In treno sì ma ad alta quota: l’esperienza di salire a bordo del treno più… rosso del mondo
Lo spunto per questa avventura mi è venuto da un libro interessante, L’arte di viaggiare lento, in cui l’autore, Paolo Merlini, tra diversi itinerari coi mezzi pubblici fa un breve riferimento anche al trenino rosso del Bernina. Incuriosita, ho cercato informazioni sul sito delle Ferrovie Retiche e l’idea di questo viaggio mi ha subito conquistata. Il compleanno è stata la scusa perfetta per partire insieme a mio fratello. Questo treno, mezzo di per sé molto romantico, regala ai suoi passeggeri un’esperienza da batticuore attraverso una delle tratte più alte e ripide d’Europa. Il suo percorso straordinario vide la luce nel lontano 1910, quando si decise di costruire una tratta per unire attraverso il Passo del Bernina Italia e Svizzera, facilitando così i commerci ed il turismo anche durante gli inverni nevosi.
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L’itinerario spettacolare fa del Bernina Express uno dei più celebri treni panoramici del mondo, tanto che la sua tratta è stata riconosciuta patrimonio Unesco nel 2008. Il percorso, snodandosi tra Alpi, ghiacciai e laghi incontaminati, unisce sud e nord, partendo dai 400 mt di Tirano in Valtellina e arrivando fino ai 1800 mt di Sankt Moritz in Svizzera; due aree geografiche molto diverse, per lingua, paesaggi e cultura. Dal clima temperato e dallo stile sobrio della Lombardia, attraversando sontuosi panorami alpini, si passa alle atmosfere esclusive della capitale dell’Alta Engadina. Non vediamo l’ora!
Diario di viaggio
Tirano e Val Poschiavo
In auto impieghiamo circa 5 ore per arrivare da Ravenna, dove abitiamo, a Tirano in Valtellina; posteggiamo nel parcheggio gratuito in via Calcagno, collegato alla stazione da un comodo sottopasso. Ho riservato con booking l’Hotel Bernina, un accogliente tre stelle in posizione strategica davanti alla stazione: due singole a 65 euro a testa, colazione compresa. C’è anche un ristorante-pizzeria che in estate ha una bella terrazza per gustare all’aperto i piatti della tradizione valtellinese.
Una volta sistemati nelle nostre spaziose camere, decidiamo di esplorare la città, ma prima facciamo tappa in stazione per acquistare i biglietti del treno; faremo il percorso domattina fino in Svizzera e rientreremo il pomeriggio tardi.
Il tragitto Tirano-St.Moritz ha diverse partenze giornaliere e solo alcune riguardano il vero e proprio Bernina Express, che ha la prenotazione obbligatoria. Questo mezzo si distingue per le ampie e alte vetrate al posto dei finestrini, che consentono una visuale più vasta, ed è dotato di maggior comfort, dal piccolo bar interno al commento registrato delle varie fermate. Il treno tradizionale, senza obbligo di prenotazione, effettua esattamente lo stesso percorso, ma è più “proletario” e vivace, con la possibilità, tra l’altro, di scattare fotografie abbassando i finestrini. Inoltre alla fine del treno viene attaccata, nel periodo estivo, una buffa carrozza completamente scoperta, tutta gialla e molto gettonata. Attenzione però: è prevista solo in certe fasce orarie, i posti non sono riservabili, quindi chi prima arriva meglio alloggia. La scelta migliore è abbinare i due treni, il panoramico e quello tradizionale, facendo andata e ritorno; in tutto abbiamo speso circa 140,00 euro in due.
La cittadina di Tirano è un bella sorpresa, ammetto che non ne avevo mai sentito parlare prima. Si trova a 5 km dal confine con la regione svizzera dei Grigioni, dalla quale è separata dal Passo del Bernina. Ci dirigiamo verso la piazza, attraversata lungo il lato est dalla ferrovia e dominata da un grandioso edificio sacro che attira subito la nostra attenzione, il Santuario della Madonna di Tirano. Capolavoro del rinascimento lombardo, fu costruita tra il 1505 e il 1528 su progetto di architetti ticinesi, Taddeo e Giacomo Rodari. Il santuario è ammantato dalla leggenda di un’apparizione mariana, che si sarebbe verificata qui più di 500 anni fa, quando la Madonna apparve in un orto, chiedendo che le fosse edificato un tempio. Gli interni, non appena entriamo, ci lasciano stupefatti: stucchi e sculture, in preda ad un evidente horror vacui, ricoprono il soffitto, creando universo barocco quasi asfissiante, fatto di santi, profeti e cherubini, mentre un’organo gigantesco contribuisce allo sfarzo ridondante della chiesa. La Cappella dell’apparizione conserva ancora il lembo di terra sulla quale, si dice, posarono i piedi di Maria.
