Lviv, Kiev e Chernobyl: settimana di fine estate in Ucraina

Viaggio attraverso l'Ucraina fra l'elegante Lviv, la frenetica Kiev e l'inquietante Chernobyl, alla scoperta di un Paese tanto stupendo quanto sottovalutato
Scritto da: Fearless
lviv, kiev e chernobyl: settimana di fine estate in ucraina
Partenza il: 04/09/2019
Ritorno il: 10/09/2019
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
Ascolta i podcast
 
Per il mio viaggio di fine estate non ho avuto dubbi su quale meta scegliere: sin da quando ero piccolo, infatti, sogno di visitare l’Ucraina, il più vasto Paese situato interamente in Europa, poco noto come meta turistica ma con moltissimo da offrire. Il mio ragazzo, che da tempo voleva visitare Černobyl’, non ci ha pensato due volte ad accettare di venire.

Il nostro itinerario ha previsto due giorni a L’viv (conosciuta anche come Leopoli o L’vov) e cinque giorni a Kiev, con gita di un giorno alla zona di esclusione di Černobyl’. Per ora, per raggiungere l’Ucraina dall’Italia c’è poca scelta: L’viv è raggiungibile da Milano solo con Ernest Airlines, mentre a Kiev volano sia Ernest che Ukraine International. Avremmo voluto aggiungere Odessa all’itinerario, ma per via della mancanza di un volo diretto L’viv-Odessa o Milano-Odessa, ci sarebbe risultato scomodo.

Abbiamo prenotato i voli ad aprile per settembre 2019. Il volo di andata Bergamo-L’viv è costato €69,90 a testa con Ernest, mentre quello di ritorno Kiev Žuljany-Bergamo è venuto €84,90, sempre con Ernest. Da L’viv a Kiev-Boryspil’ (l’aeroporto principale della capitale ucraina) abbiamo volato con Ukraine International per €55. Ci tengo a sconsigliare Ernest Airlines, una compagnia italiana di recente creazione, che ci è sembrata poco seria: due spostamenti di orari prima del volo, spostamento di aeroporto (invece che tornare da Žuljany ci hanno spostato a Boryspil’), e-mail confusionarie, impossibilità di effettuare il check-in online, e dimensione dei bagagli a mano inferiore rispetto alle altre compagnie. Leggendo le recensioni della compagnia online, sembra che i ritardi siano all’ordine del giorno, ma per fortuna non è stato il nostro caso. Insomma, non vi fate stregare dal simpatico logo col vecchio ammiccante: se dovete andare a Kiev, andate con Ukraine International, con cui spenderete la stessa cifra in ogni caso. Per i nostri alloggi ci siamo affidati a Booking.

Dopo questa premessa, procederò raccontando la mia settimana in Ucraina giorno per giorno, cercando di descrivere al meglio le sensazioni che questo bellissimo Paese mi ha procurato.

MERCOLEDÌ 4 SETTEMBRE

Il nostro volo di andata, inizialmente fissato per le 8:30 ma poi posticipato alle 12:40 un paio di settimane prima, è partito in tempo da Bergamo; siamo atterrati a L’viv, come previsto, per le 15:45 ora locale (il fuso orario ucraino è di un’ora di più avanti rispetto a quello italiano). All’aeroporto di L’viv abbiamo ritirato qualche hryvnja, la moneta locale (€1 = 30 UAH circa a settembre 2019), giusto quelle che ci bastavano per arrivare in centro date le alte commissioni in aeroporto. Lì abbiamo comprato al bar due SIM Vodafone UA a 100 UAH che ci avrebbero garantito internet illimitato, facili da attivare e comodissime, e appena usciti abbiamo preso l’autobus che con 5 UAH in mezz’ora ci ha portato all’università, da dove in un quarto d’ora abbiamo raggiunto il nostro appartamento in via Stavropihijs’ka, una centralissima strada pedonale che termina da una parte con la Cattedrale Domenicana, e dall’altra con la piazza principale della città. L’appartamento, che consigliamo di cuore, è costato €62 per due notti.

Ormai prossimi al tramonto, abbiamo fatto una passeggiata per il centro cittadino, e abbiamo ritirato soldi senza commissione ad un ATM per strada. L’viv si presenta come un’elegante città dell’Europa centro-orientale: è infatti stata per secoli sotto il dominio polacco, e per questo le somiglianze con le città di questo Paese non mancano.

Per cena abbiamo scelto, fra i ristoranti che avevamo selezionato su TripAdvisor, il Chaykhana Samarkand, specializzato in cucina uzbeca. Quello che amo dei paesi dell’ex Unione Sovietica è che vi si trovano facilmente ristoranti di tutte le cucine degli Stati membri, specialmente quelle deliziose di Georgia e Uzbekistan. Abbiamo mangiato benissimo, ordinando dieci portate e tre dolci (del resto, non avevamo pranzato), e spendendo 1200 UAH in due (mancia inclusa, che qui è usanza lasciare se il servizio è stato all’altezza, calcolando il 10% o comunque arrotondando al prossimo centinaio).

