Marocco: tour in macchina partendo da Marrakech
Giorno 1 – Marrakech: decidiamo di alzarci per andare a fare colazione. Ci intercetta un ragazzo autoctono nelle scale del riad in cui soggiorniamo (n.d.a. Riad Zehar) e ci conduce sulla terrazza. Un posto mozzafiato: divani, tavolini, pergolati, bouganvillea e uccelli, uccelli e ancora uccelli di tutte le dimensioni (pure un’aquila). Ci sediamo e il nostro giovane amico ci porta: caffè, latte, yogurt, crêpes, marmellate di fichi e di arance, miele, uva, insomma, i miei piani erano di iniziare il tour alle 9:30…alle 10 stavamo ancora a spelarcelo sul divano e a ragionare sulle bellezze del mondo. Tutto a troie. “Tutto a troie” è stato il leitmotiv della giornata. Usciamo alle 11, il simpatico ragazzo della colazione mi tiene 25 minuti a spiegarmi come arrivare dal riad al Jamaa El’fna mentre io continuo a dirgli “ci sono già stato”, “so come arrivarci, grazie davvero” ecc…per poi sentirmi dire in un inglese stentato “stai zitto, mica devi parlare solo tu!”. Vabbè. Usciamo e seguiamo le indicazioni per i Giardini Majorelle, ad un certo punto ho la brillante idea di chiedere, a due signori seduti davanti ad una porta, conferma che fosse la giusta direzione. Non lo avessi mai fatto! Ci dicono che i Giardini Majorelle sono chiusi perché oggi è venerdì e si prega (!) e chiamano un tipo anziano che inizia a galoppare verso di noi mantenendosi su una stampella. Ci dice di seguirlo e noi, ancora più cretino, lo facciamo, ci racconta che ci porterà a vedere le cooperative di donne artigiane che fanno delle cose che non capisco. Ci riporta nella medina: cooperativa di tappeti artigianali – 3 bicchieri di tè alla menta; cooperativa di spezie e oli artigianali – 2 bicchieri di tè alla menta più sniffate varie di eucalipto; cooperativa di souvenir artigianali – niente tè alla menta. Risultato: mi scappa la pipì! Torniamo, a questo punto a Jamaa El’fna, cambiamo i soldi e andiamo alla Moschea della Koutoubia. Controllo su Google Maps non mi ricordo cosa e leggo “Giardini Majorelle – Chiusura 17:30”. MA QUINDI SONO APERTI? Sì, ci hanno preso per il culo per farci vedere ste cooperative e per venderci roba. La presa per il culo ci è costata: – una lezione in italiano di fabbricazione e tintura di tappeti mozzafiato; – lo snifaggio di profumi di spezie ed oli mai sentiti prima; – la visita di un vecchio riad stracolmo di porte antiche e di soffitti intarsiati in avorio trasformato in negozio di souvenir; – la visione della lavanda dei piedi (le abluzioni) che i fedeli musulmani praticano prima di toccare il suolo per loro sacro della moschea; – l’attraversamento di una parte di Marrakesh per raggiungere i Giardini Majorelle che non avremmo mai visto se il vecchio con la stampella non ci avesse trascinato per cooperative dall’altra parte della medina. Arrivati ai Giardini Majorelle è tutto un tripudio di piante, blu e “love” di YSL! Bello, molto bello! Tornando al riad ci provano in due a darci una mano per tornare a casa ed io ed Emanuele, oramai fobici e diffidenti, iniziamo a pensare che ogni indicazione debba essere letta al contrario. No! Tutte giuste! Torniamo in camera, ri-usciamo e a Souk Semmarine scopriamo il mercante anziano più tenero del mondo da cui ci facciamo ciulare (perché noi le lezioni le impariamo al volo) 150 Dirham di tè alla menta, sapone nero, incenso e mirra manco fossimo i re Magi. Riattraversiamo la medina e andiamo a mangiare a “La table du Riad” che, giuro su Dio, è uno dei migliori ristoranti in cui abbia mai mangiato. Un botto di profumi, di palme, di stelle. Inizia l’amore.
