In biclicletta sulle vie della Carinzia, del Friuli e del Veneto
Per motivi logistici, il viaggio prende il via dalla stazione ferroviaria di Rovereto, dove trovo l’ultimo posto auto libero per parcheggiare. Assemblata la bici con le borse da viaggio e acquistato il biglietto, riesco a trovare posto sul Regionale Veloce delle 8:38 per Brennero. La scelta treno+bici è, soprattutto su questa linea, sempre più popolare e sembra che Trenitalia non riesca ad adeguarsi alla domanda, visto che sistemare le bici nel ristretto vano della pilotina è una delicata operazione d’incastro. Sul treno, dunque, molti ciclisti. Tra questi tre ragazze poco più che ventenni, che raccontano di voler fare il tour Bolzano-Bressanone-Monguelfo-Lienz in tre giorni. A Bolzano, quando sono scese, ho visto le loro bici da città senza rapporti e con tanto di cestino, non ho potuto fare a meno di ammirare l’intraprendenza, il coraggio e, credo, anche la tempra fisica.
A Fortezza si cambia. Da qui partono i bellissimi SAD, sui quali passeggeri e bici trovano comodamente posto. Anche questo treno si riempie. Allo scoccare delle 12:00 sono a Dobbiaco, dove scendo e preparo la bici per iniziare il tour vero e proprio.
Dalla stazione di Dobbiaco le indicazioni per la ciclabile della Drava sono chiarissime. Il percorso inizia pianeggiante nei prati a Est di Dobbiaco e in breve raggiunge San Candido, paese a me caro. Resisto alla tentazione di entrare in bici nella zona pedonale e seguo il percorso ciclabile che aggira il centro del paese. Da qui una breve salita fa immettere sulla pista ciclabile vera e propria che nei primi chilometri segue la ferrovia. Si passano Versciaco, Prato alla Drava e, senza interruzione di continuità, si entra in Austria. Giungendo a Sillian la valle si apre ulteriormente. Una piccola interruzione obbliga a passare davanti alla stazione ferroviaria, da dove con un ponticello si ritorna sulla pista ciclabile. Qui mi fermo per fare la prima pausa pranzo.
Dopo Sillian la discesa si fa più marcata e si sta quasi sempre nel bosco. Il percorso è veramente divertente, riuscendo a fare andare la bici si raggiungerebbero velocità gradevoli. Certo, il traffico è abbastanza intenso, per cui molto spesso bisogna frenare. Molte le famiglie con bambini e i gruppi che occupano l’intera larghezza della pista. Mi hanno stupito anche i molti carrellini al traino, che pensavo contenessero bambini piccoli. In realtà la maggior parte di questi era adibita al trasporto di cani. Qui si potrebbe aprire una parentesi… che è meglio chiudere subito. Mi sono rimasti impressi due particolari: in un caso una signora era seduta nel carrellino e coccolava ed accarezzava il cagnolino, che probabilmente si era inquietato per l’inusuale trasporto. Nell’altro ho visto una sorta di stia per i polli con le sbarre in ferro, legata sul portapacchi posteriore di una bici da città, anche questa ospitante un povero cagnetto.
Dopo circa 40 chilometri da Dobbiaco arrivo a Lienz. Mi soffermo a visitare il centro, abbastanza carino con molti negozi e bar con i tavolini all’aperto, tutti molto affollati. Vado allora sull’altra sponda del fiume Isel, il primo grande affluente della Drava, dove c’è un bel parco ombreggiato, e qui mi concedo una pausa ristoratrice.
Ritorno alla stazione ferroviaria dove riprendo la ciclabile della Drava in direzione Spittal. Da Lienz in avanti la situazione cambia decisamente. Intanto il percorso diventa sostanzialmente pianeggiante. Rimane parallelo al fiume che in questo tratto è più maestoso e più tranquillo che non nel tratto a monte. L’affollamento è sparito completamente e mi trovo a pedalare da solo per la trentina di chilometri che mi separano da Oberdrauburg, dove ho prenotato l’albergo per la prima notte.
Pernotto all’Gasthof Post, nella piazzetta centrale del paese. La struttura è molto carina e risistemata di recente. Mi danno una camera molto bella. Decido di cenare in hotel, che è dotato di un bel cortile esterno. Il Fitnessteller accompagnato da un radler e seguito da un Apfelstrudel mi riconciliano con il mondo.
Lunghezza totale della tappa 71,8 km percorsi in 3h e 37’ (pause comprese) alla velocità media di 19,8 km (pause comprese). Discesa totale 1571 m, ascesa totale 987 m.