Con la pancia piena, abbiamo fatto un breve giretto serale, e abbiamo notato quanto brulicante questa città sia: artisti di strada, locali, eventi e bancarelle che vendono ogni tipo di cosa attirano le persone del luogo per le strade del centro tutte le sere. Ci è sembrata, insomma, una città molto autentica e non ancora scoperta dal turismo, che qui si limita principalmente a gite di un weekend dalla vicina Polonia.

GIOVEDÌ 5 SETTEMBRE

Abbiamo dedicato questa mite giornata di sole (un clima che, per nostra fortuna, ci accompagnerà per tutta la vacanza) all’esplorazione a piedi di L’viv, partendo dalla Cattedrale Domenicana appena sotto casa, imponente chiesa barocca che merita uno sguardo all’interno, per poi passare al Municipio, situato al centro della piazza principale, dove per 40 UAH è possibile salire sull’alta torre. Dopo aver percorso molte più scale di quanto ci aspettassimo, abbiamo potuto godere di una vista a 360 gradi su L’viv, con i suoi svettanti campanili, con i palazzi di stampo sovietico sullo sfondo, e con il grande parco sulla collina appena fuori dal centro.

Siamo quindi passati alla Chiesa Gesuita, dagli interni finemente decorati ma purtroppo celati dalle impalcature dei restauri, vicino alla quale si tiene un mercatino dove si vendono, fra molti oggetti dozzinali, alcune buffe cianfrusaglie: abbiamo visto la carta igienica con la faccia di Putin, chiara manifestazione del profondo disprezzo degli ucraini per il leader russo, sentito specialmente nella parte occidentale del Paese.

La prossima tappa è l’elegante Teatro dell’Opera, considerato la vera chicca di L’viv. Costruito a fine Ottocento, è uno dei rari teatri visitabili all’interno fuori dalle rappresentazioni. Acquistando il biglietto si ha accesso al salone degli specchi, dove i più nobili spettatori venivano a rilassarsi fra una rappresentazione e l’altra, e al raffinato auditorium da mille posti, con le sue decorazioni dorate e con il suo soffitto affrescato, dove erano in corso le prove per lo spettacolo che si sarebbe tenuto la sera stessa.

Arrivata l’ora di pranzo, abbiamo camminato verso l’Akhali, un ristorante georgiano che ha pienamente soddisfatto la mia voglia di questa cucina tanto gustosa quanto introvabile in Italia. Anche qui abbiamo mangiato abbondamente, e il conto è stato di 800 UAH con mancia. Ci siamo quindi diretti alla Cattedrale di San Giorgio, un’imponente chiesa barocca settecentesca situata in mezzo a un parco appena fuori dal centro alla quale si accede da un’elegante cancellata.

Tornando in centro, ci siamo fermati per visitare la Casa degli Scienziati, costruita a fine Ottocento come casinò, ora sede di feste di gala (proprio mentre siamo arrivati, una era appena terminata). L’interno di questa struttura, visitabile per 30 UAH. è impressionante, con la sua sinuosa scalinata lignea e con la sua cupola di vetro che dona luce naturale all’ambiente.

30 UAH è anche il prezzo del biglietto per visitare la Cappella della Famiglia Boim, costruita all’inizio del Seicento da un aristocratico ungherese affinché vi fossero sepolti i membri della sua famiglia. Già impressionante dall’esterno, questo piccolo gioiello offre il suo meglio all’interno, dominato da uno slanciato altare con pregevoli sculture raffiguranti scene bibliche, fino a culminare con la luminosa cupola, dipinta di celeste come a rappresentare il cielo. Subito dietro si accede alla Cattedrale dell’Assunzione, meglio conosciuta come Cattedrale Latina, appunto perché vi si celebrano messe cattoliche in lingua polacca.

L’ultima tappa del giorno è la Chiesa di Sant’Andrea, la più bella di L’viv, brulicante di anziane fedeli che baciano le statue e venerano le icone, e decorata con affreschi dai colori accesi in ogni centimetro quadrato. Tornando verso il nostro appartamento, ci siamo fermati presso un mercatino dell’usato, decisamente più autentico di quello visto la mattina, dove si vendevano libri, CD, vinili, cassette e quant’altro. Ho comprato alcuni rubli sovietici a 10 hryven’ l’uno. Con tutta la bellezza che abbiamo visto in questa giornata, non ci è difficile capire perché il centro storico di L’viv sia un patrimonio UNESCO.