Giorno 2 – Marrakech – Ait-Ben-Haddou – Ouarzazate: mi sveglio e corro al cesso! Data la quantità di cibo che continuo ad ingurgitare è anche ovvio! Terminate le operazioni di evacuazione, ci catapultiamo sul terrazzo del riad per ingozzarci ancora con dolci fritti, miele, marmellate ai lamponi, yogurt ecc. Il ragazzo serve la colazione con troppa gentilezza per non ingoiare tutto quello che ci porta. Usciamo e di corsa all’appuntamento con il ragazzo del noleggio auto (Najm-Car – 27€ al giorno per una Dacia Logan con km illimitati, GPS e senza franchigia) che io penso bene di intrattenere con le prime domande xenofobe che mi vengono in mente tipo: “quante mogli hai?” (manco si vuole sposare), lui mi ripaga mostrandomi fiero il tatuaggio dedicato a Valentino Rossi – un tachimetro tutto intorno al malleolo. Ok! Arriviamo all’ufficio, firmiamo le carte e partiamo. La tipa dell’ufficio ci dice che “A VOLTE” l’indicatore del carburante rimane fermo sul pieno e ci suggerisce, quindi, di fare ogni 4/500 km il pieno. Il nostro ovviamente non funziona! Compriamo un carica batterie da auto per i cellulari, useremo il navigatore tutto il tempo. 40 Dirham, noi, oramai scaltri, pretendiamo di controllare se funziona, lo inseriamo nell’accendisigari, colleghiamo un telefono e…funziona! Partiamo, dopo 2 km, non funziona più! In compenso mi accorgo che la porta usb c’è già nell’autoradio della macchina e funziona benissimo. Noi sempre sul pezzo! È inutile, non ce la possiamo fare. Attraversiamo l’Alto Atlante, il passo di Tizi N Tchika è uno spettacolo mozzafiato: pareti rosse, pareti nere, uomomo che ti vogliono vendere rubini e smeraldi lanciandosi sulla statale (80 km/h la velocità media) cantieri, cantieri, cantieri. Attraversiamo una decina di villaggi: uomini e donne sugli asini, asini carichi a ciuccio (appunto) di tè alla menta, bambini e bambine di 6/7 anni con gli zaini che camminano lungo la statale (io affermo ad alta voce: I NOSTRI SAREBBERO TUTTI SCHIATTATI) e poi terra, montagne di terra rossa. Arriviamo ad Ait-Ben-Haddou e parcheggiamo la macchina sul ciglio della strada (ho provato a cercare un parcheggio vero, non ne ho trovati) e saliamo. Un’intera kasbah di 1000 anni fa (parzialmente ricostruita recentemente) che svetta ai bordi del deserto fatta di sabbia, fango, paglia e pietre. Un patrimonio dell’Unesco, che io non immaginavo potesse nemmeno esistere. Ovviamente vengo cazziato da un autoctono che pretendo di riprendere senza il suo permesso per immortalare il momento. Continuiamo per Ourzazate e arriviamo in questa cittadina surreale: tutto ordinato, tutto pulito, sembra il set di un film americano. È il set di un film americano! Arriviamo in albergo (n.d.a. Dar Kamar), una costruzione di fango nel cuore della Kasbah di Taourirt, iniziamo subito con dolcetti e tè alla menta, ed è subito il festival della diuresi. Usciamo, Emanuele decide di far finta di far parte di un gruppo di spagnoli e li segue, io mi vergogno, ma mi accodo. Un giro tra corridoi di fango, paglia e facce di bambini. Abbiamo fame e andiamo a mangiare al Douyria, ordino un cous cous con uvetta, mandorle, cipolla caramellata e pollo, arriva il cameriere con il mio tajin e mi fa “cous cous e dromedario!”. Io inizio ad agitare le manine e a spiegargli che ho ordinato un’altra roba, quello insiste, mi solleva il coperchio conico e scopre esattamente quello che avevo ordinato. Era uno scherzo. Ride. Io no. Dopo qualche secondo capisco che è un gioco che fanno a tutti i tavoli. Scelgono il cliente con la faccia più sfigata e lo prendono per il culo, così, senza motivo. Il mio cous cous è meraviglioso. Facciamo una passeggiata su Boulevard Mohammed V e vengo colto da un magone enorme: i bambini giocano per strada a pallone, la gente passeggia, si siede alle panchine e stanno.
