Que Ecuador: nuove pagine del diario di Nicoletta dalla costa nord

Il progetto di turismo solidale "Que Ecuador" ha preso vita dal viaggio di Patrizio e Syusy in America Latina sulla rotta di Darwin; l'associazione Progeo l'ha realizzato e lo sta portando avanti grazie all'impegno di Valeria Sala e del suo team. Vuoi partecipare anche tu? In edicola trovi sei nuovi titoli della serie Turisti per Caso Book...
Turisti Per Caso.it, 02 Set 2009
que ecuador: nuove pagine del diario di nicoletta dalla costa nord
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Il progetto di turismo solidale “Que Ecuador” ha preso vita dal viaggio di Patrizio e Syusy in America Latina sulla rotta di Darwin; l’associazione Progeo l’ha realizzato e lo sta portando avanti grazie all’impegno di Valeria Sala e del suo team. Vuoi partecipare anche tu? In edicola trovi sei nuovi titoli della serie Turisti per Caso Book dedicati a Egitto, Parigi, Napoli Costiera e Isole, Firenze e Toscana, Portogallo, Corsica: parte dei diritti d’autore di questi fascicoli va direttamente a supporto del progetto! Tra le pagine del nostro sito pubblichiamo il diario di Valeria, Nicoletta e Alessia che nel mese di agosto hanno fatto un lungo viaggio-sopralluogo in Ecuador. Se hai perso le puntate precedenti leggi qui la prima e la seconda parte, poi prosegui il viaggio…

Cumilinche, Atacames, Tonsupa: la costa nord

Affollata nei mesi estivi dai turisti “serrani” in cerca di sole, musica e patacones (mix che sembra costituire il non plus ultra del turismo all’ecuadoriana) la costa nord offre molte e diverse spiagge in cui riposare e/o divertirsi. Noi ne abbiamo visitate alcune muovendoci in giornata da Esmeraldas.

Atacames sembra essere la meta prediletta dalle famiglie con figli adolescenti e dai ragazzi di qui, una sorta di Rimini locale in pieno boom sicuramente caratteristica e colorata ma sconsigliata a chi cerchi anche solo un po’ di tranquillità. Noi apprezziamo e ci divertiamo un mondo a osservare la vita da spiaggia versione Ecuador: “alluciniamo” ascoltando il frullato di musica che rimbomba dalle centinaia di baracchini, bar, comedores disposti in fila lungo il malecon (lungo mare), ci interroghiamo sul perché i bagnanti si bagnino e cerchino anche di abbronzarsi semi-vestiti (scartiamo un’ipotesi dopo l’altra, bruciarsi no, vista la carnagione, pudore nemmeno, considerati i vestiti) e valutiamo l’incredibile varietà di cibarie in vendita sulla spiaggia: noi italiani con i nostri panini con la melanzana e i le nostre borse frigo siamo dei dilettanti.

Cumilinche, una spiaggia situata più a sud, vicino a Punta Galera, e invece un’oasi di tranquillità e il confronto con Atacamens e scioccante e tipicamente latinoamericano. Per arrivarci prendiamo una sorta di autobus della compagnia River Tabiazo, mezzo di locomozione che si rivela essere tra i più divertenti che ci sia capitato di prendere: i sedili in legno non sono certo comodi, ma il vento nei capelli, le voci della strada e la voce, insistente, del cobrador (il socio del conducente) che al grido di “Suba, suba! Suba no mas!” (salga, salga) imbarca di tutto e di più, rendono il viaggio un’esperienza indimenticabile. Scendiamo con le lacrime e restiamo a bocca aperta davanti al panorama che si gode dalla spiaggia. Camminiamo insieme a sparuti gruppi di pescatori in cerca di polipi e ostriche, mangiamo il miglior cheviche de pulpo (polipo marinato con pomodoro e limone) di tutto il viaggio e a malincuore non ci fermiamo a dormire nelle cabanas di Cumilinche, un po’ care rispetto alla media, ma spettacolari.

Per chi invece sposi la filosofia classica dell’in media veritas consigliamo Tonsupa: turistica, ordinata, perfetta per trascorrere qualche routinaria giornata del tipo “hotel-spiaggia, spiaggia-ristorante, ristorante-hotel”. Noi non portiamo la crema, ci ustioniamo e decidiamo dunque di rimandare la visita della costa sud fino al giorno in cui il sole non ci farà più paura e ripartiamo alla volta delle Ande. Destinazione Cuenca, 12 ore di autobus: forza e coraggio!

Cuenca, turismo comunitario e movida

Mentre siamo in bus percepiamo chiaramente che il nostro giro è logisticamente folle e che se e quando ritorneremo sulla costa ci toccherà farlo da Quito e non sarà una passeggiata. Amen. Abbiamo sono 12 ore per pensarci.

A Cuenca Alessia è colta dal solito attacco di soroche e sta a letto tutto il giorno mentre Valeria e io andiamo a esplorare la città: bellissima, coloniale, colorata, familiare. Il caffè è buonissimo e anche le humitas (mais con formaggio avvolto e cotto nelle sue foglie). Conosciamo i responsabili di un’agenzia che si occupa di turismo comunitario e ci mettiamo d’accordo per visitare alcune comunità. La sera andiamo a la Olla magica, un piccolo ristorante familiare gestito da una famiglia di amici che ci spiegano come coltivare utilizzando come fertilizzante poche manciate di un miscuglio di minerali triturati. Valeria, come sempre, ne capisce più di noi.

