastanza agevole e molto affascinante. Mi fermo comunque prima di una salita più pesante, Davide prosegue un po’ da solo e torna indietro dopo qualche minuto. Mentre lo aspetto a valle, gironzolo un po’ nei dintorni e riesco a raccogliere un cardo (anche un po’ pungendomi), il fiore simbolo della Scozia. Secondo una leggenda, un gruppo di guerrieri scozzesi che si erano addormentati riuscirono a evitare l’imboscata dell’esercito norvegese perché uno dei nemici calpestò un cardo spinoso.

Qui a Fairy Glen è tutto molto bello, siamo immersi nel verde, circondati da alti e strani cumuli d’erba e di torba: sembra proprio di essere in un mondo fatato, ecco perché si chiama così!

Lungo la strada di ritorno verso il nostro appartamento, ci fermiamo nel porto di Uig per un pranzetto veloce. Facciamo un po’ fatica a parcheggiare, poi troviamo un posticino e possiamo andare finalmente a mangiare. All’Uig Bakur pranziamo discretamente con 35 sterline (un panino al formaggio, una carbonara con aglio e vino bianco – comunque passabile, ma ero in astinenza da pasta! – due mezze pinte di birra e un caffè americano).

In poco più di un’ora di viaggio, rientriamo nel nostro appartamento. Ci rinfreschiamo un po’, poi torniamo all’An Praban Bar per la nostra seconda cenetta qui: stasera scegliamo il risotto zucchine e parmigiano, l’haddock con le patatine (Davide ieri sera lo ha appena assaggiato dal mio piatto e stasera se lo vuole gustare!), due pinte di birra e un assaggino di whiskey locale – il conto è un po’ alto, 63 sterline, ma siamo molto soddisfatti.

Fuori il sole sta tramontando: le foto che scattiamo sono molto belle, ed è un peccato rientrare. La temperatura non è molto alta, quindi ci rifugiamo nel nostro appartamentino e aspettiamo con trepidazione le prossime emozioni su quest’isola meravigliosa.

10 agosto

Mi sveglio presto, leggo un po’ sulla mia bella poltrona del salotto mentre aspetto che sorga il sole e che Davide si alzi. Poi facciamo colazione e rivediamo brevemente l’itinerario di oggi, che prevede molti chilometri, forse davvero troppi. Ci riserviamo di modificarlo strada facendo, vogliamo goderci i posti che visiteremo con calma e senza stancarci troppo anche nei trasferimenti in auto. Davide è comunque intransigente riguardo alla visita di Coral Beach, quella rimane fissa. Partiamo quindi alla volta di Claigan. In poco più di un’ora arriviamo al parcheggio del Dunvegan Castle, dove approfittiamo dei bagni pubblici appena riaperti dopo la pulizia. Da qui, una stradina molto stretta ci porta al parcheggio della spiaggia che vogliamo visitare. I paesaggi che vediamo mentre percorriamo la breve distanza dal castello sono da cartolina: da una parte il verde rigoglioso e la vegetazione coloratissima a cui ormai la Scozia ci ha abituati, dall’altra il blu intenso del mare. Il parcheggio di Coral Beach non è a pagamento, e al momento è semi vuoto. Parcheggiamo e iniziamo a percorrere il sentiero che in mezz’ora dovrebbe condurci alla nostra meta. Il primo tratto è semplice, anche in discesa. Poi arriviamo ad un punto particolarmente fangoso, che aggiriamo salendo su un campo a lato della strada – ma non riusciamo a sfuggire del tutto al fango e all’acqua di cui è intriso il terreno, e ci bagniamo scarpe e piedi (io, Davide ha delle scarpe molto più resistenti all’acqua). Non ci lasciamo scoraggiare e continuiamo. Già da lontano, subito dopo una salita neanche troppo ripida, riusciamo a scorgere la spiaggia: davanti a noi una spettacolare mezzaluna bianca, in contrasto con l’erba verde e l’acqua azzurra del mare. Ancora un piccolo sforzo e arriviamo. La sabbia in realtà non è sabbia, e non sono nemmeno coralli, come il nome della spiaggia potrebbe suggerire. Sono dei pezzi di alghe essiccate dal sole. Osserviamo incantati il luogo in cui ci troviamo: anche questo sembra lontano dal mondo, isolato in un semicerchio magico dove si sentono solo il soffio del vento e lo sciabordio delle onde. Ci sono pochi turisti che come noi si sono avventurati fino a qui, il che è sicuramente un punto a favore. Ci piacciono tantissimo i posti lontani dai soliti circuiti turistici!

Se per i primi minuti il tempo è stato abbastanza buono (se si pensa alla Scozia, ovviamente), ad un certo punto cominciano ad arrivare dei nuvoloni scuri e il vento inizia a farsi sempre più intenso. Ci preoccupa la possibilità che possa piovere, così da complicare ancora di più la percorribilità del tratto di sentiero infangato. Decidiamo di indossare i nostri due ponchi di plastica per proteggerci dall’eventuale acquazzone, anche se sarà più facile a dirsi che a farsi. Tira un vento talmente forte che è quasi impossibile infilarsi gli impermeabili… in qualche modo ci riusciamo e prendiamo la via del ritorno. Per fortuna, non piove e riusciamo ad arrivare all’auto in uno stato abbastanza accettabile, scarpe e pantaloni infangati a parte. Prendiamo nota della necessità, per un prossimo eventuale ritorno in Scozia, di equipaggiarci con delle scarpe da trekking, sicuramente molto più adatte delle mie New Balance da passeggiata. Da qui alla nostra prossima tappa non ci sono tanti chilometri da percorrere (nemmeno trenta), ma il navigatore indica un tempo di percorrenza di più di un’ora – segno che le strade saranno strette e percorribili a velocità moderata. Durante il viaggio, vediamo panorami incredibili: prima il Dunvegan Castle in lontananza – ma ben visibile, in mezzo alla lussureggiante vegetazione che lo circonda. Poi laghi, fiumi, ruscelli, stagni, pecore al pascolo… la meraviglia continua ad ogni miglio percorso.

Davide si arma di santa pazienza e ricomincia presto il gioco dello “schiva la buca”. Incontriamo un paio di auto in difficoltà, soccorse da piccoli furgoncini arrivati per sistemare le gomme danneggiate. Io prego silenziosamente che non succeda anche a noi, ma per fortuna arriviamo senza problemi a destinazione. Il parcheggio qui è pieno, ma riusciamo a parcheggiare lungo la strada che porta al punto panoramico. Anche qui, il vento soffia fortissimo, facciamo fatica a rimanere in piedi per scattare qualche bella foto al panorama che ci troviamo davanti. Non riusciamo a capire dove si trovi il faro, la gente va un po’ a destra e un po’ a sinistra e non ci sono indicazioni. Proviamo a risalire un po’ su per il campo a destra, ma anche qui l’erba è intrisa d’acqua e mi bagno di nuovo i piedi. Il vento è allucinante, e decidiamo di desistere – siamo comunque contenti del panorama meraviglioso che questo sito ci ha regalato. Il nostro programma prevede la visita a Talisker Bay, ma il tempo è peggiorato tantissimo e non accenna a smettere di piovere. Decidiamo di lasciar perdere e di tornare verso il nostro appartamento, che dista da qui circa 90 chilometri. Ci godiamo il panorama selvaggio di questa parte dell’isola, anche se il fatto di non trovare nemmeno un posticino per uno spuntino un po’ ci dispiace. Dopo una trentina di chilometri, quando siamo ancora in mezzo alla nebbia e alla pioggia incessante, appare davanti ai nostri occhi una caffetteria, il Bog Myrtle Café, che da fuori si annuncia con lo slogan di “Coffee, Books and much more…”.

