Panama, Yandup, San Blas, Guna Yala
Premessa
Abbiamo voglia di una meta di nicchia su spiagge non battute. Contatto Emanuele Rotolo del tour operator on line Islands Guru che tratta poche e sceltissime destinazioni e con il quale avevo già viaggiato per raggiungere Los Roques e Laccadive. Mi propone l’Oceano panamense e preventiva soluzioni in base al periodo scelto, alla disponibilità dei voli interni e delle strutture. È così che vengo a conoscenza dell’esclusivo arcipelago Guna Yala (noto col nome San Blas).
Indice dei contenuti
La vacanza di 10 giorni sarà così strutturata. Le prime due notti e l’ultimo paio a Panama e le restanti 5 sull’isola di Yandup. Io acquisterò solo i voli internazionali e lui mi fornirà un pacchetto che mi consentirà di vivere in libertà e organizzare come meglio credo il tempo nella capitale, mi assicurerà il volato interno, i trasferimenti e il relax in un Lodge confortevole con formula di pensione completa e due escursioni giornaliere in barca nelle isole limitrofe la mattina e di conoscenza del territorio e dell’etnia il pomeriggio.
Diario di viaggio
17 maggio 2019 – 1° Giorno: ROMA FCO – PANAMA (via Madrid)
Partiamo da Fiumicino col volo Iberia delle 7,40 acquistato on line sul sito della compagnia un mesetto prima (€ 460 a p. A/R via Madrid). Conveniente sarà la tariffa con solo bagaglio a mano dalle dimensioni stabilite (cm 56x45x25), dal limite del litro di liquidi in contenitori di massimo 100ml l’uno, ma dal peso non imposto (il nostro sarà di circa kg 10 l’uno). Pochi minuti prima di salire sull’aeromobile ci dicono che non c’è posto per i bagagli a mano per cui ce li imbarcheranno in stiva e faranno trovare direttamente a Panama (bene, avremo le mani più libere durante lo scalo… a saperlo prima!).
Durante le 2 ore e mezza di volo nessun drink e la sosta a Madrid sarà di un’ora e mezza.
Alle 11,50 decolliamo per Panama e nel corso delle 11 ore di volato consumeremo un pranzo (polpette con verdure, insalatina e dolce alla cannella) e una merenda (sandwich con prosciutto cotto e formaggio).
Atterriamo alle 15,40, ora locale, in Italia sono ancora le 8,40 di mattina, il fuso orario è di 7 ore.
Ci accoglie, all’aeroporto Tocumen, Oscar con un cartello in mano e, con un taxi privato, in una ventina di minuti arriviamo all’Hotel Eurostar.
La stanza che ci viene assegnata (n. 1905) è un po’ retrò, forse lussuosa all’epoca, con moquette marrone/oro e fornita di minibar, wi-fi gratuito, TV a schermo piatto, scrivania con poltroncina e un sofà ai piedi del letto.
Nel bagno il set di cortesia con diversi prodottini (shampoo, bagno schiuma, crema per il corpo e saponetta). Il phon lo forniranno su richiesta.
Siamo nel centro della città, nella zona di Bella Vista, vicino al quartiere finanziario.
La voglia di scoprirla e di organizzare un tour completo per domani è tanta ma siamo stanchissimi e ci limitiamo a un giro per l’isolato alla ricerca di un ristorantino.
Prima di partire mi ero informata sulla moneta locale ovvero sul balboa panamense che prende il nome dall’esploratore spagnolo Vasco Núñez de Balboa. Un PAB è uguale a 0,89€ e ha lo stesso valore del dollaro statunitense che accettano ovunque da più di cent’anni e più precisamente dal 1904, un anno dopo che il paese si separò dalla Colombia ottenendo l’indipendenza. Abbiamo portato dollari dall’Italia per cui non sarà necessario effettuare alcun cambio ma, quando faremo acquisti, il resto spesso ci verrà dato in monete pab.
La capitale, di un milione e 300 mila abitanti (in tutto il paese sono 4 milioni), ci si presenta dinamica – rispetto ad altre visitate in America Latina – con casinò, centinaia di grattacieli e traffico oggi congestionato probabilmente anche dalla pioggia.
Ceniamo proprio sotto l’hotel a Las Paisas Mis Carnes (100% colombiana), un mini chiosco semi all’aperto dove su un unico piatto di ghisa ci servono carne e pollo alla piastra accompagnati da patatine novelle, due mini gallette di mais e una bananina arrostita. Compresa una lattina di coca cola spendiamo 20$.
Rientriamo all’Eurostars, ci affacciamo al centro benessere al 6° piano completo di bagno turco, vasca idromassaggio, sauna e palestra. Poi saliamo al 27° dove nella piccola piscina sulla terrazza, dalla quale si gode un bel panorama, si rilassano una decina di ragazze che capiamo festeggeranno un addio al nubilato. Al piano terra, in un’area adiacente la Lobby, il Casinò aperto h24.
Piuttosto provati dal lungo viaggio andiamo a nanna.
18 maggio 2019 – 2° Giorno: PANAMA CITY – CANALE – CASCO VIEJO O BARRIO ANTIGUO – MERCATO DE MARISCO
Di buon’ora ci tuffiamo nel buffet allestito al 26° piano presso il panoramico Ristorante Butterfly con cibo abbondante, variegato e delizioso. Vasta scelta di pane da accompagnare a salumi, formaggi, differenti tipi di dolci, cereali e poi l’angolo delle uova con cottura a piacere, squisita frutta (ananas, papaya, melone, anguria e mele), yogurt e macchinetta per caffè/cappuccini oltre a tea e a succhi freschi.
In Italia avevo cercato on line qualche City tour ma le cifre, per escursioni dalle 9 alle 15, comprensive di pranzo, si aggiravano intorno ai 250€ a coppia, un prezzo astronomico. Decidiamo di girarla, per darci un’idea di quanto sia grande e di cosa esattamente ci interessi approfondire, sul City Sightseeing (citytourspanama.com), il noto bus a due piani presente in molte capitali.
Il biglietto, che include una cartina con le fermate nei punti chiave dove si può scendere e risalire secondo precisi orari, lo acquisteremo presso il Balboa Boutiques Strip Mall, Ave Balboa a un quarto d’ora a piedi dall’hotel al costo di $ 31 a persona per 24 ore.