Giorno 3 – Ouarzazate – Skoura – Kalaat M’Gouna – Les gorges du Todra: vengo svegliato di soprassalto dalle bussate del proprietario del Dar Kamar, dalla porta della camera ci urla che da lì a 10 minuti smetteranno di servire la colazione. Sono le 9:30. La mia sveglia Apple non funziona la domenica! Mi catapulto giù dal letto e salgo in terrazza per ingozzarmi. Mai sia! Vista sui tetti della kasbah, sole, vento e cibo, un sacco di cibo. Torneró obeso da questo viaggio! Partiamo da Ouarzazate dopo aver litigato con un tizio che pretendeva il pagamento del parcheggio della macchina (25 Dirham – meno di 2,50 € per 12 ore di parcheggio…onesto direi). Ci mandiamo a quel paese, lo pago e ciao. Avevo letto a metà i consigli per visitare Skoura, arriviamo in questa oasi piena di kasbah e di mercanti, motorini, bancarelle e donne. Giriamo in macchina, mi cago sotto perché un tizio inizia a seguirci in motorino (ne sono proprio convinto), chiedo ad Emanuele di leggere tutto quello che la Lonely Planet dice su Skoura: “meglio andare in giro con la guida, potrebbe essere poco sicuro girarla da soli”. Ce ne andiamo! Imbocchiamo una strada che attraversa l’Alto Atlante, una distesa pianeggiante di terra rossa, canyon e il nulla. Km e km di niente. Splendido! Ogni tanto la strada è attraversata da dei ruscelli di acqua rossa (ha diluviato non so dove la notte precedente) che io guado allegramente mentre Emanuele mi ripete “Acqua planning! Acqua planning!”. Guidando, incrociamo un botto di “distillerie artigianali di acqua di rose”, mi fisso che voglio visitarne una. Ci fermiamo a Kalaat M’Gouna ed entriamo in uno di questi locali, il proprietario mi mostra tutti i prodotti a base di rosa e per convincermi a comprare mi spruzza addosso un quintale di acqua di rose. Puzzo ancora! Decidiamo di andarcene ed Emanuele insiste per entrare in un bar a cambiare soldi per pagare un parcheggiatore (abusivo) che ci sta tampinando dal nostro arrivo. Io insisto per scappare (che cazzo, siamo di Bari). Approfittando di una rissa scoppiata più avanti, sempre per il parcheggio, mi infilo in macchina e metto in moto, Emanuele si fa prendere dal momento e corre piegato verso lo sportello ripetendo ossessivamente “Fai presto! Fai presto!”. Scappiamo. Continuo a guidare, attraversiamo Tinghir, i suoi palmeti, ci inerpichiamo su un canyon e la osserviamo dall’alto…restiamo zitti. Scendiamo verso le gole di Todra, il posto in cui dormiremo (n.d.a. Auberge Le Festival Todra Gorge) si trova dentro le gole, proprio DENTRO! Arriviamo e scopriamo che ci si arriva solo guadando (a piedi) il fiume. Lasciamo la macchina (sempre parcheggiata malissimo) sulla strada e due ragazzi del posto ci aiutano a stare in equilibrio sulle assi di legno con le valigie. Uno mi tiene la mano, mi fa strada e continua a ripetermi quanto è contento di vederci. È un posto surreale. La nostra camera è una grotta (lo sapevo, l’ho prenotata apposta) e ha un terrazzino che affaccia sul fiume. L’acqua che scorre è l’unico suono. Ci servono un tè, delle arachidi e dell’uvetta sotto un porticato con vista sulle gole come benvenuto. Ci accompagnano, poi, a fare in giro nel loro orto, io gli chiedo se posso bere un bicchiere di succo di melograno (a pagamento), mi rispondono che non ne preparano, ma che posso prendere tutti i melograni che voglio, me ne offrono uno dolcissimo, lo addento mentre passeggiamo tra la menta e i pomodori e tutto intorno le pareti delle gole. Risultato: tutto sporco, appiccicoso e inseguito dalle mosche. Mi devo lavare! Ce ne andiamo in camera, doccia e riusciamo per cena. Inizia a piovere e noi siamo nell’ala principale di questo complesso di grotte a mangiare una moussaka berbera con un vino marocchino sulla musica di Mercedes Souza. Ciaone! Finiamo la serata a giocare a carte: gli altri mangiano e noi diventiamo molesti urlando “UNO!” ogni poco…Emanuele sta perdendo…