Sembra promettente, libri? Dove? Entriamo e tutto mi è subito chiaro. In questo locale piccolo e raccolto, i libri la fanno da padrone. L’ambiente è caldo ed amichevole, il personale è gentile e alla mano. Ordiniamo un panino con formaggi, pomodoro e patatine croccanti, un brownie, un caffè nero e una cioccolata calda. Approfittiamo anche del bagno, piccolo ma discretamente pulito. Fuori dalla porta del bagno, un grande scaffale pieno di romanzi di seconda mano… il mistero si infittisce, devo saperne di più. Appena finisco il mio superbo brownie (si sente che è fatto in casa, il cioccolato è sublime), parto in avanscoperta verso gli scaffali che riempiono la sala. Ci sono libri di tutti i generi, per lo più romanzi, ma a ben guardare, però… arrivo ad una vetrinetta zeppa di libri d’arte e di storia, la apro per controllare meglio e per fare qualche foto e all’improvviso una parola mi salta all’occhio. “ROYAL”. Royal??? Royal cosa? Metto subito il cellulare in tasca, mi chino e prendo tra le mani un vero tesoro: si tratta di un libro fotografico sui Windsor e su tutte le loro attività dell’anno 1982. Il mio anno di nascita! Lo apro appena, incantata ed emozionata, e corro al tavolo a mostrarlo a Davide. Potrò prenderlo? Quanto costerà? Lo devo portare a casa, qualsiasi sia il prezzo! Vado a sentire al bancone, dove mi spiegano che sono tutti libri di seconda mano messi a disposizione per i clienti, acquistabili senza problemi. Sul libro però non troviamo il prezzo, e la cameriera si offre di controllare nel loro archivio per farmi sapere a quanto lo offrono. Torno al tavolo con il libro stretto tra le braccia, pregando che non costi una cifra spropositata. La cameriera arriva dopo pochi secondi, e con aria intimidita e quasi dispiaciuta mi dice che il libro costa… 3.50 sterline! Come se fosse una cifra assurda. La ringrazio caldamente e le confermo l’acquisto, non mi pare vero di aver trovato un tesoro del genere in un bar nel cuore di Skye, disperso nel niente, in mezzo alla nebbia! E per 3.50 sterline, poi! Gongolo felice, anche in questo caso era proprio destino… Chissà da quanto tempo il libro era in quella vetrina, ad aspettare una pazza amante dei libri che sarebbe capitata qui direttamente dalla Pianura Padana! Con 28 sterline saldiamo il conto del pranzo e del libro (mancia inclusa, non potevo non lasciare qualcosa in più!), e faccio i complimenti alla titolare per il brownie stratosferico che ha preparato. Lei ne è felicissima, si vede che fa il proprio mestiere con passione e totale abnegazione.

Ristorati dalle bevande calde (e dall’acchiappo miracoloso), percorriamo gli ultimi cinquanta chilometri e ci fermiamo a Broadford a fare benzina. Io approfitto della sosta per andare a vedere il piccolo negozio di souvenir di fianco al distributore. Trovo delle belle cose: un po’ di cartoline, un libriccino fotografico su Skye e un sottobicchiere ricordo dell’isola da regalare a Davide, per fargli una piccola sorpresa. Da qui al nostro appartamento non ci sono nemmeno quindici minuti d’auto, la strada è larga e ben asfaltata, e arriviamo in un battito di ciglia. Ci riposiamo un po’ e poi torniamo per cena all’An Praban Pub, che però stasera è pieno di avventori. Dopo una mezz’oretta, riusciamo ad avere un tavolino per noi, troviamo assurdo che la gente stia qui delle ore occupando un tavolo solo per farsi una partita a carte davanti ad una pinta di birra, ma c’è poco da fare.

È la nostra ultima sera a Skye, e ci godiamo l’ultimo fish and chips e l’ultimo burger di cervo. Conto di 57 sterline con tre pinte di birra in totale, ma siamo contenti sia della cena che della bella giornata trascorsa. Fuori la serata è splendida, il cielo è tinto di azzurro e di rosa, le nuvole si spostano piano mosse da un venticello piacevole e non troppo freddo. Le barchette e le nasse dei pescatori nel porticciolo davanti al pub ci ispirano delle bellissime fotografie, mentre la bandiera azzurra e bianca della Scozia sventola alta e fiera nel cielo che poco per volta diventa più scuro. Rientriamo a Kemble Gardens per l’ultima notte nel nostro bell’appartamentino su Skye, che ricorderemo sempre per le meraviglie che ci ha regalato in queste giornate di esplorazione.

11 agosto – Ardvreck e Melvich

Diciamoci la verità: lasciare Skye stamattina ci rende un po’ tristi. Ci eravamo affezionati all’appartamento, alle nostre cenette al pub e alle bellezze dell’isola, e temiamo di non trovare nelle prossime tappe niente di altrettanto affascinante. Ma dobbiamo ripartire, quindi dopo colazione carichiamo armi e bagagli e prendiamo la nostra strada verso il nord. La giornata di oggi è più che altro dedicata allo spostamento verso un’altra parte della Scozia. Quando avevo scelto i luoghi che avrei voluto visitare, mi ero disperata perché le distanze non erano brevi e temevo di non riuscire ad incastrare tutto in un viaggio di poco più di dieci giorni. Davide però mi ha rincuorata, inserendo questa giornata d’auto per spostarci verso il nord del paese, e permettendoci di esplorare anche quelle terre.

Il clima non è dei migliori, qui nel sud di Skye, e anche strada facendo non sembra abbia intenzione di migliorare. Decidiamo di non attraversare l’Applecross Pass come da programma, perché sarebbe in mezzo alle nubi e perderemmo un sacco di tempo tra la nebbia. Decidiamo di puntare direttamente sul Castello di Ardvreck, che dista duecento chilometri e che raggiungiamo in meno di tre ore. Le strade sono molto ben percorribili, e ad ogni curva ci riservano bellissimi panorami che cerchiamo di immortalare per conservare i ricordi per sempre (anche se le foto non rendono giustizia a tanta bellezza).

Il parcheggio del castello è gratis e non è ancora pieno, e non vediamo l’ora di sgranchirci un po’ le gambe. Sulla sinistra vediamo ciò che rimane di Calda House, mentre a destra le rovine del castello di Ardvreck si stagliano fiere sul lago contro un cielo un po’ cupo. Costruito nel 1490 per volere di Angus Mor III su di un promontorio erboso all’interno del lago Assynt, Ardvreck Castle era una grande struttura di tre piani circondata da mura di cinta. Conquistato dal clan dei MacKenzie nel sedicesimo secolo, i nuovi proprietari trovarono Ardvreck Castle forse troppo grande e fuori moda per l’epoca e, utilizzando proprio le pietre del castello, fecero costruire la vicina Calda House come loro residenza principale. La nuova dimora, che oggi è un rudere senza tetto e parzialmente demolito, era conosciuta localmente come “White House” per il colore bianco delle sue pareti, e disponeva di quattordici stanze con caminetto e canna fumaria. Purtroppo, i MacKenzie, che avevano molti debiti con la Corona, si accorsero ben presto che la loro dimora era troppo costosa da mantenere e decisero di venderla: un incendio avvenuto nel 1737, però, la rase al suolo e i MacKenzie rimasero senza casa e senza guadagno.

Il sentiero per il castello è facile e per fortuna non è fangoso, come invece è quello per raggiungere Calda House. Decidiamo di goderci la visita del castello in santa pace, fotografando la casa diroccata senza andarla a vedere da vicino. Il castello, sebbene rimanga ormai ben poco del suo antico splendore, ha conservato comunque un certo fascino. Possiamo passeggiare per tutto il suo perimetro esterno e scattare un sacco di foto, una più bella dell’altra. Non mi sento tranquilla a salire sulle pietre dentro al castello, che è comunque una struttura diroccata e non messa in sicurezza. Ci sono pochi turisti, e nell’aria aleggia sempre quell’aria di “secoli di storia” che tanto amo, e che qui in Scozia è praticamente ovunque. Al nostro ritorno all’auto, il parcheggio si è riempito, e noi siamo pronti a riprendere la nostra strada per percorrere i centocinquanta chilometri che ci separano da Melvich, nell’estremo nord della Scozia.

Vorremmo fermarci per pranzo strada facendo, ma i chilometri aumentano e non troviamo niente di aperto. Per fortuna, abbiamo tenuto da parte qualcosa dalla nostra spesa per le colazioni nel nostro appartamento su Skye, così decidiamo di fermarci sulle panche nel mezzo di un bel prato davanti ad un bar chiuso per uno spuntino veloce a base di tramezzini, patatine e banane. Ripartiamo rinfrancati e raggiungiamo il nostro alloggio al bed & breakfast “The Sheiling” a Melvich in poco meno di due ore e mezza. Anche in questo caso, la strada – anche se non sempre a due corsie, si è rivelata un ottimo strumento per apprezzare le bellezze naturali che abbiamo incontrato durante il tragitto. A Crask non abbiamo potuto evitare di fermarci per fotografare il bellissimo paesaggio che si stagliava davanti ai nostri occhi: il bel verde dei prati, il fucsia dei fiori alti sui bordi delle strade, i bassi cespuglietti di erica fiorita ovunque, pecore, mucche, cavalli, le pale bianche dei numerosi impianti eolici che qui chiamano “windfarms”, cioè fattorie del vento… e poi il cielo, di un azzurro intenso, con qualche grande nuvola bianca che danza mossa dal vento, che ormai abbiamo imparato ad amare come un fedele compagno di viaggio.

