Avventura on the road tra la California e il Far West
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Delimitato il periodo del viaggio, nei successivi 8 mesi ho accuratamente programmato la vacanza, cambiandola (anche radicalmente) almeno 3/4 volte. A tal proposito il consiglio principale che mi sento di dare è quello di tenersi libera ogni possibilità fino all’ultimo istante e quindi prenotare qualsiasi cosa, dall’hotel all’autovettura, dall’escursione all’entrata nel parco mantenendo la possibilità di poter disdire senza penali anche fino all’ultimo momento. La chiusura della US1 nel tratto del Big Sur, i ritardi nell’apertura del Tioga Pass a causa della neve ed una estate molto fredda e nebbiosa nella zona di San Francisco hanno un po’ sconvolto l’itinerario iniziale, ma il risultato finale è comunque stato ottimo e ha superato ogni aspettativa.
Viaggiando assieme alle nostre bambine di 8 e 12 anni abbiamo ritenuto necessario prenotare tutti gli alloggi prima di partire, evitando ricerche in loco e conseguenti perdite di tempo. A tal proposito mi sono trovato molto bene con Booking, che ritengo essere il migliore sia per la ricerca e la scelta degli alloggi sia per i prezzi. Inoltre il sito permette ogni variazione di programma in modo molto semplice, sicuro e gratuito. Nel corso del viaggio abbiamo soggiornato in 10 diverse strutture: 2 resort, 3 hotel di alto livello, 3 ottimi motel e 2 motel di livello più basso.
Un altro aspetto molto importante per un viaggio di questo tipo è l’assicurazione (sanitaria/annullamento), che io ho fatto con Columbus Assicurazioni, che deve prevedere il pagamento diretto delle eventuali spese mediche in considerazione degli sorbitanti costi della sanità USA. Anche la scelta dell’autovettura deve essere molto accurata, in primo luogo optando per una compagnia di primo livello con filiali presenti quasi ovunque, in secondo luogo selezionando una auto comoda e robusta visto l’ingente numero di km che si andranno a fare. La mia scelta finale è andata su Alamo, che avevo già sperimentato positivamente a Portorico, ho prenotato pochi giorni prima della partenza dal sito italiano della compagnia approfittando degli sconti del 20/25% quasi sempre disponibili a ridosso dell’inizio del noleggio. Nel pacchetto sono comprese tutte le assicurazioni, con la sola eccezione della Roadside Assistance (assistenza stradale) che ho comprato in loco al costo di 5,99$ più tasse. Non viene autorizzato alcun deposito sulla carta di credito. In sede di prenotazione si sceglie solo la tipologia di auto (nel mio caso un SUV intermedio) mentre l’auto da utilizzare la si potrà scegliere a proprio piacimento tra quelle disponibili nel parcheggio. Io ho preso una nuovissima Jeep Compass con cambio automatico, cruise control e pochissimi km sul groppone. Alimentazione a benzina 87 ottani con costo variabile che va da 2,30$ al gallone nell’entroterra ai 3,30$ della costa. Per il ritiro dell’auto e per circolare in California e negli stati limitrofi è sufficiente la patente italiana e non serve quella internazionale.
Per percorrere i 3.700 km complessivi del mio viaggio ho speso in tutto 230$. Un ottimo sistema per risparmiare è quello di installare sul cellulare l’applicazione Gas Buddy che elenca i distributori di benzina ed i prezzi in ordine crescente, indicando anche la strada da percorrere direttamente su Google Maps. E’ assolutamente consigliato viaggiare sempre col serbatoio mezzo pieno, soprattutto nei tragitti che prevedono l’attraversata del deserto ed evitare il rifornimento nei pressi dei parchi perchè i prezzi sono altissimi.
Per quanto riguarda il rifornimento della benzina mi sono sempre trovato bene con i contanti. Qui non esiste il “servito” ma si deve sempre entrare nel mini market, pagare e poi rifornire. Prima si inserisce la pompa e poi si sceglie il tipo di carburante (benzina con varie tipologie di ottani o diesel). Nel caso il prepagato fosse superiore a quanto speso si torna dentro a prendere il resto. Tutto molto semplice e veloce.
Per la telefonia ho acquistato la scheda Tourist Plan di T-Mobile al costo di 30$ + tasse (circa 33$) che compende 2 GB di dati, SMS illimitati ovunque e 1.000 minuti di chiamate solo negli USA (utile ad esempio per richiedere assistenza stradale). In questo modo si stacca anche la propria SIM e si evita di essere scocciati ad orari improbabili. T-Mobile non è presente all’aeroporto di Los Angeles quindi bisogna comprare la SIM in uno dei tantissimi negozi sparsi per la città.
LA PARTENZA
Lasciamo l’auto al parcheggio P4 dell’aeroporto di Bologna e raggiungiamo l’aeroporto con la loro navetta. Il primo volo (LH283) dura poco più di un’ora ed arriva a Francoforte in perfetto orario. Le due ore di sosta sono servire quasi interamente per arrivare al terminal Z da dove partono i voli intercontinentali. Il volo LH450 per Los Angeles viene operato con un Boeing 747-8 abbastanza comodo, il televisorino è pieno di film in italiano e la distribuzione di bevande, snack e pasti è molto frequente, sebbene non sia di eccelsa qualità. Alcuni posti in economy su questo aereo sono veramente scomodi quindi conviene dare un’occhiara a Seat Guru prima di scegliere i posti in fase di check-in online.
