Il Cammino di Santiago di Compostela 2
Un solo pensiero mi tormentava appena sveglio ogni mattina: forse oggi non ce la farò. Ma prima di arrivare a questo pensiero devo fare un passo indietro. Da diversi anni covavo il desiderio di fare il cammino di Santiago anche se non posso proprio definirmi un camminatore o escursionista. Ne avevo voglia senza alcun motivo apparente, mi attirava e basta. Quest’anno ho tirato un bel respiro e deciso su 2 piedi di affrontare quest’avventura, ma per mancanza di tempo ho potuto solo fare le ultime 2 settimane scegliendo come punto di partenza Astorga. Partendo dall’aeroporto di Fiumicino il modo più pratico per arrivare ad astorga è stato fare tappa a Madrid e poi con un autobus Alsa arrivare ad Astorga. L’autobus conviene prenotarlo per tempo su internet per così evitare le lunghe file agli sportelli in stazione, il costo è stato di circa 24€ e a pieno titolo questo tratto può far parte dell’inizio del viaggio verso Santiago… ci vogliono 4 ore e più per arrivare a destinazione e con a disposizione una sola sosta per i vari bisogni e rifornimenti. Arrivo in tarda serata e pernotto in un ostello con bagno condiviso. Ci siamo! Al risveglio son carico e pieno di emozione e prima di entrare nel percorso decido di andar a vedere la cattedrale e il palazzo Gaudì che meritano davvero. Finita la visita torno indietro e imbocco il sentiero segnato dal mio primo cartello e ricevo un ulteriore primo Buen Camino. Sono gasato e parto a tutta birra con passo lungo e piuttosto rapido, sorpassando vari pellegrini e facendomi apporre il primo timbro nella chiesetta dell ECCE HOMO. Inizio a fare i primi errori. Vado troppo veloce e lo zaino non lo regolo abbastanza spesso. Continuo a sbagliare quando non mi fermo al primo paesello che incontro, Santa Catalina de Somoza, riempio la borraccia e non do tempo ai miei piedi di respirare e alle mie gambe di aver il giusto ritmo. La prima sosta la effettuo dopo più di 9 km di cammino ad El Ganso. Il paese è piccolo ma si presenta bene e pulito. Sono appena le 9 e stanno già facendo la fiesta in paese. Mi rifocillo un pò con frutta secca, qualche biscotto e sali minerali. Una gentile signora mi fa entrare in una cantina/negozio dove vende le famose conchiglie di cappesante e ne compro una ad un prezzo onesto 1,5€. Sarà la mia compagna più fidata, assieme ad i sandali, lungo il cammino. Riprendo il cammino e dopo circa 4 km inizio a sentire qualcosa che non va ai piedi. Una vescica sta facendo capolino sotto la pianta del piede sinistro. Cammino ancora e le difficoltà iniziano a farsi sentire. Ho esagerato e lo capisco ma mi fermo per tempo a Rabanal del camino. La mia prima tappa si conclude alle 12:40. Decido di alloggiare al albergue Guacelmo CONSIGLIATISSIMO e ad offerta libera. Lo gestisce un gruppo di accoglienti e gentilissime signore inglesi che avranno premura di noi pellegrini anche a colazione preparandoci del pane fritto nel burro e con spalmata sopra della marmellata, si rivelerà una benedizione per affrontare la salita del giorno dopo. Pulito, ordinato e silenzioso, il migliore incontrato lungo il mio cammino. Rabanal è un piccolo paese medievale molto molto bello ed attrezzato per accogliere gli stanchi pellegrini che sono al centro del loro mondo e proprio di fronte al rifugio c’è un monastero ove i monaci intoneranno i vespri con canti gregoriani. Per l’ora di cena ci si può cucinare qualcosa essendo provvisto di cucina e vettovaglie e le signore inglesi cercano di far fare gruppo ai vari pellegrini. Da precisare una cosa, tendenzialmente sono un poco asociale e difficilmente parlo con altre persone eppure già da quel giorno conosco altri 2 italiani ed un giapponese. La prima cosa che mi insegna il cammino è che ti sentirai parte di qualcosa ed io inizio a sentirmi così. Fantastico. La seconda lezione la riceverò all’alba del giorno seguente. Tutti i giorni saranno scanditi con gli stessi ritmi e riti che pian piano imparerai ad amare.
