Africa: riflessioni

Ricordi della nostra Guida per Caso africana
RoboGabr''Aoun, 01 Apr 2010
africa: riflessioni
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…Ci sono momenti nella vita di ciascun uomo in cui, per stranezze del vivere, per accadimenti inaspettati, per destino o come lo si voglia chiamare, insomma momenti particolari in cui ci si sofferma a riflettere… Magari momenti in cui questa macchina perfetta che siamo, questo insieme miracoloso di cellule, fibre e neuroni che ci costituisce e ci rende vivi nel mondo si mette a tossire, come un motore a sei cilindri che improvvisamente si grippa e fa fumo bianco. Ed allora ci si rammenda, fin dove è possibile, portiamo noi stessi in officina, cambiamo olio e filtri o magari qualcosa di più della manutenzione straordinaria; che so, ci cambiamo le bronzine perché il nostro albero primario non gira più bene o magari il telaio ha ceduto per i sobbalzi della pista e va saldato, bisogna aggiungere forse qualche pezzo di rinforzo… Ed ecco che allora, come il nostro buon 4×4, ci tocca fermarci. Non dico per molto ma almeno per qualche tempo, giusto il tempo che ci va a far raffreddare le saldature, a far riassestare i pistoni nelle nuove camicie cromate lucide lucide… Ogni tanto ci mettono in moto, ci fanno girare un po’ per vedere se tutto è stato rimontato a dovere e se tossicchiamo allora spengono tutto di nuovo e ci lasciano ancora un po’ in garage, che tutto l’olio nuovo abbia tempo di scendere a lubrificare i nuovi ingranaggi e, inch Allah, possano, si spera, girare come i vecchi che andavano tanto bene accidenti a loro… Ed allora stiamo lì, fermi, ad aspettare che il motore sia pronto a rimettersi in corsa, speriamo… E riflettiamo, ascoltando il tintinnare delle gocce d’olio che pian piano tornano a riempire la coppa disastrata che si sta tentando di riparare… E si ha tempo, si pensa. Rifletto, appunto… 16 anni di Africa. Né molti né pochi. E prima? Prima ancora 30 anni di note. Quelli sì che sono tanti: avranno a che fare con questi ultimi sedici?… Note potenti, calde, che hanno dipinto una gran parte di questa mia vita con colori intensi. Quante volte le mie mani hanno fatto note su non so più quanti palchi; quattro corde che emettevano suoni gravi, i suoni che più amo, sembrano la voce stessa della Terra, sembravano e sembrano scaturire dalle viscere più profonde del nucleo di questa sfera su cui nasciamo e moriamo. Un basso, un semplicissimo basso elettrico, suonato con l’anima, anzi, vissuto con l’anima. E’ strano,se ci penso oggi dopo che ho vissuto l’Africa: quello che sta qui, immoto, su un trespolo di questa mia casa è uno strumento fantastico, con qualità straordinarie… i suoni che crea non vengono miscelati da potenziometri elettrici, non ci sono manopoline con su scritto treble o bass o middle… No; c’è il legno, anzi I legni. Uno strumento la cui voce è equalizzata unicamente dall’insieme dei legni che lo compongono, uniti ed assemblati in modo tale da ottenere delle gravi naturali, possenti, come respiri cosmici… E lo strano, dicevo, è che quei legni non sono legni qualsiasi. Sono Bubinga e Wengè, sono legni d’Africa. E ancora ritorna l’Africa, quindi. Già c’era, inconsapevole artista io suonavo l’Africa, mi lasciavo trasportare dalle sue frequenze, una sincope ed un levare che mi venivano naturali e che non sapevo ma erano non mie ma di quei legni. Ed a quelle frequenze gravi, in fondo, sono semplicemente ritornato, con altre strade, seguendo altri pentagrammi fatti di terra, acqua , sabbia, persone e voci, ma che in fondo sempre musica sono e hanno sapore, come quei legni di molti anni or sono, di Africa. Soltanto che ora ne ho la consapevolezza. Tutto questo per arrivare a dire? Non so. Pensieri a ruota libera, diciamo. In questi 16 anni ho visto crescere il mio viaggiare in modo esponenziale. Non parlo di numero di viaggi o di chilometri, no. Parlo di