Come prima tappa, scendendo alla fermata Esclusas de Miraflores, un must: il Canal de Panamá ($ 20 a p. h. 8-18 – micanaldepanama.com), una grandiosa “scorciatoia” che collega l’Atlantico al Pacifico e dalla struttura ingegneristica spettacolare. Affascinati ammiriamo il grande lavoro iniziato dai francesi e ancora in evoluzione. Non riusciamo a vedere le enormi navi che trasportano container passando attraverso le chiuse; ci dicono che una è transitata un paio d’ore prima (alle 9-9,30) e una si scorgerà fra un paio d’ore (alle 15-15,30). All’interno del centro visitatori un museo interessante e una saletta cinema per la proiezione – di una decina di minuti – di un documentario sull’importanza dell’acqua e un negozietto piuttosto caro.
Finiamo la visita di quest’opera (144 rotte marittime tra 1400 porti di 160 paesi) in un’oretta, ma ne dovremo aspettare un’altra per la pausa pranzo degli autisti del bus che salta la corsa (normalmente passa ogni 90 minuti). Alle 14 siamo di nuovo sul bagnatissimo Sightseeing (c’è posto al piano superiore) e tra una spruzzata e l’altra riusciamo a vedere lo stadio Maracana, Isla Flamenco e Isla Perico, nuovissime zone piene di ristoranti e pensate sia per chi ama camminare o biciclettare su lingue di strada asfaltata, sia per bambini, famiglie e romantici.
Non scendiamo a visitare il Biomuseo o Museo della biodiversità dalle numerose tettoie dai colori della fauna, della flora e che ricordano degli origami. Fu il primo progetto, realizzato in una decina d’anni, dell’architetto canadese Frank Owen Gehry in America latina. L’impatto visivo è inaspettato e molte guide lo consigliano per capire la storia naturale e culturale del Paese e di come l’ascesa dell’istmo abbia cambiato il mondo (Panama: Ponte di vita).
Causa pioggia battente, mancanza di tempo e rallentamento per il traffico, riusciamo a scendere solo a una seconda fermata presso lo storico quartiere coloniale di Casco o Barrio Antiguo (di fine seicento e Patrimonio dell’umanità dal 1997, la quale architettura ricorda l’Avana e la cui costruzione meglio preservata è Casa Gòngora). Nella penombra più totale (per i temporali è saltata la corrente in tutta l’area) percorriamo le strade acciottolate, aggiriamo le costruzioni piantonate da militari (Palacio de la Garzas, sede della Presidenza della Repubblica dalla numerosa presenza di aironi) e – seguendo le indicazioni di una piantina pedonale – scattiamo una foto ai seguenti luoghi di interesse: Teatro Nazionale, Chiesa di San Francesco d’Assisi, Palazzo Bolivar, Oratorio di San Filippo Neri, Piazza Indipendenza, Basilica di Santa Maria La Antigua e Palazzo Municipale.
Entriamo nel Museo del Canale Interoceanico di Panama per vedere esibirsi giovani di varie comunità in balli con vestiti tradizionali. Presso un rivenditore di tutto acquistiamo uno strepitoso mango (0,50$) e un gigantesco avocado (1,50$) che mangeremo in stanza.
Rientriamo in hotel e ci prepariamo per la partenza di domani con destinazione mare.
Emanuele dell’agenzia italiana, nonostante il fuso orario, ci manda whatsapp per informarsi sul nostro arrivo e per assicurarsi/ci che tutti i trasferimenti siano puntuali. È un gesto che non sempre i tour operator fanno e ci fa piacere.
19 maggio 2019 – 3° Giorno: PANAMA – PLAYON CHICO – YANDUP – DIADUP
Check-out all’alba (colazione minima in box: una mela, uno yogurt, un panino con salumi e una bottiglietta d’acqua) e, con un taxi privato, alle 4,30, transfert all’Aeroporto internazionale (il secondo per importanza dopo quello di Tocumen) Marcos A. Gelalbert (Albrook) per il volo Air Panama 7P 0411 delle ore 6.
È tutto buio, sembra un aeroporto fantasma. Alle 5,15 arrivano un paio di persone ad aprire il check-in. Pesano prima i nostri bagagli apponendo una targhetta con su scritti i rispettivi kg (9 e 10), poi fanno salire sulla bilancia anche noi per sommarne il peso.
Alle 5,45 vediamo arrivare un CESSNA a 12 posti e pochi minuti dopo ci saliamo su. Abbiamo i sedili dietro i due piloti e siamo in 9. La distanza da percorrere è di circa km 150 in 45 minuti, ma prima di arrivare a destinazione, atterriamo ad Achutupo per far scendere 6 persone. Ridecolliamo divertiti e continuiamo ad ammirare dall’alto la fitta giungla della terra ferma e le isolette sporadiche in mezzo all’Oceano. Giungiamo eccitati a Playon Chico dove ad aspettarci troviamo Domi (Dominique) e Tomas due cordiali ragazzi che, con una barca, in una decina di minuti ci faranno approdare a Yandup Island.
L’isolotto, il cui significato è Isola dei Cinghiali (presenti tanto tempo fa, ora in cattività nelle montagne della main land) è piccolino e abitato unicamente dal personale e dagli ospiti del Lodge Resort. Vi sono 10 Cabañas molto spaziose e confortevoli di cui 4 fronte mare sul curatissimo prato all’inglese e 6 overwater.
La nostra Morbeb=paguro è una palafitta sul mare, super ecologica, con un letto matrimoniale comodo, un lettino, uno scaffale di bambù su cui sistemare e appendere qualche vestito, un balconcino per tutto il perimetro della tondeggiante abitazione dove dondolare sulle due amache colorate e robuste. All’interno il bagno privato, doccia, un lavabo, uno specchio, una saponetta, uno shampoo e tre asciugamani. L’acqua è a temperatura ambiente; no wi-fi, no tv… tutto è essenziale e per la location perfetto così.
Pochissimi minuti e ci servono una ricca colazione (dalle 7 alle 8): due mini frittelle di mais, uovo strapazzato, formaggio primo sale, yogurt naturale, cereali, tea o caffè con latte.