Siamo andati a cenare al ristorante Seven Piggies, che tanto bello sembrava dalle foto, quanto deludente si è rivelato in realtà: cibo insapore e a prezzi superiori alla media, camerieri annoiati che ignoravano i clienti, e che non parlavano inglese nonostante il posto fosse una chiara trappola per turisti. È stato l’unico posto in cui non abbiamo lasciato la mancia, ma ci siamo consolati con una gradevole camminata serale fra le vie di questa bellissima città che avremmo lasciato l’indomani.

VENERDÌ 6 SETTEMBRE

Abbiamo lasciato il nostro appartamento alle 9 e ci siamo recati all’università per prendere l’autobus per l’aeroporto. Questa volta si è riempito velocemente, e la corsa è stata piuttosto claustrofobica, ma sempre e comunque molto più economica di un taxi. In più, eravamo in largo anticipo e hanno aperto i controlli per la sicurezza proprio quando siamo arrivati (all’aeroporto di L’viv i voli nazionali, tutti diretti a Kiev, si effettuano in una zona separata, e per quella giornata solo due erano previsti). Il nostro volo con Ukraine International, per cui avevamo fatto il check-in online comodamente il giorno prima, è partito in orario alle 12:45 ed è atterrato a Kiev-Boryspil’ dopo 50 minuti. Lì Vladimir, il proprietario del nostro appartamento BestKievApartment in via Mychajlivs’ka (€188 per 4 notti), ci attendeva, dato che abbiamo usufruito del comodo servizio di navetta aeroportuale da lui offerto. In tre quarti d’ora eravamo a destinazione. Consigliamo anche questo appartamento, centralissimo ma in zona tranquilla.

Abbiamo subito visitato il Monastero di San Michele, facilmente riconoscibile per le sue mura celesti e per le sue cupole dorate, esattamente dietro al nostro appartamento e nostro punto di riferimento per il resto della nostra permanenza a Kiev. Questo luogo, aperto dall’alba sino a dopo il tramonto e con entrata libera, è oscurato dalla vicina e più famosa Cattedrale di Santa Sofia, ma non ha nulla da invidiare ad essa.

Subito dopo, siamo andati in uno store Vodafone, dato che ci eravamo accorti che, inspiegabilmente, il nostro internet, che doveva essere illimitato, non funzionava più. Ci è stato spiegato che nella regione di Kiev la tariffa per quell’offerta era di 185 UAH; abbiamo quindi pagato l’assurdo sovrapprezzo e siamo finalmente tornati in rete senza intoppi per il resto del viaggio. Usciti dallo store, dove abbiamo perso un’ora per via della lunga fila di clienti, abbiamo visto Piazza dell’Indipendenza, l’iconico luogo dove hanno culminato le proteste conosciute come Euromaidan che nel 2004 hanno portato alla caduta del governo corrotto in Ucraina, portando alla formazione di uno nuovo, che alla fine si è rivelato altrettanto corrotto. Direi che politicamente parlando, gli ucraini non se la passano molto meglio di noi!

Dirigendoci verso il fiume Dnepr, che taglia in due la città, siamo saliti sulla collina dove è ospitato l’Arco della Diversità, un imponente monumento degli anni ’80 di 50 metri che nel 2017 è stato utilizzato come emblema per l’Eurovision, tenuto proprio a Kiev in seguito alla vittoria dell’ucraina Jamala nell’edizione precedente. Siamo quindi scesi verso il Monumento ai Diritti di Magdeburgo attraverso una ripida scalinata, e da lì siamo arrivati sul ponte pedonale che ci ha concesso di attraversare il fiume e di arrivare all’isola di Truchaniv, dove si trova la spiaggia pubblica. È molto frequentata, e ci sono pure persone che fanno il bagno nel Dnepr! Noi abbiamo approfittato della bella luce del tramonto per vedere la parte vecchia di Kiev dall’altra sponda, e abbiamo conosciuto due simpatiche signore del luogo che, come più o meno chiunque nell’ex Unione Sovietica, ammirano gli italiani e considerano il Belpaese il Paradiso terrestre.

Risalendo verso la parte vecchia di Kiev, ci siamo resi conto di quanto questa città sia in saliscendi: molte strade hanno una pendenza notevole, ed è raro, se non impossibile, trovare anche un vicolo su terreno pianeggiante. Stanchi per via delle troppe inaspettate scale da percorrere, abbiamo cenato al Bud’mo, un ristorante a due passi dal nostro appartamento di cui ci siamo subito innamorati: ho assaggiato il mio primo pollo alla Kiev, un piatto sublime, e i vareniki (grossi ravioli) alle patate sono magistrali. Il conto era fin troppo onesto per la quantità di cibo mangiato: questo è chiaramente un posto frequentato e apprezzato dalle persone del luogo, come ci sarà confermato al nostro ritorno l’ultimo giorno. Soddisfatti di una delle cene migliori della nostra vita, abbiamo dormito profondamente in preparazione all’impegnativa giornata che ci attendeva.