esperienza umana, di crescita. Ho incontrato ed io stesso sperimentato molte tipologie differenti di viaggio. Mi sono rapportato al viaggio con facce diverse di volta in volta, e lo stesso ho fatto con le persone. Senza mentire, senza mascherarmi ma semplicemente vivendo, plasmando, a volte con coscienza altre senza nemmeno saperlo, il mio modo di essere la persona che sono e, allo stesso tempo, il mio attuale concepire il viaggio e, più in generale, l’Africa. Come in passato sentivo il bisogno di dare concretezza ad ogni mia emozione tramite canzoni o note, in questi 16 anni ho sentito, fin da subito, il bisogno potente ed irrefrenabile di esternare l’immensa vibrazione che l’incontro con questo Continente mi stava donando. Non per decantarmi né per autocelebrarmi; come dire… bisogno fisico di lasciare uscire l’emozione, troppo grande ed intensa da tenere dentro e troppo preziosa per non condividerla, per non cercare contatto con chi la stessa emozione provava e prova. Per questo iniziai a scrivere. E per questo scrivo. Cercando di lasciare aperte le porte più nascoste, sì da poter lasciare scivolare fuori le sensazioni più intime, i sussurri più lievi, esattamente come quando in infinite notti mi trovavo a tradurre su una tastiera un’emozione appena vissuta o anche solo sognata. Fondamentalmente io credo che per questo stesso motivo io sia divenuto una guida proprio laggiù, in Africa ; condurre un gruppo di persone tra le pieghe di un Paese è per me passione ed emozione, come scrivere: è un dono prezioso che mi è stato fatto quello di permettermi di mostrare i colori di un Paese che amo alle persone, cercare di farne comprendere il respiro profondo, provare a farne toccare la consistenza e la sostanza, percepire il sapore… Attraverso un paesaggio, un incontro con persone o fiere selvagge, attraverso i rumori di una notte di savana o ancora attraverso il silenzio di un bivacco nel cuore del deserto. E’ un privilegio poter essere strumento di conoscenza. Nel mio piccolo, certamente. Ma è pur sempre un privilegio, perché, in fondo, è ancora come allora, come quando suonavo su un palco e la mia emozione si traduceva in musica… Oggi sto su un palco infinitamente più grande, fatto di sabbia, di dune, di pietre, di tradizioni, di popoli, di odori intensi: ed il mio poter trasmettere ad altri la vibrazione che da questo palco mi giunge tra le mani è in fin dei conti ancora e sempre suonare, un concerto. Come quando tra le mani tenevo quel frammento d’Africa di bubinga e wengè… E scrivere, che sia scrivere un libro intero o un articolo non cambia il concetto, scrivere dicevo è un po’ condensare le emozioni di questo grande palco in modo da poterle rivivere poi… O, ancora, è un po’ come alzarsi nella notte con un motivo musicale in mente e non poter far altro che doverlo suonare e mettere sulla carta, perché ti esce fuori e devi collocarlo, fermarlo in qualche modo per poterlo domani suonare ancora… Ed ecco che scrivere, allora, diventa anche proiezione nel domani, diventa progetto, diventa sogno che si stampa sulla carta e prende forma, diventa materia, diventa vero. Diventa viaggio. Per questo ho scritto, in questi 16 anni. Ed ho scritto molto. Bene e male, non importa; Mi ha dato molto e mi ha tolto molto. Dato, per tutto quanto prima ho raccontato circa l’immenso dono di poter raccontare un’emozione alle persone. Tolto, per tutto il male che questo raccontare mi ha a volte portato in regalo, sotto forma di lapidazione pubblica, incomprensione, presa per il culo, accusa di non raccontare il vero. Insomma raccontare di emozione alle persone è sicuramente qualcosa che espone, ti accende un faro addosso e permette a chiunque di guardarti, giudicarti, elevarti o distruggerti . E su qualsiasi palco tu stia tentando di comunicare emozione l’insuccesso o anche solo il fischio ti annichiliscono, ti bloccano le mani. O ti danno invece ancora più