Dopo poco meno di 11 ore di volo arriviamo in perfetto orario, alle 17 locali, all’aeroporto di Los Angeles (Terminal Internazionale). Recuperiamo le valige e sbrighiamo le formalità di immigrazione molto velocemente. Prima si passano i passaporti nelle macchinette automatiche che rilasciano delle ricevute da consegnare all’agente allo sportello. Passiamo poi dal controllo della dogana ed in meno di un’ora siamo fuori dall’aeroporto. Un vero record per gli standard statunitensi. Fuori dal terminal c’è la zona delle navette dei car rental, prendiamo quella di Alamo-National ed in men che non si dica siamo in agenzia. Ritiriamo l’auto ed in pochi minuti arriviamo al Best western Airport Plaza Inn, il primo hotel del nostro viaggio nel quale trascorreremo 4 notti. Esteticamente non è il massimo, ma le camere sono comode e la colazione, compresa nel prezzo, molto buona. Il parcheggio interno è a pagamento (7$ al giorno) ma volendo si può parcheggiare sulla strada facendo attenzione ai cartelli che indicano giorno e ora del divieto di sosta per la pulizia della strada. In zona sono presenti molti fast food ed fornitissimo supermercato Ralph.
Siamo molto stanchi e decidiamo quindi di cenare velocemente al Burger King prima di andare a dormire per ricaricare le batterie in vista della prima giornata californiana.
LOS ANGELES
La visita di L.A. l’abbiamo suddivisa in 4 giorni, anche se ne servirebbero di più considerata la sua vastità (è grande come la Lombardia) ed il suo traffico infernale. Con alcune precauzioni è però possibile godersi il meglio di quanto la città ha da offrire in soli pochi giorni. Prima di tutto bisognerebbe includere nel programma il sabato e la domenica, che essendo giorni non lavorativi sono quelli con meno traffico in assoluto, soprattutto nelle ore mattutine. Ciascun giorno deve essere dedicato a zone contigue e non troppo distanti tra loro evitando quindi lunghi trasferimenti. I parcheggi gratuiti nelle zone cool di Los Angeles non esistono, bisogna quindi sbattersi un po’ per trovare quelli meno costosi perchè qui si arriva a 40 dollari flat senza colpo ferire. Lungo le strade ci sono parcheggi gratuiti ad ore (non serve il disco orario sanno loro quando sei arrivato) ma non bisogna mai parcheggiare in corrispondenza degli idranti o dei marciapiedi colorati di rosso, altrimenti la rimozione dell’auto è garantita. Infine prima di mettersi alla guida è opportuno controllare il traffico lungo il proprio tragitto con Google Maps, evitando così ingorghi e lunghe file, essendo ben consci che spesso conviene comunque prendere le trafficatissime freeway piuttosto che fare le strade normali con un semaforo ad ogni isolato.
Devo dire che il primo impatto con le strade californiane è stato ottimo. E’ tutto molto semplice e chiaro. Basta conoscere le regole. In primo luogo i semafori non si trovano allineati all’incrocio ma al centro. Salvo non sia diversamente indicato, se la strada è libera si può svoltare a destra anche col rosso. Negli incroci senza semaforo spesso ci sono 4 stop. Qui non si dà la precedenza a destra ma ci si ferma tutti e poi si prosegue in ordine di arrivo. Sulle freeway ci vuole un po’ più di sangue freddo e bisogna sapersi orientare. Spesso le uscite sono indicate solo col numero o il nome della strada ed il punto cardinale. A tal proposito le strade con un numero dispari hanno un tragitto nord-sud mentre quelle con numero pari hanno tragitto est-ovest. Spesso ci sono fino a 7/8 corsie per carreggiata, ciascuna dedicata ad una diversa direzione. Bisogna allinearsi nella corsia desiderata molto prima della svolta seguendo le indicazioni. Volendo si può sorpassare anche a destra mentre nella corsia più a sinistra spesso si può trovare il Car Pool, dedicata alle auto con almeno 2 persone all’interno. Le freeway (Interstate, strade US o strade California) sono tutte gratuite salvo alcune corsie Express opzionali a pagamento. I limiti di velocità sono notevolmente inferiori ai nostri e conviene rispettarli per evitare l’inseguimento della polizia.
Il fuso orario di 9 ore indietro rispetto all’Italia ha come effetto una sveglia molto anticipata, prima dell’alba, nonostante melatonine e gocce varie. Ne approfittiamo quindi per iniziare la nostra esplorazione già dalle prime ore del mattino. Iniziamo da Beverly Hills, il quartiere più chic della città. Parcheggiamo in North Beverly Drive dove c’è un parcheggio gratuito per le prime due ore e come prima cosa andiamo ai Beverly Gardens per una foto di rito davanti alla celebre scritta del quartiere. Scendiamo poi lungo Rodeo Drive, la via delle grandi boutique e del lusso sfrenato fino ad arrivare all’hotel Beverly Wilshire, quello di Pretty Woman. Ripresa l’auto facciamo un tour lungo la zona residenziale di Beverly Hills a nord di Santa Monica Boulevard, dove abbiamo ammirato alcune tra le migliori ville della città.
Da qui a Hollywood il tragitto è molto breve. Percorriamo Sunset Boulevard e parcheggiamo in Hawthorne Ave in un parcheggio abbastanza economico consiederata la zona (10$ senza limiti). Percorriamo a piedi tutta Hollywood Boulevard, iniziando dalla statua delle “Four Ladies” e fino al Capitol Records Building. I marciapiedi sono tempestati dalle stelle della Walk of Fame, che celebrano i divi della musica e del cinema. Esiste una app per ricercare quella preferita. Lungo il tragitto passiamo in rassegna il Chinese Theatre nel cui cortile ci sono le impronte ed i messaggi lasciati dalle grandi star del cinema, il teatro El Captain con gli show della Disney ed il Dolby Theatre, quello della notte degli Oscar, che si trova all’interno del grande centro commerciale Hollywood & Highland. Salendo al secondo piano si ha una veduta in lontananza della scritta Hollywood. Ci sono poi altri teatri (come l’Egyptian), musei delle cere (Madame Tussaud), Ripley’s Believe or Not, l’Hard Rock Cafe ed una miriade di ristoranti e negozi di souvenir costosissimi. Ad ogni metro c’è qualcuno che ci invita a fare un tour di Hollywood.