Sveglia quando il sole non ha ancora fatto capolino, cerchi di fare il minor rumore possibile per non svegliare chi dorme ancora, colazione che non ha nulla da invidiare ad un pranzo e di nuovo Buen camino a todos. La vescica fa ancora male e decido di sostituire le rodate scarpe da trecking con dei sandali da trecking, e mi accorgerò che camminerò molto meglio con questi. Scoprirò che ognuno ha la sua visione e non sarò l’unico ad affrontare il cammino solo con i sandali. Ma è il giorno del mio compleanno e sono felice mentre stringo tra le mie mani i sassi portati da Fontechiari, il mio paese, ed il santino della mia parrocchia, che depositerò nei pressi del punto più alto del famoso Cammino. La salita non impegna troppo e con un paio d’ore raggiugno la Cruz de Hierro. Pelle d’oca! Fa freddo, c’è nebbia e sembra voler piovere. Tutti con le nostre felpette assolviamo ai nostro personale rituale posizionando gli oggetti ai piedi della croce con rispetto ed uno strano silenzio e per una mezz’oretta resto a contemplare la bellezza del paesaggio e la religiosità del luogo. Fin qui tutto bene, il fisico risponde senza problemi. Passo per Manjarin, famoso per il rifugio templare, forse un pò sopravalutato ma da qui a Molinaseca solo discesa, lunga, estenuante, difficile discesa. Molti pellegrini qui subiranno i problemi maggiori, me compreso. Il sentiero è in alcuni punti ripido ed insidioso, c’è da far attenzione a dove metti i piedi ed a causa delle vesciche cammini male. Le ginocchia soffrono e non poco. Per fortuna si presenta agli occhi, come un miraggio, il paesino di El Acebo. Non voglio far l’errore del giorno precedente e decido di pranzare con un panino e fare una pausa di mezz’ora. Alla ripartenza sento per la prima volta un dolore che non mi lascerà più fino alla fine del cammino: i muscoli dei polpacci si sono raffreddati ed ad ogni ripartenza la tensione muscolare si farà sentire finchè i muscoli non si scalderanno ancora, personalmente il tempo di recupero andava dai dieci ai venti minuti dopo il quale tornavo a “star bene” (parolone). Si torna a scendere dolcemente ma fino alla fine dell’asfalto; da qui il tormento della discesa ripida aumenta ulteriormente. La difficoltà è costante, inizi a vedere i primi pellegrini che si fermano dove possono per riposarsi e curarsi, c’è chi è davvero sfinito e questo è un colpo per il morale. Dopo 4 ore di discesa inizio a dare primi numeri. Davvero stanco di scendere, scendere, scendere e ancora scendere. Il ginocchio sinistro sta per andare fuori uso e debbo fasciarlo, fa male. Mi sento arrabbiato, e per la prima volta mi dico “ma chi me l’ha fatto fare”. Scoprirò in seguito che a 9 pellegrini su 10 questa espressione risulterà familiare e questo ti aiuta a sentirti meno scemo e fallito. Finalmente Molinaseca. Qui prendo la decisione più stupida che potessi prendere. Stavo ancora bene, nonostante il nervosismo e il ginocchio dolorante, avevo nelle gambe già 23 km e sentivo di poter dare ancora qualcosa. Decido di percorrere gli altri 6 km circa che mi separano da Ponferrada. Dopo i primi 3 km affrontati agevolmente mi blocco, letteralmente. Il mio corpo non vuole più saperne di andare avanti, tutti i dolori tornano a farsi sentire prepotentemente; ginocchio, polpacci, mi manca il fiato e sono senza un briciolo di energia. Con grande fatica continuo e mi appello alla bontà di un abitante locale per farmi offrire un pò d’acqua fresca. Arrivo a Ponferrada quasi con le lacrime agli occhi per il mio stato psico fisico. Trovo posto nel albergue municipal in una grande camerata da 80 posti (consigli per la sopravvivenza, non dimenticate i tappi per le orecchie sono essenziali). Anche qui accettano offerte. tutto è pulito, le docce sono tante ed è disponibile utilizzare la cucina e pentolame vario e nel dubbio è presente un distributore di bibite e snack. Un sollievo alla mia condizione fisica lo ricevo affondando le mie gambe nell’acqua fredda della grande vasca posta al centro del cortile del rifugio. Il mio compleanno si conclude così, stremato, con le gambe a mollo e nella testa la solita frase: Come farò domani? Riuscirò ad andare avanti?