energia, se credi in ciò che stai facendo e se credi nel potere della tua musica , delle tue parole, dell’immagine di te stesso che stai dando in quel momento. A volte ti mette in crisi, ti fa chiedere a te stesso se ciò che stai dando di te è effettivamente ciò che sei, ciò in cui credi e ciò per cui vivi, perché sai perfettamente di sbagliare e di sbagliare molto in molte situazioni. Sai di aver dato fiducia a chi non la meritava, di averla tolta a chi ne era degno, di aver allontanato persone giuste ed esserti lasciato avvicinare da figure superficiali o mendaci… Sbagli, come tutti. E ne cerchi consapevolezza, per rimediare o perlomeno non sbagliare ancora… Ti fa chiedere a te stesso se ne valga la pena, se non sia infinitamente più facile e comodo tenere per te le tue emozioni, coccolartele come tesori cari e assolutamente personali, ed allora nessun palco e nessuna ribalta, nessun applauso ma certo anche nessun fischio. Ma? Certo, ma: è questione di carattere, credo… se nel mio vivere mi capita di incappare in qualcosa di splendido, coinvolgente, incredibilmente emozionante non mi viene da tenerlo per me soltanto: la prima cosa che mi viene in mente di fare è condividerlo, fermare qualcuno per strada e dirgli vieni a vedere, vieni a sentire anche tu che meraviglia…E nel momento in cui quel qualcuno, a sua volta, si inebria per quello splendore ecco che io ne sono felice, mi appago nel condividere, nell’aver potuto rendere partecipe qualcuno della stessa emozione che io ho vissuto incontrando quella situazione… Ed ancora oggi io credo che nulla ci sia di più bello, nel vivere, che condividere con altri le cose belle che la vita ci pone di fronte. Per cui il mio raccontare l’Africa è anche pura necessità caratteriale, voglia di condividere l’emozione più bella che io nei miei 46 anni abbia mai incontrato. E che questo mio raccontare sia parlare o condurre un viaggio, che sia scrivere di un ouadi sperduto mentre sto qui nella mia casa o che sia raccontare il perché di un petroglifo particolare ad un gruppo di viaggiatori che mi seguono per qualche giorno sulle mie piste nel cuore dell’Africa è assolutamente la stessa cosa: è comunicare emozione. E non posso smettere di farlo perché sarebbe come spegnere la luce e rendere il mio giorno una stanza buia. Ho provato, per mesi interi a contenere le emozioni dentro, a soffocare questo bisogno di dire “hei, guarda che belle cose ci sono laggiù…”. Ma così facendo davvero mi sembra di stare con la luce spenta. Così va bene, continuo a raccontare. E continuo ad incontrare chi mi stima e chi mi detesta, chi mi ritiene una persona degna di fede e chi mi ritiene magari una bolla di fumo colorato e nulla di più. Ma non importa: finchè anche solo una persona proverà emozione incontrando una pista, un villaggio, una montagna, un riflesso nell’acqua in un tramonto australe e lo avrà incontrato spinto da un pugno di mie parole io continuerò a raccontare. Ultimamente ho sentito qualcuno che parlando di me mi definiva “uno che palesa, uno che troppo stigmatizza i propri pensieri “. Forse è vero: sicuramente mi batto per ciò in cui credo. Tutto. Anche per quanto concerne l’Africa e tutto ciò che concerne il viaggiare in Africa. Non credo nel qualunquismo e non posso non prendere posizione su argomenti che ritengo importanti . Non ho mai fatto né mai farò distinzioni del tipo viaggiatore e turista o cose del genere, come non farò mai distinzioni terra terra del tipo meglio toyota del land rover o simili, non mi interessano (e tra l’altro è una stronzata questa “guerra” delle marche: ho guidato in Africa di tutto: Toyota 60 e 61, 80 e 85, 75, 95 ,105 e Hi Lux… Nissan Patrol, Terrano e King Cab, Mitsubishi 2.5,2.8 e 3.2; e Land Rover Defender diesel e benzina…e poi Isuzu, furgoni Volkswagen benzina e diesel, furgoni Toyota e Mercedes… Qualsiasi mezzo va bene, se lo si conosce, lo si capisce e lo si conduce con