Per pranzo decidiamo di andare a mangiare messicano ad Olvera Street, nel quartiere storico di El Pueblo che si raggiunge in una decina di minuti con la US101. Questa è la zona dove ci furono i primi insediamenti, testimoniati dalla Avila Adobe, una casa storica dove si respira l’aria di quella che fu la prima Los Angeles. La giornata è di festa, ci sono molte persone in abito cerimoniale e la strada è tempestata da ristorantini e bancarelle. Molto caratteristica anche la chiesetta cattolica di Our Lady Queen of Angels. Mangiamo molto bene al ristorante El Paseo Inn.
La parte finale del pomeriggio è dedicata a una delle principali icone di Los angeles, l’Hollywood Sign. Il punto migliore per osservarlo e scattare foto ricordo è sicuramente la zona a nord di Franklin Ave e più precisamente N Beachwood Drive, che arriva proprio sotto al monte Lee in cui si trova la gigantesca insegna e soprattutto Mulholland Hwy dove ci sono anche molti parcheggi lungo la strada ed un grande parco frequentato dai tantissimi fan di Hollywood.
Una vacanza in California non può prescindere da quello che uno dei migliori parchi divertimenti a tema cinematografico zona: gli Universal Studios. Compriamo il biglietto su internet il giorno prima risparmiando qualche decina di dollaro e saltando la fila per entrare. Inoltre in questo modo possiamo entrare nel parco un’ora prima rispetto all’orario di apertura. Questo ci permetterà di fare subito e senza fila la migliore attrazione in assoluto, Harry Potter and the Forbidden Journey. Si tratta sicuramente di una esperienza stupenda e unica nel suo genere, che fa impallidire qualsiasi altra attrazione in qualsiasi altro parco divertimenti. A seguire lo Studio Tour, un’ora molto piacevole a spasso tra i set cinematografici di Hollywood. Il mio consiglio è quello di scendere poi nella parte bassa del parco e fare Jurassic Park, The Revenge of the Mummy e i Transformers per poi tornare su e completare il giro con i Minion, Springfield e la Simpsons Ride e infine The Walking Dead. Da non perdere anche lo show di Waterworld, quello di Animal Actor e degli Special Effects. Si possono invece tralasciare il volo sull’Hippogriff e la bottega di Hollivander in zona Harry Potter. Shrek 4D era chiuso. Devo dire che in una domenica di fine agosto si riesce a fare tutto (o quasi) anche senza prendere il costosissimo Front of the line per saltare le file. Il mio parere è che, seppure costosissimi (ancora di più per una famiglia) gli Studios valgano ogni centesimo speso e siano un’esperienza che è difficilmente è possibile sperimentare altrove. Appena fuori dal parco e prima del parcheggio (25$) si trova la coloratissima Universal City, con negozi e ristoranti di ogni genere dove ci fermiamo a rinfrescarci con uno smoothy.
Il terzo giorno a Los Angeles è dedicato interamente alla costa pacifica. In estate la zona è molto nebbiosa nelle ore mattutine quindi è del tutto inutile arrivare troppo presto la mattina. La nostra prima tappa è Malibu e più precisamente Point Dume, la spiaggia della scena finale del Pianeta della Scimmie. Qui c’è un promontorio con delle bellissime vedute ed una scala dalla quale si può arrivare fino al mare. La zona è costellata da ville da sogno. Arriviamo poi al Pier di Malibu, quello dove Forrest Gump smise finalmente di correre, per poi trasferirci a Santa Monica. Arriviamo verso le 13 e visto che, diversamente da Malibu, la nebbia faceva ancora capolino decidiamo di pranzare da Bubba Gump Shrimps, catena dove ci troviamo sempre molto bene. Finalmente, verso le 14 la nebbia se ne va e lascia il posto ad un bellissimo sole. Facciamo un giro del Pier, con bancarelle di souvenir, artisti di strada e la End of the Trail della Route 66. C’è anche un luna park con ruota panoramica. Stiamo un po’ in spiaggia e poi noleggiamo 4 biciclette (10$ l’una) e pedaliamo circa 20 minuti per arrivare fino a Venice Beach, lungo la comoda pista ciclabile che si trova ai bordi della immensa spiaggia. Se Santa Monica è raffinata e chic, Venice è più vivace e colorata ed in circolazione si vedono personaggi stravaganti, culturisti ma anche parecchi barboni. Il centro è molto piccolo e racchiude oltre al Boardwalk con negozi e murales, una zona con i canaletti tipici veneziani, la muscle beach (una palestra in spiaggia) e numerose piste da skateborad. Torniamo a Santa Monica e dopo aver riconsegnato le biciclette facciamo un giro per la Third Street Promenade, un vero e proprio salotto urbano lungo tre isolati con ogni tipo di negozio, bar, ristorante, cinema, ecc. Alla fine la mia impressione su Santa Monica è molto positiva. Unico inconveniente è la temperatura dell’Oceano Pacifico, che è veramente molto bassa ed è del tutto impossibile fare il bagno anche in estate.
La scoperta della metropoli californiana è proseguita il giorno successivo con la visita di Downtown L.A. Un tempo luogo malfamato e da evitare, oggi il centro città offre tantissimo e si gira molto piacevolmente. Passiamo davanti allo Staples Center dove giocano i Lakers e parchiaggiamo nei pressi di Pershing Square dove il wi-fi è libero. La visita prosegue poi a piedi lungo Grand Ave dove ammiriamo dal basso lo OUE Skyspace, il museo di arte moderna The Broad, la fantasmagorica Disney Concert Hall per poi attraversare Grand Park fino ad arrivare alla City Hall. Qui entriamo dall’ingresso su Main St e saliamo in cima alla torre prendendo un primo ascensore fino al 22° piano, poi un secondo fino al 26° e salendo infine poi l’ultima scalinata a piedi. Si arriva alla sala conferenze del municipio e ad una camminata esterna da cui si ha una veduta a 360 gradi di tutta la città. Vista l’estensione alcune cose si possono solo immaginare in lontananza mentre lo skyline dei grattacieli è vicino e molto bello. Nel percorso di rientro passiamo dal Grand Central Market tra S Broadway e Hill St dove sono presente numerosi punti per mangiare ed anche i servizi igienici. Dopo Downtown ci trasferiamo all’Osservatorio Griffith. Essendo giornata feriale riusciamo a parcheggiare nei pressi dell’osservatorio a 4$ all’ora col pagamento che decorre dalle 12, orario di apertura della struttura. La visita delle stanze interne dell’osservatorio e del telescopio è molto veloce, le cose migliori sono senza dubbio le vedute panoramiche sulla città e sulla collina della Hollywood Sign. Un deja vu per chi ha visto il film La La Land.