Arriviamo a Melvich contenti ma anche un po’ stanchi, abbiamo praticamente attraversato un’intera parte di Scozia in poche ore. L’accoglienza del titolare del bed & breakfast è amichevole – gli chiediamo di prenotarci un tavolo per cena al pub più vicino, quello dell’Halladale Inn, che dista circa un chilometro da qui e che raggiungiamo poco dopo le 19 (in Scozia cenano presto, le cucine dei locali chiudono alle 20). Con 57 sterline ceniamo bene a base di tortino di pesce da condividere, salsicce di cervo con purea di patate e verdure di stagione, burger di cervo, due pinte di birra e un assaggio di whiskey Old Pulteney invecchiato dodici anni.

Dopo cena, usciamo per riprendere la macchina e tornare alla nostra camera. Il vento è molto freddo, e siamo comunque stanchi. Certo, non siamo ai livelli qualitativi dell’appartamento che avevamo affittato su Skye, anzi… La camera, che ci è costata 145 sterline (colazione inclusa), è piuttosto vetusta in termini di carta da parati e arredamento. I materassi e i cuscini hanno spessori imbarazzanti, ma almeno il bagno è pulito e abbastanza moderno. D’altronde, quassù non c’è molta offerta, e il nostro albergatore tedesco (lo abbiamo capito dal suo strano inglese-scozzese) giustamente si approfitta dei turisti che si spingono fino a qui. Ci addormentiamo stanchi in attesa delle scoperte che ci aspettano in questa magica terra nordica.

12 agosto – Dunnet Head, Duncasby Head, Wick

La colazione che abbiamo scelto ieri all’arrivo si rivela basica ma appetitosa. Uova strapazzate, salsicce, bacon e hash brown – una specie di frittata di uova e patate, poi caffè, latte, pane in cassetta, marmellate e joghurt. Davvero niente male, facciamo i complimenti al nostro anfitrione tedesco disperso qui nel selvaggio nord scozzese.

cartello distanze

Da qui a Dunnet Head ci vogliono circa tre quarti d’ora, ma ancora una volta tutto ciò che vediamo strada facendo ci colpisce e ci conquista. Passiamo persino davanti ad una centrale nucleare dismessa e poi ancora tanto mare, e tante pecore. A destinazione, riusciamo a stento a scendere dall’auto: è la prima volta che il vento ci ostacola così tanto! Ma è davvero fortissimo, facciamo persino fatica a tenere in mano i cellulari per scattare qualche foto al faro. Si tratta di uno dei sedici fari costruiti da Robert Stevenson, della famosa famiglia scozzese costruttrice di fari e nonno dello Stevenson scrittore. Il faro fu costruito nel 1831, è alto venti metri e rispecchia perfettamente il modello dei fari degli Stevenson: bianchi, tozzi, con la torretta gialla e nera. Siamo esattamente nel punto più a nord della Scozia. La pioggia ci colpisce forte, e torniamo in fretta in auto. Fuggiamo via, e raggiungiamo John O’Groats in poco più di venti minuti di strada. Nonostante ciò che ho letto prima di partire non fosse molto incoraggiante, ho deciso di mantenere questa tappa per sgranchirci un po’ le gambe e vedere un po’ di civiltà in mezzo a tanta natura incontaminata. La cittadina, in effetti, non ha tantissimo da offrire, potrà anche passare per “trappola per turisti”, ma i suoi negozietti, la distilleria, la fabbrica di birra e i caffè/ristoranti offrono comunque qualche ora di piacevole relax dando l’opportunità di curiosare qui e là. Ma chi era questo John O’Groats? Jan de Groot – nome che venne poi anglicizzato – era un olandese che visse a cavallo tra il 1400 e il 1500. Nel 1496, il Re James IV gli affidò il compito di gestire il traghetto che collegava la Scozia alle neoacquisite Isole Orcadi. Si dice che Jan fissò il prezzo della traversata a 2 pence e da allora a quella moneta venne attribuito il nome di “groat”. Jan aveva una famiglia numerosa e decise di costruire una casa molto particolare sul sito dove sorge oggi l’hotel tinto di bianco. La leggenda narra di una casa a forma ottagonale, con otto porte d’entrata – una per lui e una per ciascuno dei suoi figli. Incuranti del vento e della pioggia, ci scattiamo qualche foto davanti al simbolo della cittadina: il cartello che indica le distanze da vari punti del Regno Unito e non solo (c’è anche New York). Tra tutti il più significativo è quello che indica la direzione di Land’s End, in Cornovaglia: Land’s End – John O’Groats è infatti il più lungo tragitto in auto che si può compiere nel Regno Unito, una sorta di “coast to coast” britannico. Un viaggio tra i due punti estremi della Nazione, dall’estremo sud-ovest all’estremo nord-est.

Dopo qualche acquisto e una capatina anche nella distilleria e nella birreria, decidiamo di fermarci qui anche per pranzo, al Café Groat. A metà tra il pub e il ristorante self-service, questo locale offre un menù con una scelta molto ampia. Con 43 sterline mangiamo bene a base di insalata con pesce misto, macaroni & cheese con aragosta, una tortina alla ciliegia, un caffè americano e una bottiglietta d’acqua.

La distanza che ci separa da Duncasby Head è minima: ci arriviamo in nemmeno dieci minuti di strada. Duncansby Head rappresenta il punto più nord-orientale della Scozia ed è un promontorio roccioso affacciato sul Pentland Firth, lo stretto che separa le Orcadi dal Caithness, famoso per le sue forti correnti marine, tra le più veloci al mondo. Il faro che si trova vicino al parcheggio, il Duncansby Head Lighthouse, fu costruito da David Alan Stevenson nel 1924, e già da solo meriterebbe il viaggio. Girandoci verso destra, però, scorgiamo ciò che in realtà ci sta aspettando: un panorama magnifico, paragonabile alle magnifiche Cliffs of Moher in Irlanda. Poco più avanti, dopo grandi campi d’erba (in cui però dobbiamo evitare migliaia di tracce che testimoniano il passaggio delle simpatiche pecore scozzesi), lo spettacolo delle alte scogliere e dei tre faraglioni (qui li chiamano “stacks”) che si ergono davanti a loro ci toglie letteralmente il fiato. Questa è meraviglia pura! Il cielo è plumbeo, ma non per questo Duncasby Head ci sembra meno affascinante, anzi. All’improvviso, però, quando ormai abbiamo cominciato il nostro cammino di ritorno verso il faro, un bel sole inizia a farsi largo tra le nubi, regalandoci un cielo da cartolina per le foto che iniziamo a scattare subito. Sono pochi momenti, ma è una bella sorpresa e siamo davvero felicissimi. Torniamo all’auto con ancora negli occhi la meraviglia della scogliera e la forza del mare al di sotto di essa, sicuramente i luoghi davvero belli da vedere non erano concentrati sulla sola isola di Skye, e questo ne è la prova!

L’ultima pecorella che pascola sgranocchiando l’erbetta vicino alla nostra auto ci dà il suo arrivederci, e chissà: magari un giorno torneremo qui.