1 AGOSTO, II TAPPA: OBERDRAUBURG TARVISIO
Fin dalla prima pianificazione di questo itinerario avevo deciso di non seguire la pista della Drava fino a Villach, ma di raggiungere la valle del fiume Gail, lungo la quale si snoda un altro percorso ciclabile, R3.
Per questo motivo la mattina del martedì, dopo aver acquistato i panini nel piccolo supermercato di Oberdrauburg, non riprendo la ciclabile della Drava ma imbocco la strada per Kötschach – Mauthen. Non è un percorso ciclabile, ma una strada di montagna che permette di valicare lo spartiacque tra le due valli. La salita è relativamente impegnativa, ma al mattino è tutta in ombra e il traffico automobilistico è modesto. Supero agevolmente il dislivello che con una decina di tornanti mi porta ai 1000 m del Gailberg. Il panorama è stupendo e i colori, il blu del cielo, il verde dei prati e il bianco delle rocce dolomitiche, lasciano poco spazio ai mezzitoni e alle zone d’ombra: è tutto perfetto. Dal Gailberg la discesa è bellissima e sarebbe molto divertente da percorrere a capofitto, ma mi fermo diverse volte per guardarmi bene intorno e per scattare qualche foto. Kötschach è un paesino carino. In breve raggiungo il fiume Gail dove inizia il percorso ciclabile. Alcuni lavori di sistemazione delle sponde mi disorientano, ma in breve trovo la via e inizio la discesa della valle della Gail.
È una valle tranquilla, aperta, ariosa e molto verde. Il percorso è in lievissima discesa, per cui non si è esentati dal pedalare. Si viaggia quasi in solitudine, incrociando di tanto in tanto cicloturisti nella direzione opposta, tutti sorridenti e salutanti. La pista segue il corso del fiume, discostandosi solo poche volte all’altezza delle confluenze. In diversi tratti si può scegliere se stare sull’argine sterrato o sulla ciclabile sottostante asfaltata. All’altezza di Hermagor il percorso ciclabile si sdoppia, proponendo una variante per il Presseger See. Decido di rimanere sul percorso principale lungo il fiume, che rimane però più lontano dai centri abitati. E questo il tratto più monotono della valle del Gail, sterrato e diritto. Ricongiuntosi con il tratto settentrionale, la pista ciclabile si stacca dal fiume e piega verso nord, raggiungendo la ferrovia e i paesi. A Nötsch mi fermo su una panchina all’ingresso del paese per la pausa pranzo. Dopo Nötsch la pista sale leggermente per percorrere un tratto molto bello nel bosco e ricongiungersi al fiume Gail.
Dopo qualche chilometro le indicazioni per Arnoldstein invitano a lasciare la ciclabile della Gail e a piegare a destra. Su un ponte ciclabile, il Nepomukbrücke, inaugurato nel 2013, si attravesa la Gail, che qui è ormai un fiume imponente, molto diverso dal vivace torrente che avevo incontrato a Kötschach. Un bel percorso con saliscendi nel bosco porta ad Arnoldstein. Attraversato il paese si incontra la ciclabile Alpe Adria, proveniente da Villach, che imbocco con decisione verso ovest, in direzione Italia.
In questo tratto austriaco la ciclabile segue la strada statale, ma su percorso protetto. Inizia subito una salita dalla pendenza continua e non impegnativa. Il problema è che al pomeriggio è completamente al sole e quando la percorro il termometro del mio computerino di bordo segna 39°C. Mi fermo stremato all’area di servizio di Thörl, poco prima del confine, per una sosta refrigeratrice.
Di qui in breve raggiungo il confine di Coccau e rientro in Italia. Subito una sorpresa. La pista ciclabile abbandona la strada statale e si inerpica per una breve ma impegnativa salita (15%) con stretti tornanti nel bosco soprastante. Una volta in quota prosegue con continui saliscendi, ma prevalentemente in salita, fino a passare il paesino di Coccau e poi raggiungere la statale. Si evita il tunnel, passando per il vecchio percorso della SS13. Una breve discesa immette poi nel tracciato della ciclabile ricavato nella sede della vecchia ferrovia. Sempre in leggera salita si entra in Tarvisio, passando la dismessa stazione centrale e raggiungendo la stazione di Tarvisio Città che è la porta al centro abitato. Abbandono dunque la ciclabile e raggiungo l’hotel Haberl, una graziosa struttura sulla centralissima via Roma, dove trascorro la seconda notte.
