Scrittori per Caso: Il Viaggiatore. Di Fabio Lentini
«Andatevene a quel paese!?!» aveva sbottato visibilmente infastidito così, dopo aver svogliatamente scattato alcune foto, si era diretto verso la Sfinge. La grande statua si stagliava in lontananza, fiera nella sua inquieta fissità. Stanley accelerò l’andatura e non appena vi fu quasi a ridosso si accovacciò sopra un massiccio blocco di alabastro prendendo lentamente ad osservarla. I turisti erano ancora lontani ed un raro silenzio dominava la vallata. Incuriosito, cominciò a traguardarla soffermandosi sui dettagli più minuti. Con aria solenne, il volto del faraone fissava l’orizzonte, indifferente al lento scorrere del tempo. Le zampe feline si allungavano sulla sabbia proiettando un’ombra lunga e misteriosa. Affascinato, cominciò a prendere alcune istantanee poi ripose l’attrezzatura e di nuovo si fermò ad osservare. Sopra la tersa navata del cielo, un sole cocente martoriava le polverose radure del deserto sovrastando inesorabilmente nei pensieri.
Il viaggiatore rimase in silenzio con la mente sgombra e rilassata. A lungo planò su quella sensazione fino a quando la berciante fiumana di turisti tracimò sulla piana infuocata. Appagato, si rialzò allontanandosi lentamente. Aveva iniziato a viaggiare ammaliato dalle conquiste e rinascite che ogni viaggio porta sempre con sé. Era il solo modo che conoscesse per scacciare l’inquietudine che dimorava in lui e rari erano i luoghi in cui non fosse stato. Ovunque si recasse, riusciva sempre a confondersi con l’ambiente. Arabo tra gli arabi, aborigeno tra gli aborigeni, parlava più di quindici lingue ed un’innumerevole quantità di dialetti. Il padre gli aveva lasciato una grossa fortuna e lui, dosandola con sapienza, la consumava non facendosi mancare nulla. Ripudiate le effimere tentazioni di crescita che lo avrebbero reso schiavo del lavoro, rifuggiva al contempo il misero centellinare del denaro che sovente rende i ricchi tanto meschini e banali. Diamine, a cosa servivano gli averi quando la morte avrebbe comunque livellato ogni cosa? Le emozioni, quelle no, nessuno le avrebbe mai potuto cancellare. Le portava nel cuore, nei pensieri. Così era diventato un viaggiatore, un cacciatore di ricordi, un magistrale interprete dei suoi desideri.
A passo cadenzato, diede un’ultima occhiata alle piramidi osservandone le cuspidi pungolare il cielo. Brevemente avvertì un’emozione, un fugace turbamento ed un sorriso si stagliò sul suo volto.
– «Lo sapevo…!?!» sussurrò a denti stretti avviandosi verso l’uscita. A passo lento, superò la cancellata avvicinandosi ad uomo seduto su un terrapieno.
«Com’è andata?» chiese quello aggiustandosi la “gellabìa” [Tunica indossata dai popoli del Nord Africa.].
«Bene, Papiro, ma poteva andare meglio!». «…O peggio!» continuò l’altro additando i pullman stracolmi di turisti.
«Dannazione – sbottò Stanely sempre più insofferente – perché diavolo non restano a casa loro?».
«Amico mio, sono passati i tempi in cui voi viaggiatori eravate merce rara!».
«Dannato turismo di massa!».
«Già – replicò Papiro con aria sorniona – tuttavia…».
«… Tuttavia?».
«…Pochi turisti, pochi soldi!?!» terminò con un ghigno beffardo.
Mohammed Fouad Rachid, detto Papiro, continuò a ridere di gusto. Stanley lo guardò soffocando la rabbia dietro una rombante cascata di risate poi raggiunse l’auto prendendo lentamente posto.
«”Taban?” (Stanco?)» domandò l’egiziano opprimendo il sedile col suo peso.
«”La!” (No!)» replicò l’altro stemperando gradualmente il sorriso.