SABATO 7 SETTEMBRE

La mattinata fresca e soleggiata ci ha messi di buon umore per la lunga camminata che avrebbe caratterizzato la giornata. Ci siamo quindi avviati e, prelevati dei soldi ad un ATM senza commissioni e attraversata Piazza dell’Indipendenza, ci siamo ritrovati nell’ameno parco Mariïnskij, al centro del quale si trova l’omonimo palazzo appena ristrutturato, non visitabile in quanto funge da sede di rappresentanza del Presidente.

Dopo altri 2,5 km di camminata, abbiamo imboccato una viuzza e ci siamo ritrovati all’ingresso del Pečers’ka Lavra, il Monastero delle Grotte, esteso complesso monastico che può essere considerato il Vaticano ortodosso. L’ingresso ci è costato 40 UAH, con sconto studenti, permettendoci di visitare le sue chiese bianche con cupole dorate e di salire sul campanile, da cui si gode di spettacolari vedute sul complesso monastico e su Kiev.

Dopo aver pranzato al vicino Tsarskoe Selo, che sconsigliamo per i prezzi decisamente troppo elevati che indicano la natura troppo turistica del locale, siamo tornati al Pečers’ka Lavra per visitare il Museo del Tesoro Ucraino, situato in un suo edificio, il cui biglietto di 60 UAH si paga a parte. La prima parte della visita mostra gli interessanti ritrovamenti archeologici riguardanti le antiche popolazioni ucraine, con scheletri, capi d’abbigliamento, utensili e gioielli, mentre la seconda parte include tabernacoli, libri sacri e altri pregevoli oggetti di carattere religioso.

Lasciato il bellissimo complesso del monastero alle spalle, abbiamo camminato verso sud fino a raggiungere l’iconica statua della Madre Patria, una figura femminile di 102 metri e 560 tonnellate di titanio che fa la guardia sulla capitale ucraina. Fa parte del complesso del Museo della Grande Guerra, aperto negli anni ’80. Il sito ha un aspetto marcatamente sovietico: un ampio spiazzo in cemento, grandi sculture a tema bellico e carri armati fanno da cornice alla colossale statua che è diventata uno dei punti più fotografati di Kiev.

Dopo un altro paio di chilometri abbiamo raggiunto il giardino botanico Griško (entrata 50 UAH), altro enorme polmone verde di Kiev dove sono conservati fiori e piante da tutta l’Ucraina. Dall’interno del parco si accede direttamente e gratuitamente al Monastero di Vydubyči, un luogo ameno immerso nella natura da cui nemmeno si sente il rumore della strada lungo il Dnepr che scorre dietro ad esso. Le cupole blu, verdi e dorate fra gli alberi e i fiori ci hanno conferito un tale senso di pace, che siamo rimasti seduti su una panchina per un’oretta prima del tramonto, mangiando i deliziosi biscotti prodotti dai monaci e venduti per pochi spiccioli. Tornando verso l’uscita del parco, una signora del luogo ci ha sentito parlare in italiano e ha intavolato con noi una lunga conversazione nella nostra lingua, che ha imparato accompagnando per vent’anni i bambini reduci del disastro di Černobyl’ in Italia. L’usanza di ospitare questi ragazzini in famiglia per un mese è ancora diffusa, almeno nel mio paese.

All’uscita del parco si avvicinava il crepuscolo, e dopo aver percorso più di 20 km a piedi, il mio ragazzo era sul punto di trucidarmi. Abbiamo quindi scaricato l’app di Uber, che si è rivelata la nostra manna dal cielo: il servizio è infatti molto diffuso nella capitale ucraina, ed è totalmente affidabile, dato che i prezzi sono calcolati automaticamente dall’app e che quindi tassisti non possono fare i furbi. I 5 km per tornare a Piazza dell’Indipendenza ci sono costati 70 UAH, poco più di €2, una cifra assolutamente irrisoria se li paragoniamo ai prezzi dei taxi in Italia. Naturalmente, è buon uso lasciare una piccola mancia al tassista – noi abbiamo sempre arrotondato al centinaio.

A cena siamo andati al Georgian Bar Wine & Bread, il locale accanto al Bud’mo della sera precedente, dove abbiamo passato una piacevole serata mangiando deliziosa cucina georgiana e spendendo 900 UAH. Il locale ha aperto da pochi mesi, ma è già perfettamente in grado di saziare e soddisfare persino i clienti più esigenti con il suo ottimo cibo e servizio a prezzi onesti.