Terminata la visita andiamo a pranzare al centro commerciale Glendale Galleria, dove facciamo anche un po’ di shopping e poi ci mettiamo nuovamente in auto in direzione Three Rivers, la prossima tappa del nostro viaggio. Il percorso è abbastanza vario tra zone montane, sterminate pianure e giacimenti petroliferi. Arriviamo a destinazione dopo circa 3 ore e mezza e ci sistemiamo al Comfort Inn & Suites Sequoia, ottimo motel con piscina che, visto il caldo, sfruttiamo a dovere prima di cenare al River View, locale molto carino che si trova lungo il fiume, con piatti americani ottimi ed abbondanti a prezzi più che onesti.
SEQUOIA NATIONAL PARK
La visita al parco Sequoia è molto semplice perchè tutto quanto di bello c’è da vedere è dislocato lungo la route 198. A Three Rivers ci sono parecchi market nei quali comprare il pranzo al sacco. Dentro al parco non ci sono infatti ristoranti ma solo snack bar. All’entrata compriamo il pass annuale al costo di 80$ che conviene sempre se si ha intenzione di visitare almeno 3 parchi gestiti dalla NPS. Prima tappa al visitor center di Foothills dove, come ovunque nel parco, si possono riempire bottiglie e borracce con acqua fresca. La strada è in buone condizioni ma il panorama iniziale è un po’ desolato ed inizia a migliorare salendo di quota. Dopo una lunga serie di tornanti si arriva nel cuore del parco sulla Generals Hwy. Volendo è possibile parcheggiare l’auto e girare con le navette ma noi ci vogliamo sentire liberi e proseguiamo con la nostra auto. Prendiamo la deviazione che ci porta prima al Tunnel Log, dove è possibile passare con l’auto in mezzo ad una sequoia caduta in mezzo alla strada e poi a Crescent Meadow dove non c’è niente se non un’area pic nic. Lungo la strada iniziamo a scorgere le bellissime sequoie giganti, alberi veramente incredibili tra cui il Buttress Tree, caduto negli anni ’50 e con radici gigantesche che si affacciano sulla strada. In questa zona le sequoie non sono recintate diversamente dagli altri alberi più celebri del parco. Ritorniamo sui nostri passi per scalare la Moro Rock e giungere ad un punto panoramico dove si vede tutta la vallata. Merita sicuramente il piccolo sforzo necessario per giungere in vetta. Di seguito ci fermiamo al Giant Forest Museum, al cui ingresso campeggia The Sentinel. Il tour prosegue con la principale attrattiva del parco: il trail che porta al Generale Sherman, ovvero l’essere vivente più grande del mondo in termini di massa (ma non di altezza). Il trail per arrivare è tutto in discesa e dura una decina di minuti e lungo lo stesso ci sono tantissime altre sequoie giganti. La zona del generale Sherman è quella più affollata ed il suo tronco è veramente impressionante, ci vogliono decine di persone allineate per coprirne la circonferenza. Ritorniamo al parcheggio con la navetta evitanto la risalita a piedi e riprendiamo l’auto in direzione nord fermandoci al centro visitatori di Lodgepole dove c’è anche un market e un negozio di souvenir. Proseguiamo verso nord nel cuore della foresta per circa 40 minuti, vedendo susseguirsi panorami splendidi, fino a raggiungere il Grant’s Grove Village, da dove parte un sentiero che porta al Generale Grant, altra Sequoia gigante da non perdere e con un affollamento decisamente minore. La visita del parco è stata bellissima ed ha impegnato tutta la giornata, nel tardo pomeriggio partiamo alla volta di Bakersfield, dove arriviamo dopo circa 2 ore e mezza. Fa molto caldo e quindi approfittiamo della grande piscina del nostro Travelodge per rinfrescarci un po’ prima di cenare.
