Vedi Napoli e poi…

Tre giorni per scoprire i due volti della città, quello sotterraneo e il gemello alla luce di uno splendido sole.
Scritto da: alvinktm
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“Vedi Napoli e poi muori”, lo diceva un certo Goethe, giunto nella città del sole nel febbraio del 1787 durante il suo lungo viaggio in Italia. Lo stile di vita degli abitanti e la posizione geografica dell’odierno capoluogo campano lo spinse a immortalarlo con la frase divenutane il motto, da molti poi trasformato nel più gentile, e a vocazione turistica, “vedi Napoli… e poi torna”.

In effetti il magnetismo della cittadina stretta fra il Vesuvio e le acque del golfo è talmente forte da desiderare di tornarci non appena rientrati a casa. Probabilmente perché il modo di affrontare la vita degli abitanti, senza troppi affanni per il presente e il futuro e aggirando i problemi, non è poi così sbagliato e infondo invidiato pure da coloro che lo criticano.

Sempre Goethe affermava “qui si desidera soltanto vivere. Ci si scorda di noi e del mondo” e “i napoletani sarebbero senza dubbio diversi se non si sentissero costretti fra Dio e Satana”. La popolazione è in balia di una forza crudele, quella distruttrice del vulcano capace di spazzare via nel 79 d.C. Pompei ed Ercolano. Nel contempo è cullata dalle correnti dolci del mare al quale deve un’abbondanza di cibo e un clima mite tutto l’anno.

Domenica 2 ottobre

Il Mare è la prima cosa bella che vediamo di Napoli (o Neapolis) dopo essere atterrati all’aeroporto internazionale di Capodichino con un volo low cost di EasyJet e un tragitto sull’Alibus di circa 35 minuti al costo di 5 euro a persona (bimbi gratis fino a 6 anni) sino al Molo Beverello. Costeggiamo con trepidazione la struttura possente e le torri cilindriche del Maschio Angioino, risultato di edificazioni medievali e rinascimentali, per poi oltrepassare i giardini del Molosiglio, e finalmente si spalanca davanti a noi nel pieno della sua placida accoglienza. Il Vesuvio s’innalza sulla sinistra ed è la testimonianza più appariscente dell’attività vulcanica in questo territorio.

Sebbene il vulcano rappresenti il simbolo naturale di Napoli, a noi interessa di più il mare, forse perché abitando in montagna agogniamo gli orizzonti infiniti privi di ostacoli e quell’odore inconfondibile della brezza marina. Ci attira come una calamita tanto da farci camminare con la testa rivolta verso il blu sul lungomare Santa Lucia, concedendoci solo una breve deviazione per gustare un’ottima pizza con friarielli e mozzarella di bufala al ristorante Marino. Dobbiamo ammetterlo, la specialità gastronomica italiana per eccellenza è proprio diversa nella cittadina partenopea rispetto a quella preparata al nord, è più gustosa, morbida, in una sola parola squisita. E l’abbiamo assaggiata in un comunissimo locale, di come se ne trovano tanti in giro per la città, posso solo immaginare quale apoteosi di sapore si possa raggiungere nelle pizzerie da Guida Michelin di Napoli!

Ci accontentiamo con soddisfazione e puntiamo di nuovo verso la superficie appena increspata dell’acqua nei pressi di Castel dell’Ovo, dalla sagoma squadrata, uno degli emblemi del golfo e il cui nome deriva dalla leggenda secondo cui il poeta Virgilio vi avrebbe nascosto un uovo magico in grado di proteggere la fortezza, ma in caso di rottura capace di provocarne crollo.

Accompagnati da un susseguirsi di bar e ristoranti, procediamo in direzione del lungomare Caracciolo con lo sguardo sulla costa di Mergellina e Posillipo. La nostra destinazione è fiancheggiata dai giardini pubblici della villa comunale che speravamo fossero meglio tenuti. Invece alcuni dei pochi giochi per bambini appaiono malandati, la vegetazione è poco curata e pure la pulizia è migliorabile, seppure quest’ultimo punto non sia solo una competenza del comune bensì della gente, turisti e abitanti.