L’ultima tappa di oggi è Wick, che dista una mezz’ora di viaggio. Prima di partire, ho controllato su internet e ho letto che l’Old Wick Castle è temporaneamente chiuso per problemi di sicurezza, quindi andiamo alla ricerca del Castle Sinclair Girnigoe. Il navigatore ci porta in aperta campagna, e non capiamo dove possa essere il castello. Poi lo vedo sbucare leggermente in una piccola valle e poco più avanti, dall’altra parte della strada, troviamo il parcheggio per i visitatori. Anche qui, la sosta è gratis per la prima mezz’ora. Dovremmo riuscire a fare in tempo, quindi oltrepassiamo velocemente il cancello che ci porta nei campi e in una manciata di minuti siamo già in adorazione delle rovine del castello. Costruito tra la fine del quattordicesimo e il sedicesimo secolo da membri del clan Sinclair, signori delle Orcadi e poi conti di Caithness (gli stessi di Rosslyn Chapel), si tratta dell’unico castello scozzese ad essere inserito nella lista dei cento castelli più pericolanti del mondo. Le rovine si ergono su un promontorio che si affaccia sulla baia di Sinclair, nei pressi del faro di Noss Head, a circa quattro chilometri a nord-est di Wick. Le foto che riusciamo a scattare sono bellissime, con il faro bianco che fa capolino sullo sfondo oltre le rovine del castello. Purtroppo, il ponte di legno che dà accesso al castello è chiuso con semplici ma efficaci strumenti di sicurezza, quindi non possiamo entrare nelle rovine. In ogni caso, tutto ciò che vediamo riesce a darci una chiara idea delle dimensioni del castello e dell’imponenza della struttura. Dopo decine di foto (una ce la scatta una gentile turista inglese), torniamo alla macchina e facciamo rotta verso Wick e il bed & breakfast che ci ospiterà per la notte. Poco oltre il parcheggio del castello, nel giardino antistante una casetta vediamo due buffi guardiani, messi lì a mo’ di spaventapasseri: due bassi pupazzi con le maschere di Re Carlo e della Regina Camilla, lui vestito da operaio con la camicia scozzese, il giubbino catarifrangente, un casco rosso e due enormi orecchie, lei con la coroncina, un maglioncino azzurro e una vecchia gonna a fiori, seduta su una sedia di plastica. Questi scozzesi hanno davvero il “sense of humour”! Scatto alcune foto, quando mi ricapiterà di vedere qualcosa di simile?

L’Harbour House B&B si trova ai margini del porto di Wick, e lo raggiungiamo in pochi minuti d’auto. Wick sembra una cittadina dalle dimensioni contenute, dallo stile un po’ decadente. Il porticciolo è grazioso e il nostro alloggio è indubbiamente in una buona posizione. Lasciamo la macchina proprio davanti al b&b, suoniamo il campanello e veniamo accolti da una simpatica signora scozzese che ci accompagna nella camera che ci ha preparato. L’ingresso giù in strada era un po’ trasandato e sporco, ma la camera almeno è ampia ed ha una bella vista sul porto. Certo, è un po’ polverosa, anche il bagno avrebbe bisogno di essere ristrutturato, ma da quello che ci racconta la proprietaria capiamo che la struttura è passata attraverso diverse generazioni, che si sono sempre fatte vanto di offrire ospitalità a prezzi contenuti. In effetti, paghiamo la stanza 90 sterline, inclusa la colazione servita in camera. Per una notte, si può anche fare… Compiliamo i foglietti con le nostre scelte per la colazione, poi consultiamo il menù del ristorante che ci è stato consigliato dalla signora. I prezzi sono davvero molto bassi, la scelta è ampia e la distanza da percorrere a piedi non è poi così esagerata. Ci riposiamo un po’, ed usciamo verso le 18.30. In giro non c’è quasi nessuno, anche il centro di Wick appare spoglio e deserto. Arriviamo a The Rover House un po’ a tentoni, dato che fuori l’insegna riporta il nome di un altro pub… Cominciamo bene. L’interno è enorme, mai visto un locale tanto grande. L’accoglienza non è delle migliori, la titolare è piuttosto arcigna e, come in altri pub, dobbiamo ordinare e pagare subito al bancone, e portarci da soli le birre appena spillate al tavolo. Aspettiamo più di mezz’ora l’arrivo dei due antipasti, che ci deludono alla prima occhiata. I nachos sono stati tristemente passati nel microonde perché il formaggio si sciogliesse, il problema è che si è creato un “mappazzone” unico che si fa anche un po’ fatica a mangiare. Io avevo ordinato dei gamberoni in salsa rosa (che qui chiamano “Bloody Mary”), ma mi vengono serviti dei gamberi giganti impanati accompagnati con salsa piccante tailandese. C’è qualcosa che non mi torna… Comunque, i gamberi sono buoni, e li mangio con appetito, mi riservo di controllare il menù quando torniamo in camera perché ho il sospetto che abbiano sbagliato piatto. Dopo altri venti minuti, arrivano le portate principali: due piatti di macaroni & cheese, il piatto che mi sta accompagnando in questa vacanza e che volevo far assaggiare anche a Davide. È difficile sbagliare un piatto così, per questo l’ho consigliato a mio marito. Eppure, riescono a servirci della pasta stracotta affogata in una salsa ai formaggi quasi insapore, con due crostini di pane all’aglio quasi imbarazzanti.

Con due pinte di birra, il conto è di sole 42 sterline, ma usciamo dal locale piuttosto delusi. Come Wick, anche il pub era decadente, è come se ci fossero state tutte le premesse per riuscire ad offrire tanto, ma poi la volontà di fare bene è venuta totalmente a mancare. Il porticciolo è deserto, solo due camion sono fermi con il motore acceso da ore. L’aria è fresca, e il cielo ha dei bei colori mentre il sole sta ormai tramontando in mezzo a qualche soffice nuvola bianca e rosa. Ci addormentiamo presto, abbiamo alle spalle ormai buona parte della vacanza, ma dobbiamo cercare di goderci gli ultimi giorni in questa meravigliosa terra di Scozia. P.S. Ho controllato il menù, in effetti mi hanno servito il piatto di gamberi sbagliato, e non quello che avevo ordinato!

13 agosto – Inverness

Dopo la colazione che il marito della titolare (almeno così supponiamo) ci ha portato in camera (abbiamo scelto uova fritte, uova strapazzate, salsicce e bacon), siamo pronti a partire. Abbiamo saldato la camera ieri sera al nostro arrivo, quindi possiamo caricare subito la macchina e prendere la strada verso Inverness, che dista da qui un paio d’ore. Stiamo ormai scendendo in direzione di Edimburgo, i giorni al nord ormai sono davvero volati via. Prima di arrivare alla lunga autostrada che ci condurrà ad Inverness, percorriamo un bel po’ di chilometri su una strada panoramica, che ci offre bellissimi scorci sotto un cielo blu intenso.

La nostra intenzione è di trascorrere qui qualche ora a cavallo del pranzo, giusto il tempo per visitare velocemente il centro e fare qualche acquisto. Il parcheggio che scegliamo è davvero ottimo in termini di posizione: per poco più di tre sterline, possiamo lasciare qui l’auto fino alle 14.30, e basta scendere una scalinata per arrivare proprio ai piedi del castello, che però è tutto “impacchettato” per evidenti opere di restauro. In due passi siamo in centro, e iniziamo la nostra esplorazione in qualche negozio di souvenir per comprare gli ultimi regali (hanno degli articoli in cashmere davvero stupendi). Non riesco a resistere ad una bellissima borsetta in pelle e tartan scozzese, il prezzo non è dei più vantaggiosi ma Davide mi convince e procedo con l’acquisto. Da casa, avevo segnato di andare a far un salto alla libreria Leakey’s, una delle più grandi librerie dell’usato del mondo, che in effetti non ci delude. Migliaia di libri fanno capolino da ogni angolo della libreria, impilati per terra o stretti stretti negli scaffali. Il locale è altissimo, e una lunga scala a chiocciola è presa d’assalto da orde di avventori. Facciamo un giro veloce, io ho un fastidioso capogiro che non mi abbandona dalla nostra partenza da Wick. Anche solo il profumo che si sente in libreria mi risveglia sensazioni positive, ma la libreria è letteralmente invasa da orde di lettori e di curiosi e non è facile farsi strada tra questa bolgia. Tornando verso la High Street, incappiamo in un piccolo cimitero, con un bel punto panoramico sul fondo.