LAS VEGAS
Di buon mattino ci mettiamo in viaggio alla volta di Las Vegas, che raggiungiamo dopo 4 ore interamente passate nella desolazione del deserto del Mojave. Ad un certo punto il nulla lascia il posto a distese sterminate di pale eoliche e pannelli fotovoltaici che preannunciano l’arrivo in città. Percorriamo interamente la strip e poi raggiungiamo da una via secondaria il parcheggio del nostro resort: il Flamingo. La fila al check in è lunghissima ma avendolo già fatto online mi è sufficiente ritirare le tessere apriporta dalle macchinette automatiche. Veramente comoda come procedura. La nostra camera è al 16° piano con vista Strip ed ha una bellissima veduta sul Caesar Palace ed il Bellagio oltre ad essere super dotata di ogni cosa tra cui frigo e cassaforte ma anche un televisore incorporato nello specchio del bagno ed alcune scatole di anticoncezionali! All’interno c’è di tutto, negozi di ogni genere, almeno 5 ristoranti, sala fitness, spa, centro conferenze e naturalmente gli immancabili casino. L’area esterna del Flamingo è bellissima, c’è un giardino tropicale con cascate e laghetti pieni di pesci in cui passeggiano dei veri fenicotteri rosa e dei pellicani. Le piscine sono immense e sono rigorosamente divise tra adulti e bambini, con addetti all’ingresso che controllano età e contenuto delle borse. Le piscina per i bambini sono due ed una ha anche uno scivolo molto divertente dove le bambine hanno passato quasi tutto il tempo. Con 40 gradi stare in piscina è molto gradevole e quindi ci restiamo fino a pomeriggio inoltrato. Per cena scegliamo l’Hard Rock Cafè dove mangiamo molto bene. Per smaltire la cena passeggiamo lungo la Strip, dove ci si muove spesso su scale mobili, ponti pedonali e monorotaie che collegano i vari hotel. C’è veramente di tutto: ristoranti, negozi di souvenir, cinema, teatri, night club, un negozio di più piani è dedicato solo alla Cola Cola mentre un altro solo agli M&Ms, ragazze in abiti succinti (per non dire nude) che sono disponibili per foto o altre prestazioni. Ma i veri protagonisti della Strip sono gli hotel-casino, che di notte offrono un incredibile spettacolo di luci, suoni e colori. Visitiamo internamente il Luxor, a forma di piramide, con la sua grande sfinge e il New York New York dove tutti i simboli della Grande Mela (Lady Liberty, Brooklyn Bridge, ecc.) sono avvinghiati all’interno di un roller coaster. Passiamo davanti all’Excalibur, a forma di castello fiabesco, al lussuoso Montecarlo, al Paris con la sua Tour Eiffel illuminata fino a fermarci davanti al grande lago del Bellagio, dove ci gustiamo lo spettacolo delle fontane danzanti. Impressionanti anche il Caesar Palace dedicato all’antica Roma e il Venetian, dove volendo è anche possibile fare un giro in gondola. Se in generale negli States gli eccessi sono la regola, qui a Las Vegas ogni limite dell’immaginazione viene superato. Tutto è eccessivo e tutto è glamour. Può piacere o no, fatto sta che si tratta di una realtà ed una esperienza unica al mondo, che almeno una volta consiglio di provare. Unico neo il caldo infernale, che anche la sera non da tregua. Per fortuna in camera c’è l’aria condizionata e si dorme spendidamente. Per gli aquisti (bevande, snack, souvenir, ecc.) consiglio il centro commerciale Miracle Mile all’interno del Planet Hollywood.
Il mattino seguente dopo aver evitato accuratamente la costosissima colazione a buffet all’interno dei resort, procediamo al check-out con la medesima procedura automatica utilizzata per l’entrata, che rilascia anche il conto finale che, nel nostro caso, è rappresentato solo dal resort fee (35$) e dal parcheggio (10$) avendo già pagato l’hotel prima della partenza. Un consiglio che mi sento di dare è di arrivare a Las Vegas in un giorno della settimana evitando accuratamente il week end. A parte il maggior caos, nel fine settimana i prezzi degli hotel raddoppiano o triplicano. Prima di imboccare la I-15 in direzione nord, non possiamo lasciare Las Vegas senza una foto davanti dalla scritta “Welcome to Fabulous Las Vegas”, che si trova sul margine sud della Strip, proprio di fronte all’aeroporto. C’è un comodo parcheggio dedicato ed anche un addetto che gestisce la fila e si offre per scattare le foto agli ospiti.
UTAH E ARIZONA
Lasciamo il Nevada per entrare nello Utah, dove le lancette dell’orologio devono essere spostate in avanti di un’ora. Il viaggio è lungo ma il paesaggio migliora notevolmente col passare dei km, il deserto lascia il posto al verde ed alle foreste. Appena lasciata la US89 ci imbattiamo nel Red Canyon, con le sue montagne rosse fuoco e gli archi lungo la strada. Arriviamo al Bryce Canyon nel primo pomeriggio e ci fiondiamo immediatamente al suo ingresso. Più che un canyon è un anfiteatro. I punti di osservazione sono tre: Sunset, Insiration e Bryce Point. Il primo è il più basso, da cui parte il Navajo Trail, il sentiero che porta fino alla base del canyon, il terzo è quello più in alto. Li visitiamo tutti in auto, ma volendo sono collegati da un sentiero. Il Bryce Canyon è molto bello con i suoi hoodoos che assumono colori e sfumature diverse a seconda del sole (fondamentale che ci sia altrimenti la resa è molto inferiore) e della posizione. Lungo il parco ci sono molti cartelli che spiegano il processo di formazione di un canyon unico nel suo genere. Altri punti di osservazione interessanti che visitiamo sono il Natural Bridge e il Rainbow Point, che è il più lontano e dal quale si ha una splendida veduta su tutto lo Utah del sud. Pernottiamo al Best Western Ruby’s Inn, hotel molto bello che si trova proprio fuori il parco, dove si respire un clima country/western. Collegati all’hotel ci sono un market molto fornito, dove c’è anche tutto quello che serve per fare colazione, un paio di negozi di souvenir tra cui uno di artigianato indiano ed un grande ristorante chiamato Cowboy Buffet & Steakroom dove ceniamo a buffet, spendendo non poco ma mangiando delle ottime bistecche di manzo. La mattina successiva prima di rimetterci in viaggio alla volta dell’Arizona visitiamo un piccolo villaggio western ricostruito che si trova proprio di fronte all’hotel.
