In vista del Giubileo 2025 tornerà all’antico splendore uno dei monumenti più belli di Roma: ecco qual è
Ammettiamolo: ogni angolo di Roma è un capolavoro. Tuttavia, un’opera in particolare rappresenta oltre ogni modo la città Eterna agli occhi del mondo: no, non è il Colosseo, bensì la Basilica di San Pietro in Vaticano, simbolo ecumenico di Roma, del Vaticano e di tutta la cristianità. E all’interno di questo incredibile edificio, a sua volta mirabile contenitore di opere d’arte inestimabili, insiste un capolavoro che sovrasta tutti gli altri e, simbolicamente, si eleva su tutta Roma stessa: il Baldacchino del Bernini, al centro di un importante lavoro di restauro che si concluderà in tempo utile per il Giubileo 2025. Una notizia fondamentale, che lo vedrà tornare agli antichi splendori dopo ben 266 anni, grazie a un profondo intervento che vedrà coinvolte tutte le diverse parti che la compongono. Insomma, un lifting di alto profilo per un capolavoro che porta ulteriore lustro a Roma e alla prima Basilica della cristianesimo nel mondo. E ora andiamo a scoprire insieme qualcosa di più su questo unicum dell’arte universale.
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Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini
Recitava una “pasquinata” (il sistema in cui i romani diffondevano il proprio malcontento, in forma rigorosamente anonima) del XVII secolo, di poco successiva alla costruzione dell’immane, nuovo ed ennesimo capolavoro di Roma. La storia ha tramandato che l’autore della celebre frase fu l’Ambasciatore del Duca di Mantova, in riferimento alla completa spoliazione dei bronzi romani del Pantheon per costruire il Baldacchino e i cannoni di Castel Sant’Angelo. Il sagace nobile aveva quindi messo in relazione le numerose incursioni dei popoli barbari con l’azione di appropriazione della famiglia Barberini, della quale faceva parte, per l’appunto, papa Urbano VIII, pontefice che aveva approvato la costruzione dell’opera, affidandone la direzione all’archistar del momento, Gian Lorenzo Bernini.
Affinché voi lo sappiate, in quel tempo i romani affidavano i propri pensieri critici, soprattutto rivolti al governo papale e al patriziato romano, alla statua di Pasquino, un marmo del III secolo a.C., che raffigura un guerriero, rinvenuta nel 1501 durante dei lavori di restauro. Per tradizione qui, nottetempo, i romani appendevano i loro scritti anonimi in versi che, per l’appunto, prendono il nome di “pasquinate”; l’usanza visse il suo momento di massima diffusione fra il XVI e il XIX secolo, con qualche “recrudescenza” anche nel XX, come nel 1938 in occasione della visita di Hitler a Roma.
La storia di uno dei capolavori più visti di Roma
Ma torniamo a noi e alla nostra opera del giorno. Nel 1623, quando ormai il cantiere per la nuova basilica barocca era al termine, Urbano VIII approvò la costruzione di un monumentale baldacchino in bronzo che avrebbe dovuto trovare luogo sopra l’altar maggiore. L’opera, di dimensioni colossali, doveva occupare il punto esatto di congiunzione tra la sezione longitudinale e il transetto, in luogo dei più classici cibori, normalmente di dimensioni più modeste e realizzati in marmo. Berini progettò il Baldacchino, difatti, con dimensioni davvero ragguardevoli; ciononostante, la struttura risulta in perfetta armonia con la Basilica, inserendosi perfettamente all’interno del suo contesto. Al progetto parteciparono diversi artisti e architetti del tempo, tra cui Francesco Borromini, assistente per la parte architettonica.
Nonostante il suo apporto risultò fondamentale per la realizzazione del capolavoro, nel 1633, al momento della posa, gli onori furono tutti e solo di Bernini. Borromini, già provato per non essere stato scelto come successore di Carlo Maderno alla direzione del cantiere di San Pietro, uscì da questa vicenda profondamente umiliato, tanto da scrivere nelle sue memorie: “Non mi dispiace che (Bernini) abbia avuto li denarii, mi dispiace che goda l’onor delle mie fatiche“. Questo episodio rappresentò l’unica occasione di collaborazione fra i due architetti, che separatamente dominarono la scena barocca romana barocca, e l’inizio di una insanabile rivalità, nella quale ebbe la peggio Borromini il quale, dopo una lunga depressione, decise di togliersi la vita.
Come nasce un capolavoro
28,5 metri di altezza, basamenti in marmo alti 2,5 metri, 60 tonnellate di peso complessive: questi sono solo alcuni dei numeri che caratterizzano questa monumentale opera, ormai da quasi 400 anni saldamente al suo posto, testimone silente delle storie di papi, sovrani, dinastie, epoche e semplici uomini del popolo, proprio come noi. Le sue colonne tortili bronzee, alte 11 metri e composte da 3 rocchi, reggono il tetto, la cui struttura è realizzata in legno e decorata con ulteriori elementi in bronzo. Le 4 colonne culminano con altrettanti capitelli, di ispirazione corinzia, che si connettono alla trabeazione mediante 4 cubi di matrice brunelleschiana, posizionati per donare ulteriore slancio a tutta la struttura. Sulla sommità sono poste statue di angeli e putti che reggono festoni; immancabile l’ape, chiaro richiamo alla famiglia Barberini.
Berini qui volle unire due elementi classici della tradizione cristiana: il ciborio, collocato a copertura dell’altar maggiore, e il baldacchino processione, arredo liturgico utilizzato per portare le statue dei santi in processione. Grazie a questa sapiente fusione, il Baldacchino racchiude in sé la monumentalità tipica di un’opera architettonica e, allo stesso tempo, la leggerezza e il dinamismo di un baldacchino processionale. Il restauro, fanno sapere dal Vaticano, sarà particolarmente articolato e complesso, che interesserà tutti gli elementi e i materiali di cui è composto il Baldacchino. Il termine dei lavori, interamente finanziati dall’Ordine dei Cavalieri di Colombo, è fissato per il dicembre del 2024, in tempo per la cerimonia di apertura dell’anno giubilare, prevista per il 24 dicembre 2024.