Saremo gli unici ospiti dal momento in cui è in partenza una coppia di spagnoli rimasti qui tre giorni.
Ci viene illustrata la giornata tipo. Ogni mattina troveremo scritta su una lavagnetta l’escursione delle 9,30 in isolette disabitate dove stare un paio d’ore per mere attività balneari. Alle 13 puntuali verrà servito il pranzo, alle 15,30 si ripartirà per un tour di ulteriori due ore per conoscere il territorio e le sue tradizioni; alle 18 spaccate si cenerà.
Tranne che per la colazione, ogni appuntamento sarà annunciato da un suono cupo simile a quello che precede la partenza di una nave, ma emesso in maniera più naturale: qualcuno, dal centro dell’isola, soffierà dentro un’enorme conchiglia!
Ci spalmiamo una buona dose di protezione solare, indossiamo il costume, infradito e con due teli da mare forniti dal Resort siamo nuovamente sulla barca in direzione Diadup ovvero isola del pozzo. Il tempo non è dei migliori, il cielo è coperto, pioviccica e solo per una decina di minuti riusciamo a vedere il colore dell’acqua limpida e calda che ci vede comunque immersi. L’isola non è percorribile ovunque (una parte è rocciosa, l’altra inospitale), ma a noi interessa la spiaggetta di sabbia bianca sulla quale adagiamo grosse conchiglie abitate da giganteschi molluschi. Una in particolare è impressionate, tira fuori la testa a forma di occhio e ci ricorda ET.
A mezzogiorno salpiamo, alla mezza siamo in stanza per una veloce doccia con acqua dolce a temperatura ambiente e al richiamo a tavola. Anche il menu giornaliero viene scritto su una lavagnetta per cui sapremo cosa ci spetta: mix di vegetali, pescato del giorno con patate, carote e anguria. Le porzioni non sono abbondanti, ma i prodotti freschi e cucinati a modo. A pagamento tutte le bibite tranne l’acqua liscia in caraffa ricaricabile da un bottiglione al centro del ristorante. Le bevande, c’è da dire, non hanno costi esorbitanti: bottiglietta d’acqua naturale € 1,50, minerale € 3, soft drinks € 1,75, birra nazionale € 2, Corona € 3, vino € 5 al bicchiere o 20 € la bottiglia.
Nel pomeriggio la gita sarà alla comunidad Ukupseni di 3000 persone che vive in circa 300 case a Playon Chico che significa piccola spiaggia. Mentre Domi ci farà da guida raccontandoci un po’ la storia, le tradizioni, le abitudini del suo popolo, potremo fare videoriprese o foto al villaggio, ma non direttamente alle persone senza chiedere loro il permesso o senza sganciare $ 1.
L’arcipelago Guna Yala conta circa quattrocento isole di cui 40 abitate dalle etnie Kuna (9 vivono sulla costa) che le gestiscono completamente. Il nome originario, ma ancora usato da noi turisti, soprattutto per quelle più vicine a Panama, è San Blas dove le sistemazioni sono in pochi isolotti puntellati, come il nostro, da palme da cocco. A volte le capanne di paglia più a buon mercato hanno, quale pavimento, direttamente il terreno o la sabbia e i bagni sono in comune. Lì lo spirito di adattamento deve essere maggiore e, se è pur vero che il mare è sempre lo stesso o comunque bello, consiglio l’alloggio meno spartano per 4 notti. Le 49 comunità Kuna si dedicano prevalentemente alla pesca, all’agricoltura, all’allevamento e al commercio di cocco con la vicina Colombia (dalle 8 alle 16 arrivano barche colombiane e lo scambio ha regole scritte e severe).
Quanti sono i bimbi che riempiono le strade! D’altronde ci si sposa nemmeno maggiorenni e si hanno circa 7-8 figli. Ragazzi di tutte le età praticano sport all’aperto; prevalentemente basket, calcio e pallavolo e li vediamo giocare, allegri, chiassosi e vestiti all’occidentale.
A scuola vanno in diversi turni, è completamente gratuita e l’unico costo lo hanno le divise di differenti colori secondo la classe frequentata (camicia bianca e gonna/pantalone blu o rossa, camicia celeste, completo beige…).
In mezzo alla via principale (nessuna strada ha un nome) il Centro de Salud con un medico locale e uno panamense prevalentemente esperti in pediatria e ostetricia.
Molte donne indossano abiti tradizionali: Mola ovvero una gonna avvolta con motivi (saburet), un foulard rosso e giallo (musue), delle perline per braccia e gambe (wini), le più anziane un anello in oro al naso (olasu) e degli orecchini.
Tante le venditrici di prodotti coloratissimi, braccialetti, ceramiche, oggetti scolpiti in legno o di carta, maschere, bambole di pezza e i famosi molas ovvero ritagli di tessuto dalle differenti misure, super colorati e cuciti assieme su una pezza più ampia. Ci fermiamo davanti il banchetto della moglie della nostra guida che ci concede una foto davanti la sua merce.
Su molte abitazioni sventola la bandiera del Partito Rivoluzionario Democratico dal momento in cui, dopo dieci anni, il 6 maggio scorso è stato eletto Presidente Laurentino Cortizo.
Un ponte di circa 300 mt, costruito 17 anni fa, collega Playon Chico alla terra ferma dove si trova la mini pista d’atterraggio.
La cena di oggi: crema di pomodoro, polpa di granchio con riso al cocco e quadrucci di ciambellone nel latte dolce.
20 maggio 2019 – 4° Giorno: ARIDUP e MANGROVIE
Colazione con frullato di papaya, yogurt, uova e formaggio fresco.
Alle 9,30 partiamo per Aridup ovvero Isola delle Iguane per raggiungere la quale impieghiamo una mezz’ora.
È la classica isoletta deserta con palme di differenti dimensioni, su un lato più sabbiosa e sull’altro più rocciosa con presenza di piccoli polpi gialli, spugne di mare, granchi, ricci e banchi di pescetti. Il cielo è coperto e il suo grigiore contrasta con il turchino delle piccole insenature dove l’acqua è trasparente. Dopo un giretto esplorativo durante il quale non avvistiamo nessuna iguana (non è questo il periodo) ci immergiamo nella tiepida acqua ma rinfreschiamo ogni qualvolta da una nuvoletta passeggera scenderà la pioggerellina.