Giorno 4 – Les gorges du Todra: – Alto Atlante – Midelt: è complicato oggi, ma iniziamo dalla sveglia: alle 6:30 per partire per una passeggiata di tre ore e mezza sulle montagne che formano le gole. Credevo che svegliare Emanuele all’alba fosse la vera impresa della giornata…mi sbagliavo! Di grosso! Avevamo detto al tizio che doveva farci da guida che avevamo solo le nostre Birkenstock di gomma ai piedi, ci aveva risposto “ahhhhh c’est bon, c’est bon”. Col cacchio “c’est bon”: tre ore di camminata (9 km in totale) lungo un sentiero franosissimo (è la natura geologica di questa zona) con una pendenza in alcuni tratti del 50%. TRE ORE! Tra salita e discesa! Sulla vetta la vista era mozzafiato, e ancora più mozzafiato erano i bambini che vivono nella tenda nomade con mamma, nonna e capre. È proprio con le caprette stava per prendere atto la prima tragedia della giornata: decido di farmi un selfie con una delle caprette appena nate che la nonna nomade tiene chiuse in un recinto fatto di pietre (un po’ tipo i nostri muretti a secco). Mi sporgo con il busto nel recinto e tengo il cellulare bello alto puntato sulla mia faccia e sulla capretta. Tempo un secondo: sento franare il masso su cui ho appoggiato l’altra mano nel recinto e un belato! Il gelo. I due ragazzi francesi che sono saliti con noi urlano, io mi giro e tengo il masso franato con una mano a un millimetro dal cranio della povera capretta spaventatissima! Capretta salva, ginocchio e polso del sottoscritto azzoppati sul muretto. Andiamo avanti e scendiamo, il tizio/guida praticamente ci obbliga a mangiare in una bettola un’omelette orribile con del formaggino. Chiudiamo sta passeggiata alle due e partiamo. Da questo momento in poi non riusciró più ad essere ironico: è iniziato un viaggio da incubo. Due giorni fa ci sono stati dei violenti temporali nella zona e vari smottamenti, MA prima di partire abbiamo controllato la strada (Waze) e avevo letto duecento guide diverse per scegliere il percorso migliore: partiamo. Troviamo, nel primo tratto un po’ d’acqua, ma niente di che. L’acqua aumenta, a volte sono costretto ad attraversare pozze piuttosto grosse. Andiamo piano. Iniziamo a salire lungo la montagna, la strada è piena di sassi, rimasugli di frane. Siamo prudenti. Saliamo, tratti interi di strada a stento percorribili perché colmi di pietre, pezzi di montagna. Non possiamo tornare indietro, sono passate un paio d’ore, iniziamo a scendere, ci tranquillizziamo perché la strada sembra migliorare. Inizia a piovere. Dalla montagna iniziano a scendere ruscelli d’acqua sporca, si formano pozze enormi, il panico sale, temo di rimanere impantanato nel nulla, temo di fare cazzate, Emanuele mi calma. La situazione peggiora, ruscelletti per strada, pioggia, pietre. Bevo, ho la bocca asciuttissima per il panico. Accetto di cedere la guida ad Ema, mi sento terribilmente in colpa perché questo viaggio l’ho organizzato io. Emanuele inizia a guidare, sempre più acqua, pozze e strade impercorribili se non a 20 km/h (non esagero). Arriviamo in prossimità di Imilchil, un’altra