Motori, libri e Antico Egitto: ecco cosa fare a Torino in due giorni
Lui appassionato di auto, io adoro l’Antico Egitto: non c’è niente di meglio di Torino per un week-end dedicato proprio alle nostre passioni!
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Sabato 15 aprile
Partiamo da Parma appena dopo le 7 del mattino, il traffico in autostrada è scorrevole e arriviamo al parcheggio di fronte al Museo dell’Automobile di Torino un po’ prima delle 10. La struttura, che all’esterno si presenta molto ampia e dal design piuttosto futuristico, è già aperta ai visitatori, in fila in attesa dell’apertura della biglietteria. Paghiamo i biglietti (15 euro a testa per due ingressi interi per adulti) e alle 10 saliamo al secondo piano, da dove inizia l’esposizione.
Dalle prime Ford e Peugeot in circolazione in Italia a fine Ottocento, si arriva alle grandi vetture che mi ricordano le atmosfere viste in Titanic e Downton Abbey. Poi, vecchie canzoni che sembrano uscire da un giradischi dell’epoca ci guidano ai modelli degli anni Trenta, alla Jeep Ford del 1941 esposta tra i manichini dei militari americani che la utilizzarono durante la Seconda Guerra Mondiale, fino ad arrivare agli anni del dopoguerra: e qui, mentre nell’aria si diffondono le note di “Guarda come dondolo”, arriviamo alla prima Fiat 600 Multipla in un’ambientazione che ricorda i leggendari due mesi di ferie al mare, con il pranzo nel cestino, il fiasco e le racchette da tennis. Poi una fiammante Alfa Romeo Giulietta Sprint del 1954, la Bianchina, la BMW Isetta 300, la lussuosissima Jaguar E, una Citroen 2 Cavalli dipinta con i colori dell’arcobaleno e con il simbolo della pace, ad imperitura testimonianza delle idee hippie degli anni Sessanta. Tante altre auto, tanti colori, il rombo dei motori che esce dagli altoparlanti, fino ad arrivare alla catena di montaggio (la si può attraversare in un breve percorso a bordo di piccole vetture su una pista) e ai motori in bella vista. Proseguiamo sempre più incantati, scattiamo foto ed curiosiamo ovunque, fino ad arrivare alla sezione che naturalmente entusiasma più di tutte: quella dedicata alle corse automobilistiche. E qui, decine di metri di esposizione sono dedicati a meravigliosi bolidi rossi, dalle più antiche ai modelli più recenti: il cavallino rampante della Ferrari la fa da padrona, ma non mancano anche altre stupende auto. L’ultima parte, quella dedicata al mondo del rally, che poi conduce in modo naturale alla mostra “The Golden Age of Rally”: le vetture in mostra sono quelle che, tra gli anni Sessanta e Novanta del secolo scorso, hanno vinto le più importanti gare del campionato, da Montecarlo al Rally Safari, dalla Mille Laghi in Finlandia a Sanremo. Esemplari iconici, come la bellissima Porsche rossa fiammante che corse il Rally della Gran Bretagna nel 1971 o la Renault Alpine Elf di Darniche e Mahe. “Erano i tempi in cui i rally erano un sogno, ma anche quelli dove potevi partecipare con una vettura che usavi poi tutti i giorni, mettevi il roll-bar, dipingevi il cofano di nero e poi via di corsa” – ecco un significativo contributo di Gino Macaluso che ben racconta lo spirito di un pilota. In chiusura, le belle divise e i caschi dei piloti e alcuni utensili utilizzati (persino un macete per l’avventura del rally safari). All’uscita, il bel bookshop è una bella tentazione, ma usciamo “solamente” con il catalogo del Museo, davvero molto ben realizzato. Siamo soddisfatti, in due ore abbiamo attraversato la storia dell’automobile in un percorso stupefacente ed emozionante, anche per una che – come me – non ha grosse competenze tecniche e non si intende granché di motori.
Per il pranzo, abbiamo scelto una trattoria tipica piemontese a breve distanza dall’hotel, quindi piuttosto in periferia. Arriviamo alla Trattoria della Posta dopo una mezz’ora di auto dal museo. L’ambiente è rustico e piuttosto démodé, proprio da “osteria di una volta”, ma è comunque gradevole. La scelta dei piatti dal menù è molto ristretta, ma ordiniamo fiduciosi un antipasto misto della casa, acciughe con bagnet rosso e verde e burro di montagna, due soufflé formaggio e asparagi, una bottiglia d’acqua e mezza bottiglia di Barbera della casa. Il servizio è rapido e cortese, i piatti sono semplici ma molto gustosi (soprattutto le acciughe con i due bagnet). Alla fine, pagheremo 63 euro, ma usciamo comunque abbastanza soddisfatti.