Ferragosto inizia coi soliti riti pre alba. Oggi sarà il giorno più duro del mio Cammino di Santiago. Parto stanco, sto già male, le vesciche stanno guarendo ma un tizio mi ha detto che sono così rossi e infiammati i piedi che rischio una flebite… non so nemmeno cosa sia ma il dolore è costante ogni volta che alzo la pianta dei piedi a terra. In ogni caso merita la visita il castello dei templari. Per fortuna il percorso lo costeggia e lo vedo tutto. Sento che non va proprio, oggi farò tantissime soste e finirò il mio percorso alle 17. La giornata è molto calda, tanto che mi scotterò il collo e le braccia. Consiglio numero due: non lesinate nel portare con voi un cappello e tutte le creme del caso e tra le verie lasonil, voltaren, arnica non dimenticate una buona crema solare, lasciate a casa piuttosto un pantaloncino e una maglietta in più, ne va della vostra salute e del vostro cammino. a circa 5 km dall’arrivo la mia situazione peggiora. Cammino solo da tante ore ormai e l’arrivo di una coppia di italiani che iniziano a parlarmi e segnarmi il ritmo sarà il regalo più bello del appena trascorso compleanno. Affronto con loro la penultima salita, ormai allo stremo delle forze, ma dura poco perchè la discesa che si presenta dopo mi fà rallentare il passo colpa del ginocchio malandato e li perdo. Qui la lezione numero 3. La gente del posto vuole bene ai pellegrini, li ammira, nonostante ne vede passare migliaia ogni anno. Una famiglia ha notato la mia difficoltà e mi sono venuti incontro offrendomi della frutta e facendo due chiacchiere con me. é stato un momento toccante e nonostante il mio spagnolo non fosse dei migliori, non si sa come ma ci si riesce a capire, come sono riuscito a capire i due fidanzati coreani incontrati qualche giorno dopo. La sera a cena si concretizza un’altro miracolo del cammino; ritrovo i due fidanzati italiani che mi hanno dato una mano in salita e vado a cena con loro e nel ristornatino (10€ per un abbondantissimo e buonissimo menù del peregrino) incontraiamo altri 4 italiani. Mangiamo tutti insieme ridendo e scherzando come amici di vecchia data eppure incontrati solo quindici minuti prima. La condivisione di quell’esperienza fatta di fatiga, dolore, paesaggi e speranze unisce e lega le persone come non accade in nessun altro posto al mondo. La stessa cosa accaduta questa sera si ripeterà con dei spagnoli, dei francesi, una madre e figlia colombiana, nei giorni a seguire. Stupendo! Villafranca del berzo merita una visita assolutamente, anche se starete male come me, forse la cittadina più bella incontrata e da non perdere la visita alla chiesa del perdono(p.s. albergue da qui in avanti non saranno più donativi ma a quota fissa, questo, il municipal con scomodi letti in gomma e camerate strette ed affollate ma ben organizzato, costerà 6€) Sveglia presto, i piedi sono a pezzi, il signore di qualche giorno prima aveva ragione, ho un inizio di flebite. Cammino malissimo e il ginocchio mi provoca altrettanto dolore, e nei 20 km seguenti che mi portano verso o cebreiro, nasce dal nulla un dolore alla caviglia e non ho altre fasce da utilizzare (certi dolori arrivano da nulla e vanno via altrettando silenziosamente…mah). Ma la tappe è lunga altri 8 km, i più duri. La salita é mostruosa e mostruosamente dura. Molti diranno che il paesaggio è incantevole ed è vero, ma è altrettanto vero che il cammino ti sta prendendo a pugni così forte oggi che non riesci a vederla tutta questa bellezza. Capo chino e con una preoccupazione in più nella testa: c’è solo un albergue del pellegrino arrivati in cima ed i posti finiscono molto velocemente. Per fortuna ne trovo 1 ma devo dividermi dai miei compagni di avventura che sono in gruppo o in coppia e per non separarsi o dovranno dormire in qualche stanza privata al costo di 25€ (siamo pellegrini non turisti, dannazione) o dovranno proseguire per altri terribili 5 km circa di discesa, fino al prossimo paesello. In cima, le strade sembrano una corsia di ortopedia con tutti che zoppicano, si bucano vesciche e si fanno massaggi a vicenda, e sempre qui incontreremo una delle chiese più antiche del cammino e all’interno si nascondo un vero tesoro: I resti mortali del prete che ha lastricato ogni parte del percorso da san jean con la, tanto cara a noi pellegrini, famosissima flecha amarilla/freccia gialla che ci indica dove andare. Merita tutto il nostro rispetto ed un cero acceso. Inizio a perdere la cognizione del tempo. l’unità dei pellegrini si rinforza ulteriormente dopo questa dura prova ed una ragazza si offre di farmi un massaggio a piedi e gambe dopo cena, ma purtroppo la perderò di vista e non sono più riuscito a ringraziarla per i suoi preziosi consigli, il suo nome mi pare fosse Assila o qualcosa di simile, più simile a una vietnamita che a un italiana, se