pozza, più grossa delle altre, Emanuele la attraversa piano, la macchina sembra vedere, l’acqua ci arriva al finestrino. Ce la facciamo! Ci fermiamo nel paese per chiedere dritte, per capire come procedere, un uomo ci dice che fino a Midelt è “fattibile”, continuiamo. Arriviamo sulla P7319: il delirio! Dopo qualche km sparisce l’asfalto, solo brecciolina o, se va bene, cemento. Attraversiamo villaggi, uno più bello dell’altro, abbiamo visto cose che non credo riuscirò mai a riportare nei racconti: donne, uomini e bambini di un altro tempo, un altro mondo. Donne piegate in due da enormi fascine di riso, intere distese di risaie, uomini anziani seduti sulle scale delle varie kasbah, asinelli e cavalli liberi, bambine e bambini con degli occhi enormi. Colori. Un altro mondo, appunto. Niente di tutto questo, però potremo ricordarlo con leggerezza. Continuiamo a guidare e la strada sparisce, ci troviamo davanti il letto secco del fiume. Emanuele ha paura, teme che rimarremo lì, io anche! Riprendo la guida, attraverso il letto del fiume piano, piano, piano, lo supero, passiamo attraverso una strettoia e poi la strada ci riporta dentro il letto del fiume. In macchina: il silenzio. Incrociamo un furgone sulla stessa strada e chiediamo indicazioni, ci conferma che siamo sulla strada giusta. Inizia a fare buio. Facciamo 30 km sulle pietre del fiume, sono passate 6 ore dall’inizio del viaggio. Finalmente risaliamo e ci rimettiamo su una strada asfaltata e asciutta, ancora qualche chilometro e siamo sulla strada nazionale. Ce l’abbiamo fatta, ma quello che abbiamo davvero fatto è stato supportarci come non abbiamo mai fatto. L’amore è una roba meravigliosa quando prende questa forma! Siamo a Midelt, in camera nel nostro Riad e sorseggiamo vino.
Giorno 5: Midelt – Fès: sveglia, colazione, controllo ossessivo della strada che dobbiamo percorrere e partenza alla volta di Fès. La strada, tutta nazionale, è una meraviglia oggi, attraversiamo distese aride e foreste fittissime, arriviamo nella provincia di Ifrane e ci sembra di stare in Svizzera! Le strade curatissime, i giardini raffinati, segnali stradali ovunque e una marea di polizia. Costeggiamo un parco tipicamente alpino, leggiamo “Forête Royale” e capiamo il perché di tanta cura e tanto controllo. Proseguiamo. La strada continua con ville e tenute extra-lusso, dai segnali capiamo che evidentemente nevica d’inverno, case con tetti a spiovente, insomma, rispetto al paesaggio di ieri, ci sembra di stare da tutt’altra parte del mondo. Continuiamo e arriviamo a Fès, attraversiamo tutta la città: McDonalds, vetrine di griffes occidentali, traffico, una macchina accappottata sul bordo strada, autoambulanze, clacson, clacson, clacson! Arriviamo alle porte della medina e ci riconnettiamo subito al contesto: cerchiamo un parcheggio e chiediamo ad un poliziotto, ci indica una strada, parcheggiamo, appena estraggo la chiave un ragazzo su un motorino inizia a rompere le palle con “Amigo”, “Italiano?”, “Dove andare?”, dall’altra parte un vecchio con un gilet giallo fluo (simil-parcheggiatore) inizia a farci il gesto dei soldi con la mano. Che rottura di coglioni! Mando a quel paese il ragazzo sul motorino, al vecchio diamo 10 Dirham, ma ne vuole 30! Emanuele gli urla un “sì vabbè, vabbè!” e lui si zittisce! Ci avventuriamo nei vicoli della medina per cercare il nostro riad: folla, negozietti, paccottiglia e strade, stradine, vicoli ciechi, ci becchiamo una ventina di “amigo”, “italiano”, “espanol”, ecc…non