Uno degli ingressi della prossima meta si nasconde in un vicolo stretto e cieco nei pressi di Piazza del Plebiscito, una tra le più grandi d’Italia. Lo slargo accoglie da una parte la Basilica neoclassica di San Francesco di Paola con il profondo pronao abbracciato da un portico colonnato a forma di ferro di cavallo, somigliante a quello di San Pietro in Vaticano.  Le statue a cavallo di re Carlo III di Borbone e del principe Ferdinando I vi stanno di fronte. Sul lato opposto sorge il Palazzo Reale, visitabile, mentre chiudono lo spiazzo altri edifici eleganti, sede di uffici d’interesse pubblico. Adiacente si trova il teatro San Carlo di cui i libri di storia ricordano l’incendio devastante del 12 febbraio 1816 e a pochi passi s’innalza Galleria Umberto I, un corso coperto ricco di boutique che ricorda la più famosa Galleria Vittorio Emanuele II di Milano. La piazza non ci colpisce particolarmente per cui le dedichiamo giusto il tempo di un lento passaggio per raggiungere Vico del Grottone, un’entrata della Galleria Borbonica il cui accesso è vincolato alla prenotazione on-line e alla scelta di uno dei percorsi proposti (per noi quello standard).

Fu concepita da Ferdinando II di Borbone nel 1853 come un doppio percorso militare con muri a sezione trapezoidale, in taluni tratti a volta per una maggiore solidità, con lo scopo di difesa e collegamento tra il Palazzo Reale e Piazza Vittoria, affacciata sul mare, e passante sotto il Monte Echia. I trafori confluivano nelle Cave Carafa aperte fin dal 1500 per l’estrazione del tufo, il tipico materiale dal colore giallastro utilizzato per la costruzione dei palazzi. A causa dell’incrocio con rami antichi dell’acquedotto vennero realizzate opere di edilizia ingegnose e nonostante gli imprevisti il progetto si concluse nel 1855 grazie al solo lavoro manuale con picconi e martelli.

Tra il 1939 e il 1945 i cunicoli sotterranei furono usati come rifugio dai cittadini, se ne ammassarono tra i 5.000 e i 10.000 in ambienti stretti e scarsamente arieggiati, dotati di pochi servizi igienici, e le cui condizioni sanitarie pessime erano veicoli di malattie. Molte persone vi restarono anche dopo la conclusione del conflitto perché privati delle proprie abitazioni a causa dei bombardamenti da parte, prima, degli alleati e in seguito dei tedeschi. Di lanci di bombe se ne contarono 200 e infatti fu la città più bombardata d’Italia.

Dalla fine della guerra sino al 1970 le gallerie vennero riadattate a deposito Giudiziale, ogni oggetto riemerso dalle macerie veniva immagazzinato qui, così come la merce derivante da crolli, sequestri e sfratti, soprattutto motoveicoli e autoveicoli per cui la Galleria Borbonica è divenuta famosa.

Esistevano dei passaggi verticali di collegamento con la superficie adoperati dai “pozzari” che si occupavano della manutenzione dell’acquedotto. A loro si lega la figura del Munaciello, chiamato così per il corpo basso, tozzo, coperto da un mantello che lo faceva somigliare a un monaco. Conoscendo bene i cunicoli sotterranei i munacielli entravano di notte con facilità nei palazzi benestanti per rubare cibo, oggetti preziosi e conquistare le signore.

La brava e ironica guida Stefania ci ha narrato questo e molto altro, consentendoci di visitare un mondo a noi sconosciuto e del quale, tutt’oggi, è possibile esplorarne solo una piccola parte. Ne siamo rimasti entusiasti e di certo è un’esperienza da consigliare, molto adatta anche ai bambini.

Dopo il silenzio e la calma del sotto suolo torniamo alla luce del sole per gettarci nell’animata, caotica, pedonale e rumorosa via Toledo, la principale arteria a carattere commerciale della città, con inizio da Piazza del Plebiscito. Una miriade di bar, ristoranti, negozi, boutique e botteghe si susseguono ai lati di un torrente umano chiassoso, incurante dei vagabondi distesi sulle panchine e della cartacce accanto ai tombini. Purtroppo elementi comuni alla maggioranza dei grandi centri urbani.

