Primavera Romana

La Roma meno conosciuta da (ri)scoprire a piedi
Turisti Per Caso.it, 23 Mar 2011
primavera romana
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La scorsa primavera una mia amica mi ha invitato a partecipare ad una camminata lungo la via Portuense di Roma organizzata da un gruppo chiamato “Stalker”. Lei aveva partecipato ad altre camminate del gruppo e ne era entusiasta. Mi diceva che si trattava di percorrere con lentezza anfratti dimenticati, vecchie/nuove costruzioni abbandonate, luoghi nascosti eppure sotto gli occhi di tutti, di una bellezza non convenzionale. All’appuntamento alle dieci di una domenica mattina a Portaportese c’erano una cinquantina di persone. Ho chiesto chi era la guida, ma sorridendo mi è stato risposto che non c’era guida. Che si sarebbe “andati” alla Kerouac/Casady e lungo la strada avremmo incontrato persone appassionate, comuni cittadini che ci avrebbero dato spiegazioni dei posti visitati e che se io sapevo qualcosa potevo anche dare una mano. In un’atmosfera rilassata e piacevole, e dopo un breve parlamentare con i titolari della ditta, siamo entrati dentro un capannone che vendeva materiali da costruzione. Tra pile di mattonelle, cataste di spaghettoni di ferro, sacchi di cemento e altro sbucava un secondo capannone risultato essere l’ex arsenale pontificio in restauro. Roba che in un altro paese sarebbe diventato un polo d’attrazione culturale, a Roma stava dentro uno “smorzo” (a Roma così viene chiamato il deposito/rivendita di materiali edili).

Abbiamo continuato il percorso lungo la via Portuense sull’argine del Tevere fino ad oltrepassare il ponte di ferro. Appena sulla sinistra, il gruppo, nel frattempo cresciuto di numero, si è fermato a fianco di una stele di bronzo con un bassorilievo raffigurante dieci donne sofferenti, i loro nomi e una data. Un signore ha iniziato a leggere dei passi e poi ha iniziato a spiegare. Si trattava di un monumento eretto per celebrare il sacrificio di dieci donne che nel 1944, in una Roma distrutta, affamata e ridotta allo stremo, avevano dato l’assalto ai forni dell’Ostiense presso i quali si riforniva anche l’esercito tedesco e perciò fucilate dai nazi-fascisti. Ci sarò passato mille volte da quel ponte, ma non avevo mai notato la stele bronzea. Continuando sull’argine del Tevere verso sud arriviamo alla vecchia fabbrica della Mira Lanza, parte convertita nel complesso teatrale India e parte completamente abbandonata. Da lì ci inoltriamo in uno spazio dismesso ricoperto da sterpacce in mezzo alle quali sorgono villette moderne di pregevole fattura. Ci facciamo largo attraverso barriere di reticolato per ritrovarci catapultati nell’affollatissimo, trafficatissimo e rumorosissimo viale Marconi, cuore commerciale del quartiere. La gente non si capacitava di assistere alla lenta processione di un centinaio di strani esseri che sembravano usciti da un passato remoto in cui ancora non c’erano auto, asfalto, semafori.

Venivamo fermati per strada e ricoperti di domande, chi siete? Che fate? È una manifestazione? Dove andate? Andavamo verso la Magliana, dove in mezzo a casermoni in stile sovietico campeggiava una macchia rossa ad indicare l’omonima ciclo-officina autogestita. Qui chiunque può portare le bici a riparare utilizzando strumenti e attrezzature presenti. In cambio non si chiede denaro ma solo di lasciare qualche pezzo di ricambio vecchio. L’officina organizza iniziative per promuovere l’utilizzo delle due ruote, dando anche gratuitamente bici lì assemblate a chi ne faccia richiesta.

Lasciata Macchia Rossa ci addentriamo nel cuore nero della Magliana sede della famigerata banda che terrorizzò Roma anni addietro. Lasciamo l’asfalto ed entriamo nella campagna che lambisce il Tevere. Sotto enormi eucaliptus ed uno scenario pasoliniano ci sdraiamo a mangiare la “colazione al sacco”, finché non vediamo materializzarsi sotto un albero una figura femminile che comincia a leggere ad alta voce. E’ l’autrice di “Mai ci fu pietà” libro uscito di recente, pare tra i più interessanti e dettagliati, sulla Banda della Magliana. E discorrendo con lei che attraversiamo la stazione del treno metropolitano di Villa Bonelli e arriviamo al Forte Portuense. Massiccia costruzione abbandonata, che negli ultimi anni dei volontari stanno cercando di valorizzare organizzando delle visite in totale autonomia senza alcun supporto istituzionale. Scopriamo che le strade consolari di Roma sono disseminate di questi forti (sistema di campo trincerato) che all’indomani dell’Unità d’Italia dovevano preservare la città da eventuali invasioni straniere. Una volta costruiti, erano però già desueti e inutilizzabili allo scopo per cui erano stati costruiti (erano stati inventati gli aerei). Quindi lasciati in stato di abbandono.