In una manciata di minuti siamo nel parcheggio privato dell’Hotel Ponte Sassi che abbiamo prenotato su Booking (meno di 75 euro per una camera doppia per una notte, colazione e parcheggio privato inclusi): il cortile è piuttosto fatiscente ma almeno l’auto è riparata in un piccolo box in muratura. Alla reception ci accolgono in modo gentile e saliamo con l’ascensore verso la nostra stanza al secondo piano. La camera è spaziosa e pulita, il mobilio è un po’ datato ma funzionale. Il bagno è abbastanza ampio, il box doccia non è dei più nuovi, ed è meglio aprire l’acqua del bidet solo dopo aver chiuso lo sciacquone del wc, per non rimanere con un filo d’acqua a disposizione. La vista dalla finestra della stanza non dà sul Po come da descrizione su Booking, ma sul cortile interno dove abbiamo posteggiato l’auto… Alla fine, dobbiamo rimanere qui una sola notte, quindi fondamentalmente siamo soddisfatti, soprattutto perchè – dopo un po’ di riposo, verifichiamo che effettivamente la fermata del tram numero 15 è di fronte all’hotel: acquistiamo i biglietti sulla app GTT dei trasporti di Torino, e dopo un paio di minuti il tram arriva puntuale. In poco più di un quarto d’ora arriviamo sferragliando nel cuore del centro città, in via Po, dove ci mettiamo alla ricerca delle bancarelle di libri di cui ho letto sulla guida. Proseguendo sotto i portici verso Piazza Castello, sulla parte destra, dopo la metà della lunga via, troviamo in effetti ciò che stiamo cercando, e io entro direttamente in Paradiso: su queste bancarelle si può trovare veramente di tutto, dalle novità al libro fuori commercio che non pensavi di scovare, e i prezzi sono mediamente buoni. Compriamo un paio di dvd e due libri spendendo in tutto 7 euro, e proseguiamo verso Piazza Castello soddisfatti degli acquisti. Con i suoi 40.000 metri quadri, è la seconda piazza più grande di Torino ed è davvero un bel centro nevralgico, nonostante conservi una certa “eleganza ottocentesca”. La attraversiamo, e poi imbocchiamo Via Garibaldi, una lunga via pedonale piena di bar e negozi alla moda. C’è un po’ di confusione, tanta gente sta approfittando del bel tempo per una passeggiata, quindi decidiamo di esplorare i dintorni rifugiandoci in una stradina laterale, cominciando a guardarci in giro alla ricerca di un ristorante per la cena di stasera. A pochi metri dal caos, nella silenziosa Via Giuseppe Barbaroux, ecco che capitiamo davanti alla Trattoria Cantine Barbaroux, che ci conquista con il suo invitante menù. Prendiamo nota, e continuiamo la nostra passeggiata, stavolta alla ricerca di un posticino per un aperitivo e una pausa. In Via San Francesco d’Assisi, i colori del Bistrot Le Sorelle ci invitano ad entrare: ordiniamo una birra piccola alla spina e proviamo una nuova birra artigianale consigliata dalla titolare, che mi invita gentilmente a prendere qualche libro dal simpatico angolo dedicato al book-crossing che fa bella mostra di sè nel locale. Sono a dir poco un’appassionata di libri, e sicuramente non posso rifiutare una proposta tanto allettante! In ogni caso, sorseggiamo le nostre birre fresche in pace in questo bel locale, davvero molto ben curato, prenotiamo telefonicamente un tavolo per la cena (vista la quantità di gente che c’è in giro…) e torniamo con calma verso Piazza Castello. Un artista di strada fa qualche acrobazia con le sue torce accese, bambini e adulti ridono divertiti dalle sue battute e dal suo buffo accento scozzese, e la luce che via via inizia a scendere sembra regalare un tocco di magia in più ai bei palazzi che si affacciano su questa grande piazza.