stai leggendo cmq grazie!!! Non so più che giorno sia e che data, e la vista delle stelle al risveglio (oggi prestissimo alle 4:30) mi danno forza e buon umore. Oggi sto meglio e stranamente aiuto io qualche pellegrino sul cammino. Da qui in avanti il percorso non sarà, come dicono molti, più facile ma sarà semplicemente meno difficile e purtroppo questi saranno gli ultimi due giorni di vero cammino e pellegrinaggio. Le lunghe ore passate in solitaria o con pochi altri pellegrini, di qualsiasi nazionalità, saranno a breve solo un ricordo. Il sentiero sarà anche meno difficile ma tutto il resto sarà più complicato. Innanzi tutto gli albergue saranno sempre più cari, le indicazioni stradali con le famose pietre miliari saranno prive di indicazione chilometrica, rubate da qualche imbecille, e i km riportati sui cartelloni turistici totalmente fuorvianti, questa cosa inizierà a logorare lo stato mentale del già stanco pellegrino. Triacastela sarà l’ultima sosta notturna degna di nota. Gli ultimi 110 km (e solo quelli, non importa se siete partiti da san jean o rochisvalle e vi siete sparati 700 km, se saltate gli ultimi 100 non riceverete la compostela. ASSURDO) quelli che ti permettono di ottenere la compostela partono da Sarria e qui tutto cambia. Proprio arrivato al albergue san lazaro (10€ ma consigliato perchè poco affollato e davvero carino) noto il cambiamento. Io arrivo con la febbre e visibilmente zoppicante ed esattamente così ripartirò l’indomani, mentre si affollano TURIGRINI arrivati da ogni dove che partono freschi, senza il peso dello zaino, facendo una caciara pazzesca e che quasi ridono quando ti sorpassano con passo lesto e molti altri di loro si fanno riprendere dagli autobus turistici dopo solo 5 o 10 km di camminata. Questo crea nervosismo poichè dovrai svegliarti sempre più presto e andare, per quanto possibile, più veloce degli altri per riuscire a trovare un posto dove poter dormire. Portomarin perde tutto il suo fascino quando nel albergue (pasino a pasino 8€) si presenta una scolaresca di adolescenti che schiamazzano e litigano tra di loro. Per contro riesco a godermi un buon menù del dia a 9€ con incluso un salmone alla griglia, nel ristorantino alla sinistra dell’antica chiesa. Da qui a Santiago perdo contatti con le persone conosciute giorni prima e ormai ho più di 200 km alle spalle, il mal di ginocchio non ha smesso di farsi sentire e dopo 20 km ogni giorno i piedi chiedono pietà… ed ogni volta ne mancavano ancora almeno 4 o 5 di km alla fine della tappa prefissata.
L’ultima tappa si rivela una sorpresa per la velocità e la quasi facilità con la quale si raggiunge Santiago. Nonostante siano 21 km da opedruzo e nonostante sia partito anche piuttosto tardi rispetto al solito arrivo a santiago poco prima delle 12. Due cose vanno però precisate: la prima è che monte gozo è si una visione per il pellegrino, poichà mancano solo 5 km alla cattedrale (quasi 7 contando la deviazione colpa dei lavori incontrati), ma per avere una visione migliore sulla città lasciate perdere il monumento principale e andate direttamente alle due statue che scorgerete sulla sinistra, da lì la vista regala davvero qualcosa di unico. Le guglie della cattedrale… ed è un tonfo al cuore. Seconda cosa, cercate un albergue arrivati a Santiago, ancor prima di andare alla tanto agognata cattedrale, anche e soprattutto per il fatto che ormai è vietato entrarvi con lo zaino, o come lo chiamano loro la mochilla, e non potreste assistere alla toccante messa e benedizione del pellegrino. Non sto qui a dirvi cosa si prova quando si arriva avanti alla porta d’ingresso della cattedrale che spesso abbiamo visto solo sui centesimi di euro spagnoli. C’è chi piange, chi ride, chi corre, chi si butta a terra, chi come me accende un sigaro nonostante non sia un fumatore, tutti reagiscono inaspettatamente ed in modo diversi. Lasciatevi un giorno per visitare la città e farsi avvolgere dall’euforia dei pellegrini anche se, sembrerà strano, qui il pellegrino non è al centro di tutto. Concedetevi come tappa finale, una visita al faro di finisterre e al famoso km 0,00, in autobus o a piedi, come meglio credete. Non voglio dire bugie, l’arrivo in città non vi farà dimenticare i dolori e sforzi fatti fin ora, io mentre scrivo ho ancora male al ginocchio, ma di certo al rientro avrete ancora negli occhi quelle chiacchiere con gli amici che stranamente si rincontrano quasi tutti a santiago, quei luoghi, quegli odori di mucca e metano, eucaplipto, il rumore della corrente elettrica sotto i tralicci, i sorrisi e il buen camino che sarà nostro compagno. Non sarà un viaggio, una vacanza o una semplice camminata ma una vera esperienza a 360 gradi. Ora chiudo che vado a tatuarmi la conchiglia 😉 . todo se comple.
CON IL CUORE… BUEN CAMINO A TUTTI