Tarvisio è un centro turistico che non ha conservato molto dei tempi antichi, anche se vi sono ancora diverse strutture di inizio ‘900 con interessanti tratti liberty. In fianco alla chiesa parrocchiale, con un interessante portale gotico, conserva una chiesa fortificata, memoria del periodo in cui l’Austria era minacciata dall’invasione dell’esercito turco, per cui nei paesi si erano costruite queste chiese cilindriche, protette da fossato e di difficile accesso, nelle quali la popolazione avrebbe potuto trovare rifugio in caso di minaccia. Lungo le pareti della parrocchiale e del muro di recinzione di quello che probabilmente era il cimitero, sono murate molte lapidi funerarie. Balza subito all’occhio che anche Tarvisio, italiana dal 1919, in realtà con l’Italia ha avuto poco da spartire. Tra le lapidi dell’800 e inizio ‘900 sono prevalenti i nomi e gli epitaffi in tedesco (il parroco, il dottore, il farmacista). Vi sono alcuni nomi chiaramente sloveni, mentre quelli italiani sono nettamente in minoranza. Non deve pertanto stupire che molte indicazioni di località siano scritte in tedesco e sloveno, oltre che italiano e friulano. Uno sfizioso piatto di tagliatelle ai porcini e prosecco fa da preludio al sonno ristoratore della seconda notte.
Lunghezza totale della tappa 97,3 km percorsi in 6h e 22’ (pause comprese) alla velocità media di 15,3 km (pause comprese). Discesa totale 1725 m, ascesa totale 1838 m.
2 AGOSTO, III TAPPA: TARVISIO UDINE
Il panificio Petozzi in centro a Tarvisio prepara degli ottimi panini con insaccati friulani di buona qualità. Provveduto al pranzo, alle 8:30 imbocco nuovamente la ciclabile Alpe Adria in direzione ovest. La giornata è splendida e la temperatura è ancora gradevole. Si pedala in leggera impercettibile salita lungo il tracciato della dismessa ferrovia per i primi 5 chilometri. Raggiunto Camporosso, si scollina, valicando lo spartiacque continentale tra Mediterraneo e mar Nero. La valle è molto aperta e molto verde e i massicci calcarei delle Alpi Carniche si stagliano nitidi contro il cielo azzurrissimo. Il lavoro fatto per costruire la ciclabile è veramente encomiabile. Una volta passato lo spartiacque, la pedalata si fa molto fluida perché si corre in leggera discesa. Ben presto si incontrano le prime gallerie, tutte (tranne una) sufficientemente illuminate. In poco tempo si raggiunge Pontebba, dove il percorso abbandona il tracciato della vecchia ferrovia e entra in paese. Il ponte sul torrente Pontebbana era il vecchio confine tra Italia e Impero Asburgico. Due cippi con le distanze in miriametri da Klagenfurt e da Venezia ricordano ancora il vecchio passaggio. Per riprendere la ciclabile da Pontebba bisogna percorrere un paio di ripide rampe e una scalinata, ma le indicazioni sono sempre chiare. Risaliti sul tracciato della vecchia ferrovia si riprende la discesa verso la pianura, attraversando i vecchi tunnel e scavalcando più volte il fiume Fella, dalle acque di un azzurro molto intenso su arditi ponti in metallo originari della vecchia ferrovia. Si incontrano numerose tracce della via ferrata, caselli, alcune tratti di rotaie, stazioni. In particolare quella di Chiusaforte è stata sapientemente recuperata in un servizio di ristoro, conservando però la pensilina e anche le proboscidi che servivano per rifornire di acqua le locomotive a vapore.
All’altezza della stazione di Moggio Udinese il percorso della vecchia ferrovia si interrompe. Qui ho trovato un signore gentilissimo che mi ha fornito utili informazioni per il proseguimento del mio viaggio, facendomi fotografare delle cartine appositamente preparate per aiutare il cicloturista a seguire il percorso Alpe-Adria, che da qui in avanti diventa più complicato. Questo signore ha tenuto a dire che il suo è un servizio offerto dal comune di Moggio, per cui grazie a lui e anche all’amministrazione comunale per questo lavoro meritorio.
Grazie alle indicazioni avute, riesco a raggiungere la stazione di Carnia utilizzando una bella strada, in parte sterrata che corre sulla destra del Fella, passando per Campiolo e attraversa il fiume stesso sul vecchio ponte ferroviario. Da Carnia a Venzone non c’è altra alternativa che pedalare sulla SS13, evitando solo il tratto che passa per Portis. Sono comunque solo 3 chilometri e non soffro più di tanto il traffico.