Per sfuggirci scendiamo nella stazione metro di Toledo, resa famosa per le sfavillanti decorazioni composte da mosaici, rivestimenti di mattonelle color ocra e dalla galleria del mare dove le tonalità regine sono quelle dell’azzurro. Una breve corsa stipati sul convoglio conduce in stazione centrale da dove preferiamo usufruire di un taxi per raggiungere in breve tempo, visto il tardo orario, il Museo Ferroviario. L’alternativa è il treno della linea Napoli-Salerno con fermata Pietrarsa-San Giorgio a Cremano.

Giunti a destinazione ci si accorge che il valore aggiunte del museo è la posizione a ridosso del mare con terrazza panoramica sul golfo di napoli, nella quale è possibile accomodarsi ai tavoli per sorseggiare un drink (gente permettendo) o cenare con una pizza.

Il luogo possiede un interesse socio-culturale-storico di rilevanza in quanto era la sede delle officine borboniche e nel 1839 nell’allora regno delle due Sicilie venne inaugurata la prima strada ferrata d’Italia, percorsa da due treni disegnati dall’ingegnere Bayard. A tal proposito fra le molte locomotive presenti il posto d’onore spetta proprio alla Bayard, a cui è dedicato un viaggio virtuale in realtà aumentata visibile con l’aggiunto di un euro al costo del biglietto. Segue poi la riproduzione simulata del vagone reale. L’esperienza è stata molto apprezzata da noi per la singolarità e la precisione dei dettagli.

Infine il museo ci regala la sorpresa di ammirare il grande plastico ferroviario della linea retica da Tirano, cittadina valtellinese vicino a casa nostra, con tanto di modellini fedeli del Santuario, della stazione e del viadotto elicoidale di Brusio, fino a Sankt Moritz in Engadina, Svizzera, percorso dall’inconfondibile, e romantico, trenino rosso Bernina Express.

Una cena frugale consumata alla pizzeria del Corso Portici, sull’angolo tra via Pietrarsa e la strada statale 18, a base di assaggi di crocchè di patate, panzerotti, arancini, scagliuozzoli (triangolini di polenta fritta) e bocconcini di pasta di pizza fritta, ci riempe lo stomaco in modo davvero economico.

Con lo sfondo del mare saliamo sul treno alla fermata antistante il museo per scendere tre quarti d’ora dopo a Campi Flegrei. In realtà la fermata più vicina all’hotel Cristina, dove pernottare, è quella di Cavalleggeri Aosta, ma molti treni terminano la propria corsa nella stazione precedente sopra citata. Una passeggiata a piedi di circa dieci minuti, perfetta per la digestione, conduce all’albergo dalla struttura moderna. Scelto volutamente da noi per la posizione decentrata e silenziosa di notte, in una zona tranquilla con bar, ristoranti e a una manciata di passi dal piccolo parco divertimenti di Edenlandia. Le camere sono arredate in modo semplice e appaiono pulite, i serramenti nuovi impediscono ai rumori di filtrare all’interno, il rapporto qualità-prezzo è buono, la colazione si presenta varia, dolce e salata, con specialità napoletane come le sfogliatelle ricce, sfogliatelle frolle e le frittelline ripiene di crema.

Lunedì 3 Ottobre

Con una breve corsa in treno fino alla stazione Montesanto veniamo catapultati nei Quartieri Spagnoli, che lambiscono via Toledo. Insieme a Spaccanapoli e a via San Gregorio Armeno rappresentano il cuore verace e pulsante della città, che vorrei descrivere prendendo in prestito le parole della canzone “Napule è” del grande cantautore Pino Daniele.

