Namibia o qualunque altro posto in Africa, di RoboGabr’Aoun
Riflessioni… Africa… Già, Africa. Quest’Africa che ci prende, chi più e chi meno, tutti noi che qui scriviamo, leggiamo, sogniamo. Riflettevo, forse spinto a farlo dal silenzio di questa casa soffocata dalla neve dopo tanti giorni di sabbia… O forse spronato dalle righe di un libro che ho da poco finito di leggere, di Beppe Severgnini, sul comportamento… Così pensavo alle cose viste, vissute e toccate in tanti anni di deserti, in tanti km di piste.
Ecco, chilometri. Siamo, noi viandanti d’Africa di questa generazione, ed in particolare noi che tra le dune ci stiamo spesso, legati con il filo di ferro ai motori. Siamo dei “motorari”, non so se esista il termine ma mi piace, facciamolo passare come licenza poetica. Motorari nel senso che nella stragrande maggioranza dei casi per scendere in deserto ci affidiamo a dei mezzi motorizzati. Del resto questo deriva da una vera e propria rivoluzione non solo tecnologica ma direi culturale, che ha le sue radici nelle missioni Citroen e Berliet, nelle mitiche Ford di Clayton e nell’evoluzione che da questi albori il diporto sahariano ebbe a vivere. Evoluzione che fece lentamente scomparire il mehari come unico mezzo affidabile per le grandi traversate alla Kilian ed alla Thesiger in favore di scoppiettanti prodigi a 4 ruote. Così ci fu l’epoca dell’Africa Land Rover, spodestata dall’epoca Toyota iniziata un ventennio or sono…Ma, a prescindere dalle ragioni di questo, siamo in ogni caso legati ai motori nel nostro viaggiare laggiù, è un dato di fatto. Tutto questo non per dire che sia sbagliato, anzi: ben venga un progresso che apre a più fortunati le porte di questo universo di magia minerale. Il fatto è che, in tanti anni di professione, ne ho viste veramente di tutti i colori…Ed ho un po’ l’impressione che si stia scadendo nel grottesco. Mi spiego.
Da viaggiatore sono consapevole e sono anzi il primo a sostenere che un buon mezzo è fondamentale per affrontare traversate desertiche. E sono il primo a sostenere che, se per esigenze logistiche si è costretti a caricare la propria auto di sovrappesi intorno ai 700 chili, gli assetti originali (pur notevoli) sono da rivedere per mantenere una luce al suolo buona ed una sicurezza in ordine di marcia accettabile. Ma…
Ma mi pare che in tanti casi, troppi casi, il preparare una vettura per scendere in Africa (a prescindere dalla meta specifica che spesso, davvero spesso, è dietro l’angolo) sia divenuto qualcosa che ha del fallico, delle sfaccettature di tipo sessuale (distorto): nei porti d’imbarco per l’altra sponda del Mediterraneo mi pare che ci sia una continua parata di mezzi che sembrano dire “io ce l’ho più grosso!”, il che è a mio parere grottesco. C’è una corsa sfrenata all’altezza dell’auto, con mostruosità che sembrano appollaiate sui trampoli (a che pro?). Ho visto fuoristrada con più di 10 fanali supplementari (contati 12, giuro). Cerchi allargati, paraurti modificati che più aggressivi non si può, adesivi giganteschi che dicono a caratteri cubitali l’impresa che ci si accinge a compiere. Impressionanti molle a tre per tre, coassiali, con capacità di twist da quasi un metro (per andare in deserto??), centraline elettroniche ultra modificate per “avere piu’ potenza”… Accidenti la potenza, certo. LA corsa ai cavalli, sempre più cavalli… 170 cavalli su motori da 2500 cm3, con punte di oltre 200, 250 cavalli con motori di più grossa cubatura… Ma perché? Mi chiedo se in Toyota siano andati fuori di testa se continuano a progettare (e vendere) il 105 Tropicale che con i suoi 4 litri e 2 sfoggia i suoi miseri 130 cavalli… Troppo pochi, troppo pochi.
O magari bastano e siamo noi che abbiamo perso il lume della ragione nella corsa al “io ce l’ho più grosso”?… Mi sa. Guardo i gruppi in partenza, non tutti ma tanti, con le maglie uguali, i cappelli uguali, le decalcomanie uguali sulle auto, sulle giacche, ovunque; con scritte altisonanti “Libia Raid”, “Zellaf Challenge”, “ Tunisi- amanrasset expedition”…E se al porto chiedi a qualcuno “dove andate di bello?” ti guardano in cagnesco, o peggio, dall’alto in basso, senza manco sapere chi sei e come ti chiami dove vivi, sfrontatamente supponendo, loro che fan parte di queste spedizioni dell’adesivo, di essere superiori, “più cattivi” (dio, se mi sta sulle palle quando sento dire questa mostruosità, “noi facciamo cose più cattive”…Ma de che!?!). Tutto questo mi sconcerta, così come mi sconcerta sentire, sulla Cartage o sull’Habib, discussioni interminabili sulla necessità di avere installate le super ridotte (!!!), gli ammortizzatori con 255 regolazioni a scendere ed altrettante a salire, e questi semiassi sono meglio dei tuoi, e il compressore è giurassico ora c’è di meglio (Accidenti, in Sudan usiamo la pompa a mano, altro che giurassici allora…), e lo scarico laterale e il paraurti così e cosà altrimenti vuol dire che non sei “mai andato nel brutto”…E gente che, la macchina enorme lo testimonia, “ce l’ha grosso anzi grossissimo” e tiene banco, s’inebria del proprio tenere banco e parla parla parla senza rendersi conto di quanto le nostre parole siano facilmente verificabili e la figura di merda riservata ai banfoni è sempre in agguato.
