Le Bivaccanti della Val Maira

Scritto da: Grillosa
le bivaccanti della val maira
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Sabri: Facciamo da me per le otto?

Silvietta: Meglio 19:30…ordiniamo dei poke?

Anna: Perfetto! Porto cartina e una bottiglia di bianco!

Paoletta: Io il gelato! Ma arriverò con un po’ di ritardo…

E così che ci siamo ritrovate a terra, brille, cercando con le dita profumate di soia il percorso che, in quattro giorni di cammino e notti in bivacco, ci avrebbe permesso di esplorare la Val Maira.

Giorno 1: La Spezia – Rifugio Campo Base

[Il Rifugio Campo Base è raggiungibile in macchina ed aperto dal 27 dicembre al 31 ottobre; disponibilità di campeggio, camere doppie o camerate da 4,6,8 posti letto; mezza pensione da € 46,00; per info contattare il 334.84116041 – info@campobaseacceglio.it]

Siamo partite qualche giorno dopo, caricando su una piccola panda a metano gli zaini carichi del poco necessario: sacco a pelo, guscio impermeabile, bacchette, un cambio; candele, fornellino, coltellino, buste e salviette profumate; biscotti e caffè solubile, zuppe liofilizzate, salame e formaggio.

Oltre Cuneo le montagne sembrano invalicabili. Ma nascondono valli ampie, ricche di torrenti, laghi in quota e cascate. Noi ci infiliamo in Val Maira, risalendo l’omonimo torrente che, dopo il coraggioso salto delle cascate di Stroppia, la attraversa tutta per buttarsi nel Po. La valle, rimasta isolata per secoli e tuttora poco frequentata, custodisce le tradizioni occitane, gli allevamenti di cavalli Merenes e le botteghe artigiane scomparse altrove. Ci imbattiamo nella città di Dronero con il suo ponte del diavolo, nei borghi di Stroppo e Elva, con i loro tesori di architettura rurale e gli affreschi cinquecenteschi del pittore fiammingo Hans Clemer, e infine in Chiappera, l’ultimo borgo abitato e uno dei più belli dell’alta valle Maira.  Lo sovrasta l’imponente massiccio roccioso della Rocca Provenzale, che cambia forma se ci si gira attorno e colore dall’alba al tramonto.

Arriviamo al rifugio Campo Base di Acceglio, ottimo punto di partenza per esplorare la valle, giusto in tempo per la cena. Mangiamo polenta concia e torta di mele, beviamo buon vino. Chiediamo qualche dritta ai rifugisti, un gruppo di giovani ragazzi della zona: stato dei sentieri, dei bivacchi, scorci da non perdere, tempi di percorrenza, tratti attrezzati. Poi ci sistemiamo nella stanza dai letto a castello rossi, fresca per la notte che scende. Dalle finestre alte, nei nostri sacchi a pelo, scorgiamo il cielo nero, senza luna: la via lattea sembra sul punto di caderci addosso, come un grosso e pesante tappeto di velluto.

Giorno 2: Rifugio Campo Base – Bivacco Valmaggia

 Dopo una bella colazione, sistemiamo gli zaini sulle spalle, ci cospargiamo di crema solare e ci mettiamo alla ricerca dei segni bianchi e rossi che indicano il sentiero Roberto Cavallero, inaugurato nel 1992 dal CAI di Fossano per ricordare l’alpinista morto nel 1991 sul medesimo tracciato. Lo seguiremo, con qualche piccola deviazione, per esplorare la valle e dormire nei suoi bivacchi. Il percorso, riservato ad escursionisti esperti per la lunghezza e la presenza di alcuni tratti esposti, mette subito alla prova il nostro allenamento e le nostra capacità di orientamento: il sole è alto, lo zaino pesa, la salita picchia; i segni si nascondono tra le fronde, nelle pietraie, tra i tronchi degli alberi.

Risaliamo faggete, prati, pietraie. Chiacchierando del più e del meno, facendo silenzio nei tratti esposti, canticchiando quando la strada spiana. Ci alterniamo alla guida. Silvietta, Anna, Paoletta, Sabri; Sabri, Paoletta, Anna, Silvietta.