A sud della piazza si trova il Museo Etnografico Valtellinese, ospitato in un un bel palazzo del 700’. Alzando lo sguardo dalla piazza, incontriamo la suggestiva immagine della Chiesa di Santa Perpetua, una sagoma antica che risalta come un’apparizione d’altri tempi tra le rocce e l’erba. Rannicchiata sulla rupe scoscesa che fa da sfondo alla piazza, risale al XII secolo e si collega alla città grazie ad un piccolo sentiero, calco del tracciato di un’antica mulattiera che univa Tirano al passo del Bernina.
Vicino si trovano i resti di uno xenodochio, asilo spartano per antichi viandanti; in Svizzera invece si trova la gemella di Santa Perpetua, la Chiesa di S.Remigio. Camminando lungo la via Rasica, che comincia dietro al santuario, possiamo ammirare diversi edifici storici, come il palazzetto Omodei, e la Chiesa di san Rocco.
Dopo questa prima esplorazione decidiamo di riprendere la macchina e dirigerci verso la Svizzera. Oltrepassiamo la zona doganale e, anticipando una delle tappe del tragitto di domani, giungiamo a Poschiavo, distante 15 km dal confine italo-svizzero e situata nella valle omonima. Ci troviamo nei Grigioni, il più grande e più orientale dei 26 cantoni in cui è suddivisa la Svizzera, dove si parlano tre lingue diverse; Val Poschiavo è ancora zona italofona, mentre in Engadina, che visiteremo domani, si parlano soprattutto tedesco e romancio.
Il buffo nome Grigioni sembra affondi le radici nella burrascosa storia svizzera: Grauer Bund, la Lega grigia, era un’alleanza tra comuni della Valle del Reno, opposta alla Lega nera, formata dalla nobiltà. Grigia era la pesante stoffa dei vestiti che indossavano gli abitanti di questi luoghi in quei tempi lontani: anni luce dai look ricercati che vediamo sfilare oggi per le strade.
La Plazza da Cumün ha un’atmosfera decisamente elegante, con le dimore patrizie dipinte nei tenui colori pastello. L’aria è frizzante e stimola l’appetito; pranziamo subito al ristorante-pizzeria dell’Hotel Abrici, segnalato dalle guide. All’interno di questa residenza storica, particolarmente affascinante è la Sala delle sibille, un maestoso spazio rivestito di legni pregiati e ornato delle immagini di antiche profetesse.
Al ritorno facciamo tappa a Miralago, che insieme alla località di Le Prese, sorge sulle sponde del Lago di Poschiavo. Attratti dallo splendore del paesaggio, scendiamo sul sentiero che costeggia il grande specchio d’acqua. Dietro di noi fischia il trenino rosso su cui saliremo domani, mentre sta passando veloce sui binari che costeggiano il lago. E’ strano pensare che il tranquillo bacino che abbiamo davanti abbia avuto un’origine piuttosto agitata: deriva infatti dal colossale franamento di un monte, avvenuto milioni d’anni fa. A cavallo tra XIX e XX secolo, invece, qui passeggiavano facoltosi dandy ed ispirati intellettuali, attratti dalla quieta poesia della natura; qualche hotel del lungolago ricorda ancora la loro presenza, vantando un’attività ininterrotta da centinaia d’anni.
