Umbria, una regione verde molto slow
La cosiddetta “Umbria Verde” non è un luogo comune, è vera. Così come è vera la definizione che io le avevo dato: “la regione che si può riprendere col grandangolo”, nel senso che non devi usare il teleobiettivo per isolare le cose belle da un contesto magari degradato. In genere l’Umbria è tutta bella, a 360 gradi. Ma qui di seguito si parla di trekking, e allora mi piace ricordarvi un’esperienza che abbiamo avuto in Umbria, facendo appunto trekking da Castelluccio a Norcia.
La Piana di Castelluccio è uno dei posti più significativi del mondo. Non è un’iperbole, è la verità. La piana cambia colore a ogni stagione, e può assomigliare man mano a mille paesaggi, dalla steppa a una immensa serra piena di fiori, da un altopiano alpino innevato fino a sembrare il deserto della Mongolia. Noi siamo partiti da Castelluccio per arrivare appunto a Norcia, attraverso un sentiero facile e abbastanza agevole, accompagnati dall’amico Roberto de “La Mulattiera” (che giustamente lamentava che questo genere di turismo è praticato più dagli stranieri che dagli italiani). Si passa attraverso la Valle di Patino, sono 14 km fino a Norcia, circa cinque ore (difficoltà media: i primi 300 metri in salita poi discesa). È una prima tappa accessibile anche per chi, come noi, non è certo allenato. Ci siamo andati con una “carovana” composta da cavalli, muli e asini. Il paesaggio, naturalmente, è cambiato molte volte e a ogni mutazione estetica dava il meglio di sé. Sul crinale abbiamo incrociato il luogo da cui si lanciano i deltaplani: pare che questo sia uno dei posti più favorevoli al volo in Italia. Ma soprattutto è stata una gita a sfondo… etologico. Cioè abbiamo capito qualche cosa di più sugli animali, intesi come equini.
Io-Patrizio ho cominciato a piedi, tirandomi dietro un asinello su cui stava Syusy, modello San Giuseppe e Maria. All’inizio tutto bene, ma quando ho provato ad andare a spasso liberamente, uscendo dai ranghi, è stato il caos. Infatti gli asini erano tre e non c’è stato verso di separarli: dove andava uno andavano per forza tutti gli altri. Dopodichè ho scoperto che gli equini sono anche gerarchico-razzisti: infatti i cavalli volevano stare assolutamente davanti agli asini. Quando ero molto stanco ho cavalcato un bel cavallone, che però dava continui segni di nervosismo: gli davano fastidio i deltaplani o anche le nuvole che si muovevano in cielo. Ho finito per cavalcare il mulo, il più “modesto” ma anche il più ragionevole di tutti, senonché aveva un grave difetto: amava camminare rigorosamente sul ciglio di tutti gli strapiombi e i precipizi. Ho finito per andare a piedi. Ma comunque gli animali in un trekking sono indispensabili, sia perché portano tutti i pesi, sia perché ti danno tanto da fare che la strada procede velocemente e non c’è pericolo di annoiarsi…