Non è solo un brano musicale, bensì una poesia malinconica capace di trasmettere quel senso di triste accettazione e indifferenza degli abitanti per la situazione in cui versa la città. La decadenza è palpabile e crudele. Scopriamo Napoli camminando per i vicoli stretti, sporchi e in salita dei quartieri spagnoli, su cui i conducenti dei motorini sfrecciano senza casco e mantenendo un equilibrio precario tra persone e bancarelle. Ape car stracariche di frutta, verdura e merce varia riforniscono le botteghe e i ristoranti, procedendo tra due ali di mura scrostate, ingrigite sulle quali spuntano fiori dai balconcini e dalle finestre. Un bel contrasto, lo stesso che riscontriamo nella disponibilità delle persone, sempre pronte a dispensare consigli su un angolo da esplorare e il percorso più breve per giungere a una chiesa. Pronti a contrattare sul prezzo di un ninnolo e capaci di sconti generosi per la maglietta del Napoli di nostro figlio. Guardiamo con ammirazione il Murales di Maradona ai piedi del quale la piazzetta si è riempita di bancarelle con oggetti in vendita a tema calcistico. Comprendiamo quanto ha rappresentato il calciatore argentino per Napoli non solo sul lato sportivo ma pure sociale, regalando sogni, fiducia, senso di appartenenza a tante generazioni.

Attraversiamo via Toledo per buttarci su Spaccanapoli, il decumano, la strada, che spacca la città da est a ovest, dai Quartieri Spagnoli fino a via Giudecca Vecchia di Forcella, e nel tratto centrale prende il nome di via Benedetto Croce. Qui sorge il Complesso Monumentale di Santa Chiara, accessibile da Piazza del Gesù nuovo con al centro l’obelisco dell’Immacolata.

La costruzione iniziò nel 1310 sulle volontà di re Roberto d’Angiò e consorte, comprendendo due conventi, uno femminile per le clarisse e uno maschile per i frati francescani. La chiesa esterna in stile gotico è frutto della ricostruzione seguita al bombardamento aereo del 1943 che l’aveva quasi completamente distrutta, e si oppone al campanile di pianta quadrata. Il gioiello del monastero è il chiostro (accessibile senza prenotazione e pagando in loco il biglietto d’accesso) la cui conformazione attuale si deve al Vaccari che tra il 1739 e il 1742 creò i due viali perpendicolari tra loro, con sedute e pilastri rivestiti di maioliche dai disegni meravigliosi raffiguranti la vita quotidiana dell’epoca. Pareti e volte a crociera del colonnato che vi corre tutto intorno sono affrescati con figure di Santi, allegorie e scene dell’Antico Testamento.

Sono presenti una biblioteca, un grande presepe tradizionale del 1700-1800 e un museo con oggetti liturgici scampati al bombardamento, un po’ noioso per noi profani. Curiosa è la ruota conventuale, servita fino al 1924 per l’esistenza del convento di clausura. Trattasi di una ruota in legno girevole con due comparti contrapposti in modo tale da poter dare e ricevere oggetti/lettere nella stessa girata; il piccolo foro a forma di trifoglio consentiva di vedere il contenuto dello scomparto esterno.

Durante i lavori di restauro eseguiti nel dopoguerra, negli anni Settanta e Ottanta si riportò alla luce un ampio e articolato edificio termale con piscina, palestra e vari percorsi, il più completo dell’intera Neapolis.

Bar, book shop e servizi igienici completano l’offerta del complesso monumentale, uno dei luoghi d’interesse napoletani assolutamente da esplorare.

Essendo usciti entusiasti dalla visita del giorno precedente alla Galleria Borbonica, decidiamo di scoprire un altro pezzo della città che si nasconde sotto i nostri piedi. L’ingresso del tour ufficiale della Napoli Sotterranea si trova in Piazza San Gaetano, a 800 metri da Santa Chiara, ed è segnalato da bandiere bianche e blu. A differenza della Galleria Borbonica la prenotazione on-line è solo consigliata per evitare attese, e l’accesso è garantito a tutte le persone presenti in coda, previa l’organizzazione in gruppi.

Gli scavi primitivi al di sotto della superficie risalgono alla preistoria e nel III secolo a.C. i Greci crearono le prime cave per estrarre il tufo necessario a erigere i propri templi. È però con i romani che si sviluppa una rete complessa di cunicoli impiegati come acquedotti per alimentare abitazioni, fontane, piscine, con acqua proveniente da una sorgente a 70 chilometri di distanza da Napoli. Si tratta di un’opera di gran valore ingegneristico, lo si capisce percorrendone anche solo la breve sezione visitabile e dove in taluni punti è visibile l’intonaco usato per impermeabilizzare le pareti.