Il lunch delle 13 oggi offre: insalata mediterranea (pomodoro, olive, cetriolo e lattuga), il pesce Ua/Jurel alla griglia, frutto del pane (una grossa patata a spicchi meno saporita) e mini fettine di ananas.
I piccoli rovesci continui non ci scoraggiano, indossiamo sul costume il k-way e alle 15,30 in barca con Domi ci dirigiamo verso la zona delle mangrovie. Il paesaggio è surreale, tanti canali in mezzo a radici rosse di questi alberi preziosi per l’utilizzo sia delle foglie sia dei rami. Numerosi sono gli animali che si nascondono, primi fra tutti gli alligatori e poi diversi tipi di uccelli. Non riusciamo a vedere un granché; sostare con la barca dopo un po’ diventa insopportabile per gli insetti e le zanzare che, nonostante i repellenti a gogò, ci circondano e riempiono di pizzichi.
Nel rientrare alla base vediamo un paio di volte i delfini, e poi stelle marine giganti rosse e arancioni oltre a pesci e ricci.
Il tempo di cambiarci e la dinner è servita: vellutata di zucca (Calabasa o Moe), aragostine (tulup) alla piastra, polpette di patate e un’arancia.
Verso le 18,30 assistiamo sia alla quotidiana migrazione di migliaia di Colondrine su un’isoletta di fronte, sia – fortuna delle fortune – al tramonto che colora di rosso le nuvole.
Ci fermiamo a chiacchierare lungamente con Beatriz, la proprietaria del Lodge, del progetto di una discarica che però non va in porto per la mancanza di fondi; dell’inesistente collegamento telefonico per la pioggia di questi giorni, ma della presenza di due telefoni pubblici a Playon Chico qualora ci fosse un’emergenza; della non chiusura in nessun periodo dell’anno della sua struttura, se non per manutenzione e solo per qualche giorno; del suo alternarsi con il marito e i tre figli qui e nella sede a Panama… e di tanto altro.
21 maggio 2019 – 5° Giorno: KIRGIDUP o DUPIR e CIMITERO Kuna
Questa notte ha piovuto meno e, a prescindere, dormire cullati dal frangersi delle onde sotto la capanna è troppo bello.
Colazioniamo con due ottimi pancake sui quali un dolce sciroppo e alle 9,30 prontissimi per la vicina Kirgidup o Durip (Isola dei Pellicani) che nel mese di settembre la abitano nutrendosi della gran quantità di sardine presente in quel periodo.
Sulla piccola e disabitata isola sono collocate diverse capanne attrezzate per chi decide di trascorrervi una notte. Sotto la Dreames Palace sono appese numerose amache a mo’ di ostello dormitorio, sotto una vasta copertura in canne di bambù una lunga tavolata con due panche, due taniche d’acqua e una cucina a gas. E poi una cabaña fronte mare con specchio e due piccoline per bagno e doccia. Domi ci spiega che ci vengono soprattutto backpakers con zaino in spalla, voglia di avventura e in transito. Belle le tracce di falò e orribili i mozziconi di sigarette e altra pattumiera qua e là che raccolgo e butto in un grosso cesto.
Facciamo il giro dell’isolotto in una mezz’oretta notando nella parte più scogliosa la presenza di ricci, molluschi, granchi, pesciolini, stelle marine… Su quella sabbiosa, che preferiamo, stiamo lungamente; non ci curiamo del mal tempo che ci perseguita e come bimbi rincorriamo banchi velocissimi di pescetti color sabbia. Sotto la pioggia freddina l’acqua cristallina la sentiamo ancora più calda. A intermittenza con qualche raggio di sole tiriamo fuori cellulare e videocamera per scattare foto e filmare il paesaggio.
Dopo le solite paio d’ore rientriamo per il pranzo che oggi prevede insalata di verza rossa, carote e mezzo uovo sodo, filetto di Jurel/Ua panato, chips di platano, carote lesse e mini porzione di anguria. Tutto è gustoso e cucinato con dedizione da Andreina con la quale a ogni fine pasto scambio sempre due parole correggendo ciò che è stato scritto la mattina sulla lavagna (spesso indicativo e poco preciso), traducendolo in inglese/italiano e rappresentandolo da disegnini. È il momento in cui tutti impariamo qualcosa. E poi ho carta bianca anche perché continuiamo ad essere gli unici ospiti del villaggio!
Alle 15,30 partiamo per la terra ferma dove si colloca il cimitero dei Kuna. Il prezioso consiglio è quello di indossare pantaloni/fuseaux lunghi, scarpe chiuse e repellente sempre in abbondanza.
Su una collinetta i defunti vengono adagiati prima su un’amaca (il simbolo del popolo che li vede crescere, copulare, dormire e riposare per sempre) e poi sotterrati in una fossa di un paio di metri ricoperta da una montagnetta di sabbia che ricorda il grembo di una madre (i Kuna hanno due madri, quella biologica che li mette al mondo e quella naturale che li riceve a fine vita). Vengono seppelliti con una borsetta che racchiude alcuni indumenti, la miniatura di una canoa di legno (ogni famiglia ne possiede almeno una) e un cordone bianco e rosso, i colori dell’unione della coppia fertile (sperma e ciclo mestruale). Le gote del defunto verranno colorate di rosso, segno della lotta per la difesa del territorio e della fatica di una vita lavorativa. La mattina è usanza delle donne venire a portare un omaggio (non fiori ma frutta, caffè…), a cullarsi su amache posizionate nell’area spettante alla famiglia e a chiacchierare con il deceduto o tra vedove. L’aspettativa di vita è di 90 anni per le femmine e 85 per i maschi. Le cunette non hanno indicazione dei nomi o delle date, ognuno sa quale è la zona spettante e chi la occupa. Alcune sono ricoperte da buste, altre da plaid, da teli, da tetti di paglia, di lamiera… altre da nulla e l’attenzione da fare è massima perché si rischia non poche volte di calpestarle.