DOMENICA 8 SETTEMBRE

La giornata è iniziata con il Museo Pirogovo, che abbiamo raggiunto in Uber, vista anche la difficoltà nell’arrivarci con i mezzi. Nonostante fossimo arrivati appena dopo l’apertura delle 10, il posto era già pieno: questo museo all’aperto, dove sono ricostruiti (o addirittura trapiantati) interi villaggi caratteristici delle varie zone geografiche dell’Ucraina, è una popolare meta per le gite domenicali degli abitanti di Kiev. Il posto è spettacolare: non solo l’architettura, sia popolare che religiosa, è riprodotta fedelmente, ma anche gli ecosistemi rappresentano le varie aree del Paese. Ad esempio, la regione orientale di Poltava è pianeggiante ed erbosa, mentre quella occidentale dei monti Carpazi è rappresentata da un villaggio abbarbicato su un colle boscoso. In ogni villaggio, delle signore anziane producono a mano prodotti tipici della zona, e li vendono per pochi soldi. Abbiamo pranzato al museo, dove alcune bancarelle vendono cibo alla griglia fatto al momento, vicino alle quali sono allestiti tavoli con panche. Questo posto è magnifico, e meriterebbe una giornata intera.

Dalla periferia meridionale di Kiev siamo andati in Uber a quella settentrionale, dove si trova il mercato di Petrivka, composto da bancarelle al coperto dove si vendono film, dischi e videogiochi (sia originali che piratati), ma anche abbigliamento, scarpe, libri e souvenir. Ho comprato alcuni CD originali di rappresentanti ucraini all’Eurovision, di cui faccio la collezione. Vicino al mercato al chiuso c’è il mercato delle pulci, dove abbiamo acquistato due paia di scarpe usate per pochi spiccioli che avremmo usato l’indomani per andare a Černobyl’: anche se non è obbligatorio, è comunque consigliato buttare le scarpe usate per camminare nella zona di esclusione, visto che le suole assorbono tantissime radiazioni dal terreno.

Da Petrivka siamo tornati al nostro appartamento per depositare i nostri acquisti, e quindi ci siamo recati alla vicina Cattedrale di Santa Sofia dell’XI secolo, uno dei monumenti più visitati di Kiev. I biglietti sono assurdi: 60 UAH per salire sul campanile, 50 per accedere al complesso monastico, e altre 110 per entrare all’interno della cattedrale (che implicano quindi anche l’acquisto del biglietto per visitare il complesso). Il tutto senza sconti o riduzioni, a meno che non facciate parte di una scolaresca ucraina. A mio avviso, il biglietto da 50 UAH per accedere al complesso è più che sufficiente: il campanile è moderno e senz’atmosfera all’interno, e le grate alle finestre non permettono di godere di grandi panorami.

La tappa successiva è la Chiesa di Sant’Andrea, altro punto molto fotografato grazie al suo profilo barocco dipinto di azzurro con la cupola verde che si staglia in cima all’omonima collina. Purtroppo, al momento della nostra visita l’edificio era chiuso per restauri, e si poteva accedere a pagamento solo alla terrazza panoramica, che ci è sembrato inutile e che quindi abbiamo evitato. Da lì abbiamo percorso l’Andriïvs’kyj uzviz, brulicante strada in discesa dietro alla cattedrale costeggiata da bancarelle che vendevano tutte gli stessi souvenir dozzinali a prezzi gonfiati. Ci è parsa una trappola per turisti, e abbiamo preferito acquistare i nostri regali per amici e parenti altrove.

Arrivati fino al fiume, abbiamo fatto un’ultima tappa prima di cena: la Chiesa di San Nicola sull’Acqua, chiamata così appunto perché questo slanciato edificio bianco con le cupole dorate si trova un’isola artificiale in mezzo al fiume a cui si può accedere attraverso un ponticello. Abbiamo concluso la giornata con una cena più che discreta al vicino ristorante Pan Garbuzik, con specialità di zucca. Qui abbiamo provato il banuš, la versione ucraina della polenta, più morbida e cremosa di quella italiana.

LUNEDÌ 9 SETTEMBRE

Questo è il grande giorno della gita a Černobyl’. Prenotata con l’agenzia Chernobyl Tour (la più nota delle poche che permettono di visitare la zona di esclusione), ci è costata $99, più $10 per il noleggio del contatore Geiger e $5 per il pranzo in mensa. Il tutto è costato quindi l’equivalente di circa €100. Sarò il più dettagliato possibile su questa esperienza unica.

Ci siamo svegliati alle 6, e per le 7:15 siamo arrivati al punto di ritrovo, la strada dietro alla stazione centrale dei treni di Kiev. Eravamo i primi, ma c’erano già autobus e guide. Abbiamo pagato la somma restante in contanti a bordo (il 25% ci era stato invece detratto dalla carta di credito al momento della prenotazione), e abbiamo preso posto. L’abbigliamento per visitare Černobyl’ deve prevedere maniche lunghe, pantaloni lunghi e senza buchi, e scarpe chiuse con le caviglie coperte. L’autobus si è riempito e per le 8 siamo partiti, con la prima guida che ha spiegato il programma del giorno e che ha avviato la proiezione di un documentario sul disastro nucleare e sulle sue conseguenze.