A poca distanza, notiamo la Abentarff House, la casa più vecchia di Inverness, con la sua particolare struttura che svetta alta nel cielo di Inverness. A poca distanza, scoviamo due charity shops, da cui però riusciamo ad uscire senza acquisti (anche se c’era una borsettina in tartan niente male, a 12.50 sterline – ma Davide mi fa notare che quella che ho comprato prima nell’altro negozio è davvero molto bella, e vale il suo prezzo alto). Per pranzo, ci fermiamo al pub Highlander, dove per 34 sterline ci saziamo con insalata di formaggio di capra, panino con filetti di pesce impanati e due pinte di birra locale. Sto finalmente iniziando a stare meglio, ma decidiamo comunque di ridurre il nostro itinerario di oggi, saltando il sito archeologico di Clava Cairns (ho paura che possa non interessare molto a Davide) ed Elgin. Facciamo quindi rotta su Duffus Castle, che raggiungiamo in un’ora d’auto (per lo più tutta tangenziale super trafficata, con mille rotonde noiosissime). Sin dalla prima occhiata, il castello conquista i nostri cuori. È un tipico castello normanno, e fu costruito sul sito di una precedente struttura difensiva in legno. Inizialmente, infatti, sulla collina vi era una fortezza in legno che, nel quattordicesimo secolo, venne sostituita dal castello in pietra. Venne poi abbandonato nel 1705, andando definitivamente in rovina. Il muro in pietra del cortile è ancora alto e racchiude una vasta area. La costruzione di una torre troppo pesante per la collina di origine artificiale ha causato il cedimento del terreno e l’edificio si è spaccato, scivolando lentamente verso il fondo della collina. Vedere la torre sprofondata ha un che di angosciante, ma in questo contesto da “Nome della Rosa” è tutto terribilmente affascinante. Solo il cielo azzurro contrasta con questa ambientazione medievale, ma se non altro ci regala delle foto stupende che rimarranno ricordi incancellabili per gli anni a venire. Di fianco al parcheggio del castello c’è un furgoncino che offre bevande e spuntini. Decidiamo di fermarci prima di ripartire e ci gustiamo un bel frappè alla fragola e un caffè americano mentre un areo da combattimento passa sulle nostre teste. Davide fa in tempo a fotografarlo, sembra di essere sul set di Top Gun! Mancano solo Maverick e Goose… Vicino al cancello del castello, troviamo un cartello che ci racconta di alcuni magazzini che la RAF utilizzò in questa zona durante la Seconda Guerra Mondiale, e di un sistema di intercettazioni impiegato contro i tedeschi.

Abbiamo un lungo tragitto da percorrere prima di arrivare all’hotel che ci ospiterà per questa notte. Da qui a Rosehearty, vicino a Fraserburgh, ci sono più di novanta chilometri, che però passano veloci perché a farci compagnia ci pensa la Scozia, con le sue bellezze pronte a sorprenderci ad ogni angolo. Nella valle dello Spey, famosa per le lavorazioni legate alla produzione di whiskey, ammiriamo ettari infiniti d’oro puro: è orzo, che viene  lavorato per ottenere uno dei prodotti scozzesi più amati nel mondo. Oro intenso, verde e azzurro si fondono in un panorama che ad ogni chilometro ci affascina sempre di più. Le strade sono sempre più strette, ma ben fatte, qui non ci sono buche (per fortuna!). A Davide piace guidare in queste lande lontane dal mondo ma così meravigliose, in cui non sai se girarti a destra o a sinistra, perché in ogni angolo c’è qualcosa di bello da ammirare e da fotografare. Quando ormai siamo quasi arrivati, un torrione che spunta oltre una collina ci dà il benvenuto in questo assolato tardo pomeriggio scozzese. Il Davron Hotel è ai margini di una larga piazza utilizzata come parcheggio, a pochi metri dal mare. La receptionist ci consegna le chiavi e ci spiega come raggiungere il ristorante dell’hotel per la cena, visto che resteremo qui senza riprendere in mano l’auto. Non so come, ma mi sembra di essere un po’ “in the middle of nowhere”, anche se siamo in un albergo… Siamo un po’ persi nel nulla, qui intorno non devono esserci molti ristoranti, ma è bello anche così. La camera è tra le più belle della vacanza: spazi adeguati, mobilio moderno e funzionale, materasso alto e comodo, bagno pulito e curato. Se pensiamo che la camera con la colazione ci è costata solo 90 sterline, siamo sicuramente molto soddisfatti della scelta – anche considerando il luogo in cui siamo, che ci ha regalato tanta meraviglia durante il tragitto per raggiungerlo.

Il ristorante dell’hotel, a nemmeno venti passi di distanza, risulta essere una buona scelta: il servizio è attento e cortese, e spendiamo 60 sterline per una buona cena a base di cocktail di gamberi (finalmente!), bastoncini di mais, manzo alla Stroganoff con riso bianco e verdure, un tortino di pesce e tre pinte di birra. Quando usciamo, fa piuttosto freschino, ma arriviamo fino alla spiaggia semideserta (c’è solo una famiglia che porta a spasso il cane) dove ci sbizzarriamo con le foto ad una barchetta di pescatori arenata nella sabbia. Si sente solo il rumore del mare e il soffio leggero del vento, sembra di essere in Paradiso… Domani ci aspetta una giornata importante, siamo carichi di aspettativa per quello che andremo a visitare.

14 agosto – Peterhead, Dunnottar Castle, Stonehaven

faro

La colazione in hotel non è a buffet, c’è un menù da cui possiamo scegliere il piatto che preferiamo. Ci lanciamo sulle uova alla Benedict con il salmone, ma in cucina hanno finito il salmone – non c’è problema, ripieghiamo sulle uova alla Benedict con il prosciutto cotto. Con caffè americano e latte freddo, questa è in assoluto la miglior colazione della vacanza, e lo dico anche alla cameriera, che si illumina d’immenso (forse da queste parti non sono tanto abituati ai complimenti!). Le uova sono cotte magistralmente, il tuorlo fuoriesce morbido e si sposa alla perfezione con la deliziosa crema Hollandaise che ricopre le due uova. Una vera delizia per i nostri palati padani!

Decidiamo di fare una piccola modifica all’itinerario, aggiungendo una tappa in più: dato che siamo da queste parti, approfittiamo della bella giornata per andare a vedere almeno un altro faro (ci sarebbe anche un altro castello, ma per oggi è meglio non abbondare, altrimenti non facciamo in tempo a goderci il programma). Dalle foto su Google, scegliamo il Buchan Ness Lighthouse a Peterhead, che dista da qui una quarantina di chilometri.

Lasciamo l’hotel un po’ dispiaciuti, ma con l’intenzione di tornarci per esplorare meglio i dintorni. Il faro di Buchan Ness ci ricorda un po’ quelli della Bretagna: si staglia alto nel cielo e sul mare con le sue strisce bianche e rosse, e da lontano è ancora più bello che da vicino. Un’altra cartolina meravigliosa di una Scozia che amiamo sempre di più!

Da qui a Dunnottar Castle ci sono circa ottanta chilometri, quindi ci mettiamo subito in strada. Come temevo, il parcheggio (gratuito) del castello è già pieno, ma lasciamo l’auto lungo la strada in un bel posticino comodo per uscire e non troppo lontano dal sentiero. Siamo contenti di non aver intrapreso la lunga salita dalla cittadina di Stonehaven, c’è già tantissima gente ed avremmo impiegato troppo tempo per arrivare qui. Meglio concentrare le forze per arrivare al castello già da quassù! La prima discesa e poi la salita verso il castello non sono così ardue, ma ci impieghiamo un po’ perché continuiamo a scattare foto e selfie. Il castello di Dunnottar è in una magnifica posizione a picco sul mare, e da anni sognavo di poterlo visitare (questo, oppure il Dunluce Castle in Irlanda del Nord, molto somigliante). Considerato uno dei castelli più belli e suggestivi dell’intera Scozia, si erge su un piccolo promontorio roccioso collegato a terra solo da uno stretto passaggio e circondato dalle fredde acque del Mare del Nord. Dall’altra parte, scorgiamo lo Stonehaven War Memorial, un monumento dall’aspetto neoclassico che sorge sulla Black Hill, in memoria dei caduti durante le guerre. Il nome Dunnottar deriva dalla parola Pittica “Dun”, che significa fortezza. Il sito dove sorge il castello fu abitato fin dall’antichità dalla popolazione pre-celtica dei Pitti. Nel quinto secolo, St. Ninian portò il cristianesimo tra i Pitti, e scelse Dunnottar come sito per la costruzione di una delle sue numerose chiese. Più tardi, nel nono secolo, il re Donald II fu ucciso mentre proteggeva il castello da un’invasione vichinga, ma fu tutto inutile il castello fu conquistato e distrutto. Nel dodicesimo secolo, Dunnottar Castle divenne un insediamento cristiano e la prima cappella di pietra fu consacrata nel 1276. Nel 1297, William Wallace conquistò il castello, che nel frattempo era caduto in mano inglese, e diede fuoco alla cappella con una guarnigione di soldati inglesi chiusi al suo interno (mia mamma direbbe che ha fatto il roastbeef!). La cappella odierna fu ricostruita a seguito di questa vicenda, nel sedicesimo secolo. I Conti Marischal fecero poi edificare buona parte del castello, luogo chiave per gli eventi cerimoniali, per i gioielli della corona (Honours of Scotland) e per la sicurezza della persona del re dentro il Parlamento. Nel 1715, il decimo ed ultimo Conte Marischal fu condannato per tradimento per aver preso parte alla rivolta giacobita. Le sue proprietà, incluso Dunnottar Castle, vennero sequestrati dal Governo. Il castello venne in seguito abbandonato finché venne acquistato dalla famiglia Cowdray nel 1925, poi ristrutturato e aperto ai visitatori. Molti degli edifici sono dislocati sopra un promontorio di circa un ettaro e mezzo, meravigliosi dal primo all’ultimo. Appena salita una ripida scaletta, acquistiamo i nostri due biglietti (poco più di 10 sterline a testa) e una guida ricordo (è solo in inglese, ma va bene lo stesso). Iniziamo la nostra visita, ma ancora una volta non sappiamo dove girarci perché ogni angolo è bellissimo. Mi rimangono impresse le cucine, ma anche la cappella e ciò che rimane della sala da ballo. Chissà come erano belle le stanze del conte e della contessa, e cosa dire poi dei punti di osservazione sul mare che si infrange impetuoso sugli scogli al di sotto del castello?

