Magica Civita
Questa è la storia di un luogo dove vorrei vivere per sempre. Civita di Bagnoregio, Viterbo, Lazio. Perché una sempiterna solidità si percepisce di più dove la fragilità strutturale di un territorio testimonia che ogni giorno è un omaggio che la Natura fa all’uomo. Dove il vento sferzante sulla valle dei Calanchi rende ardua la salita di attraversamento del ponte che le albe di foschia fanno sparire illudendoti di galleggiare su una rupe tra cielo e terra. Lì in mezzo sta Civita aggrappata alle possenti pareti di tufo, giganti di argilla sui quali, nel Museo Geologico del borgo ti insegnano a non affidare le tue speranze.
Meglio riporle su Bonaventura, filosofo del 1200 e santo patrono oppure sui gatti sonnolenti che scrutano dai profferli medievali i turisti viandanti tra gli acciottolati dei cardi e decumani che costituiscono la struttura urbana del borgo. Per scongiurare la rovina geologica, ma una bellezza così intensa non può che essere anche una rovina, si può anche fare una preghiera davanti al prezioso crocefisso ligneo della Chiesa di San Donato. Oppure dormirci sotto un pesante crocefisso ligneo, in una delle stanze medioevo chic della Locanda della Buona Ventura.
Comunque si oltrepassi la Porta di Santa Maria e i leonini guardiani in bassorilievo e comunque ci si auguri che il grande crollo non sarà oggi o domani se si resta per la notte, Civita ha il fascino di farti sparire l’idea di futuro. Il passato è una sintesi perfetta di atmosfere e stili: gli etruschi che hanno impresso il genius loci tra i labirinti di cunicoli e le vestigia delle tombe ipogee, e poi romani, longobardi, templari, pellegrini, santi, poeti, viaggiatori, tutti trasportati da pazienti e ostinati asinelli. Ai quali ancora oggi, due volte all’anno, in giugno e settembre è dedicato il Palio della Tonna, singolare disfida tra asini cavalcati sulla groppa priva di sella e staffe da fantini equilibristi e abili a trasformare la naturale indolenza di quadrupedi spesso recalcitranti, in una sorta di ambizione di vittoria.
Così tra incitamenti e scorpacciate di focacce fritte servite dal profferio del Forno di Agnese, il Palio onora l’animale simbolo della resilienza di Civita. Dopo le premiazioni i turisti riattraversano il ponte verso la terraferma. Tutto intorno è il tramonto diafano sul mare argilloso e increspato dei Calanchi e le creste aguzze velate di sabbie. Magica Civita!