ci raccapezziamo! Un bambino (8/9 anni) con perfetto accento inglese ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto, per i primi 20 secondi penso sia un giovane turista gentile (povero ingenuo!), ci accompagna al riad e vuole la mancia: diamogli sta minchia di mancia! Nel riad (Dar Hafsa) ci accoglie Abdul Karim, il gestore: un portento! Abile venditore o incarnazione della gentilezza, ha la capacità di conquistarci e, mentre ci offre l’immancabile tè alla menta, ci da mille dritte per visitare Fès. Lasciamo le valigie e partiamo, attraversiamo la Bab Bou Jeloud, usciamo dalla medina e, mentre camminiamo lungo la strada che dovrebbe portarci al Palais Royal, il ragazzo col motorino ci passa accanto e ci urla “Dove andare?”. È uno stalker! Lo ignoriamo, decidiamo di usare questa tattica, ce l’ha detto anche Abdul! Arriviamo ai giardini Jnan Sbil (dovrebbero chiamarsi così), notevoli per trovarsi in una cittadina come Fès, ma niente di che (chiariamo: Parco 2 Giugno a Bari a confronto è il vaso di basilico che c’ho fuori al balcone, però…boh), attraversiamo il quartiere ebraico e ci troviamo davanti il vero spettacolo: la porta del palazzo reale – oro, mosaici, intarsi, oro, oro, oro! Lo voglio! Facciamo la gara a chi scatta i selfies più avvilenti con gli altri turisti, scatta il festival del disagio, finiamo il servizio fotografico e ci incamminiamo ancora. Sto schiattando di sete: sosta ad un bar per uno smoothie (si chiamava in un altro modo, ma vabbè) allo zenzero. Strepitoso! È tardo pomeriggio, torniamo al riad per lavarci e per decidere dove andare a mangiare, abbiamo saltato il pranzo! Faccio uno studio lunghissimo sui ristoranti dalla zona, Abdul ce ne aveva consigliato uno, ma non mi convince. Cerco, cerco e ne trovo uno che mi piace: Le Tarbouche! Il mio intuito sulla ricerca dell’obesità non sbaglia, è sublime. Mangiamo jalapeno, taboulé marocaine, una pastilla ripiena di pollo, mandorle e cannella e un tajine al limone confit strepitoso. Basta, voglio morire su questo tavolo!
Giorno 6 – Fès: Abdul stamattina si è trasformato in mia madre e ci ha obbligato ad ingozzarci come dei maiali a colazione. È rimasto malissimo quando gli ho detto che, no, le uova non le avrei mangiate! Abbiamo iniziato a fare colazione alle 9, alle 9:45 eravamo ancora seduti a mangiare, alle 10 avevamo appuntamento con la guida per andare in giro per la medina. Le solite figure di merda! Ci prepariamo e usciamo, la nostra guida, Shakir, è allampanatissimo, ogni tanto starnutisce e poi rischia di morire soffocato, insomma, anche oggi l’elemento di disagio si manifesta. Iniziamo il giro dal palazzo reale: una marea di cicogne ci volano sulla testa, mentre Shakir ci parla (in italiano) di ottoni, di zoo privati e di giardini arabo-andalusi! Saliamo sulla collina in macchina, mentre guido, Emanuele decide di chiedere al tipo tutti i fatti del re (tipo: ho letto che sta male, è vero?), Shakir, per cercare di essere educato inizia a dirgli una sequela di puttanate giustificandosi che non segue le notizie di gossip, Emanuele non si rassegna e incalza, io mi sdegno, il tizio si dimentica di darmi un’indicazione e me la dà a un metro dall’incrocio, io inchiodo e giro all’improvviso e Shakir si caca sotto, da quel momento vive attaccato al poggia-mano della macchina e inizia a parlare a scatti, ce lo siamo giocato. Vabbè! Finalmente arriviamo in cima, la vista è bellissima: la medina di Fès è gigantesca! Riprendiamo