La trattoria ha appena aperto, ci accomodiamo all’interno e ordiniamo la cena. La toilette, pulita e moderna, è proprio sotto al locale, direttamente nella freschissima cantina che dà il nome al locale. Ceniamo bene a base di un assaggio di formaggi misti (che ci dividiamo), tajarin al tartufo, e una tagliata di fassona con carciofi. Non rinunciamo al dessert, e ci gustiamo un bonet (dolce tipico di Torino) e un tortino con cuore caldo di cioccolato. Con una bottiglia d’acqua, mezzo litro di Dolcetto della casa e un caffè, il conto è di poco meno di 75 euro. La porzione di carne era un po’ scarsa, ma la qualità di ciò che ci hanno proposto era comunque più che buona, quindi usciamo soddisfatti e ci incamminiamo in una bellissima Torino immersa nelle luci magiche della notte. Il Palazzo Reale è illuminato da una calda luce dorata e noi non possiamo che ammirare lo spettacolo e scattare qualche foto. Perdiamo per un soffio il tram in piazza, quindi ci incamminiamo in via Po per aspettare il prossimo 15. Arriviamo in hotel verso le 22, e ci addormentiamo soddisfatti di questa bella giornata sabauda, sognando le meraviglie che ci aspettano domani.
Domenica 16 aprile
Ci svegliamo alle 7 per fare colazione presto e valutare come raggiungere il centro città per la visita al Museo Egizio. Alla reception, ci offrono la possibilità di lasciare l’auto nel parcheggio privato fino al nostro ritorno, anche se avremo già fatto il check – out in vista della ripartenza per Parma. A questo punto, dopo un rapido controllo su Google Maps, scopriamo contenti che il nostro tram numero 15 potrà portarci direttamente a poche centinaia di metri dal museo, quindi facciamo colazione con calma, risaliamo in camera per chiudere gli zaini, carichiamo tutto sull’auto e ci apprestiamo a partire verso il centro. Preferiamo lasciare l’auto parcheggiata sulla strada di fronte all’hotel, ci sono tanti posti liberi e non dovremo così tenere occupato il box privato. Il tram ci conduce fino a Piazza Castello, nonostante la deviazione per la maratona che coinvolgerà la città per la mattinata. Da lì a Via Accademia delle Scienze è veramente un tiro di schioppo, siamo davanti al museo alle 8.30 e abbiamo il tempo per andare a curiosare in mezzo ai maratoneti in Piazza Carlo Alberto.
Un po’ prima delle 9 torniamo all’ingresso del Museo, stanno aprendo il portone e iniziando a dividere i visitatori a seconda dell’orario della prenotazione. Veniamo fatti accomodare davanti ai tornelli d’ingresso, che attraversiamo puntualmente alle 9.20, come da programma. Un’imponente statua in granito che raffigura Ramses ci dà il benvenuto al Museo Egizio, e da qui inizia davvero il nostro percorso sulla “strada che per Menfi e Tebe passa da Torino”. Le effigi di dèi e faraoni ci accompagnano in un meraviglioso viaggio attraverso secoli di storia, e le migliaia di reperti archeologici che sfilano davanti ai nostri occhi ci incantano passo dopo passo. Templi rupestri, porte decorate da cartigli e geroglifici, modellini di schiavi, artigiani, agricoltori, amuleti magici, cofanetti in legno splendidamente decorati con colori ancora vivi, ceramiche per trucchi e unguenti, vasi canopi utilizzati per conservare le interiora dei defunti, sarcofagi e poi le mummie, dalla primissima (in posizione accovacciata, sorprendentemente conservatasi grazie al secco clima desertico) fino a quella di un uomo fasciato in più di 400 metri di bende di lino finissimo. Ma ancora, lo splendore dei reperti scoperti nella tomba intatta dell’architetto Kha e di sua moglie Merit, che ci raccontano la loro vita nel villaggio di Deir-El-Medina: qui risiedevano tutti quei magnifici artisti (pittori, scalpellini, scultori, architetti) preposti per la costruzione e la decorazione delle tombe dei faraoni nella Valle di Re e delle Regine, a loro dobbiamo splendori come la tomba di Nefertari e Sethi I. Nella tomba di Kha e di Merit, scoperta ancora intatta da Ernesto Schiaparelli ad inizio Novecento, sono stati ritrovati moltissimi oggetti, sorprendentemente ben conservati, che sono ancora in grado di affascinarci e di raccontarci la vita nell’Antico Egitto del 1400 a.C.: un totale di ben 460 pezzi tra oggetti per la toeletta di ogni tipo, compresa una magnifica parrucca per Merit, abiti e tuniche in gran numero, attrezzi per il lavoro e per la casa, mobil, pentole e stoviglie e cibo a volontà per sontuosi banchetti. Oltre ovviamente alle mummie dei due defunti nei loro molteplici sarcofagi. Tutto questo ci lascia davvero a bocca aperta, questa è veramente una collezione da togliere il fiato, e non solo ad una mancata archeologa come me.