Stasera la cena non riesce un granché. Insapore la vellutata di Chayote (un vegetale verde bitorzoluto incrocio tra la zucchina e il cetriolo) e quasi immangiabili gli spaghetti con vongole affogate in un soffritto di burro, cipolla e peperoni verdi! Il mio boy non si sforza di ingerirli, io spazzolo entrambi i piatti per pura fame. Cercando di non offenderla, a cena conclusa, scrivo in inglese e disegno alla cucinera, per la prossima volta, gli ingredienti giusti: olio, aglio e peperoncino. Lei ride di cuore coprendo la bocca dai 31 denti mentre le spiego che sono un’italiana poco nostalgica, all’estero, dei sapori della mia terra (che gusterò una volta atterrata a Fiumicino) e molto curiosa dei prodotti locali!
Rientrando in stanza nessuna nostalgia di tv, wi-fi, aria condizionata, phon o acqua calda ma un pochino quella della voce della mia famiglia. Sapevo che la linea telefonica ci sarebbe stata… e invece nessuna connessione ad alcuna rete per il problema delle piogge incessanti. Pazienza, li avevo avvisati e recupererò raccontando loro ogni minimo particolare di quest’avventura che ci ha visti indossare infradito e costume per l’80% della giornata.
22 maggio 2019 – 6° Giorno: CASCADA SAIBARMAI – RIO TIGUARDUMAN
Durante la colazione, che oggi prevede spremuta d’arancia, uova ad occhio di bue, pane e marmellata e servita con grazia dalla profumatissima Enolia e/o dalla professionale Ibeth, Domi ci consiglia di approfittare del tempo stabile per andare a fare la gita alla Cascata Saibarmai.
Alle 8,30 iniziamo, sulla terra ferma, la scarpinata di un’ora e mezza tra la fitta vegetazione della giungla per i tre chilometri che ci separano dalla fonte primaria di acqua dolce della comunità. Ogni tanto un pit-stop per la spiegazione delle tradizioni locali e degli innumerevoli alberi da frutto sotto i quali passiamo.
Apprendiamo che il mango è maturo dal mese di giugno ma già ne troviamo diversi per terra che Domi raccoglie e insieme mangiamo all’istante (non il mio boy che li vorrebbe lavati e sbucciati… è troppo poco selvaggio)! Ci soffermiamo sotto quelli della papaya, dell’avocado (a marzo), dei caju (a febbraio e faccio la macabra scoperta che non ne ricavano, dal picciòlo, i preziosi e da me super consumati anacardi)! Mini soste davanti le piante di cioccolato, di caffè… e le migliaia palme da cocco, di banane (mature a giugno e a luglio quando diventano più grandi e dolci, ma ne gustiamo una piccina che comunque ci piace). Camminiamo sui ricci delle castagne e prendiamo nota di fusti endemici: Maria o ice bean green (esteticamente simile a enormi carrube, ma con semi ricoperti di polpa bianca e maturi a marzo); di piante medicinali come la guanabana per problemi intestinali; di fiori ornamentali tipo il caiadutu o del bacio la cui corolla somiglia a due labbra rosse o l’elicottero perché ruota come un’elica quando si stacca. A un grosso ramo sono appese palle simili a mega pomodori tondi e lisci, ma sono le calabasa utilizzate per realizzare strumenti come le maracas.
Davanti un tronco spezzato dell’albero di espabé, c’è una canoa che, quando possibile, qualcuno del villaggio viene a costruire con questo legno molto robusto e così pesante che occorreranno minimo 10 kuna per trascinarla al villaggio.
Il sentiero è attraversato velocissimamente sia da enormi granchi di terra viola e arancioni che si nutrono di banane e cocchi, sia da lucertolone, sia da mini ranocchie (bronzo o marroni con una riga bianca sul dorso o nere e verdi); lentamente da lumache di terra che i Kuna non mangiano, mentre immobili sono i ragni velenosi.
Qua e là spuntano funghi dai mille colori e dalle forme più curiose, ma tutti non commestibili.
Attraversiamo tre fiumiciattoli immergendo le scarpe da ginnastica e metà pantaloni nell’acqua fresca, a volte limpida, a volte fangosa sulla quale vi sono scivolosissimi ciottoli e incrociamo le dita che il tempo mantenga.
Rientriamo per il pranzo dopo aver caricato, all’aeroporto, tre persone: una coppia di madrileni e una giovane inglese.
Anche oggi ce gusta l’Almuerzo: insalata di lattuga, pomodori, cipolle e mele, un Ua intero fritto, patate arrosto e papaya.
Alle 15,30 ci imbarchiamo per la navigazione del Rio Tiguarduman nel quale entriamo, con qualche difficoltà, dal mare. Il paesaggio è meraviglioso, di un verde intenso, peschiamo un gigantesco Robano e un megagalattico Pargo rosso.
Tanti gli uccelli che avvistiamo: tucani, gazze bianche, coloratissimi caiotero della roccia e addirittura enormi rapaci come il gabilan e il cara cara appollaiati indisturbati su altissimi e spogli tronchi.
Puntuale alle 18 l’ottima comida che prevede zuppa di pesce (passato di verdure aromatizzato al pesce), aragostine con pomodori e cipolle, riso al cocco e un’arancia.
All’improvviso i nostri cellulari emettono dei suoni: sono sms di chi ha tentato di telefonarci o, non vedendoci on-line su whatsapp, ce li ha inviati. Chiamo subito i miei che sento tranquilli perché consapevoli del mondo parallelo in cui stava la figlia e rispondo a Emanuele di Islands Guru scrivendogli che, a parte il meteo, che dipende da Madre Natura (d’altronde anche in Italia abbiamo lasciato un maggio che sembrava novembre), tutto procede splendidamente.
Il tramonto non si vede ma in compenso sotto i nostri piedi, tra le fessure delle tavole di legno che compongono il pavimento, ammiriamo un cicciottone pesce globo o riccio (palla o istrice).
Soddisfatti della giornata, clemente il meteo per tre quarti di essa, anche stasera mi trattengo ad insegnare qualche espressione e parola di italiano a Tomas (il nostro comunicare è un incrocio di lingue kuna/spagnolo/inglese/italiano) mentre il mio boy si va a rilassare così tanto in stanza che lo trovo in pieno sonno.