Agli inizi del XX secolo i tunnel vennero abbandonati per poi essere riutilizzati dai napoletani durante il secondo Conflitto Mondiale per sfuggire ai bombardamenti. Al suono della sirena antiaereo le persone si gettavano a capofitto lungo le scalinate dai gradini stretti e alti, per mettersi in salvo a 40 metri di profondità e cercare di sopravvivere. A tale scopo le gallerie vennero illuminate, arredate in modo spartano con quello che si riusciva a salvare dalle case e si crearono servizi igienici (comunque in numero esiguo rispetto alle necessità). Sui muri i bambini disegnavano, lasciavano messaggi e uno di loro vi scrisse il proprio nome e cognome che decenni dopo servì a farlo rintracciare. Il giovane divenuto uomo poté rendere una testimonianza importante di quel lungo, difficile e crudele periodo.

Oltre a osservare resti di arredi e bagni, attraversare ambienti altissimi e reticoli di gallerie è possibile, per coloro che non soffrono di claustrofobia, strisciare in cunicoli strettissimi illuminati dalla torcia degli smartphone e sbucare sui camminatoi che percorrono parte del perimetro delle antiche vasche dell’acquedotto dove ancora risplende l’acqua. È un’esperienza assolutamente da provare, noi ne siamo rimasti entusiasti!

Una volta riemersi in superficie la visita guidata continua in Vico Cinquesanti in quello che rimane di una parte del Teatro Greco Romano risalente tra il IV secolo a.C. e il II secolo d.C. Scoperto per caso nel punto dove fino a poco tempo fa si apriva la bottega di un falegname, un tempo coincideva alla summa cavea, cioè l’anello superiore della gradinata del teatro dove nel 64 d.C. si esibiva Nerone. Oltre ai resti murari pregni di storia si ammirano 30 scarabattoli, ovvero contenitori, del 1700 contenenti altrettanti presepi con scene di vita quotidiana e non religiosa. Questo perché nel ‘700 il presepe napoletano visse la sua stagione d’oro, uscendo dalle chiese per entrare nelle ville aristocratiche e assumere un significato più frivolo e mondano. Le ambientazioni sono meravigliose e le espressioni delle statuine appaiono così espressive tanto da illudere lo spettatore che da un momento all’altro possano animarsi.

Dopo la scorpacciata di cultura sentiamo il bisogno di riempire lo stomaco e le tentazioni dolci e salate spuntano a ogni angolo, esibite dai take-away di finger food esposto nella miriade di semplici vetrinette ai bordi dei vicoli. Noi ci lasciamo tentare dai casatielli, un panino soffice ripieno di uova, ciccioli e salame, hot dog in pasta brioche e dagli immancabili babà spruzzati al momento di rum.

Una delizia sublime che assaporiamo girovagando senza una meta precisa, il modo migliore per scoprire la Napoli autentica, priva di stress e capace di trasmettere la necessità di godersi i piaceri della vita. Qui è facile perdere la nozione del tempo, soprattutto ammirando la miriade di presepi nelle botteghe di via San Gregorio Armeno. In alcune di esse è possibile osservare gli artigiani intenti a realizzare statuine e scenografie a sfondo religioso e laico, come i vari mestieri, politici, calciatori e personaggi dello spettacolo. Non mancano i cestini pieni zeppi di cornetti rossi e un omino oberato con collane di cornetti che anima la strada ripetendo “occhio malocchio prezzemolo e finocchio” recitata in dialetto e con l’aggiunta di parole a noi incomprensibili. Perché a Napoli la scaramanzia è una cosa seria ed è impossibile non farsi contagiare!