La cura del castello e del verde che lo circonda e lo riempie è degna di nota: vediamo giardinieri che piantano nuovi fiori, inservienti che lavano le pietre delle pavimentazioni, persino i bagni pubblici sono pulitissimi nonostante il flusso costante di turisti che prendono d’assalto un sito tanto famoso. Mentre Davide fa un salto giù nelle gallerie, io salgo più in alto verso i punti che danno sul mare, poi insieme entriamo in una grande sala ricostruita in legno che ospitava i gioielli della corona. Ci soffermiamo ancora nei grandi spazi verdi in mezzo a ciò che rimane del castello, non vorremmo mai andare via da qui, perché sappiamo già che non troveremmo mai niente di così bello, e che rimarrà inciso nella nostra memoria. Riprendiamo con calma la via del ritorno, la salita è ripida ma neanche tanto faticosa.

Decidiamo di fermarci a Stonehaven per il pranzo e di saltare la passeggiata costiera che avevamo in programma di fare ad Elie. Anche là ci sarebbero state le rovine di un castello, ma dopo Dunnottar non vogliamo altro.

Stonehaven, che raggiungiamo dopo pochi minuti d’auto, si rivela una bellissima sorpresa. Con il suo grazioso porticciolo pieno di bambini che giocano sulla spiaggia e in acqua in mezzo alle poche barche ormeggiate, ci regala un paio d’ore di piacevole relax, ed è come tornare indietro negli anni quando per essere felici bastava poco: una bella giornata di sole, il mare, i bambini che giocano contenti sulla spiaggia e un bel venticello fresco. Facciamo un po’ fatica a trovare un posto per l’auto, poi riusciamo a parcheggiare direttamente al porto. Per pranzo, scegliamo il ristorante “The Captain’s Table”, dove pranziamo con 42 sterline a base di gamberetti in salsa all’aglio e limone, fish and chips, sorbetto alla fragola e due belle pinte di birra. Mentre Davide prende un caffè al furgoncino che offre bevande quasi di fianco alla nostra auto, io faccio un salto al museo di Stonehaven, che si trova nel “Toolbooth”, la casa più antica della cittadina, eretta dal conte Marischal nel 1600, restaurata nel 1963 ed inaugurata dalla Regina Madre nel settembre dello stesso anno. Il museo, gratuito, ospita foto e cimeli della vita sia agreste che marittima di Stonehaven. Trovo persino una vecchia campana del Titanic, e una foto della Regina Madre scattata durante l’inaugurazione dello stabile che ospita questa originale collezione. Mi dispiace uscire senza lasciare almeno un piccolo contributo, così acquisto due portafortuna cinesi (!) tanto per lasciare qualche sterlina ai volontari che curano il museo.

Da qui all’Adamson Hotel di Dunfermline ci sono due ore di viaggio, che passano abbastanza velocemente. Il tempo è peggiorato, scarichiamo le valigie e poi decidiamo di rimanere a cena nel ristorante dell’hotel. La camera è abbastanza spaziosa, e anche il bagno è essenziale ma pulito. Il prezzo di 110.50 sterline (colazione inclusa) ci sembra corretto. Mangiamo due buone costate di maiale con uovo d’anatra e patatine, e con due pinte di birra spendiamo in totale 48 sterline. Con sorpresa, troviamo seduti al tavolo di fianco al nostro due italiani che abbiamo conosciuto nel ristorante a Stonehaven oggi a pranzo. È piacevole averli ritrovati anche qui, scambiamo qualche impressione sul nostro viaggio, terminiamo la cena e poi andiamo a letto presto per la nostra penultima notte scozzese.

15 agosto – Dunfermline, Gullane

Stamattina ce la prendiamo comoda, fuori piove e dobbiamo cancellare la nostra escursione al castello di Tantallon, sarebbe tutto troppo fangoso e la pioggia ci ostacolerebbe troppo. Decidiamo di rimanere a Dunfermline, visiteremo un po’ il centro e poi ci sposteremo sul mare, vicino ad Aberlady, come da programma – prima di riconsegnare l’auto vicino all’aeroporto. La colazione in hotel è a buffet, non troppo ricca, ma comunque apprezzabile: uova strapazzate, bacon, salsicce, pane tostato, caffè e latte. Chiacchieriamo un altro po’ con i nostri nuovi amici di Milano, Paola e Giovanni, che ripartiranno per l’Italia prima di noi. Sono molto simpatici, io e Paola ci scambiamo l’amicizia su Facebook per rimanere in contatto anche dopo il nostro rientro.

Finiamo di preparare i bagagli, riconsegniamo le chiavi della stanza e percorriamo i pochi chilometri che ci separano dal centro di Dunfermline. Ho prenotato su internet l’ingresso gratuito al palazzo e all’abbazia, vedremo poi in loco come funzioneranno gli accessi. Per fortuna, troviamo un parcheggio gratuito a cinquecento metri dalla nostra meta. Piove ancora un po’, anche se non fortissimo. Arriviamo davanti alla Dunfermline Abbey e iniziamo a scattare qualche foto. Anche Paola e Giovanni sono qui, e come noi apprezzano la bellezza del luogo in cui ci troviamo, anche se fuori dai soliti circuiti turistici.

Se attualmente la cittadina non è molto nota al di fuori della Scozia, durante il Medioevo conobbe una forte crescita grazie ad una donna davvero gagliarda: la Regina Margaret (Santa Margherita di Scozia, 1045-1093), moglie di Malcolm III, che amava così tanto questo luogo al punto da fondarci un’Abbazia Benedettina diventata in seguito l’odierna Cattedrale, attorno alla quale si sviluppò pian piano la città. Nel 1128 il re David I, in ricordo della madre, espanse la chiesa facendola diventare una vera e propria abbazia, per creare un santuario dedicato a Santa Margherita, canonizzata nel 1251. Supportati economicamente dalla Corona, i monaci continuarono a condurre una vita tranquilla all’interno dell’Abbazia fino al 1303, quando Edoardo d’Inghilterra invase la Scozia, piazzò la sua base nel monastero e quando se ne andò lo distrusse, risparmiando solo la chiesa. Robert Bruce, il nuovo re di Scozia (che “incontreremo” vis-à-vis all’interno della Cattedrale), contribuì alla ricostruzione dell’Abbazia ma i monaci continuarono a diminuire e il 1560 segnò per sempre il declino della comunità religiosa. Nel 1590, la Regina Anna di Danimarca, moglie di Giacomo VI, decise di trasformare l’Abbazia in residenza reale ma tuttavia, con l’unione delle Corone avvenuta nel 1603, la corte si spostò in Inghilterra e il Palazzo non fu più utilizzato.