Quando l’ultima diapositiva terminò, Stanley riaccese la luce. Con aria trasognata, continuò a ripassare le immagini di quel viaggio. La voce di Papiro risuonava ancora alle sue orecchie inondandole della sua trascinante risata. Una stilla di malinconia discese sul suo volto mentre estraeva il caricatore. Con fare lento, si avvicinò al gigantesco armadio che troneggiava nella stanza e, dopo averne osservato i vuoti, ripose le diapositive in una nicchia. Distrattamente lanciò lo sguardo su più direzioni, perdendosi nel groviglio di scaffali, poi allungò il braccio sopra un altro caricatore e, dopo averlo preso, si avviò nuovamente al proiettore. Di scatto, spense la luce dando ancora spazio alle memorie. Cominciò a risentire il profumo del Nilo, la feluca [Caratteristica imbarcazione a vela usata dai pescatori del Nilo.] scorrere ed il tramonto infrangersi sull’acqua. Brevi istanti e ripiombò nel silenzio di Kom Ombo, tra gli immensi colonnati di Karnak, nel vibrante mistero di Abu Simbel. I volti degli amici che aveva conosciuto si affiancavano al ghigno di Papiro martellandolo di una struggente nostalgia. Al termine della proiezione, accese l’abatjour avvicinandosi alla parete sulla quale erano appese le innumerevoli foto dei suoi viaggi. Con aria sognante, si soffermò a guardarle. I panorami si alternavano ai sorrisi e, prepotenti, quegli echi raggiunsero i suoi pensieri. Compiaciuto, si lasciò trasportare dall’istante e lentamente richiuse le palpebre provando a trattenere i ricordi. Un’aria fresca colorò la sua mente mondandola nelle limpide acque della rievocazione poi, improvvisamente, la luce cominciò a balbettare e uno strano tremore si diffuse nella stanza. Il mobile ondeggiò vistosamente sollevando una sinistra sinfonia di cigolii e le prime foto cominciarono a cadere come petali sfrangiati di una margherita. Stanley pregò che il sisma scemasse mentre i secondi si dilatavano in infiniti paurosi ed opprimenti. «Dannazione, sta durando troppo a lungo!?!» sbottò visibilmente allarmato. Un’altra, violenta spallata parve comprimere le mura affaticate e, in un istante, l’armadio andò giù. Migliaia di diapositive si sparsero sul pavimento colorando i soffici tappeti della stanza. Stanley le guardò, sbigottito, mentre il terrore gli sbarrava le pupille. Appagato, il terremoto parve allentare la presa e lentamente si ritrasse nell’oscuro mondo dal quale era venuto. Col respiro affannato, Stanley lasciò scorrere il tempo mentre uno strano odore picchettava le narici. Superato lo stupore, provò ad accendere la luce ma l’abatjour era riversa a terra col cappello gemente e reclinato. D’istinto, si piegò pigiandone il pulsante. Ebbe appena il tempo di avvertire il crocchiante scintillio della corrente che il liquido dell’accendino, fuoriuscito dall’involucro schiacciato, si illuminò di una fiamma violacea che si estese rapidamente nella stanza. Le prime foto cominciarono a bruciare traboccando sulle sottili gelatine delle diapositive. Rapidi, quei respiri scivolarono lungo gli spazi ammassati del parquet vomitando ovunque nuove lingue di fuoco. Stanley rimase a bocca aperta mentre il suo mondo scivolava nel rogo poi, rabbiosamente, si fiondò nel ripostiglio agguantando, deciso, un estintore. Con veemenza, ne strappò la linguetta e, dopo avere puntato la lancia, tirò nervosamente la leva. Una schiuma violenta schizzò sulle fiamme affogandone l’arroganza in una timida bava biancastra. Furioso, continuò a scaricarla finché le vampe si diradarono in fumi sottili ed irritanti. Quando la nebbia degradò, osservò, sconsolato, le tracce fumanti del suo passato ed una lacrima inumidì il suo viso. Con gli occhi strabuzzati, rimase a fissarle fino a quando, carponi, cominciò ad ammassarle alla rinfusa. Un singhiozzo nervoso cadenzava i suoi respiri, perduti e rassegnati su quelle ceneri ancora calde. Con la mano tremante, raggiunse la sala versandosi del Porto che prese a bere a piccoli sorsi. Il liquore scivolò sulle fredde pareti del bicchiere riscaldandogli gradualmente il palato. Quell’abbraccio prese a infondergli coraggio ed un lieve sorriso si sollevò dal suo volto affaticato. Per l’ultima volta, osservò le memorie incenerite e, deciso, ne gettò le spoglie nel cestino. Quando tutto fu rimosso, lanciò lo sguardo sugli innumerevoli vuoti dell’armadio che grondavano ancora di ricordi.
– «Non importa – esclamò riprendendo a respirare – sono tutti racchiusi qui dentro!» terminò battendosi il petto con la mano.