Al vagabondare segue la visita del Museo Cappella Sansevero. Per ammirarlo è fortemente consigliata la prenotazione online almeno 2-3 giorni prima, altrimenti si rischia di non riuscire ad accedervi o di sottoporsi a lunghe code. Siamo stati testimoni di molte persone giunte in loco prive di biglietto a cui è stata negata l’entrata a causa dell’esaurimento degli accessi disponibili non solo per il giorno stesso ma pure per quello di apertura successivo.

La facciata esterna non lascia presagire la fastosità barocca dall’interno. Un tripudio di statue dotate di forte espressività, di decori e affreschi è racchiuso in un ambiente piccolo con al centro la scultura distesa del Cristo velato: Gesù sdraiato su un giaciglio e coperto da un drappo trasparente. Scolpita da Giuseppe Sanmartino nel 1753, è divenuta famosa per la lavorazione marmorea del velo capace di esprimere movimento e leggerezza.

Nella Cavea sotterranea inoltre sono conservate due bacheche dai contenuti stravaganti. Trattasi delle Macchine Anatomiche, ovvero gli scheletri di un uomo e di una donna, realizzati dal medico Giuseppe Salerno nel ‘700, con il sistema arterovenoso estremamente particolareggiato ricostruito con vari materiali tra cui cera d’api e coloranti. Sono la dimostrazione di una conoscenza medica molto avanzata per il periodo.

Devo ammettere che da questa attrazione, una delle più celebri di Napoli, ci aspettavamo un maggiore coinvolgimento emotivo, invece la visione del Cristo velato non ha emozionato i nostri cuori come speravamo: troppa gente, rapporto offerta-prezzo esagerato, divieto di scattare fotografie, personale freddo, regole esagerate. Considerate tuttavia che si tratta solo di un parere personale.

Ci consoliamo con un’altra passeggiata tra i Quartieri Spagnoli e Spaccanapoli, i luoghi che ci hanno rubato l’anima. Poi saliamo sulla metro della linea 2 per ridiscendere alla fermata di Campi Flegrei e raggiungere in dieci minuti a piedi il piccolo parco divertimenti, più simile a un luna park, di Edenlandia, a due passi dall’hotel Cristina. Nonostante le tante recensioni negative noi lo abbiamo trovato pulito, con le attrazioni funzionanti eccetto una, più adatto di certo ai bambini ma essendoci entrati per Leonardo a noi è piaciuto. L’accesso è libero, si acquista un ticket alla cassa del valore variabile di 10 euro, 20 euro o più, a seconda di quanto si vuole spendere e a ogni giro sulle giostre ne viene scalato il costo. Leonardo si è entusiasmato nella casa delle beffe, al castello di lord Sheidon e sul trenino. Oltre ai cibi in take-away, tra cui i buoni polletti dello street burger testati da noi, è presente il ristorante della catena Old Wild West per una cena gustosa e rilassante.

Martedì 4 Ottobre

L’ultima giornata a Napoli la cominciamo con un breve tragitto sull’autobus R7 (la fermata è a una manciata di passi dall’hotel Cristina) fino al quartiere di Bagnoli dov’è nata la Città della Scienza. Se non avete bimbi al seguito probabilmente potete optare per altri musei presenti in città come quello archeologico, il Mann, o le esposizioni di arte antica e moderna a Capodimonte, in quanto si tratta di uno spazio più adatto a un tipo di pubblico in età scolare. Noi essendo appassionati di tutto ciò che è scienza e avendo apprezzato altri musei analoghi in Europa lo abbiamo voluto esplorare e alla fine l’esperienza è risultata positiva seppure molto diversa.