Rientrati a Tirano ci apprestiamo a goderci una cena luculliana alla terrazza-ristorante dell’hotel Bernina, per festeggiare come si deve il mio compleanno. La cucina valtellinese punta direttamente alla sostanza, con piatti semplici e nutrienti, eppure di gusto raffinato. Dopo un’antipasto di frittelle di grano saraceno e formaggio, i chisciöl, gustiamo i famosi pizzoccheri, re dei piatti tradizionali valtellinesi. E’ una pasta fatta a mano con farina di grano saraceno, condita con verza, burro e formaggio Valtellina Casera dop. Scegliamo il vino valtellinese per eccellenza, lo Sfursat, un passito rosso secco DOCG, che ci infonde un’ondata d’allegria. Dopo un mix portentoso di dolci e di grappe, siamo pronti per dormire e, con un po’ di ottimismo, anche per digerire..
Col treno tra le nuvole e ghiacciai
Il mattino dopo, eccoci apparecchiati e carichi di aspettative in uno dei vagoni del mitico trenino rosso. Si tratta del mezzo tradizionale, senza finestrini panoramici, ed è quasi pieno. Parte in perfetto orario, alle 8.50, mentre la città di Tirano sfila dai finestrini: il santuario, i bar, gli hotel, poi le casette con orti e giardini.
E’ stupefacente come il treno passi con nonchalance accanto alle case e tra le strade, inserito perfettamente nell’abitato ed agile quasi come un’automobile. Poco dopo imbocchiamo il primo tratto spettacolare del percorso: il viadotto circolare di Brusio. È un piccolo capolavoro di ingegneria, creato per superare un grande dislivello in uno spazio minimo. Il viadotto, che sale a spirale con le sue curve e le sue pittoresche arcate di pietra, è in perfetta armonia col paesaggio circostante e, con la sua aria romantica, s’impone come uno dei simboli del Bernina Express.
Saliamo a 1014 m s.l.m. fino a Poschiavo, località che abbiamo visitato ieri; oggi possiamo ammirare il superbo panorama dall’alto, incastonato tra i monti nelle foschie del mattino.
Inoltrandoci per amene vallate e boschi, il treno fa curve a gomito pazzesche, veri percorsi da montagne russe. Iniziano a susseguirsi gallerie e tunnel, in un variare fantastico di paesaggi. All’interno dei vagoni è tutto un “oohh!”. I bambini gridano per l’eccitazione, tutti ci sporgiamo dai finestrini per scattare foto e sentire sul viso l’aria fresca ed il profumo dei boschi. Leggiamo sulla guida che ci sono ben 55 gallerie e 196 viadotti, con pendenze fino al 70 per mille, superate con grazia dal nostro piccolo treno.
Ad Alp Grum, stazione costruita nel 1923, un imponente paesaggio alpino si apre davanti a noi. Vediamo per la prima volta il Ghiacciaio Palü, una cascata bianca che scende dalla montagna; il rifugio-ristorante di pietra è stato costruito a picco sul precipizio, con un terrazza panoramica slanciata sul vuoto.
Arrivati all’Ospizio del Bernina, il punto più alto di tutta la Ferrovia Retica a 2253 m s.l.m., decidiamo di scendere dal treno; infatti è possibile interrompere e riprendere il percorso più volte, in modo da fare escursioni nei magnifici paesaggi visti dai finestrini.
La stazione della ferrovia costeggia il Lago Bianco, opalescente specchio d’acqua chiara immerso tra le vette montane, che richiama alla mente un’idea di purezza e di rinascita.
Poco più avanti, le curve ed i saliscendi del treno ci hanno già rivelato il minuscolo Lago Nero, Lej Nair in romancio, così chiamato per il suo particolare colore scuro, quasi un velluto blu notte, in vivace contrasto col paesaggio dai toni più delicati.
Mentre il Lago bianco è tale per via delle acque del ghiacciaio che qui convergono dal 1911, il Lej Nair è scuro, perché così limpido da lasciare intravedere il fondo. Le loro acque si riversano in grandi fiumi che le condurranno verso il meridione e verso nord: attraverso il Po fino al mare Adriatico e col Danubio fino al Mar Nero.
Ci arrampichiamo su di una roccia per godere di questo panorama selvaggio e spettacolare. La luce e la limpidezza dell’aria si riverberano sulle superfici specchianti dei laghi, come vivide macchie di colore spruzzate sul tappeto di rocce e di prato.