Dall’altra parte della via Portuense un po’ più giù entriamo nel complesso dell’Ospedale Forlanini. Fu costruito come sanatorio per combattere le malattie polmonari e quindi situato in una zona piuttosto alta fuori dal centro cittadino di allora. Forlanini è stato colui che ha isolato il bacillo della tubercolosi, tra le maggiori cause di morte nell’Italia di fine ottocento. E l’Ospedale a lui intitolato è stato il centro a livello mondiale della lotta alle malattie polmonari. Qui i migliori medici del mondo venivano per qualificarsi professionalmente. Nell’ospedale ci ha accolti il primario di Chirurgia toracica, innamorato della sua professione e profondo conoscitore della struttura ospedaliera, di cui ci ha rilevato i mille particolari che lo rendono unico, tra i quali anche la presenza di due teatri e di un rinomato museo anatomico. Oltre all’appassionante storia ci ha raccontato anche dello stato di abbandono in cui è lasciato l’ospedale allo stato attuale. Lui sta resistendo con tutte le sue forze per far funzionare egregiamente la sua clinica, rinomata in tutta Italia, ad onta delle spinte alla chiusura dell’ospedale per poterne sfruttare il terreno a uso commerciale. Sul lato sinistro dopo l’entrata ci siamo imbattuti in un gruppo di rifugiati afgani cui è stato provvisoriamente assegnato un ricovero presso alcune stanze dismesse dell’ospedale, ma che le autorità avrebbero sfollato entro qualche giorno (non so come è andata a finire la cosa). Il sole è ormai tramontato. Tra i superstiti Stalker una ventina è d’accordo per prendere un autobus e raggiungere l’Istituto Italo-Americano al Gianicolo dove un ricercatore americano ci avrebbe illustrato i risultati della sua ricerca sulle somiglianze/diversità tra i ghetti ebraici e i campi rom della Roma odierna. E’ lo stesso ricercatore a venirci ad aprire le porte della splendida villa Lante immersa nel verde e a condurci nel suo studio dove ci presenta le slide della sua ricerca. Sono quasi le dieci di sera, camminiamo – con ovvie soste – da 12 ore circa. Entriamo in un’osteria della zona e tra un fritto alla romana ed un piatto di pasta e fagioli discutiamo su come influisce sui comportamenti umani la conformazione del territorio. Sulla necessità di appropriarsene perché cosa viva, parte di noi stessi. E’ un respiro vivente di storie suoni odori del tutto gratuiti per chi abbia cuore e occhi per viverli.

Bruno Nesticò

Le Camminate di Primavera Romana

Dal 2009 ogni primavera il collettivo PrimaveraRomana e il gruppo Stalker (nome ripreso dalle guide che conducevano persone nella Zona Proibita, dal film omonimo di Andrej Tarkowskij) propongono una serie di camminate alla scoperta di Roma, per analizzarne da vicino i cambiamenti socio-culturali e ambientali. E’ un progetto che coinvolge ogni volta circa 100-150 partecipanti di età e provenienza diverse; ci sono architetti, urbanisti, scrittori, fotografi, naturalisti… L’idea è percorrere in giornata svariati chilometri a piedi attraverso territori un po’ nascosti o abbandonati dell’Oltrecittà. A piedi il contatto è diverso, si approfondisce ciò che si vede, si interagisce, si parla e ci si attiva con idee, fotografie, disegni, appunti. I camminatori osservano ciò che esiste e cercano soluzioni per ciò che è in degrado o ciò che è stato soppiantato e sfruttato ad uso privato. Nelle precedenti edizioni le camminate si sono svolte lungo il Grande Raccordo Anulare, incontrando gli abitanti che lo percorrono ogni giorno e lo vedono dalle proprie finestre, ma anche quelli che l’hanno costruito: meridionali, operai irregolari, rom, rumeni e romani. Passando per cantieri, campagne, borgate, campi rom, case occupate, comunità straniere e baraccopoli. Un altro ciclo di camminate ha interesato i sette quartieri della periferia romana: la Città Ostiense, la Città Portuense (di cui avete appena letto il resoconto di Bruno Nasticò), la Città Trionfale, la Città Nomentana, la Città Tiburtina, la Città Prenestina – Casilina, la Città Appia – Tuscolana. Dopo le uscite, PrimaveraRomana propone di prendere in considerazione questi beni insieme a comitati, associazioni e singoli cittadini interessati, per ripensarli come luoghi di aggregazione politica, sociale e culturale. E iniziare così una trasformazione che migliori la città del domani.

Maggiori informazioni e il calendario delle prossime camminate sul blog di Primavera Romana



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