Io e Alessia apprezziamo i calamari, le humitas e il licor de manzana e parliamo di letteratura fino a che non ci decidiamo a uscire per tuffarci nella movida cittadina: ci divertiamo tantissimo. Il giorno dopo ci dividiamo e ci dedichiamo alla visita di alcune comunità indigene della zona, popolata dagli indios Cañaris. Io mi dirigo a Ingapirca, leggo delle origini millenarie di questo popolo preincaico, preispanico, preistorico e resto affascinata davanti al tempio della luna. Mi accompagna Santiago, della comunità di Kuya Llakta, che mi spiega quali attività turistiche sono state avviate nella zona e mi racconta di come, grazie al turismo comunitario, si stiano organizzando corsi di formazione professionale e di artigianato. Guardo le donne tessere bellissime e variopinte gonne e mi sento tremendamente occidentale con i miei grigissimi pantaloni da trekking. Conosco un’anziana curandera che mi spiega gli effetti delle piante medicinali che coltiva nel suo orto, osservo i lavori di costruzione del nuovo ostello, tutto in adobe (mattoni di terra), in posizione panoramica di fianco alla chiesa più antica della zona e, mentre Santiago ride dei miei pantaloni e scherza sulle nuove case all’americana che si stanno edificando nei dintorni, mi convinco sempre di più della bontà del turismo comunitario.

Alessia e Valeria visitano la comunità di Chilcatotora: il caseificio, il lanificio, l’orto con le piante medicinali, i campi. Imparano come si tosa un lama, come si alleva e si cucina un cuy, conigl-ratto andino, sgranano le pannocchie, partecipano a una coloratissima pampa mesa (una tavola imbandita nei campi) e fanno una passeggiata a cavallo: la guida deve essersi divertita come non mai osservando le performance di Alessia su quell’insolito mezzo di trasporto.

Da Cuenca ce ne andiamo a malincuore, ma richiamate a Quito per il progetto di aiuto agli Epera, ce ne andiamo verso nord, con uno zaino di ricordi.

Baños-Puyo-Tena. Dalle Ande all’Amazzonia in bicicletta, perché no?

Sull’autobus che prendiamo ci sentiamo delle palline impazzite e nell’impossibilità di raggiungere direttamente, vive, la capitale, decidiamo di deviare di qualche centinai di chilometri a est. Sentiamo il richiamo della giungla.

Ci fermiamo a Baños, meta termale ecuadoriana affollatissima di turisti. Stando a loro le acque termali fanno miracoli, ma se non fosse per la vista spettacolare lo stabilimento in sé non è granché, sicuramente non fa miracoli. Terme a parte, a Baños si può fare di tutto: bungee jumping, torrentismo, rafting, trekking e chi più ne ha più ne metta. È pieno di agenzie. Noi decidiamo di darci alla mountain bike e di tentare la discesa verso Puno. Il percorso è bellissimo e sostanzialmente sicuro, c’è solo una galleria a cui prestare attenzione se non si hanno luci o catarifrangenti, ma per il resto il percorso è in discesa, ben attrezzato e regala delle panoramiche deviazioni dalla strada principale che hanno dell’incredibile. Siamo piacevolmente sorprese, visitiamo la cascata del Pavillon del Diablo, l’“ottava meraviglia del mondo –a Baños ci sono dei geni del marketing- e maciniamo chilometri e chilometri mentre attorno a noi il paesaggio cambia, le piante si fanno via via sempre più fitte, il verde diventa accecante e la sera ci coglie, regalandoci un arcobaleno.

A Puno però la raggiungiamo in autobus e a Tena decidiamo di esplorare la foresta e di alloggiare presso una delle comunità della rete Ricancie ). Decidiamo di fermarci a Capirona e di dormire in una delle cabañas del villaggio. Cristobal ci accompagna nella foresta, ci spiega che la sua comunità si chiama come quegli alberi altissimi che troneggiano tra i campi coltivati, ci come si coltivano il cacao e il caffè, ci mostra le trappole per gli animali e le piante della selva: proviamo la cannella, la guayaba e un frutto strano, dolcissimo, qui inesistente, la pitahaya, scopriamo che c’è una pianta che toglie la sete, una per curare le ferite, un fiore per le donne in gravidanza, che se si bruciano le termiti scappano le zanzare e che le palme sono innumerevoli e diverse e che per ognuna, l’uomo, ha trovato un uso o una funzione. In Amazzonia, di notte, protette da spesse zanzariere, i rumori degli animali ci cullano fino all’alba, perché all’alba ci svegliamo, come loro tutti i giorni, e beviamo con Cristobal la “guayusa” un infuso di erbe che tiene svegli, che riscalda e che crea un’atmosfera di familiarità strana e gradita. Poi ci incamminiamo lungo il fiume, proviamo a “cacciare” con la cerbottana, mangiamo benissimo e concludiamo la visita con un bagno nel fiume. Meraviglioso.

Ma si riparte. Quito ci aspetta e non è vicina.

Le foto di questo articolo sono di Alessia, guarda la sua pagina di Flickr



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