la macchina e scendiamo, Emanuele sta zitto grazie a Cristo e quindi va tutto bene! Arriviamo alla porta d’ingresso della medina – Bab Boujloud – e iniziamo a camminare. Scopriamo che una medina è molto più che una sequenza di bancarelle: una scuola antichissima di teologia piena di stucchi (complex Bou Inania), caravanserragli antichissimi con cortili decorati, botteghe, intere strade di artigiani che lavorano i tessuti, che lavorano l’ottone, che preparano dolci al miele, mercati coperti labirintici, ponti, passaggi strettissimi, piazze enormi, moschee e un mausoleo imponentissimo! Lungo le mura, una marea di bancarelle di candele e oggetti di culto, ci affacciamo e vediamo, nel cortile: uomini e donne pregare e mangiare, bambini che giocano, che casino! Proseguiamo e finiamo in una conceria: saliamo sulla terrazza della conceria e ci danno un rametto di menta da tenere sotto al naso, non capisco, faccio due passi, capisco subito il perché! Una puzza nauseabonda di fogna, fortissima, ce ne stiamo tutti affacciati con i nostri rametti di menta sotto il naso a guardare i conciatori che lavorano la pelle, le vasche di lavorazione sembrano un alveare, sono piene di merda di piccione (a qualcosa servono quindi) e acqua, è un modo per trattare le pelli con ammoniaca naturale. Alzo lo sguardo, decine di vasche colorate: zafferano, papavero, menta, tutti usati per la colorazione. Uomini a torso nudo infilati nelle vasche a lavorare le pelli. Uno spettacolo! Mi giro, il nostro simpatico amico guida non c’è, la puzza gli dà fastidio e, nonostante si sia riempito le mani di profumi vari durante la visita ad una cooperativa di spezie, se n’è andato giù. Finiamo la visita e scendiamo, troviamo Shakir a dormire su una sedia, Emanuele lo saluta con la manina e continua a scendere, io vado a svegliarlo! Quando si riprende mi fa: “ah credevo mezora voi qui, no suvenir?”….”No!”. Ci incamminiamo di nuovo nel dedalo di strade e stradine e ci riavviciniamo al riad. Paghiamo Shakir (400 Dirham, mocc a lui) e ciaone. Continuiamo a passeggiare e riattraversiamo i giardini di ieri per andare al Café La Noira: una spremuta di arancia e una di arancia e pesca dolcissime, un enorme mulino ad acqua accanto, gli aironi sulla testa. Torniamo al tiad e Abdul ci offre l’ennesimo bicchiere di tè alla menta e capiamo che le logiche del web sono arrivate anche qui: vuole che gli scriviamo a tutti i costi una recensione su Trip Advisor in italiano! È un abile venditore, non c’è che dire! Ci rimettiamo in sesto e usciamo, ho trovato un ristorante che mi ispira particolarmente, “The ruined garden”, volevo andarci ieri, ma ho letto che non è economicissimo, oggi ho un mood meno risparmiatore e ho deciso che dobbiamo andarci. Ci inoltriamo in una zona della medina che non abbiamo mai percorso nemmeno con il tizio, stradine buie, curve, bambini che suonano percussioni ovunque, ci troviamo davanti una porticina con dei bambini seduti che ci urlano “is full, is full”…ovviamente non è vero! Mica lo capisco perché ci prendono tutti per il culo! Mah! Entriamo e ci troviamo davanti un giardino bellissimo: piante, candele, lampade e un sacco di gente che mangia. Ci danno un tavolino, ci sediamo e ordiniamo. Io ordino i due antipasti e un piatto principale, Emanuele l’altro piatto principale. Ci arrivano, quello di Emanuele fa cacare: polpette di non so che e uova al tegamino sopra. Pure ieri sera il piatto scelto da Emanuele era “too much”. Insomma: oggi lo odio!