Gli edifici più importanti rimasti fino ai giorni nostri, e che andremo a visitare, sono l’Abbazia e l’adiacente Palazzo: oggi sembrano separati ma in passato facevano parte dell’ampio monastero benedettino che comprendeva, oltre alla chiesa, gli appartamenti dei monaci, il refettorio, un chiostro e una foresteria per i pellegrini. Venendo spesso occupata dai sovrani scozzesi venne in seguito denominata “Palace”. In effetti, Dunfermline, per alcuni secoli, ricoprì il ruolo di Capitale Scozzese. Quando proviamo ad entrare nella Cattedrale, veniamo spediti alla biglietteria dove i nostri titoli digitali vengono scansionati per permetterci di iniziare la nostra visita partendo dal Palazzo, a cui si accede direttamente da qui tramite una ripida scaletta a chiocciola. Oggi non rimangono che rovine, ma ai tempi il Palazzo era davvero molto grande: tra stanze, refettori e magazzini, anche oggi le pietre ci raccontano una storia di ricchezza e di splendore. Mai avremmo pensato di scovare qualcosa di così bello in una giornata tanto uggiosa e dal programma improvvisato! Possiamo spostarci liberamente da un ambiente all’altro, vagando tra gli alti muri di pietra che testimoniano secoli di storia – qui si respira ancora aria di Medioevo, e anche il clima sembra essere adatto per un’ambientazione cupa ma allo stesso tempo densa di significato. Stanno arrivando sempre più turisti, e il silenzio medievale che abbiamo tanto apprezzato è stato improvvisamente spezzato. Pazienza, risaliamo la scala a chiocciola, compriamo la piccola guida in offerta a 1.50 sterline in biglietteria (prima non l’avevo voluta acquistare, non immaginavo che ci fosse tanto splendore da visitare e da ricordare!) e scendiamo gli scalini che ci conducono in una piccola stanza dove sono conservate alcune pietre finemente scolpite rinvenute in loco.

Usciamo dalla piccola biglietteria, attraversiamo l’ampio cortile ed entriamo finalmente nella Dunfermline Abbey. Entrando nella Old Abbey Church, la parte più antica, sembra proprio di fare un tuffo nel passato: la chiesa è divisa in tre navate separate da alti e grossi pilastri ed è tutta in pietra, con le navate laterali sormontate da magnifici soffitti a volta e bellissime vetrate colorate. Verso il fondo, quando ormai siamo quasi all’entrata della New Church, la parte più recente della Cattedrale, ci fermiamo incuriositi davanti ad una teca: contiene il volto ricostruito in 3D di Robert Bruce, Re di Scozia, e legato a William Wallace e alle guerre d’indipendenza scozzesi. Di famiglia nobile, Robert visse nel sud della Scozia, e pare parlasse il gaelico, il francese normanno, lo scozzese e probabilmente anche l’inglese. A vent’anni ereditò il titolo di conte da parte di sua madre. A seguito delle rivolte condotte da Wallace – e da lui mai troppo apertamente appoggiate, fu incoronato Re di Scozia nel 1306. Ebbe undici figli, sei dei quali avuti da relazioni extraconiugali. A 54 anni esalò il suo ultimo respiro nella sua residenza di Cardross: prima di morire chiamò a raccolta baroni e nobili per rendere noto il suo ultimo volere: una volta morto, il suo cuore avrebbe dovuto essere portato in pellegrinaggio da un gruppo di cavalieri fino a Gerusalemme e poi sepolto nell’abbazia di Melrose, nella zona dei Borders scozzesi. In base alle sue volontà, il corpo del re venne imbalsamato e messo in mostra presso la sua residenza, il cuore venne estratto e dato in custodia – all’interno di uno scrigno d’argento – a Sir James Douglas, le viscere sepolte in una cappella vicino alla residenza di famiglia. Il funerale si tenne in pompa magna ed il corpo di Robert venne sepolto proprio qui, a Dunfermline Abbey (la placca che indica la sua tomba è nella parte nuova della chiesa). Il suo cuore non raggiunse mai Gerusalemme (era in viaggio, ma per una serie di sfortunati eventi venne rimandato in Scozia) e fu sepolto alla Melrose Abbey. La tomba di Robert Bruce venne rinvenuta nel 1818 durante dei lavori di ampliamento della chiesa in cui ci troviamo, il corpo fu esposto per visitatori e curiosi (che si portarono via un bel po’ di pezzetti!) e poi nuovamente sepolto nello stesso luogo. La ricostruzione in 3D che ci troviamo davanti, ottenuta scansionando e analizzando il teschio del re, ci sembra molto realistica – ha persino le rughe di espressione! Sembra che il sovrano sia lì presente davanti a noi, in carne ed ossa, e sono quasi tentata di rendergli omaggio…

La placca funebre decorata con un’immagine del Re Cavaliere (la troviamo non appena attraversiamo la New Abbey Church, subito dopo la Old Abbey Church) segnala la tomba del Re, in posizione d’onore proprio sotto l’altare. È un peccato non poter visitare la vera tomba del sovrano, ma comprendiamo la necessità di proteggere come una reliquia un tesoro tanto importante. La parte nuova della chiesa è sin troppo moderna per i nostri gusti, quindi diamo un rapido sguardo ai souvenir in vendita e poi usciamo nel piccolo cimitero adiacente. Mentre usciamo dal recinto, sulla parete a sinistra oltre il cancello un bassorilievo in pietra ricorda la madre di William Wallace, a quanto pare sepolta qui, nel cimitero di Dunfermline: scatto la foto stupita e meravigliata, chi lo avrebbe mai detto? Sarà sicuramente una leggenda, la madre di Wallace era una popolana e dubito che ci siano tracce certe del suo luogo di sepoltura, ma è bello anche solo credere per un istante di esserci tanto vicini. Il clima non sembra abbia intenzione di migliorare, mentre cerchiamo un negozio di souvenir incappiamo in un charity shop molto ben fornito (l’insegna ci informa che appartiene al centro scozzese per la ricerca su infarto e ictus) da cui non usciamo indenni: Davide trova un paio di vecchie riviste d’auto d’epoca, io esco con un bellissimo libro dedicato al Giubileo del 1977 della Regina Elisabetta – un’altra perla da aggiungere alla mia collezione! Usciamo contentissimi, ma la pioggia scende ancora più forte. Facciamo un giro in un vicino centro commerciale, ma siamo stanchi di camminare senza una meta. Torniamo alla nostra auto e facciamo rotta verso Aberlady e la sua baia. C’è un po’ di traffico lungo l’autostrada che passa oltre Edimburgo e il suo aeroporto, ma arriviamo sulla costa in un’ora circa. Ad Aberlady non sembra ci sia molto da vedere né molta offerta di bar e ristoranti, quindi continuiamo verso Gullane: su Google, Davide ha visto che c’è un ristorante italiano che potrebbe fare al caso nostro proprio in questa vicina cittadina. Dopo una manciata di minuti, parcheggiamo nei pressi del ristorante italiano “The Main Course”. Mentre corriamo sotto la pioggia verso il ristorante, passiamo velocemente davanti a quello che mi sembra un charity shop e mi riprometto di farci un giro prima di ripartire. Il ristorante è ancora aperto e il servizio è attivo, nonostante siano quasi le due. Il cameriere è romano, e anche in cucina sento parlare italiano – me ne accorgo quando passo lì davanti per andare alla toilette. Tutto questo mi fa ben sperare… ordiniamo spaghetti alla carbonara, insalata calda di carne di anatra, acqua frizzante e una bella birra Moretti alla spina. Finalmente un vero piatto di pasta preparato a mestiere, ma anche l’insalata con la carne d’anatra è gustosa e ben fatta. Spendiamo 37 sterline ed usciamo soddisfatti dal ristorante.

Entriamo nel charity shop “Betania”, e – mentre mi dedico all’analisi di alcune vecchie cartoline, Davide mi avvisa di un paio di “libroni su una certa Queen”. Dove sono? Che regina è? Vado subito davanti allo scaffale, dove trovo due volumi bianchi rilegati. Il primo è la biografia della Regina Madre: è già la terza volta che mi capita in mano durante questa vacanza! L’avevo visto ad Edimburgo in una delle librerie antiquarie che abbiamo visitato il secondo giorno, e poi ad Inverness alla libreria Leakey’s. Non l’ho comprato perché peserà almeno 4 chili, avrà più di 800 pagine e sinceramente temo che la lettura di una biografia così lunga (e in inglese) possa essere quantomeno un po’ difficoltosa (se non anche leggermente noiosa). Comunque è troppo pesante, non riuscirei a metterlo in valigia e neanche a portarlo nello zaino insieme agli altri libri! Il secondo volume, più o meno delle stesse dimensioni, se non altro è molto più leggero, ma non appena vedo di cosa si tratta mi si aprono le coronarie: è un libro, abbastanza recente, dedicato alle lettere della Regina Madre, e ai suoi scambi epistolari con la figlia, la Regina Elisabetta II. Lo devo assolutamente portare a casa! Davide mi guarda sconsolato, e mi dice che mi aspetta all’auto. Vado alla cassa per chiedere il prezzo, il volume è contrassegnato solo da un bollino rosso di cui non conosco il significato. I due ragazzi addetti al negozio guardano sorpresi il libro, lei sembra un po’ contrariata perché non lo aveva visto prima… Racconto loro del libro del 1982 sui Windsor scovato nella caffetteria a Skye in mezzo alla pioggia e alla nebbia, “in the middle of nowhere”, e lei mi conferma che davvero si tratta di una perla preziosa e introvabile. Insomma, un super “acchiappo”! Anche questo di oggi non è niente male, il prezzo è più che abbordabile ed esco con il mio bellissimo libro e un paio di belle cartoline d’epoca da regalare a mia madre. Ma quanto adoro i charity shop britannici?! Mi segno mentalmente di cercarli ad ogni vacanza che faremo in Gran Bretagna, ma magari ce ne saranno anche negli altri Paesi… bisogna indagare!

