Lo ‘stupor’ dei Castelli Federiciani, il simbolo della Puglia fortificata
C’era un tempo in cui le costruzioni civili asservivano, oltre che alla funzione di centro del potere, anche a uno scopo di difesa e protezione. Se l’Italia, come gran parte d’Europa, è disseminata nell’entroterra di castelli e di torri merlate sul mare, non c’è da stupirsi: la minaccia dell’invasione nemica, dell’annessione dei propri territori e della conquista delle terre rese necessario dotare gran parte delle città e delle coste di efficaci strumenti per ribaltare una narrazione altrimenti già scritta. In questo senso, la Puglia non fa eccezione, ma nella straordinarietà del suo paesaggio ha saputo integrare castelli di stupore. Lo stesso stupore che destò il regno di Federico II di Svevia, stupor mundi, capace di proporre – forse per la prima volta dopo millenni – una forma di governo rigida ma aperta all’arte e alla cultura, alla crescita, sovvertendo quel meccanismo narrativo secondo il quale il Medioevo fu un’epoca buia e priva di stimoli intellettuali.
Vero e proprio capolavoro dell’architettura e del mistero è Castel del Monte, che dal 1996 si può fregiare dell’ambito riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Non stiamo parlando di un castello qualsiasi, né dal punto di vista architettonico e tanto meno storico: realizzato in circa 30 anni di lavori, dal 1220 al 1250, vede una costante ripetizione del numero otto (8) che compare nella pianta ottagonale, negli otto torrioni perimetrali, nella realizzazione della corte interna. Il ruolo di questo numero, e più in generale la scelta di una architettura che pare più bella che funzionale, è stata spesso considerata con una valenza esoterica, forse legata al culto dell’energia o a particolari riti propiziatori. Quale che sia l’interpretazione prevalente nella mente di Federico II e dei suoi più fidi collaboratori, ad emergere è comunque una eleganza straordinaria, che si fonde nelle sfumature bianco-ocra del marmo e del calcare, e nello straordinario stato di conservazione – dovuto anche a restauri avvenuti a più riprese – di un edificio che è prossimo a festeggiare gli ottocento anni.
Nel novero dei Castelli Federiciani, Castel del Monte è la punta di un iceberg composto da tre forme costruttive, ciascuna con una sua essenza: il castrum, il palatium e la domus avevano ciascuna una specificità progettuale e un uso dedicato, dal fortilizio militare all’edificio di rappresentanza per la corte federiciana. E così, guardando oltre il castello di Andria, lo sguardo tra le mura imperiali del Duecento – costruite ex novo o rimaneggiate – spazia da Gravina di Puglia a Lucera, toccando a più riprese il territorio della Puglia centro-settentrionale con Oria, Gioia del Colle, Trani e Bari, raggiungendo inoltre Monte Sant’Angelo, Brindisi e Barletta.
Se di inchiostro reale o virtuale su questi castelli se ne potrebbe versare a fiumi, forse vale la pena approfondire quelli che maggiormente sono di impatto per il visitatore. Come il Castello Normanno Svevo di Bari, costruito nelle immediate vicinanze di quella Città Vecchia e di quell’Arco Basso divenuti celebri per la produzione artigianale di orecchiette e per l’accogliente scenario di candidi vicoli dove si respira la ritualità di una tradizione mai venuta meno. Il castello barese, che poggia su fondamenta addirittura romane, fu ricostruito per volere di Federico II e attraversò passaggi trasformativi dallo stile svevo a quello aragonese. In quest’ultimo passaggio venne definita la forma attuale, ancora più ampia e con mura perimetrali sulle quali insistono fortificazioni di grande imponenza.
Il Castello Svevo di Trani, che fa il pari con la Cattedrale bianca tra le attrazioni più visitate in città, può contare invece su una architettura decisamente più originale, rispetto alla quale spiccano forme molto più nette, direttamente aggettanti sul mare, e ampliamenti intervenuti nel corso del Cinquecento che hanno sia allargato che “alleggerito” le forme originali di epoca duecentesca. Curiosa è anche la scelta di introdurre, nel corso dell’Ottocento, una piccola torretta con campane e orologio, segno dell’utilizzo polivalente della struttura, dapprima come carcere e solo in epoca recente come sede museale ed espositiva.
Ben nota nelle cronache di fine Quattrocento è la disfida di Barletta, che vide fondamentale il ruolo del Castello cittadino, massimo esempio del divenire storico. L’edificio fu infatti costruito nell’XI secolo, ma la sua presentazione attuale è frutto di una stratificazione di interventi normanni, svevi, angioini, aragonesi e fino alla dominazione spagnola, conclusasi a inizio Settecento. Quello che non è mutato, in quasi mille anni, è l’imponenza di un castello che affaccia sul mare e che molti hanno tentato di fiaccare, come gli austriaci nel 1915, durante la Prima guerra mondiale, senza però lasciare che pochi e sparuti segni delle cannonate. Il castello di Barletta ha una pianta classica, quadrangolare netta, con quattro enormi bastioni a freccia e un rivellino a protezione dell’ingresso principale.
In ciascuno di questi territori, oltre all’importanza del tessuto storico-culturale, è forte anche la tradizione agroalimentare e quella enogastronomica, che fanno della Puglia una delle regioni con la maggiore eterogeneità nella proposta del turismo del gusto. Se, ad esempio, a Barletta si può provare il gustoso calzone di sponsali (simile ai cipollotti con acciughe, tonno e olive nere), Trani coniuga l’immancabile orecchietta alle cime di rapa con gli ziti alla tranese, cotti al forno. Bari è invece la terra delle orecchiette, la cui produzione artigianale ad Arco Basso è un vero e proprio richiamo turistico e un accenno all’identità del gusto del capoluogo barese, celebre anche per la sua focaccia. Sapori tipici che si coniugano con una produzione enologica di qualità, divenuta preponderante sul mercato nazionale ed evidenziata da nomi di peso come il Negroamaro, il Primitivo di Manduria o il Nero di Troia.