La tappa successiva è la cittadina di Page dove l’orologio torna nuovamente indietro di un’ora. Qui a farla da padrone è nuovamente il deserto. Page ha moltissimo da offrire quindi non perdiamo tempo e raggiungiamo il Lake Powell, un grandissimo lago desertico che fa parte del Glen Canyon National Park (coperto al pass annuale) dove svetta la Lone Rock, una gigantesca roccia che spunta fuori dal lago. Scendiamo fino alla spiaggia e ci bagnamo i piedi nell’acqua fresca del lago ottenendo così un po’ di refrigerio. Ci spostiamo al punto di osservazione Wahweap Overlook, uno spettacolare balcone dal quale si ha una veduta a perdita d’occhio del lago, del fiume Colorado e di una parte del Glen Canyon. In zona c’è anche una tettoia coperta con sedie e tavoli. Sulla strada verso Page ci fermiamo poi alla gigantesca diga Glen Canyon Dam, un’opera grandiosa utilizzata per regolare le acque del fiume Colorado. Ci si può accedere dal visitor center Carl Hayden. Il parcheggio e l’entrata sono gratuiti, all’interno c’è una zona espositiva che ne racconta la storia mentre all’esterno si ha una vista impressionante sullo strapiombo sottostante. Merita senza meno uno stop anche il punto di osservazione Glen Canyon Dam Overlook, una terrazza naturale che da un lato offre una vista frontale sulla diga mentre dall’altro mostra i rossi canyon rocciosi del fiumo Colorado. Assolutamente da non perdere. I’appuntamento successivo è con l’Antelope Canyon di cui scegliamo la parte Lower. Essendo una attrazione molto gettonata e con posti limitati, avevo prenotato la visita delle 15 prima di partire dall’Italia attraverso il sito di Ken’s Tour, che assieme a Dixie Ellis detiene l’esclusiva per la visita del canyon. Qui siamo in territorio Navajo, quindi il pass NPS non vale. La visita per 4 persone costa in tutto 116$ comprensivi della tassa di ingresso ed ogni gruppetto di 10/15 persone è accompagnato da una guida. La partenza è puntuale, arriviamo a piedi in 10 minuti al punto di ingresso e qui restiamo in fila (all’ombra) almeno 1 ora a causa del grande afflusso di gente (era il sabato del w.e. del Labour Day) ed anche perchè l’entrata è contingentata avvenendo attraverso delle ripide scalette che scendono all’interno del canyon. L’Antelope fa parte della schiera degli Slot Canyon, pochissimi al mondo e caratterizzati da un ambiente molto ristretto, più profondo che largo ed interamente formato dall’acqua che, scorrendo attraverso la roccia la usura creando un’infinità di grotte dalla forma sinuosa. L’ambiente è bellissimo e incredibile, ma l’affollamento rende la visita abbastanza lenta ed alla lunga un po’ stressante. La nostra guida Navajo è poco loquace ma è disponibile a scattarci le foto nei punti migliori dei canyon con risultati eccezionali e non minimamente confrontabili con le foto scattate da me. Il percorso interno è quasi sempre nello stretto e dall’apertura superiore entrano i raggi del sole che formano un numero incalcolabile di tonalità di colore a seconda della posizione. Dopo più di un’ora all’interno saliamo nuovamente le scale ed usciamo da un piccolo pertugio che emerge dai visceri della terra e che si trova proprio dietro il centro visitatori. Pernottiamo al Clarion Inn, uno dei pochi e costosissimi hotel di Page ed il giorno successivo andiamo all’Horseshoe Bend. La visita mattutina del canyon a forma di ferro di cavallo formato dal fiume Colorado è assolutamente consigliata, perchè si ha il sole alle spalle e la visione e le foto sono spettacolari. Lasciamo la macchina nel parcheggio gratuito ed in circa 20 minuti a piedi e quasi tutti in discesa arriviamo al punto di osservazione. Non ci sono ringhiere quindi bisogna fare attenzione soprattutto ai bambini, ma la vista libera sullo strapiombo, senza pali e senza grate, lascia letteralmente a bocca aperta e gli WOWWWWW si sprecano. Al ritorno la scarpinata dura almeno mezz’ora, compresa la sosta riposo nell’unico punto all’ombra.
Il tragitto da Page al Grand Canyon è abbastanza breve. Meno di due ore. Arriviamo in tarda mattinata, passiamo il check-point col pass NPS e poi visitiamo tutti i punti di osservazione raggiungibili in auto. Il primo è il Desert View Watchtower, quello più in alto di tutti, dove c’è una torre di osservazione in pietra alta una ventina di metri da cui si può osservare il parco in tutta la sua immensità. In zona c’è tutto: tavoli pic-nic, servizi igienici, market e ristorante. Come ovunque nel parco è possibile riempire bottiglie e borracce con acqua fresca. L’acqua in bottiglia infatti non viene venduta da nessuna parte. Proseguiamo poi per Lipan Point, Grandview Point e Yavapai Point (proprio sopra a Phantom Ranch), dove la visuale è più ristretta (si fa per dire) e dove si inizia a capire meglio la conformazione del canyon, la composizione delle rocce sedimentarie e le massicce propaggini orizzontali che lo dominano per oltre i tre quarti. La visita prosegue al Visitor Center, dove assistiamo alla proiezione del filmato di circa 20 minuti che spiega tutto sul Grand Canyon, per poi proseguire all’ultimo punto di osservazione della giornata: Mather Point, da dove si vedono in direzione est alcune grandi guglie chiamate Tempio di Zoroastro e Tempio di Vishnu. Ceniamo a Tusayan, appena fuori dal parco, in una caratteristica steakhouse chiamata Big E Steakhouse & Saloon che, come un po’ ovunque negli States, ha anche un ottimo menu bambini e la notte pernottiamo al Grand Canyon Plaza Hotel. Il giorno successivo in meno di 10 minuti siamo nuovamente al Grand Canyon, questa volta al Village. In estate i punti panoramici a ovest sono chiusi alle auto e si girano solamente con i comodissimi shuttle gratuiti della Red Line, che fanno il giro in continuazione lungo il loop dell’Hermit Road. Noi scendiamo subito a Powell Point, interessante da visitare perché è una penisola di roccia che si estende nel Grand Canyon con scenari (e foto) mozzafiato ed a seguire Hopi Point e The Abyss, che si trova lungo una frastagliatura nelle pareti del canyon con lo strapiombo subito al di sotto. A seguire Pima Point, da cui è possibile vedere le rapide del fiume e Hermit’s Rest, il capolinea, dove ci sono i servizi, ci si può riposare e vedere una bella visuale della parte ovest del Grand Canyon. Lungo la strada del ritorno la navetta fa solo tre fermate e noi scendiamo a Mohave Point, l’unico che offre una ampia e splendida visuale del fiume Colorado che scorre placido lungo il canyon. Finito il giro rientriamo al Village dove mangiamo e facciamo acquisti di souvenir. Ultima occhiata allo stupendo panorama del Grand Canyon e veramente a malincuore ripartiamo.