Sembra stia smettendo di piovere, la piccola – ma curatissima – cittadina di Gullane si illumina sotto i timidi raggi di un sole che sta provando a spuntare dalle nuvole. Mentre rientriamo verso Edimburgo, sfilano davanti a noi diversi campi da golf presi d’assalto da molti giocatori – adesso mi spiego perché nel charity shop c’erano tante mazze da golf in vendita! Riattraversiamo la baia di Aberlady, e salutiamo il mare per l’ultima volta.

Mentre ci dirigiamo verso l’aeroporto, troviamo sempre più traffico e impieghiamo più di un’ora ad arrivare al punto di ritiro della nostra auto a noleggio, in Queen Anne Drive. Davide spegne il motore e abbiamo appena il tempo di vuotare abitacolo e baule, depositando borse e bagagli a terra in attesa dell’analisi esterna dell’auto da parte degli incaricati di Drivalia. Veniamo indirizzati verso il punto in cui potremo attendere la navetta che ci condurrà in aeroporto. Pochi istanti dopo, Davide riceve via e-mail il verbale d’ispezione con cui non ci viene riaddebitata nessuna spesa in più: d’altra parte, Davide è stato attentissimo e non ha incrementato in nessun modo i danni che già erano ben visibili sull’auto che ci è stata affidata. Dopo un quarto d’ora di attesa, arriva la navetta, che carica bagagli e passeggeri e ci lascia in un punto di scarico in aeroporto. Ho provato a chiedere di lasciarci davanti all’hotel Hampton by Hilton che abbiamo prenotato per stanotte, ma l’autista ha decisamente rifiutato adducendo qualche scusa in uno scozzese incomprensibile. Il tragitto verso l’hotel è breve, siamo fiduciosi anche per domani mattina, quando dovremo uscire a piedi con i bagagli ben prima dell’alba per il nostro volo di rientro.

L’hotel Hampton by Hilton Edinburgh Airport è grandissimo e molto moderno. Alla reception ci consegnano la chiave della stanza e ci informano che possiamo rimanere qui sia per la cena che per la colazione, che verrà servita a partire dalle 4 del mattino. Ottimo, facciamo in tempo a mandar giù qualcosa prima di andare in aeroporto! Non ce lo aspettavamo… d’altronde, la camera che Silvia ci ha prenotato qui aveva un prezzo piuttosto alto, se non altro riusciamo a prenderci qualcosa della colazione inclusa nel totale che abbiamo pagato! Non c’erano altre soluzioni possibili avendo il volo alle 6 di mattina, e la notizia della possibilità di riuscire a far colazione qui, unita alla conferma dei sei minuti a piedi necessari per raggiungere le partenze in aeroporto, ci allieta un po’.

La camera e il bagno sono moderni, spaziosi e puliti. Dopo aver dato un ultimo sguardo agli acquisti di oggi, inizio a preparare i bagagli, cercando di infilare la maggior parte dei libri nello zaino che viaggerà con me in aereo e mettendo nella valigia da stiva solo il grosso libro fotografico sulla Scozia, ben imballato in mezzo agli abiti.

Verso le 18.30 scendiamo nella hall per la cena, per cui scegliamo anelli di calamari fritti, un burger di Angus irlandese e due pinte di birra (per la modica cifra di 41 sterline… le birre avevano dei prezzi decisamente esagerati).

Ci addormentiamo presto, decisamente tristi per la fine di questa meravigliosa vacanza che ci sembra essere durata persino troppo poco.

16 agosto – Rientro in Italia

Ci alziamo alle 3, finiamo di preparare i bagagli e poi Davide attacca una generosa quantità di nastro extra strong alla mia valigia, sperando che arrivi a Bergamo il più sigillata possibile. Alle 4 siamo nella hall, e ingolliamo velocemente qualcosa direttamente dal buffet della colazione continentale a cui abbiamo diritto. Usciamo nella fresca brezza del mattino e arriviamo in aeroporto in una manciata di minuti.

L’aeroporto di Edimburgo non ha procedure molto chiare, in ogni modo riusciamo a presentarci in tempo al gate (nonostante il personale dei controlli di sicurezza sia sorprendentemente pignolo – il nostro dentifricio è ben visibile nel sacchetto trasparente, ma non ne capiscono la natura e lo osservano preoccupati pensando si tratti di qualche esplosivo). Al gate, la piccola valigia di Davide non convince lo steward, che gli chiede di verificarne le dimensioni prima di salire sull’aereo. Arriviamo sull’aeromobile, e subito veniamo rimproverati perché non possiamo tenere con noi né sotto il sedile nessuna borsa, e nemmeno la giacca – i nostri posti sono proprio sull’uscita di sicurezza. Riesco a tenere in mano il mio lettore e-book, una confezione di biscotti, il telefono spento e un libro, tutto il resto deve essere depositato nella cappelliera sopra le nostre teste. Imprecando mentalmente, mi riprometto di non far prenotare mai più a Silvia dei posti sull’uscita di sicurezza, ma non ci era nemmeno mai capitato del personale tanto pignolo. Decolliamo puntuali, e arriviamo a Bergamo anche prima dell’orario previsto. La mia valigia arriva intera con il mitico nastro extra strong di Edimburgo, e ritiriamo l’auto al parcheggio coperto dopo un lungo tragitto al caldo (che escursione termica!) trascinando stanchi i nostri bagagli.  Per il parcheggio coperto (dal pomeriggio del 4 agosto alla mattina del 16), abbiamo speso 140 euro – ma l’auto è rimasta ben protetta da eventuali grandinate, e alla ripartenza la temperatura nell’abitacolo è accettabile.

Considerazioni finali

La spesa sostenuta per voli, noleggio auto e alberghi di Edimburgo è stata piuttosto ingente (circa 4.500 euro, per fortuna avevamo anche un po’ di benefit da sfruttare), ma siamo consapevoli di aver scelto una destinazione costosa e di averla voluta vivere al meglio, senza rinunciare almeno alle comodità standard. Abbiamo scelto poi le altre sistemazioni su Booking seguendo il nostro itinerario e facendo in modo di riuscire a fermarci il più vicino possibile alle mete finali delle nostre giornate, cercando di prenotare in strutture di medio livello che potessero anche offrirci la colazione – immaginavamo di poterci trovare a volte in mezzo al nulla, con il senno di poi è stata una scelta vincente.

Sono stati 12 giorni d’incanto, sicuramente una delle vacanze più belle di sempre. Porterò per tutta la vita nel cuore la mia amata Irlanda, amore di gioventù e passione dei miei trent’anni, ma la Scozia di questo 2024 ha rappresentato per me un insieme di sogni realizzati e di assolute meraviglie che difficilmente potrò cancellare dalla memoria.

Siamo stati spesso fortunati con il meteo, il destino ha voluto che capitassimo nei posti giusti al momento giusto, riservandoci sorprese che ci hanno illuminato il cuore e riscaldato l’anima. Abbiamo trovato un popolo che sa cosa significhi accogliere ed ospitare, gentile e rispettoso degli altri, che ci ha favorito quando possibile rendendo la nostra una vacanza indimenticabile e perfetta sotto tantissimi aspetti. Il lavoro che abbiamo fatto a casa prima di partire, preparando l’itinerario secondo i nostri gusti e scegliendo le destinazioni dalle guide che abbiamo letto e dai siti web che abbiamo consultato, è stato fondamentale: senza una buona organizzazione non saremmo riusciti a vedere tanto, anche se poi una certa dose di improvvisazione ci ha consentito di non stancarci troppo e di gustare ciò che avevamo vissuto giorno per giorno.

Se con le parole “Auld Lang Syne”, gli scozzesi salutano i bei tempi andati, anch’io dico addio alla Scozia e alle bellissime giornate che io e Davide vi abbiamo trascorso. Sono sicura, però, che non sarà un addio per sempre.

Sarà solo un arrivederci, perché torneremo per riviverne la magia. Ancora una volta.

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