Troviamo molto interessante anche il video che ci mostra la tac delle due mummie e di tutti i gioielli che hanno ancora indosso: Kha aveva goduto di una certa fama, persino il faraone gli aveva fatto diversi doni preziosi, quindi non deve stupire tanto lusso anche nella sua mummia e in quella della sua amata (e scomparsa prematuramente) Merit. Dopo una rapida puntata in alcune sale quasi interamente dedicate a papiri “chilometrici”, splendidi sarcofagi decorati risalenti all’Epoca Tarda ed animali imbalsamati, scendiamo di un altro piano e ci troviamo alle porte della Galleria dei Re, dove entro per prima non senza una certa emozione.
Un grande ariete, simbolo del dio Khnum ma anche di Ra, ci dà il benvenuto in questa strepitosa sala, riallestita nel 2006 dallo scenografo Dante Ferretti, che in effetti ha dato un tocco di grandezza e di maestosità all’ambiente. Era quasi d’obbligo, dato che qui troviamo la statua del più grande faraone che l’Egitto abbia conosciuto, Ramses II, ma anche quella di Tutmosis III e di un numero impressionante di opere scolpite in cui i soggetti sono gli dèi: dalla dea Sekhmet, dal corpo di leonessa, passando per innumerevoli sfingi fino ad arrivare alla meravigliosa statua che vede il faraone Horemheb a fianco del dio Ra. Alla fine, arriviamo al bookshop e io sono quasi stordita dalla bellezza che mi è passata davanti agli occhi nelle ultime due ore. Compro il catalogo del Museo (opera editoriale davvero ben fatta) e usciamo, non prima di aver salutato la statua del dio Thot (protettore degli scribi) nelle sembianze di un babbuino quasi all’uscita del museo.
Faccio quasi fatica a realizzare, quando usciamo alla luce del sole e ci troviamo vicino al bel Palazzo Carignano sono ancora alle prese con le emozioni vissute in mezzo a tutto ciò di cui ho letto su tantissimi libri sin dall’età di 7 anni. Avevo già visitato il museo altre due volte, in passato, ma questa nuova veste e le nuove installazioni hanno reso l’esperienza veramente incredibile.
Cerco di concentrarmi sul pranzo (camminare in mezzo all’archeologia mette anche un certo appetito), e andiamo a vedere le tre opzioni che ho scelto su internet per quest’ultimo pasto a Torino. Il primo ristorante, da Betty, sembra carino, il menù è invitante e i prezzi sono accettabili. Facciamo pochi metri per vedere gli altri due, ma non siamo convintissimi e telefoniamo al primo per prenotare: niente da fare, il locale è al completo. Allora ripieghiamo sul terzo, La Piola Sabauda: veniamo fatti accomodare in questo spazio piccolo, rustico ma curato, e ordiniamo due belle battute di fassona accompagnate da diverse salse a completamento. Sono 3 etti di carne a testa, ma la qualità è veramente ottima, e divoriamo tutto in poco tempo. Con un tiramisù, una bottiglia d’acqua, mezzo litro di Barbera della casa e un caffè, il conto è di 60 euro: siamo soddisfatti, è stato il miglior pasto del week-end.
All’uscita dal ristorante, durante la passeggiata per arrivare alla fermata del “nostro” tram in Piazza Castello, sono triste: Torino è stata una bella scoperta, l’eleganza dei suoi palazzi e la splendida luce delle sue piazze ci hanno conquistati, così come le sue specialità gastronomiche e l’unicità di due dei musei più belli che abbiamo mai visitato durante i nostri viaggi, in Italia e all’estero.
Dopo aver sferragliato sul nostro tram per l’ultima volta nelle strade di questa meravigliosa città, scendiamo dal mitico 15 e arriviamo davanti all’hotel. La nostra auto è pronta per riportarci a casa, ma abbiamo gli occhi ancora pieni delle meraviglie viste nelle ultime 36 ore.