L’aria è pungente e e la tipica vegetazione alpina si tramuta presto in roccia innevata. Il cambiamento d’atmosfera è forte, poco fa eravamo in un ambiente ancora mediterraneo ed ora siamo nel grande Nord: ci troviamo tra le alte vette dell’Engadina. Si tratta di uno spartiacque simbolico e geografico: un affascinante crocevia di lingue e culture, oltre che di scenari naturali mozzafiato. E’ la vallata abitata più alta d’Europa, lunga circa 80 km e suddivisa in Alta e Bassa Engadina. Deve il suo nome al fiume Inn, En in romancio, che sgorga dal passo del Maloja.
Fa piuttosto freddo, a queste altezze, ed il vento sferzante trapassa con facilità le nostre felpucce da mezza stagione. Dopo una breve passeggiata a bordo lago, proviamo a ritemprarci con due fumanti cappuccini sulla terrazza dell’Ospizio Bernina, che ci riscalderanno e alleggeriranno i nostri portafogli di ben sette euro. Infatti siamo in Svizzera e qui, si sa, la vita è cara: in ospizio si accettano gli euro, me ce ne vogliono molti per rifocillarsi..
L’Ospizio Bernina, che dà il nome al luogo, è un massiccio casermone che ha alle sue spalle una storia di 130 anni. Si tratta di un luogo di passaggio, pieno delle suggestioni di antichi viaggi; era qui che, in tempi lontani, si faceva il cambio dei cavalli e ci si riscaldava con polenta e vino, prima di ripartire verso il nord Europa o scendere verso l’Italia. Ancora oggi si può dormire all’Ospizio e gustare qualche buon piatto rustico. E’ raggiungibile dalla stazione in 10 minuti.
Risaliamo sul treno, controllando gli orari sul dépliant preso in stazione, e riprendiamo il percorso attraversando altri luoghi spettacolari, come il Bernina Diavolezza, dove notiamo un bell’impianto di risalita.
Morteratsch è un altra fermata dalla bellezza surreale nella quale, avendo più tempo, saremmo voluti scendere. Il ghiacciaio omonimo ha origine dal massiccio del Bernina, la cui vetta più alta, il Piz Bernina, tocca i 4049 mt, una vertigine solo a pensarci.
St Moritz, bella senz’anima?
Giungiamo infine a Sankt Moritz, capitale alpina del turismo glamour più cosmopolita: si suddivide in Dorf, la parte centrale, e Bad, la zona termale sul lungolago. Dobbiamo confessare che ci attirava molto più il percorso del treno che la meta finale. Infatti, appena mettiamo piede nelle strade della città, percepiamo un clima un po’ snob. St Moritz al primo impatto ci appare un bella senz’anima, anzi, certe volte non è neppure troppo bella: vediamo intorno a noi un accozzaglia di diversi edifici in cui non c’è armonia architettonica, né uno spirito o un carattere particolare.
Ovunque domina lo sfoggio di denaro fine a sé stesso ed il turista che non è vip o, per lo meno milionario, ha la sensazione di avere continuamente delle invisibili porte che gli si chiudono in faccia, come davanti alle vetrine dei negozi di lusso di via Serlas e agli hotels super-stellati, con portiere in divisa sull’attenti.
Ecco però che, poco più in là, sul lungolago, St Moritz inizia a svelare qualcosa di diverso: passo dopo passo, lentamente siamo sedotti da un fascino particolare. Il lago ci accoglie come un’oasi naturale di grande tranquillità e bellezza, che ci rimette in pace col mondo. Sulla tonalità acquamarina della superficie, che a seconda della luce può diventare scura come inchiostro, qualche vela bianca si muove lenta. Poi notiamo i folti boschi verde bottiglia e le vette più alte delle Alpi Orientali che orlano il paesaggio lacustre; qua e là scorgiamo qualche chalet di legno, tipicamente montano. D’inverno sullo specchio d’acqua si forma un ghiaccio talmente spesso da permettere le corse di cavalli, organizzate qui sin dal 1907.