23 maggio 2019 – 7° Giorno: YANDUP ISLAND
Stanotte ha diluviato incessantemente, i lampi illuminavano la nostra capanna, tuoni fortissimi e raffiche di vento facevano sbattere le onde sotto la struttura ed entrare corrente tra i rami incrociati delle pareti. Abbiamo dormito a intermittenza sperando che si scatenasse tutto nelle ore notturne per poi splendere il sole.
E invece assolutamente no… la tormenta ci ha letteralmente tormentato per più di mezza giornata costringendoci a stare chiusi in cabaña fino all’ora di pranzo.
Sotto un grande ombrello e indossati i k-way corriamo a consumare la colazione: frittelle di mais, cereali, yogurt, uova ad occhio di bue, succo di maracuja, tea e caffè.
Dopo la gita di ieri, ammaliata dalle piante di cacao, avevo chiesto se potevo acquistarne le fave tostate, ma la risposta, dopo un passaparola tra la comunità, era stata “no” perché tutte già prenotate da aziende americane. Pazienza. Durante la breakfast, cosa mi giunge inaspettata ma molto gradita? Una tazza di cioccolata! Il sapore non è dei nostri, è più amara e la granella non si scioglie completamente nell’acqua bollente, ma ringraziando sentitamente, faccio un carico di energia e calorie indescrivibili.
Rintanati sotto le cabañe ne approfittiamo per fare le valigie, regalare un po’ di indumenti e miei effetti (braccialetti colorati, portafogli, portachiavi, cancelleria, shoppers…) al personale, che divertito se lo spartisce ringraziandomi per il pensiero e la generosità (probabilmente non accade mai sia perché il bagaglio deve avere un peso contenuto e chi arriva porta lo stretto necessario, sia perché in effetti non stiamo in mezzo a gente bisognosa, ma solo curiosa di avere un qualcosa che in commercio non si trovi).
Giunge l’ora del pranzo: mix di vegetali bolliti, due tranci di delicatissimo pesce pargo negro, yuca (tra la patata e la castagna) e mini fette d’ananas.
La gita pomeridiana è nuovamente al villaggio di Playon Chico, dove decidiamo di non andare. Rimaniamo tre orette nella piccola spiaggia dell’isola, il cielo è coperto ma l’acqua è bollente e restiamo immersi a tirare le somme sul soggiorno e non immaginando che, nel frattempo, anche qui i mosquitos della sabbia umida, senza che ce ne accorgiamo, ci pizzicheranno nuovamente ovunque!
Sicuramente ci siamo rilassati lontano dalla moderna vita frenetica (non abbiamo la minima idea di cosa sia accaduto nel frattempo nell’intero pianeta) ma certo le agognate attività balneari nelle limpide acque turchesi che sognavamo non si sono realizzate appieno.
Rientrano gli altri tre turisti dalla gita alla comunità degli Ukupseni e Tomas mi consegna il cocco che gli avevo commissionato per $ 1. È ricco di acqua frizzantina e la polpa mediamente consistente. Mi aveva detto che quello della sua isola era più buono di quello da me acquistato nei giorni precedenti su questa… ma a me sembra identico.
Una rapida doccia ed è già ora di cena: vellutata di vegetali, polpa di granchio con patate e melone.
Stanotte sui 100 pizzichi di insetti proverò a mettere una crema antistaminica gentilmente offerta dalla signora madrilena (le devo proprio aver fatto pena) che esclamando “Santa Madre de Dios” me la apre davanti e consegna.
24 maggio 2019 – 8° Giorno: YANDUP – PANAMA
Con un po’ di nostalgia scrivo una più che positiva recensione sul libro degli ospiti ringraziando Beatriz (partita due giorni fa per assistere al matrimonio della figlia) e menzionando interamente il suo staff per l’indimenticabile soggiorno durante il quale, assecondando i ritmi di madre natura, abbiamo riscoperto l’importanza del tempo, del rapporto umano e con noi stessi.
Oggi il sole splende ed è veramente un peccato aver ammirato le gradazioni di turchese solo in sporadici momenti. Sapevamo che il periodo migliore per Panama e costa del Pacifico sarebbe stato quello corrispondente alla stagione secca in cui nella capitale e in queste zone si registrano scarse precipitazioni, ma avevamo le ferie in questo periodo…
Ma guardiamo il bicchiere mezzo pieno. Se fossimo venuti un mesetto prima, avremmo trovato sicuramente più turisti, non avremmo avuto l’onore di vivere in esclusiva l’isola, di relazionarci con il team, dei tour più che individuali. E allora è andata bene e a chi pensa che due giorni bastano… rispondo e ne consiglio quattro!
Lasciamo la struttura dopo la colazione delle 7: pane, uova, cereali, yogurt e una mela. Baci e abbracci (solo con la sottoscritta… quale onore!) con le tre donne kuna nel ristorante che ridono a crepapelle fino a tossire e a strozzarsi alle mie battute che comprendono solo dai miei gesti. Ci si imbarca per la micro pista con un’ora di ritardo rispetto a quella prevista dall’iniziale piano voli.
Il check-in è molto curioso. Un gabbiotto di cemento viene aperto dopo una mezz’ora da un vecchietto e da una signora che ci consegna un foglio da compilare con nome, cognome, numero di passaporto, nazionalità, il peso nostro e delle valigie. La bilancia è incredibilmente retrò, con i pesi arrugginiti e secondo me poco precisa visto che in 5 giorni dovrei aver preso 5 kg! Sono interessata a sapere quanto effettivamente erano le indicazioni per i bagagli, visto che alla signora madrilena avevano detto 14kg e a me 7kg a persona. La risposta? Nessuno lo può sapere se non il pilota dopo aver fatto un conteggio con il carico del momento. Ci chiediamo cosa avrebbero lasciato a terra qualora avessimo ecceduto… ma non sarà un nostro problema.
Il volo porta altro ritardo e rientriamo a Yandup per qualche ora.
Ci rilassiamo nella zona ristorante e affacciati al tronco che fa da balaustra, grazie alla giornata soleggiata riusciamo ad avvistare una molteplicità di pesci colorati, variegati e anche tante meduse bianche, assolutamente innocue e non pericolose come quelle rosse che non ci sono.