Innanzitutto non aspettatevi la superficie espositiva dell’omologo milanese o di quello a Monaco di Baviera, pure il numero di sezioni sono ridotte e a mio parere ci sarebbero ampi margini di miglioramento. La visita poi non è libera, bensì guidata e compresa nel prezzo del biglietto, e questo è un punto a favore perché consente di vivere esperienze difficilmente replicabili. Ma andiamo per ordine, assistendo inizialmente alla proiezione di Robot Explorer della durata di circa 30 minuti nel planetario più grande e avanzato d’Italia: un’ottimo spettacolo volto all’esplorazione dei pianeti che compongono il sistema solare e delle relative sonde in ricognizione. Poi ci si sposta nel padiglione Insetti & co in cui si ha la possibilità di osservare un esemplare di tartaruga mata mata, dall’aspetto spaventoso e pericolosa per l’uomo, di accarezzare insetti unici come lo stecco e di scoprire che le blatte sono, nel loro habitat d’origine, molto pulite. Passeggiando tra le immagini della mostra temporanea “Respiro-Aritmia di una territorio” conosciamo l’abbandono nocivo e degradato dell’area ex centro siderurgico Italsider di Bagnoli, i cui scheletri di acciaio-cemento attendono da trent’anni di essere demoliti mentre l’area agogna la riqualificazione. Purtroppo, come molto spesso accade in ogni parte d’Italia, non si prospetta alcuna soluzione. Nella seconda esibizione colpiscono invece le immagini di una natura che si rimpossessa in maniera lenta, silenziosa, inesorabile degli spazi antecedentemente rubati dagli uomini. Proprio come i capannoni della Italsider. E incrociamo gli sguardi di quei bambini immortalati con le loro espressioni innocenti che chiedono a noi adulti quale futuro potranno vivere. Infine passiamo al padiglione corporea dove grazie a video, giochi ed esperienze interattive scopriamo la complessità del corpo umano in modo semplice e divertente, e indaghiamo sul virus del Covid, terribile anche nelle sembianze!

Uscendo dalla Città della Scienza optiamo per il comodo e rapido taxi, al costo di circa 10 euro, per arrivare al sovrastante Parco Virgiliano, altrimenti raggiungibile con un autobus dalle corse poco frequenti da Bagnoli.

Questo giardino comunale terrazzato occupa il fianco meridionale del promontorio di Posillipo e nasce durante il fascismo con il nome di Parco della Vittoria. La sua peculiarità è il panorama splendido sul golfo di Napoli, la penisola sorrentina e l’isola di Capri da un lato, le isole di Procida, Ischia, e la costa di Pozzuoli sull’altro versante. Paesaggio a parte, purtroppo l’area verde pur possedendo potenzialità enormi appare poco curata, i parchi giochi sembrano abbandonati e i chioschi sono piuttosto tristi. Il cuore si riempie di tristezza mettendo a confronto le acque cristalline delle baie sottostanti e gli scenari da cartolina invidiatici in tutto il mondo con la desolazione del luogo, stato d’animo reso ancora più pesante se si pensa che basterebbe un progetto ben studiato per qualificare il Virgiliano come uno dei giardini più belli d’Italia.

Tutt’altra sensazione ci accompagna con la comoda e lenta discesa in bus fino a Santa Lucia, nei pressi di Piazza Plebiscito, attraversando il quartiere di Posillipo dove abitano i ricchi di Napoli. Una zona talmente diversa dal centro storico da scordarsi di essere nel capoluogo campano. Qui le strade appaiono più larghe, pulite, silenziose, non si parcheggia in seconda o terza fila e le abitazioni sono in realtà delle ville con giardini lussureggianti e piscine. Il confronto è fin troppo stridente e ci viene naturale domandarci se il progresso del mondo si stia dirigendo nella direzione giusta. Forse bisognerebbe cambiare le priorità per consentire a ognuno di vivere in maniera dignitosa, accorciando il divario immenso fra povertà e ricchezza.

Disponendo di più tempo saremo saliti volentieri su una barca in gita fino all’area marina protetta di Gaiola per ammirare dal mare il lusso di ville e giardini pensili dell’elegante Posillipo. Invece la nostra fuga al sole è già arrivata al termine, giusto il tempo di uno spuntino al chiostro nei pressi di uno dei punti panoramici a ridosso del mare più fascinosi della cittadina partenopea, all’incrocio tra via Nazario Sauro e via Cesario Console, con la superficie increspata dell’acqua solcata da barche e navi, e il Vesuvio.

Questa è l’ultima istantanea che catturiamo del capoluogo campano e immagazziniamo nel cuore, prima di una camminata di quindici minuti fino al Molo Beverello, partenza dell’Alibus per l’aeroporto, nel punto in cui è cominciata la scoperta dolce-amare di Napoli.

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