A mezzogiorno entro a Venzone, il paese premiato come “Borgo dei Borghi 2017” dalla trasmissione “Alle falde del Kilimangiaro” di RaiTre. Effettivamente il centro storico, racchiuso dalla cinta muraria è un piccolo gioiello medievale. La piazzetta del comune è il centro della città, probabilmente all’incrocio del cardo con il decumano. Ovunque edifici e eleganti palazzetti gotici dove si legge l’impronta veneziana. Di poco discosto il duomo, che conservando l’orientamento originario, offre al centro del paese la veduta dell’abside. Si tratta di un pregevole edificio medievale dal semplice impianto gotico. A Venzone ogni edificio del centro storico assume un significato particolare se si pensa che la cittadina, dichiarata monumento nazionale nel 1965, venne completamente distrutta dal terremoto del 1976. La ricostruzione avvenne con una cura particolare e cercando di riutilizzare tutti i materiali originari. In particolare il duomo venne ricostruito pietra su pietra con il procedimento dell’anastilosi.
Dopo la pausa pranzo al campo sportivo di Venzone, riprendo il cammino. Grazie alle indicazioni dell’amico di Moggio trovo subito la pista ciclabile che da Venzone porta a Gemona. Ormai siamo in pianura, ma all’inizio questa ciclabile riprende il tracciato della vecchia ferrovia. Alle porte di Gemona una brusca curva a gomito e una rampa sterrata offrono una inaspettata variante. Per questa stradina sterrata si arriva all’abitato di Gemona, dove si perdono le tracce della ciclovia. Riesco a districarmi solo con il navigatore perché di indicazioni neanche l’ombra. In tutta la durata del percorso è l’unica volta che il cicloturista è lasciato a sé stesso: una pecca che pesa tutta sulle spalle del comune di Gemona. Stizzito e anche accaldato, rinuncio alla visita del centro che avevo programmato e, con l’aiuto del telefonino, recupero la via ciclabile, che si è avvicinata molto al Tagliamento. I successivi chilometri scorrono nei boschi ripariali del Tagliamento, con sufficiente ombreggiatura. Si passa Osoppo e si continua a viaggiare paralleli al fiume, ma lontani dall’argine, fino al punto in cui si piega decisamente a est e passando ai margini della zona industriale si raggiunge Buja. Qui trovo l’unica fontanella del percorso tra Venzone e Udine. Il caldo è opprimente e ne approfitto per una sosta ristoratrice. Da Buja il percorso ciclabile, sempre ben segnalato, corre tra piccoli centri abitati che, con questo caldo, sono completamente inanimati. La ciclovia continua a serpeggiare tra strade, parcheggi, sottopassi, continue svolte e ho l’impressione che un chilometro in linea d’aria si trasformi in un tratto quattro volte più lungo. A Vendoglio vedo un praticello ombreggiato dalla mole della chiesa e, imitando due altri cicloturisti, decido un’altra sosta.
Una verifica sulla cartografia del telefonino mi conferma che da Vendoglio passa un altro percorso ciclabile, indicato come “Ippovia”, di cui avevo letto in rete. Decido quindi di abbandonare l’Alpe-Adria, che negli ultimi chilometri mi aveva innervosito e di seguire la nuova alternativa. Chiaramente le indicazioni non parlano di ippovia ma di “In@Natura”: se ci si mettesse d’accordo, sarebbe forse tutto più semplice. Comunque il percorso è molto bello, lo sterrato è quasi sempre ben percorribile (servono comunque ruote grosse, la bici da corsa qui non va), in un bel bosco molto ombreggiato. Dopo Tavagnacco tuttavia il fondo diventa più brutto, con un paio di guadi e di rampe che mi fanno mettere il piede a terra. Salto un bivio e mi ritrovo sullo stradone provinciale. A questo punto stanco e accaldatissimo, decido di puntare diretto su Udine, percorrendo gli ultimi tre chilometri sullo stradone sotto il sole e con molto traffico automobilistico.
Entrato in Udine mi fermo al primo bar con i tavolini in ombra e mi tracanno una Lemonsoda ghiacciata. Da qui raggiungo in breve il B&B Hotel di Udine (via Duino) dove trascorro la terza notte. Dei tre alberghi è quello che mi è piaciuto meno. Dotazione standard ma atmosfera impersonale e poi soprattutto molto rumoroso. Già il termoconvettore in camera rendeva impossibile dormire, ma anche una volta spento quello, la mia camera si affacciava sul gruppo compressori dell’albergo, i cui decibel oltrepassavano abbondantemente la barriera delle finestre. La pioggia in serata e la stanchezza mi fanno rimandare la programmata visita a Udine. Pizza alla pizzeria Vesuvio (buona) e poi nanna.