Giorno 7 – Fès – Meknès – Rabat – Casablanca: ennesimo risveglio a Fès, ennesima colazione fuori misura, ennesima richiesta di Abdul di lasciargli commenti e stellette in giro per il web! Prepariamo le valigie e partiamo, cerchiamo penosamente di fottere il parcheggiatore (semi abusivo) della piazza in cui abbiamo parcheggiato, il piano era: mollare Emanuele in un punto della piazza, circumnavigare la piazza facendo finta di niente, entrare in macchina di soppiatto e andare via. Un’idea di Emanuele, lo giuro! È andato tutto bene fino al momento in cui la macchina si è mossa, un muflone con un gilet giallo ha iniziato a galoppare verso la macchina e a farmi dei cenni di violenza. Mi fermo, si avvicina e mi dice che devo pagare 30 Dirham, io faccio finta di non capire (che penaro), poi fingo di chiamare “un amico” per controllare che non abbia già pagato lui e poi…pago! Volevo morire! Carico Emanuele in macchina e partiamo alla volta di Meknès. Arriviamo e…boh…questa Meknès non ci convince granché, dopo aver visto Fès sta tappa è proprio inutile. Sì, ok, la Bab El Mansour, bella! Sì, ok, la Piazza Lahdim, carina, con tanto di scimmiette! Ma ci sembra tutto déjà vu, ovviamente, e, quindi, dopo un rapido giro per la medina e due foto alle cicogne, ce ne andiamo. Destinazione: Rabat – la capitale! Arriviamo e il fatto che il re viva qui è chiarissimo: polizia ogni 20 cm, strade pulitissime, bandiere del Marocco lungo tutte le vie di accesso alla città, macchine di lusso, insomma, n’altra cosa. Parcheggiamo vicino la cattedrale di San Pietro e iniziamo a passeggiare, attraversiamo un parco, ci guardiamo intorno e anche la gente è totalmente diversa, non tutte le donne indossano il velo islamico, ci sono ragazze e ragazzi con capelli di tutti i colori, pochissimi mendicanti, insomma, l’influenza della cultura occidentale è fortissima! Entriamo nella medina, sembra un luna park confrontata con quella di Fès: nessuno spinge, pochissimi richiami, zero rifiuti e polizia ovunque. Continuiamo ed entriamo nei giardini Nouzhat Hassan, dei giardini andalusi spettacolari, zeppi di gatti, che meraviglia, ci inoltriamo ed arriviamo su una terrazza con un baretto con vista sul lungomare della città. Il mare! Ci è mancato un botto! Saliamo nella Kasbah des Oudaïas ed è tutto bianco e blu! Foto! Foto! Foto! Sbuchiamo sulla terrazza della Jāmiʿ al-ʿAtīq e a questo punto la vista è indescrivibile: si vede tutta la costa, i minareti delle moschee, la spiaggia di rabat, le onde dell’oceano Atlantico e vento, un sacco di vento. Che bello!!!! Ci avevano detto che non valeva la pena venire a Rabat: fuori di testa! Ri-scendiamo le viuzze della kasbah, riattraversiamo la Medina e troviamo un negozio di anticaglie minuscolo con un signore gentilissimo, ovviamente anticaglie chiamano Danilo e…compro due cose! Torniamo alla macchina felicissimo di questo giro e ci avviamo verso Casablanca. In macchina ci chiediamo il perché di un divario così grosso tra rabat e il resto del paese attraversato fino ad ora. Arriviamo a Casablanca e il traffico è pazzesco, rimaniamo bloccati in una fila unica per 40 minuti, che paranoia! Finalmente ci infiliamo nel parcheggio del nostro hotel (n.d.a. Melliber Appart Hotel), check-in, lasciamo le valigie e usciamo. Ci troviamo davanti la Moschea di Hassan II. Dovrebbero vederla tutti!
Giorno 8 – Casablanca – Marrakech: si ritorna alla base, dopo un’altra giro intorno alla Moschea di Hassan II per godercela anche di giorno, ci infiliamo in macchina e partiamo alla volta di Marrakech. Ci fermiamo solo ad un lavaggio auto, prima della consegna, per ripulire la macchina da tutto il fango accumulato durante l’attraversamento dell’Alto Atlante. Abbiamo un pudore anche noi. Arriviamo a Marrakech e torniamo nello stesso gruppo di rihad dove siamo già stati, ci assegnano una camera che ha un terrazzo con vista su “Le Jardin Secret”, uno degli incantevoli giardini interni di Marrakech. Che fortuna! Si paga per entrare in quel posto e noi dobbiamo solo affacciarci. Il racconto di questo giro marocchino finisce qua, su questa vista di fontane, mosaici e palme, domani si torna: più grassi, più colti e più innamorati.