In fondo notiamo un grande edificio a bordo lago, con un imponente tetto verde, che sembra quasi una reggia: di una magnificenza d’altri tempi, il Badrutt’Palace appartiene alla categoria dei grandi hotel-castello, pomposi e ricchi di storia. Richiama i fasti della Belle époque, quando, nelle stagioni invernali o estive, queste residenze di lusso si popolavano di aristocratici con servitù al seguito. Fondato da Caspar Badrutt nel 1896, ancora oggi incarna il salotto più elegante e cosmopolita della città, come si può dedurre dal rigido dresscode imposto tutt’ora agli ospiti.
Io e mio fratello notiamo una vaga somiglianza, forse per la mole imponente che emerge in mezzo alla natura, con il terrificante Overlook Hotel di Shining, il film di Kubrick con un Jack Nicholson impazzito a causa dell’isolamento.
Fu proprio il capostipite della famiglia Badrutt, l’intraprendente Johannes, ad inventare il turismo invernale nel 1864, scommettendo con i suoi ospiti estivi inglesi che si sarebbero goduti una villeggiatura meravigliosa anche durante la stagione fredda. Scommessa vinta e mantenuta, inverno dopo inverno, dal turismo fiorente che fa della città una delle mete sciistiche più importanti del mondo, dove si sono tenute, tra l’altro, anche due Olimpiadi invernali.
La città con le sue storie ed i suoi segreti continua a recuperare punti. Della parte centrale e più prestigiosa ci piace la piazza, dove gustiamo pretzel e birra nei tavoli di legno all’aperto, tanto per risparmiare. Ma la cosa che ho trovato più interessante è stata senza dubbio il Museo Segantini, che se ne riposa appollaiato lassù, in fondo alla via Somplaz, con una magnifica vista sul lago. Si raggiunge in neanche 10 minuti dal centro, ben segnalato dai cartelli.
Giovanni Segantini, originario di Arco in provincia di Trento, è uno dei grandi nomi del divisionismo italiano. Passò gli ultimi anni di vita in Engadina, vivendo a Maloja e a Potresina in modo spartano. Morirà al chiudersi del secolo, nel 1899; aveva solo 41 anni. Nella solitudine delle vette aveva trovato pace ed ispirazione ed in molte delle sue opere l’ambiente alpino è protagonista, concreto e simbolico allo stesso tempo.
Il museo è stato edificato in suo onore nel 1908 con una forma particolare, simile ad una chiesetta o ad un mausoleo di pietra; riprende la forma del padiglione progettato dallo stesso Segantini per l’Esposizione universale del 1900. Ospita nelle sue collezioni l’evocativo Trittico delle Alpi, oltre a molte altre opere interessanti e celebri, come l’Ave Maria a trasbordo.
Segantini non è stato l’unico personaggio illustre ad essere attratto da queste terre incontaminate: scopriamo che i dintorni di St Moritz vantano lunga lista di villeggianti famosi, la maggior parte con un grande intelletto, come Arturo Toscanini, Richard Strauss, Herman Hesse e Thomas Mann. A Sils Maria, a poca distanza da Sainkt Moritz, si trova la casa-museo di Nietszhe, che descrisse la regione come una “Terra promessa”.
All’hotel Waldhaus poi, nella stessa località, ci sono stati proprio tutti: da Carl Gustav Jung a Albert Einstein, fino alla Rossella di Via col Vento, Vivien Leigh. Se non bastasse, alla lista di celebrità retrò si possono aggiungere quelle contemporanee, come le protagoniste del film girato qui nel 2014, Clouds of Sils Maria, diretto da Olivier Assayas, con Juliette Binoche e Kristen Stewart.
Passeggiando verso la stazione, ci gustiamo alcuni deliziosi cioccolatini e dolcetti alle mandorle acquistati da Hanselmann (www.hanselmann.com) e poi, via, di nuovo sul treno. Il Bernina Express delle 17.47 è quasi vuoto; i finestrini spaziosi permettono una visuale magnifica, ma, come ci aspettavamo, non ci consentono di scattare foto per via dei riflessi. Così, ripercorrendo i soavi paesaggi alpini, facciamo ritorno a Tirano. Il viaggio si conclude, lasciandoci la voglia di tornare per fare escursioni nelle diverse fermate, una più spettacolare dell’altra, e soprattutto per goderci i cambiamenti dovuti al variare delle stagioni.