Lunghezza totale della tappa 116 km percorsi in 7h e 28’ (pause comprese) alla velocità media di 15,5 km (pause comprese). Discesa totale 2934 m, ascesa totale 2286 m.
3 AGOSTO, IV TAPPA: UDINE – TREVISO – GRISIGNANO DI ZOCCO
La prima parte della mattinata è destinata alla visita di Udine. Per me è stata la prima volta in assoluto in città. Il centro storico è veramente molto piacevole. L’ho girato bene in bicicletta (non è molto esteso) e ho fatto numerose fotografie. L’atmosfera era decisamente rilassata e i pochi turisti si disperdevano bene tra i cittadini locali, intenti al rito del caffè mattutino. Nel complesso ne ho ricavato un bel quadro urbanistico, accompagnato da pregevoli edifici gotici e rinascimentali.
Alle 10:05 prendo il regionale veloce per Venezia, dove trovo comodamente posto per me e per la bici, che in un’ora e mezza mi porta a Treviso. A Treviso la temperatura è già molto elevata. Il programma prevede di raggiungere la ciclabile Treviso-Ostiglia, che so iniziare a Quinto di Treviso per cui imposto il navigatore per raggiungere questa località. Non è semplicissimo, perché mancano completamente le indicazioni. Il percorso è inizialmente protetto, o per lo meno la pista ciclabile è tracciata con segnaletica orizzontale. Presso la grande rotonda dello svincolo della tangenziale, però, il povero ciclista deve scendere nell’arena dei motorizzati. Si pedala sulla via Noalese tra macchine e autobus davanti all’aeroporto trevigiano fino ad arrivare alla via delle Muneghe, che porta all’imbocco della ciclabile. Questa è ricavata sul tracciato della ferrovia dismessa nel 1959 Treviso – Ostiglia. Si tratta di un ottimo lavoro di recupero e la ciclabile scorre diritta come un fuso per chilometri e chilometri. Il fondo è inizialmente sterrato poi, entrando in provincia di Padova, diventa asfaltato. Certo siamo in Veneto, regione densamente popolata, per cui sono frequentissimi gli attraversamenti della viabilità ordinaria, in corrispondenza dei quali sono sempre messe delle barriere che impongono strette chicanes e quindi bruschi rallentamenti. La pedalata, in effetti non è mai fluida per più di qualche centinaio di metri. La pista è molto ombreggiata e scorre in un ambiente agreste molto gradevole. Mancano zone di sosta e soprattutto fontanelle (una sola presso la stazione di Silvelle di Trebaseleghe). Un paio i ristori che si incontrano, chiusi (d’altronde siamo in agosto e ci sono 37°C). La pausa pranzo si svolge sotto una quercia maestosa, seduto sull’erba di un prato e circondato da un silenzio incredibile.
Il problema dell’acqua si fa comunque sentire per cui arrivato nei pressi di un paese, che scopro essere Pieve di Curtarolo, lascio la ciclabile in cerca di un bar. Il bar però è chiuso, tuttavia all’interno c’è una signora che penso di aver mosso a pietà, perché mi apre e, pur dicendomi che in agosto tengono aperto solo fino alle 14:30, mi fa entrare e mi serve una lemonsoda ghiacciata. Approfitto ancora della gentilezza e mi faccio riempire le borracce con acqua e ghiaccio. Il bar si chiama 2aL e non posso non citarlo, non solo per la gentilezza e la cortesia ma anche perché è proprio un bel locale. Da qui mancano solo gli ultimi chilometri alla fine della ciclabile. Il ponte sul Brenta è in costruzione e i lavori impongono una breve deviazione. Un’altra meno sopportabile deviazione è imposta da altri lavori a poche centinaia di metri dalla stazione di Grisignano di Zocco: la chiusura della strada impone un giro su asfalto e sotto il sole che, a 40°C, non affronto con stato d’animo sereno. Arrivato in stazione sento l’annuncio del regionale per Verona, che prendo quindi quasi al volo. In breve sono a Verona Porta Nuova dove la coincidenza col treno per Brennero mi riconduce a Rovereto.
Lunghezza totale della tappa 56,4 km percorsi in 3h e 51’ (pause comprese) alla velocità media di 14,6 km (pause comprese). Discesa totale 339 m, ascesa totale 347 m.