Nuovamente in barca raggiungiamo il gabbiotto dove avevamo lasciato i bagagli. Questa volta si parte davvero con un Cessna a 6 posti!
Alle 11,30, sorvoliamo il cristallino mare, la fitta foresta, fiumi e isole verdi che sembrano pezzi di puzzle fino ad avvistare i grattacieli di Panama.
All’aeroporto Marcos A. Gelalbert (Albrook) ci accoglie un altissimo autista che in una ventina di minuti ci trasferisce al Best Western Plus Panama Zen.
Ci assegnano la stanza n. 501 arredata in stile contemporaneo, con minibar, TV 40 pollici, aria condizionata, macchinetta del caffè, bottiglietta d’acqua, cassaforte e scrivania. Il bagno è accessoriato con asciugacapelli e set di cortesia e ne approfitto per fare una lunga doccia con acqua calda.
Curiosiamo nel centro fitness aperto h24, diamo un’occhiata alla piscina a sfioro e al bar sulla terrazza al 16° e ultimo piano con una vista panoramica da film.
Siamo, anche questa volta, in un’ottima posizione, a soli 5 minuti a piedi dalla fermata della metro Argentina di Vía España – la prima metropolitana dell’America Centrale – che decidiamo di prendere per raggiungere il Mercado de Marisco e il Barrio Antiguo. Dobbiamo acquistare una carta ($ 2) che poi ricaricheremo secondo quante volte necessiteremo di prendere i mezzi pubblici. Ogni tratta della metro costa 0,35 cent. Ci mettiamo una prima volta 2 $ per l’andata e il ritorno.
Scendiamo dopo pochi minuti alla fermata 5 de Mayo e ci ritroviamo in mezzo al caos e allo smog tra centinaia di persone e di auto. Decine i barbieri in piena attività in negozi su strada semi aperti e dalla musica a palla. Raggiungiamo il Mercado de Marisco e facciamo un giro tra gli ordinati banchi ricchi di pesce fresco di ogni qualità e di dimensioni gigantesche (granchi, aragoste, gamberoni, tonni, pargo…).
Inizia poi la parte in cui, sotto un’ampia tettoia, numerosissimi ristoratori attirano la nostra attenzione proponendo i piatti più convenienti, mostrando foto sui moderni cellulari, sui menu in inglese e spagnolo… C’è chi regala una birra, chi un assaggio di pesce marinato, chi non fa pagare il servizio… Dopo i primi tre cediamo all’insistente invito di un cameriere e ci accomodiamo da Aquì si hay poder. Ordiniamo ceviche di gamberi (ciotolina di freschi e crudi camarones con tanta cipolla e aceto); buoni calamari con patatine fritte; ottimo polpo con riso al cocco e fagioli; insalatina di pomodori e cetrioli. Ci rinfreschiamo sorseggiando due lattine di birra light nazionale. Saldiamo il conto di 28$ (aggiungono al totale di 25$ la mancia che scrivono sia volontaria ma fanno pagare) e piuttosto sazi e soddisfatti ci avventuriamo per una passeggiata tra le stradine della Old Town. Entriamo nella Chiesa di San Felipe davanti la quale si tiene una festa comunale di quartiere, compriamo una decina di calamite presso il negozio di souvenir Belleza de Panama dove ci sono accatastati pile dei famosi cappelli e scattiamo qualche foto a Piazza di Francia, all’Istituto nazionale di cultura, sede originale del Palazzo di giustizia, al Monumento al canale, ovvero a un obelisco sulla cui apice un gallo, respiriamo a pieni polmoni fronte mare sul Paseo Esteban Huertas in onore al generale che giocò un ruolo importante alla separazione dalla Colombia e riprendiamo la comoda metro.
All’interno dell’hotel conosciamo Graziano, un italiano che si occupa di escursioni e fa da tassista. Parliamo un po’ del suo trasferimento a Panama all’età di 4 anni dall’Abruzzo, del suo ritorno a Teramo dai parenti… e ci dispiace non scegliere lui quale accompagnatore per la gita che vogliamo fare domani… ma ha un costo decisamente più alto rispetto a un taxi ordinario (chiede $ 45 a tratta piuttosto che 25$).
C’è da dire che qui, se si prende un taxi al volo, è possibile che ci si trovi a condividerlo con altre persone. È per questo che molti scaricano l’App Uber o quella Indriver per lo stesso servizio. La prima offre un prezzo più abbattuto e il viaggio individuale, la seconda dà la possibilità al turista di proporre un prezzo, inviare la richiesta e vedere chi la accetta. La nostra proposta di un passaggio a 25$ dall’hotel a Gamboa riscuote moltissimo successo. Pagamento cash.
25 maggio 2019 – 9° Giorno: PANAMA – GAMBOA FOREST
La colazione del Best Western Zen offre ottimo cibo per tutti i gusti e di qualità. La musica rilassante ci fa godere in tutta pace e tranquillità l’inizio pieno di energia della giornata assaggiando anche prodotti che, durante la quotidianità, non avremmo mai mangiato (io zuppa bollente e densa di mais alla cannella).
Alle 8,30, più puntuale di un orologio svizzero, si presenta Cecilio Case, il tassista con il quale mi ero fermata a fare due chiacchiere contrattando il prezzo del trasferimento al Gamboa Rainforest Reserve Sloth Sanctuary ($ 25 a tratta, ovvero quanto gli autisti dell’App Indriver).