la testa!!!). Non sopporto il viaggio inteso come prestazione motoristica a sé stante e non l’ho mai celato. Non sopporto il banfare, non sopporto il subordinare l’emozione alla tecnologia , non sopporto la tecnologia estrema e allo stesso tempo non sopporto la banalizzazione di un itinerario , qualsiasi esso sia. Non sopporto chi sale in cattedra e giudica, ma non è cosa di oggi e non è cosa di Africa: è cosa di sempre e da sempre, in tutti i campi. E non sopporto la mancanza di umiltà, l’incapacità di ammettere il proprio limite o l’incapacità di non autocelebrarsi, cosa che nell’ambiente dei viaggi professionali è piuttosto diffusa, invece. L’ “io ho fatto” impera, spopola nella sempre più vasta tribù dei professionisti del turismo. Tutto questo potrebbe essere lo stesso senza essere cosa pubblica: io potrei essere lo stesso “io” senza prendermi il mal di pancia di doverlo far sapere a chicchessia, potrei pensare quello che mi pare senza che nessuno mai possa venirmi a dire che sono giurassico o sono uno palese, giusto? Ma poi sento i discorsi della gente sul ponte di una nave che ritorna da Tunisi e non posso, amo troppo le emozioni che quel Continente mi regala per non intromettermi e dire la mia, dire ma cazzo c’è dell’altro oltre le tue gomme BF Goodrich e c’è dell’altro al di là dei cavalli del tuo dannato motore elaborato! C’è quella pista in mezzo al niente che è vero, è una meraviglia, sono d’accordo… Ma porta da qualche parte, c’è un buco di villaggio, c’è della gente, c’è dell’altro dannazione, c’è dell’altro oltre l’elenco dei waypoint contenuti nel maledetto GPS e c’è sicuramente un’Africa molto più vera lì, per terra, nella polvere, che non su quelle dannate carte digitali che tutti continuano a fissare su palmari e portatili: come diavolo si fa a ridurre l’Africa in un video retroilluminato di 10 centimetri per 10? Dove sta la sosta nel villaggio sperduto per chiedere la direzione, l’incontro con il cammelliere nel nulla e farsi indicare dov’è il pozzo che non riesci a trovare…sta li? Nel monitor? Magari sbaglierò ma non importa: tra la polvere toccata con le mani e delle sequenze alfanumeriche continuerò a fidarmi di più di ciò che le mie dita sfiorano. E se dire questo significa “palesare sempre le cose” allora ok, io sono così. Continuo a studiare le mie mappe di carta, a torturarmi per mesi su dieci centimetri di mappa al 50.000 per tentare di capire dove diavolo potro’ passare e continuo a diventare deficiente a calcolare con righello e squadra le mie brave coordinate. Continuo a scendere dal mio toyota nelle città per chiedere informazioni al primo che passa e continuo a fermarmi di fronte ai cordoni per andare a ficcare il naso a piedi perché anche se il GPS mi dice che il valico è lì di fronte a me non importa: io voglio andare a vedere dove porterò le mie ruote. Perdo tempo? Di nuovo non importa: non è mai perso il tempo in Africa: è sempre ben speso se si è lì. E continuo a dire e scrivere che l’Africa è emozione e non macchine da calcolo, programmi di pc o satellitari che poco ci manca che ti fanno pure il caffè con la schiumetta! Africa è passione molto prima di essere tecnologia. L’Africa è respiro ancestrale, è l’ombelico reale da cui tutti noi proveniamo. E’ sensazioni di odori, sapori, suoni, rumori aspri e dolci. E’ rabbia, paura, violenza, bellezza, litigio e pace, amore e passione… è tutto e niente, è nero e bianco insieme…E’ tutto ciò che è emozione, vibrazione, alchimia di odori e sapori. E’ scrigno dei ricordi, di passioni. E’ sabbia che racchiude in ogni granello pezzi di vita, volti, sorrisi, nomi, occhi, voci. Luogo in cui, nel silenzio, ritrovarsi tra le dita un amore antico, non vissuto eppure mai sfiorito. Tutto il resto è solo strumento per coglierla quest’ Africa , e non viceversa… Mai viceversa… Almeno per me. Forse anche per altri…


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