Facciamo una prima sosta a Seligman, una pittoresca cittadina il cui orgoglio è quello di tenere vivo il mito della Hystoric Route 66. Ci sono tanti negozi di souvenir e nei loro pressi sono parcheggiate macchine storiche, molte delle quali richiamano i personaggi di Cars. Proseguiamo lungo la Route 66 dove troviamo parcheggiato il maggiolino pazzo Herbie ed uno store ad Hackberry dove si torna letteralmente indietro nel tempo sia per arredi che per merci vendute. Arriviamo in serata a Kingman sotto un vero e proprio nubifragio, ci sistemiamo al Super 8 e poi usciamo per cena in uno dei ristoranti migliori di tutto il viaggio, il Mr D’z Route 66 Dinner. Anche qui sembra di essere tornati negli anni ’60. Marylin ed Elvis sono ovunque ed i piatti sono ottimi. Unico consiglio che mi sento di dare è di stare alla larga (qui come ovunque) dalla root beer che è un qualcosa di terribile.
La mattina seguente continuamo l’esplorazione della Route 66 fino ad arrivare ad Oatman. In tutto sono una decina di miglia appassionanti di strada stretta e rabberciata, senza l’ombra di un guard rail, con curve killer, pompe di benzina old-style, baracche, strapiombi ed un paesaggio desertico tipico del Mohave. Sembra veramente di stare all’interno di un film western. Manca solo John Wayne. All’improvviso, quando gli avvoltoi iniziano a volare sopra le nostre teste, la desolazione è interrotta prima da una grande miniera e poi dall’inizio del paese. Oatman è una vera e propria meraviglia fuori dal tempo. Ai tempi della febbre dell’oro Oatman era patria dei cowboy e dei ricercatori, ma oggi non può definirsi una ghost town (come Bodie o Calico) perchè le poche persone rimaste resistono strenuamente nella loro battaglia contro il tempo che divora le tradizioni. Lungo la polverosa Main Street, trafficatissima di burros, piccoli asini e delimitata da staccionate di legno, ci sono vecchi edifici oggi utilizzati come negozi di souvenir, mercatini, saloon ed anche un albergo, lo storico Oatman Hotel, sede della luna di miele di Clark Gable e Carole Lombard. Alla fine del centro abitato c’è una ricostruzione di una miniera dove è possibile immergersi per qualche passo nell’oscurità.
PALM SPRINGS
Terminata la scoperta dell’Arizona si ritorna in California e più precisamente a Palm Springs. Dopo circa 3 ore in pieno deserto arriviamo in questa incredibile oasi di verde in mezzo al nulla più assoluto, con parchi, prati, campi da golf e location da sogno. Mangiamo in un Denny’s e poi, visti i 40 gradi qui presenti, non possiamo far altro che tuffarci nell’immensa piscina del nostro resort, il Palm Canyon, anch’esso immerso tra le palme e la vegetazione. Passiamo qui un pomeriggio di puro relax, molto gradito da tutti dopo le sfacchinate nei parchi. Nel complesso ci sono anche due scivoli ed un paio di idromassaggi. La camera al secondo piano è molto grande e dispone di una cucinetta, di un balcone che si affaccia sulle piscine e di un bagno immenso. L’old style vissuto nella Route 66 ci ha preso, quindi la sera decidiamo di cenare da Ruby’s Diner, una catena di ristoranti americani stile anni ’60 dove anche i camerieri sono vestiti in tema. Giriamo un po’ lungo La Plaza, il raffinato centro di Palm Springs, in cerca di souvenir e poi torniano al resort dove troviamo le piscine ancora aperte ed illuminate che non possiamo non sfruttare in una calda serata con ben 35 gradi.
SAN DIEGO
Le successive due giornate di vacanza le trascorriamo nella stupenda San Diego, città che mi ha stupito non poco con la sua anima latina (si trova a pochi km dal Messico), il suo estremo ordine ed un verde lussureggiante in ogni angolo. L’albergo prescelto si trova lungo la Hotel Circle, una strada circolare che segue la I-8 da entrambi i lati e nella quale sono presenti solo hotel, e si chiama Atwood Hotel. La scelta mi ha soddisfatto non poco, le camere sono grandi, pulite e cosa più unica che rara non hanno la moquette ma il pavimento. Inoltre è disponibile una grande piscina che, come ormai d’abitudine nel nostro viaggio, utilizzeremo dopo i rientri pomeridiani. Le lunghe file di Los Angeles sono un lontano ricordo, San Diego oltre ad occupare un territorio sensibilmente inferiore ha una struttura stradale molto efficiente e in pochi minuti si passa da un punto all’altro della città. Iniziano la sua scoperta dalla Old Town, il luogo in cui è avvenuto il primo insediamento europeo dell’intera California. E’ caratterizzato dalla particolarità dei suoi edifici, in stile coloniale spagnolo e dalla presenza di reperti storici di varia natura, musei e particolari testimoni della vita di allora. In zona, prima di arrivare passiamo dall’Heritage Park, dove passiamo in rassegna le più celebri case vittoriane di San Diego, restaurate per far riaffiorare il loro originale splendore. Seconda tappa lo splendido Balboa Park, uno dei parchi cittadini più belli e curati che abbia mai visitato ed è una delle maggiori attrazioni della città stessa. Al suo interno, in un ambiente molto rilassato, tutti i musei della città, giardini (tra cui quello giapponese a pagamento), laghetti, fontane, grandiosi palazzi in stile spagnolo, locali, un giardino botanico ad ingresso libero e lo Spanish Village, con caratteristici negozietti di antiquariato locale. Dopo il parco ci spostiamo a Coronado, una penisola collegata alla città dal Coronado Bridge, grande ponte con un’unica arcata. Andiamo prima in spiaggia a bagnare i piedi nell’oceano (di bagno nemmeno a parlarne vista l’acqua gelida), di fronte al gigantesco Hotel Coronado e facciamo poi un tour in auto lungo le numerose viuzze piene zeppe di case da sogno, per poi fermarci al Bayview Park, da dove si può gustare la veduta frontale della città e del suo skyline. La sera ceniamo e passeggiamo lungo le strade del quartiere Gaslamp. Parchiaggiamo nei pressi del Petco Park, lo stadio di baseball, dove in quel momento si stava disputando una partita dei San Diego Padres. Il quartiere è racchiuso da ovest a est tra la 4° e la 6° strada e da nord a sud dalla Broadway a Market St ed è caratterizzato dalla presenza di un grande centro commerciale (Westfield Horton Plaza), dall’Hard Rock Cafe e da una miriade di ristoranti etnici, dal turco all’indiano, dal giapponese all’italiano.