Alle 10 siamo arrivati al checkpoint di Dytjaky, dove hanno controllato i nostri passaporti e dove ci hanno dato i permessi cartacei per entrare nella zona di esclusione. Qui due bancarelle vendono souvenir, acqua e snack – l’ultima occasione per acquistare qualcosa. Varcato il checkpoint, siamo entrati ufficialmente nela zona di esclusione! Ci sono stati forniti i contatori Geiger e ci è stato mostrato come usarli. Le radiazioni a questo punto si aggirano attorno agli 0,1 microsievert all’ora, una quantità normale riscontrabile dovunque nel mondo.

La prima tappa è il villaggio abbandonato di Zalissja, dove è possibile visitare in autonomia le case e i negozi diroccati in mezzo alla natura. Avvicinando i contatori Geiger ad alcuni pezzi di metallo, materiale più sensibile alle radiazioni, si raggiungono gli 0,3 microsievert, sempre un livello basso paragonabile a quello emesso dalle rocce granitiche. Sull’autobus abbiamo poi attraversato il ponte sul fiume Už, luogo in cui solitamente i cosiddetti stalker, i visitatori illegali della zona di esclusione, vengono sgamati dai militari di guardia, visto che l’unica loro alternativa sarebbe nuotare nelle chiare, fresche e dolci acque del fiume che provengono direttamente dalla centrale.

Abbiamo quindi raggiunto il villaggio di Kopači, quasi tutto finito sottoterra nel programma di smaltimento. Di esso è rimasto l’asilo, all’interno del quale ci sono ancora bambole e pupazzi posti in modo inquietante sui letti dei bambini. Qui le nostre guide ci hanno inoltre indicato due hotspot, ossia due punti nel terreno in cui si sono concentrate le radiazioni, e per un motivo peculiare: gli automobilisti si fermavano infatti qui per pulire le loro auto dalle radiazioni, in modo tale da risultare idonei a lasciare la zona di esclusione con tutti i loro averi una volta controllati ai checkpoint. L’alternativa era il sequestro del veicolo e, nel peggiore dei casi, la quarantena! In questi due punti, i contatori sono arrivati a segnare oltre 18 microsievert.

Da Kopači siamo passati ad un punto panoramico sul sarcofago del reattore 4 della centrale nucleare, e quindi siamo arrivati ai piedi dello stesso, dove abbiamo fatto una foto di rito al gruppo. È impressionante come là sotto si celi uno dei luoghi più mortali al mondo… eppure i contatori indicano 0,7 microsievert, testimoniando come la struttura che per i prossimi cent’anni ci proteggerà dalle radiazioni stia svolgendo egregiamente il suo lavoro!

La tappa successiva è il cartello di benvenuto alla città di Prip’jat’, dove è situata la centrale. Abbiamo quindi visitato la stessa con un tour a piedi di un’ora e mezza. Questa città ospitava quasi 50.000 abitanti prima del disastro, ed era motivo d’orgoglio per l’Unione Sovietica, che aveva grandi piani per il suo futuro e che l’aveva pianificata per essere la città ideale dove vivere. Del resto, moltissimi sovietici sognavano di trasferirsi a Prip’jat’ per l’alto tenore di vita e per gli stipendi superiori alla media. Basti pensare che qui nei negozi si vendevano banane e arance, prodotti quasi introvabili nell’URSS! Vedere la città più di trent’anni dopo il disastro a fine estate è… come non vederla: la vegetazione ha ripreso possesso di ogni strada, viale e piazza, rendendo invisibile la gran parte degli edifici, e lasciando giusto scorgere i più alti palazzi residenziali a sedici piani. Le nostre guide ci hanno portato al campo sportivo, che sarebbe stato inaugurato cinque giorni dopo il disastro, e al parco giochi con la ruota panoramica e gli autoscontri arrugginiti; abbiamo concluso il tour a piedi nella piazza principale, anch’essa un piccolo bosco, dove si trovano il supermercato, il palazzo della cultura, il municipio e l’hotel Polissja. In questo punto le radiazioni a mezz’aria raggiungono gli 1,5 microsievert, il massimo che abbiamo visto camminando fuori da un hotspot. Sempre qui, su un tombino dove si è concentrata l’acqua di scolo durante la pulizia delle strade, abbiamo visto superare i 100 microsievert!

La nostra guida ci ha raccontato alcuni aneddoti su questo luogo dopo il disastro. Innanzitutto, la propaganda sovietica aveva convinto i cittadini che l’esplosione del reattore 4 non era altro che un piccolo incendio, e la vita è continuata tranquillamente il giorno dopo, con il mercato che si è svolto regolarmente con la vendita dei prodotti contaminati. Dopodiché, quando ci si è resi conto che il fatto era serio, la città è stata evacuata… ma i primi tre reattori della centrale sono rimasti attivi fino al 2000, e delle persone sono rimaste a vivere lì nei 14 anni successivi. Stavano anzi costruendo un quinto reattore, che è stato abbandonato quando ci si è resi conto che il territorio era irrecuperabile.

