Sarajevo chiama, Val d’Aosta risponde! Storie incredibili…
Riparto da Jajce diretto a Sarajevo. Oltrepasso Travnik, a circa 80 km dalla mia meta, cittadina non particolarmente attraente, block di stile sovietico, le case nei dintorni più umane e in alto la fortezza e case più avanti con i muri crivellati di proiettili… Lo spirito migliora, sia il mio che quello di Fernanda la mia fedele bicicletta quando iniziamo i 30 km più belli di boschi e montagne, paesini musulmani di montagna. La temperatura inizia a cambiare: 6 gradi oggi alla partenza, ma almeno si ha un po’ di tregua dal pericolo delle strade a scorrimento che collegano le città e che per noi ciclisti rappresentano un pericolo. Unico neo in tanta bellezza montana i rifiuti che vedo spesso sui bordi della strada, la cultura del riciclo e del rispetto qui ancora non giunge. La cosa non mi meraviglia ripensando ai muri sfregiati dalle pallottole più sotto. È un paese ancora ferito.
Finalmente dopo 145 km e 10 ore di pedalata, giungo a Sarajevo e vengo accolto dalla sua suggestiva atmosfera, trovo il campeggio monto la tenda e riposo. Domenica: giorno di sorprese infinite, grazie alle mie app incontro Dado e Gegia, due profughi ospitati in Valle d’Aosta (INCREDIBILE), a Valpelline durante i 1000 giorni dell’Assedio della città e ora tornati qui. Sono loro ospite a pranzo, alla loro tavola, nella città vecchia. Gegia prepara il burek, una sottile pasta sfoglia farcita con carne macinata e spezie. Il ripieno resta umido e gustoso e viene morbidamente accompagnato dalla pasta, che lo contiene: saporito e gustoso. Mi raccontano la loro storia: Dado fu ferito e venne ospitato nella mia terra per essere curato. Mi mostra cose rare da trovare: un volantino tedesco di ricerca per catturare Tito con tanto di taglia sulla sua testa, il medaglione degli Ustasa, i nazionalisti croati che seminarono il terrore nei Balcani, e la tomba del padre nel cimitero di Sarajevo, durante il funerale l’esercito serbo lanciò bombe dalle colline sull’assembramento per la cerimonia funebre.
È un susseguirsi di emozioni, racconti incredibili che attraverso un viaggio forse più agevole con un tour operator non avrei mai potuto ricevere… giungendo con Fernanda nel luogo dove sbocciano dal cemento le rose di Sarajevo, ovvero dove i cecchini serbi hanno usato le granate falciando migliaia di civili, il memoriale dedicato ai bambini uccisi nel conflitto o il luogo che diede vita alla prima guerra mondiale, dove Gravilo Princip uccise l’Arciduca Francesco Ferdinando. C’è una canzone pop patriottica che dice: “Sarajevo rimarrà, tutto il resto passerà”. Questo verso è, in un certo senso, pura verità. Sarajevo è sopravvissuta, anche se le sue profonde ferite non sono ancora guarite del tutto. Durante l’assedio della città un’agenzia matrimoniale del posto pubblicizzava così la sua attività: in questo mondo di guerre e di morte, l’unica cosa che ha un senso è fare l’amore. Il coraggio della Rinascita, questo è Sarajevo.
Ma se non vi interessa nulla di tutto questo, potete comunque godere delle attrazioni turistiche e di altre bellezze di questa città. Una visuale privilegiata sul territorio e con il “GIUSTO TEMPO” scandito dalla libertà del pedalare non vincolati da pompe di carburante, che permette di avvicinarsi anche alle persone che vivono qui e alla vita reale, diversa da quella che si vede attraverso l’immagine confortevole di un viaggio fatto di catene d’hotel… Grazie Fernanda ai tuoi pedali e grazie Dado e Gegia, grazie a voi porterò sempre con me questo Paese!