Sconcertato e un po’ preoccupato, a dire il vero. Preoccupato dalla mole di messaggi pubblicitari sulle riviste di fuoristrada e di viaggio, che martellano sempre di più i lettori con proposte di viaggi al limite dell’estremo, raid, spedizioni, indigestioni di sabbia, maremoti di dune da scalare…Un’ode allo stupratore di dune che mi lascia attonito, non riuscendo a trovare che poche, pochissime righe sul COSA si va a visitare, vedere, vivere ovvero questa nostra bella, antica, ancestrale Africa. Ho letto, pochi giorni or sono, un articolo scritto tra l’altro da un amico, che trattava di una nuova diavoleria tecnica che permette l’automatico disinsabbiamento del mezzo in qualsiasi situazione, con un semplice clic di un pulsante… Quel famoso gonfia-sgonfia installato, nella guerra del Golfo, dagli USA sui loro H1, da lì dilagato nelle gare africane di 4×4 (e poi messo al bando) e, per chi ha soldi da spendere, tra i diportisti sahariani… Sistema comodo, sicuramente. Ma, come i cavalli, le trazioni intelligenti, i cambi sequenziali, un altro artificio che mette l’uomo sempre più in secondo piano e, più che altro, disabitua del tutto alla conoscenza del terreno su cui ci si muove. Perché chi se ne frega di riconoscere il fech fech dal colore della sabbia se ho sotto il culo 200 cavalli? Chi se ne frega se mi insabbio perché faccio una manovra che nemmeno un bambino di 3 anni avrebbe pensato di fare, intanto faccio CLIC e sgonfio tutte le gomme finché mi va e voilà, galleggio di nuovo (mah…).Chi se ne frega di non avere più la coscienza del “respiro” del motore, l’intimo connubio tra uomo e meccanica, l’orecchio che percepisce il lento decrescere dei giri e sa con esattezza fin dove può insistere senza cambiare marcia, il suono dei cilindri che urlano quando finalmente la coppia entra completamente nelle danze…Chi se ne frega? Schiaccio e la macchina va via, tanto ho più cavalli di una corazzata! E poi la meta, oh si la meta. “Ho fatto Ubari”… ”Ho fatto il Kilian”… Ma che hai fatto? Santo cielo, a volte mi sembra di sentire i giocatori di una partita di Risiko (e di nuovo subentra l’aspetto fallico: io ho “fatto” più deserti, io ce l’ho più grosso…).
Oh si, certo, mi piace preparare la mia Camilla (un vecchio, caro Land Cruiser). E mi piace partire con la macchina in ordine. Ma, sinceramente, Camilla è un aspetto di un insieme ben più importante e complesso; il Viaggio non è Camilla e non è come l’ho caricata, come risponde (e risponde bene, garantito, con i suoi 125 cavalli non uno di più), come scende o come sale le dune… Il viaggio è ANCHE questo, ma è soprattutto, ovviamente parlo per me, la META che, con Camilla, raggiungo. La Gente che , andando in giro con Camilla, incontro. Le emozioni che respiro, vivo, i luoghi nuovi, i nuovi colori, i nuovi odori, la nuova conoscenza che a sua volta genera nuove curiosità…E nuove curiosità che genereranno nuova conoscenza, in una ruota infinita di crescita, maturazione, esperienza.
E, sinceramente, il mezzo ultra preparato con il diporto sahariano ha per me poco a che spartire, va bene per un rally raid e nessun viaggio (Nessuno, ma proprio nessuno) è un rally raid, a prescindere da cosa ci sia scritto sui famosi adesivi multicolori, a prescindere da quanto vi si dica che “farete cose cattive anzi cattivissime”,a prescindere da quanto tentino di convincervi che assolutamente la vostra auto dovrà essere leggera perché andrete su dune così ripide che la macchina, se troppo carica, da il giro in avanti al fondo delle dune. Ci sono i Raid e ci sono i viaggi. Chi VENDE viaggi ai turisti non vende raid. Nessun venditore di viaggi vi farà mai fare percorsi che mettano a rischio l’incolumità dei turisti e dei loro mezzi. I Raid sono un’altra cosa. Eppure allo specchietto sono tanti ad abboccare, ma davvero tanti. E si gasano uno con l’altro, come in un circo infinito. Ed alla fine non sai più se i pirla siano loro o tu. In questo marasma ho chiacchierato con un amico. Un amico che di gare (quelle vere) ne ha fatte davvero tante. Un amico che da un po’ di anni porta in giro gente proprio di quel tipo di cui parlavo, i Mazinga con tanti cavalli che fanno i cattivi sul serio. E parlando del più e del meno, sul ponte ventoso della Cartage, ho capito che dentro di se’ ne ha le tasche piene di questo estremismo motoristico con il paraocchi… Non l’avrei mai detto, giuro. Eppure è così. E mi si è svelata una persona che non sospettavo, con una sete immensa di piccoli particolari, di rocce da toccare, di bivacchi in cui non si parli di motori, di ascoltare della storia dei luoghi, di chi ci vive e chi ci ha vissuto in passato… E sono stato contento, davvero contento, perché allora significa che c’è ancora speranza per chi nel viaggiare cerca altro oltre al pedale del gas e al turbinio delle ruote che mordono la sabbia…
RoboGabr’Aoun Guida africana