Attraversiamo mezza trafficata città di Panama finché non imbocchiamo una stradina in mezzo alla giungla dove gli occhi diventano verdi per la fitta vegetazione. Al Parco si accede dall’interno di un Resort elegantissimo e probabilmente costosissimo con più piscine, campi da tennis… ma dove, spaventata dall’umidità notturna e dalla presenza di zanzare, non credo alloggerei mai. Ci sono vari percorsi (aria, terra e mare) secondo ciò a cui si è più interessati che hanno durata e prezzi differenti. Scegliamo il combo “aria e terra” di due ore e mezzo dal costo di $ 53,50 a persona che inizierà alle 10,15 per terminare alle 12,45 (gli orari sono fissi sebbene siamo gli unici partecipanti). Con un pulmino ci trasferiscono ai piedi di una teleferica che sorvolerà la foresta nebulare a 280 piedi mt dal terreno. Con un’audioguida ben programmata ascoltiamo un’interessante spiegazione (inglese o spagnolo) e riviviamo i suoni degli abitanti (insetti, mammiferi, uccelli, rettili…). Non ne riusciamo ad avvistare molti dal momento in cui solitamente fanno capolino all’alba e in serata. Il panorama è suggestivo, alberi e piante si intrecciano e non lasciano un centimetro non sfruttato. A distanza ravvicinata ci si presentano un piccolo serpente, due grossi avvoltoi, gechi, iguane, uccelli colorati e buffi. Dopo la sorvolata facciamo un breve tragitto a piedi e saliamo su una torre di 30mt che offre un paesaggio a 360°. Da una parte abbiamo il Pacifico, il Lago Gatùn e l’Atlantico, dall’altra il Rio Chagres non enorme ma dal fondamentale apporto idrico e, collocate in mezzo alla fitta vegetazione, alcune capanne abitate dall’etnia Embera o Emberà i migliori fabbricanti di cesti del mondo con le foglie delle palme. Il tempo di scattare più di una foto e il raccontino finisce. Il pulmino ci riviene a prendere per affidarci a una guida che ci spiegherà 4 aree dedicate ai bradipi (ne vediamo tre curiosissimi tipi), alle farfalle, alle orchidee e alle ranocchie. Il tour termina senza che alcun insetto ci abbia punto, ma ci eravamo protetti piuttosto bene. Con Cecilio (affidabile omone, ex impiegato di banca, padre di tre figlie – cell. 67967420) torniamo in hotel per rinfrescarci non poco ($25).
Nel pomeriggio entriamo nella gotica Chiesa Nostra Signora del Carmen la cui prima pietra fu posta nel 1947. Belli il rosone interno e il mosaico artistico di 120 mq rivestito da un milione di pezzi di vetro e ceramica dalle 300 tonalità. Su un cartello sono elencate nove curiosità e freschi sono gli addobbi floreali di un matrimonio appena celebrato. Entriamo in enormi supermercati a comprare snack e a curiosare soprattutto nel reparto frutta e verdura, tra i prodotti da noi introvabili. Prendiamo la metro fino alla fermata 5 de Mayo, camminiamo sull’affollata pedonale Avenida Centrale in cui incontriamo famiglie, Kuna, ragazzi con stereo a tutto volume, ambulanti di biglietti “vincenti”… e per cena nuovamente al Mercado de Marisco. Iniziamo il giro dalla parte opposta a quella di ieri e dopo pochi minuti già siamo assediati dai “buttadentro” per accaparrarsi il cliente. Scegliamo Delicias del Mar Sur ordinando polpo alla spagnola condito con succulento sughetto ricco d’aglio, patatine fritte e insalatina il mio boy, Pargo Rosso intero alla piastra, riso al cocco e fagioli e insalatina io. Ci vengono offerti due vasetti di ceviche de pescado e due bicchieri di leggera e ghiacciata birra nazionale. Le porzioni sono abbondanti, il gusto buono e, saldato il conto di $ 26, ci alziamo più che soddisfatti.
Solo una raccomandazione: pattuire prima il prezzo e poi controllare il resto. Provano sempre ad aggiungere tips e ad arrotondarlo con il 7% di servizio. È successo due sere su due… la prima abbiamo lasciato correre… la seconda no.
26-27 maggio 2019 – 10°-11° Giorno: PANAMA – ROMA (via Madrid)
Dopo la colazionissima, durante la quale assaggio la vellutata calda e dolce al platano, ci mettiamo in moto per andare a visitare l’antica città di Panama.
Dopo aver ricaricato la tessera metrobus, ci dirigiamo a piedi fino ad Avenue Balboa, prendiamo il Bus Panamà Viejo (€ 0,25 a p. a tratta) che costeggia il mare (bellissimo lo spazio verde “Cinta Costera” per pedoni e ciclisti) e scendiamo davanti il Sito Arqueològico. Paghiamo l’ingresso di € 15 a p. (dal martedì al venerdì 8,30-18) e iniziamo in solitudine un piacevole tour tra i resti della capitale costruita nel 1519 sulla costa pacifica. Era parte vitale dell’impero spagnolo per le conquiste, il commercio e nel 1671 fu totalmente saccheggiata e devastata dai pirati gallesi tra i quali il noto Capitano Henry Morgan. La nuova capitale – con gli attuali grattacieli moderni – fu ricostruita nel 1973 a sud ovest, a 8 km di distanza. Oggi osserviamo i ruderi di edifici semidistrutti, davanti i quali vi sono insegne e spiegazioni con immagini di viste dall’alto “ipotetiche”. Quanti conventi (di San Francesco, della Merced, della Concezione, della Compagnia di Gesù, di Santo Domingo, di San José), case, fortini… una cattedrale e una torre panoramica. Per muoversi da un posto all’altro, volendo, anche un trenino no-stop circolare dal costo di $1 che pagano i residenti, non noi.
Rientriamo con il medesimo bus Panamà Viejo, scendiamo alla fermata Multicentro, un tratto a piedi e in Hotel per una doccia e il check-out alle 13. Con il taxi dell’hotel ($ 25) raggiungiamo l’aeroporto Tocumen International in tempo utile per il volo di rientro in Italia.
Anche questa volta non hanno spazio sull’aeromobile per i nostri bagagli a mano che ci imbarcheranno e faranno trovare a Fiumicino. Buon per noi. Compriamo delle Marlboro rosse e alle 17,10, ora locale, decolliamo per Madrid.
Durante le 11 ore di volo serviranno pollo, fetta di arista, fagiolini, riso bianco, insalatina e dolcetto.
Alle 10,15 di lunedì 27 siamo nella capitale spagnola; poco più di un’ora di scalo e alle 11,25 ridecolliamo per Fiumicino dove puntualissimi atterreremo alle 13,55.
Buon planning e a disposizione per ogni info e ulteriore curiosità su questa interessante meta.