Verso le 14, siamo tornati sull’autobus e abbiamo attraversato la foresta rossa, un bosco di conifere ancora oggi molto contaminato dove gli alberi sempreverdi, più sensibili alla radioattività di quelli decidui, si sono tinti di rosso (oggi, tuttavia, sono tornati verdi). Siamo arrivati all’edificio che ospita la mensa del reattore 5, ora utilizzata per il vitto dei turisti. Ci siamo saziati con un abbondante pasto vegetariano, cucinato ovviamente con prodotti estranei alla zona di esclusione e quindi completamente puliti.

La seconda parte della gita si è aperta con quella che considero la meta più interessante. Allontanandoci da Prip’jat’, abbiamo imboccato una stradina all’inizio della quale si trova una fermata dell’autobus decorata con un orsetto e con dei funghetti. Si tratta di una fermata posticcia, che la propaganda sovietica segnalava sulle mappe come un’ex colonia estiva per bambini, ma che in realtà serviva a nascondere ciò che si trova più avanti. Se negli anni ’80 vi foste avventurati per questa strada, ad un certo punto avreste incontrato un posto di blocco con un militare che vi avrebbe gentilmente invitato a tornare indietro, informandovi che la strada era chiusa. Se tuttavia la vostra curiosità avesse prevalso, al prossimo posto di blocco vi avrebbero sparato. 8 km di strada piena di tornanti e in saliscendi, una finta fermata dismessa, un fitto bosco di pini artificiale… tutto questo per nascondere l’insediamento militare Černobyl’-2 e il suo Duga-3, un enorme radar costruito durante la guerra fredda per intercettare dei possibili missili americani, che però non è mai stato utilizzato formalmente in quanto non funzionava correttamente. Ora non è altro che un’enorme carcassa di metallo abbandonata al suo destino nel mezzo della foresta.

Siamo quindi tornati verso Černobyl’ città, dove abbiamo visitato un’esposizione con i macchinari utilizzati per ripulire il reattore 4, un monumento ai 500.000 liquidatori impiegati nelle operazioni di pulizia, e il monumento di benvenuto all’ingresso dell’abitato. Qui oggi vivono ancora poche centinaia di persone, che si alternano a turni di due settimane per prendersi cura della zona di esclusione. La nostra esperienza nell’area si è conclusa con due controlli per vedere se eravamo puliti dalle radiazioni; la nostra guida ci ha detto che in un anno di lavoro, nessuno è mai risultato negativo, e che sono quindi una mera fomalità.

Sulla strada del ritorno abbiamo misurato il totale delle radiazioni assorbite registrate dai nostri contatori Geiger nel corso della giornata. Siamo tutti risultati con livelli fra i 2 e i 4 microsievert, l’equivalente delle radiazioni assorbite in un volo aereo di 40–80 minuti… un terzo di quello che avremmo assorbito l’indomani. Le nostre guide hanno aggiunto che, se venissimo nella zona di esclusione ogni giorno, assorbiremmo molto meno di 10.000 microsievert all’anno… in paragone, un astronauta ne assorbe mediamente 80.000 in 365 giorni. Pensate che solo fare la panoramica ai denti vale 100 microsievert! In due ore siamo tornati a Kiev allo stesso punto di ritrovo della mattina, e ci sono stati consegnati i nostri certificati di visita.

Il bilancio del nostro tour a Černobyl’ è decisamente positivo. Le nostre guide Ada e Olena sono state estremamente preparate e competenti, nonché simpatiche e disponibili, e ogni momento della giornata è stato interessante. Abbiamo visitato tutto in totale sicurezza, e per il fatto che non ci fossero vetture o industrie in un raggio di 30 km nella zona di esclusione, abbiamo respirato aria relativamente pura! È un’esperienza che vorremmo entrambi ripetere, magari in un tour in più giorni, dato che la compagnia offre anche gite della durata di fino ai 5 giorni.

La nostra serata si è conclusa con una cena al ristorante Spotykach, che classificherei come un locale “vorrei ma non posso”: camerieri che ti versano l’acqua, piatti che strizzano l’occhio al fusion ucraino-giapponese, ma in fondo poca sostanza: porzioni piccole, cibo poco saporito e prezzi esorbitanti. Il momento più triste è stato quello del conto: abbiamo pagato con la carta, e ci è stato consegnato uno scontrino su cui c’era scritto, in inglese e a caratteri cubitali in grassetto, di dare la mancia in contanti al cameriere del 10% o del 15%, con tanto di somma esatta da dare in relazione al totale speso. Pensavo che la mancia fosse volontaria… oiboboi!