Poco prima del Passo Scaletta un temporale ci coglie impreparate. L’acqua diventa grandine. I chicchi sono così grandi e violenti che i polpacci, scoperti per l’abbigliamento estivo, diventano presto rossi e doloranti. Ne ridiamo, riparandoci sotto gli impermeabili che non bastano più, provando a nascondere lo spavento.  Non c’è verso di trovare un riparo così, intravedendo in lontananza il Bivacco Valmaggia, acceleriamo il passo, corriamo. Il piccolo bivacco in legno è affollato: francesi, due alpinisti, un gruppo di milanesi. Tiriamo fuori il fornellino e condividendo l’acqua che resta nelle borracce di tutti, prepariamo un thè per noi e i nostri nuovi amici.

Quando il cielo si riapre, il bivacco si svuota. Restiamo sole. Sistemiamo i sacco a pelo sulle panche, mettiamo ad asciugare scarpe e zaini, poi prendiamo le taniche disponibili al bivacco e raggiungiamo la fonte più vicina per prendere l’acqua necessaria a cucinare e lavarci un po’. Giochiamo a carte, leggiamo a lume di candela, percorriamo sulla carta il percorso che ci aspetta, salutiamo il cielo carico di stelle sperando in una giornata di sole….

Giorno 2: Bivacco Valmaggia – Bivacco Sartore

Gli scarponi sono ancora umidi dalla pioggia quando gli rinfiliamo per metterci in marcia.  Il cielo però è terso, nessuna nuvola all’orizzonte. Risaliamo al colle del Feuillas, a 2749 m.s.l., poi scendiamo per prati verdeggianti e laghetti di acqua blu, affollati da capre, mucche, cavalli selvatici, marmotte e camosci. Avvertiamo da lontano il loro belare, i campanacci, il trotto, i fischi: un orchestra nel silenzio dell’anfiteatro di montagne che ci circonda. Dopo un’avvincente tratto in cresta scorgiamo il Bivacco Sartore che ci ospiterà per la seconda notte. È dedicato al giovane Danilo, morto in falesia nel 2011, ed è un gioiello: una piccola capanna triangolare, rossa, su cui sventolano la bandiera italiana e una moltitudine di bandierine nepalesi; profuma ancora di legno fresco, è intimo, accogliente. Sarebbe il posto perfetto per trascorrere una vita… se l’acqua non fosse ad un’ora e mezza di cammino!

Giorno 3: Bivacco Sartore – Bivacco Barenghi

 Le gambe accusano la stanchezza dei giorni passati, ma lo zaino si fa sempre più leggero. Se le spalle ringraziano, lo stomaco è preoccupato: basterà il cibo che resta? Per la paura di rimanere senza razioniamo barrette, biscotti, formaggio e gallette.

Perdiamo la traccia, risaliamo titubanti un canalino roccioso, fino ad imbatterci nei cavi arrugginiti di una vecchia ferrata. Tiriamo il fiato solo in cima al colle della Forcellina, dove una targa ci assicura di essere sulla giusta via: è lì in memoria di Roberto Cavallero, a cui il sentiero è dedicato. Al di là del colle si aprono altra valli, boschi, cime, laghi azzurri, nuvole al vento. Ma inspiegabilmente non notiamo il Bivacco Barenghi a cui siamo dirette: azzurro e giallo, contro la roccia grigia, sulla sponda del lago del Valonasso.

Al Barenghi c’è tutta l’acqua che serve, il lago è lì, a due passi. Ne approfittiamo per una doccia gelata, zuppe calde, thè e tisane a volontà. Ritrovata la carica ci spingiamo fino al colle di Gippiera per vedere il sole tramontare sul Lac des Neuf Couleurs. Sopra di noi il Brec de Chambeyron, imponente.

Giorno 4: Bivacco Barenghi – Rifugio Campo Base

È l’ultimo giorno, iniziamo la discesa verso valle. Il dislivello da compiere è tanto, le ginocchia accusano i passi passati. Chiacchieriamo dei giorni insieme, ne progettiamo di nuovi. Nella discesa scopriamo l’altro volto di ogni cosa, della valle. I rifugisti del Campo Base ci accolgono ancora una volta con birre e polenta concia, ma questa volta sono loro a fare domande: vogliono sapere dei nostri giorni, di quei luoghi che può raccontare solo chi c’è stato.

Nello specchietto retrovisore della piccola panda a metano cerchiamo tutte la Rocca Provenzale. Ma ci siamo anche noi, più sorridenti e più abbronzate.

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