Il secondo giorno a San Diego è quasi interamente dedicato al Sea World, un grande parco divertimenti che unisce le attrazioni viventi tipiche dei parchi marini e dei giardini zoologici alle giostre ed ai roller coaster, sempre comunque in tema marittimo. Le protagoniste indiscusse del parco sono le sei orche marine, che si esibiscono in uno show mozzafiato all’interno di un grande stadio. Molto bella anche l’esibizione dei delfini, che comprende anche due globicefali (delfini aventi le sembianze di balene) unici in tutto il mondo. Poi beluga, pingiuni di otto specie diverse, leoni marini, otarie ed un acquario immenso con pesci tropicali, tartarughe marine e squali, che si osservano da un tunnel all’interno del quale si passa con un tappeto mobile. Non mancano poi gli uccelli, tra cui centinaia di fenicotteri rosa. Ci siamo divertiti molto anche con i giochi, soprattutto grazie al fatto che quel giorno non c’erano file e quindi abbiamo potuto ripeterli molto volte. Le montagne russe di Manta sono quelle che hanno riscosso maggior successo assieme a Journey to Atlantis e Wild Artic. Carini anche Shipwreck Rapids, dove però ci si bagna dalla testa ai piedi quindi è consigliato avere con se un cambio completo e la Sky Tower che ci fa ammirare dall’alto tutto il parco, la Mission Bay e la zona nord di San Diego. La giornata al Sea World è stata molto divertente e le bambine si sono divertite non poco. La sera siamo un po’ stanchi ma non ci facciamo mancare un giretto al Seaport Village, un delizioso complesso di ristoranti (anche di pregio), chioschi, fast food, gallerie d’arte e negozi che si affacciano sulla baia di San Diego. Gli edifici sono caratterizzati da diversi stili architettonici, dal vittoriano al messicano e la zona è interamente pedonale. Volendo è anche possibile prendere un caffè sulla USS Midway, una portaerei oggi trasformata in museo.
LA COSTA CALIFORNIAnA
Come sempre avviene nelle nostre vacanze, vogliamo sfruttare al massimo anche l’ultimo giorno. Avendo il volo in serata e considerata la breve distanza tra San Diego e Los Angeles, abbiamo organizzato la giornata riempiendola di parecchie cose da fare. In prima battuta raggiungiamo La Jolla, una località turistica a pochi minuti da San Diego dove l’oceano infrange con forza le proprie onde sulla costa rocciosa e dove i leoni marini scorazzano in piena libertà sotto l’occhio meravigliato dei turisti. Risaliamo poi verso nord sulla I-5 per poi imboccare la US-1 in prossimità di Dana Point. Da qui inizia un tratto di costa, la Orange County, tra i più belli di tutta la California, anzi direi che qui c’è la vera California, quella che sta nell’immaginario collettivo. Palmeti ovunque, spiagge immense, il blu dell’oceano e naturalmente loro… i surfisti, i danzatori delle onde che, a dire il vero, in questo periodo devono rassegnarsi ad un mare un po’ troppo tranquillo. Passiamo in rassegna Laguna Beach e Corona del Mar per poi fare sosta a Newport Beach, una delle città più eleganti e raffinate della costa. Facciamo una passeggiata lungo il Pier e a McFadden Square, stracolma di locali e ristorantini. Riprendiamo il cammino verso nord fino a fermarci a Huntington Beach, la patria incontrastata dei surfisti. Anche qui spiaggiona lunghissima che si perde a vista d’occhio con un bel Pier pieno di negozi e un ristorante Ruby’s in fondo dove naturalmente ci fermiamo a mangiare, bissando la bella esperienza di Palm Springs. Passiamo poi da Main Street dove c’è la zona più cool, con locali e negozi per gli amanti del surf. Avendo ancora un po’ di tempo a disposizione raggiungiamo il centro commerciale Los Cerritos dove facciamo gli ultimi acquisti, principalmente di abbigliamento. In circa mezz’ora raggiungiamo la sede di Alamo e dopo aver fatto il pieno di benzina riconsegniamo l’auto e prendiamo la navetta per l’aeroporto. Il volo di rientro dura circa 10 ore e è quasi interamente notturno quindi passa in estrema tranquillità.
Finisce così la nostra avventura in California e nel Far West. E’ stato senza dubbio uno dei migliori viaggi di sempre, sia come organizzazione che come riuscita finale. Abbiamo visitato città bellissime, ammirato paesaggi straordinari e fuori dal comune e passato giornate divertentissime. Inoltre è molto affascinante guidare lungo strade dritte che sembrano non avere mai fine e percorrendo panorami e paesaggi che cambiano volto in men che non si dica. Senza dubbio una vacanza che rimarrà impressa nella nostra memoria per lungo tempo.