MARTEDÌ 10 SETTEMBRE

Abbiamo iniziato il nostro ultimo giorno a Kiev raggiungendo a piedi Piazza dell’Indipendenza, e quindi camminando fino alla Casa con le Chimere, un pittoresco edificio art nouveau di inizio Novecento situato davanti all’ufficio del Presidente ucraino caratterizzato da sculture di animali mitologici appollaiati sulle sue facciate e sul suo tetto. La casa è visitabile al suo interno solo attraverso un tour guidato prenotabile online che si svolge ogni sabato dalle 10 alle 13. Da lì abbiamo raggiunto, nella strada retrostante, la Casa di Cioccolato e la Casa Ikskjul’-Hil’denbanda, altri due edifici molto caratteristici situati l’uno accanto all’altro. La prima è anche visitabile internamente.

Abbiamo quindi preso un Uber fino al mercato di Petrivka, dove abbiamo comprato souvenir a buon prezzo, e siamo tornati in centro per un ultimo pranzo al Bud’mo, che si è nuovamente rivelato delizioso. Abbiamo parlato con un ingegnere del luogo che viene spesso qui a pranzare, e che ci ha confermato che questo è un ristorante autentico e molto amato dalle persone del luogo (eravamo infatti gli unici turisti in mezzo a lavoratori in pausa pranzo). Dopo aver lasciato tutte le quasi 200 hryven’ che ci erano rimaste alla nostra adorata cameriera in segno di gratitudine, abbiamo incontrato Vladimir davanti al nostro appartamento, e ci siamo diretti con lui all’aeroporto di Boryspil’. Siamo atterrati a Bergamo alle 19:30, già sentendo la nostalgia della cucina del Bud’mo.

CONSIDERAZIONI GENERALI

  • Comunicare in Ucraina non è sempre facile: l’inglese è poco diffuso, anche nelle grandi città, e se non sapete un po’ di russo o polacco, o almeno leggere il cirillico, incontrerete non poche difficoltà.
  • Nonostante sia un Paese in guerra fra Crimea e Donbass, nonché sotto costante minaccia dalla Russia, il clima è molto rilassato e tranquillo, e ci siamo sentiti al sicuro in tutti i luoghi e a tutte le ore. Hanno, del resto, un tasso di criminalità basso.
  • Come tutto l’Esteuropa, l’Ucraina è un Paese economico, anche se nonostante ricevano gli stipendi più bassi di tutta Europa (in media €260 al mese), è in generale più cara di altri Paesi dell’est che ho visitato come Macedonia o Bosnia ed Erzegovina.
  • Mentre L’viv riserva poche sorprese ad un viaggiatore che è stato nell’Europa centrale, Kiev è una città particolarissima: si trova in un limbo fra mondo occidentale ed ex Unione Sovietica, e questo si vede chiaramente nell’architettura e nel piano urbanistico. È un luogo dal grande fascino, e ammetto che per visitarla come si deve ci vuole almeno una settimana. Mi sono ripromesso di tornarci per visitare alcuni luoghi che non ho fatto in tempo a vedere.
  • Gli ucraini sono, come tutti gli altri popoli esteuropei che ho incontrato, molto sulle loro. Appaiono inizialmente come schivi, non cercano problemi, e non alzano la voce. Ho avuto una buona esperienza con le persone del luogo.
  • I trasporti pubblici sono molto efficienti e tentacolari, anche se noi abbiamo preferito usare gli Uber per risparmiare tempo, e anche visti i prezzi irrisori delle corse.
  • Da come si è potuto dedurre dal mio racconto, contrariamente alle credenze diffuse fra gli italiani in Ucraina si mangia davvero bene, e dopo una settimana non ho sentito la mancanza del cibo italiano… anzi, mi è mancato il cibo ucraino una volta tornato in patria, tanto che sono andato a comprare l’aneto, che loro accompagnano ad ogni pietanza!
  • Tutti i nomi ucraini in questo diario di viaggio sono stati traslitterati dal cirillico secondo le regole vigenti nella lingua italiana; se leggete quindi un articolo in altre lingue, o l’articolo di un italiano che non sa traslitterare, troverete spelling leggermente diversi.
  • In aereo, sia all’andata che al ritorno, eravamo quasi gli unici italiani, sintomo del fatto che l’Ucraina, nonostante la sua immensa bellezza, non sia neanche remotamente considerata come meta turistica dai più. Spero che questo mio racconto abbia invogliato alcuni di voi ad aggiungerla alla lista dei desideri per i prossimi viaggi!
Guarda la gallery
cultura-q8dpn

Il Pečers'ka Lavra di Kiev visto dal campanile

cultura-9gm2w

Il Monastero di San Michele a Kiev

cultura-js6dr

L'viv vista dalla torre del municipio

cultura-mgxw6

La statua della Madre Patria a Kiev

cultura-6jg64

Il radar sovietico in rovina Duga-3 a Černobyl'



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche

    Video Itinerari