A Londra tra cultura e street art
Londra è una meta che abbiamo frequentato più volte in passato, anche se ormai mancavamo da circa un decennio. I monumenti, i musei e le attrazioni più noti li avevamo già incontrati nelle nostre precedenti visite, per cui abbiamo concentrato nei pochi giorni a disposizione alcune visite culturali, un’immersione nel mondo colorato dei mercati e lunghe passeggiate che il tempo clemente ci ha concesso, alla ricerca di Street Art. Il periodo dell’anno ci ha regalato strade ancora illuminate dalle decorazioni natalizie, alcune molto belle.
I musei di Londra sono tantissimi e coprono uno spettro culturale molto vasto. Nonostante la sua importanza non eravamo mai riusciti a visitare il Victoria and Albert Museum e abbiamo quindi deciso di inserirlo nel nostro itinerario. Fa parte del circuito dei musei nazionali e quindi ad ingresso gratuito. Ha numerose collezioni diversificate che coprono un periodo storico molto ampio, la cultura occidentale e quelle orientali, eredità del retaggio coloniale. Alcune sale sono state recentemente ristrutturate, rinnovando l’esposizione e l’illuminazione, con risultati di ottimo effetto. Dovendo selezionare a priori le sezioni da visitare ci siamo concentrati sugli immancabili Cartoni di Raffaello per gli arazzi della Cappella Sistina, sugli esemplari di arte medievale e rinascimentale (provenienti principalmente dall’Italia, dalla Francia, dalla Spagna), sull’arte islamica che ci ha colpito per la ricchezza e la significatività dei reperti.
Alla Royal Geographical Society (1, Kensington Gore), invece, abbiamo visitato una mostra temporanea – Crossing the Empty Quarter – su una spedizione nel deserto della penisola arabica, dall’Oman al Quatar, intrapresa negli anni Trenta del Novecento da un esploratore inglese e ripetuta solo tra il finire del 2015 e l’inizio del 2016, in condizioni del tutto diverse per quanto riguarda la logistica e il supporto istituzionale, ma dovendo affrontare problemi analoghi per le difficili condizioni climatiche e la presenza di tribù locali non proprio amichevoli. La mostra presenta delle belle foto e un video della spedizione recente, oltre a una serie di pannelli esplicativi delle due spedizioni. È un argomento un po’ di nicchia, ne convengo, ma lo abbiamo trovato di sicuro interesse.
Una sosta interessante l’abbiamo fatta alla Stanfords Bookshop (12-14 Long Acre – Covent Garden), un paradiso per chi ama viaggiare. È una splendida libreria dove si trovano guide turistiche di ogni paese che nel mondo abbia un minimo interesse per il viaggiatore, altri libri collegati al mondo del viaggio, mappe e carte geografiche, riproduzioni di stampe antiche, mappamondi…
I mercati costituiscono una parte colorata e vivace della città. La forte presenza multietnica li caratterizza per gli odori e i sapori e per un’offerta di merci variegata: alimentari, artigianato, oggetti vintage, musica e, non potrebbe mancare, abbigliamento. Non c’è dubbio che la connotazione “turistica” è forte, ma non esclusiva. E poi costituiscono un soggetto fotografico proficuo e una risorsa non dispendiosa per una pausa mangereccia.
Noi abbiamo visitato il Borough Market (nei pressi di London Bridge), mercato alimentare con frutta, verdura, pesce, formaggi e piccoli banchi che offrono street food, dalle caratteristiche pie, prettamente inglesi, alla cucina etnica, ai prodotti biologici. L’immancabile Camden Lock, sul Regent Canal con le chiuse e il transito delle houseboats, e l’Old Spitafields Market, un po’ sofisticato, con un’offerta di oggetti di artigianato e di abbigliamento particolari e di indubbia qualità.
Londra è una città che si rinnova continuamente. La coesistenza anche in pieno centro di vecchie case in stile vittoriano con ardite costruzioni in vetro che riflettono la città è usuale. Il London Eye, la grande ruota panoramica a Southbank fronteggia, dall’altra parte del Tamigi, i simboli della città: Big Ben e le Houses of Parliament e dal Golden Jubilee Bridge (pedonale) la vista d’insieme è eccellente. Un’occhiata allo Shard (la Scheggia), il grattacielo più alto della città costruito da Renzo Piano, che svetta dalle parti di London Bridge (il sito internet informa, tra le altre cose, delle difficoltà e delle lungaggini per la sua costruzione per carenza di finanziatori: alla fine solo il coinvolgimento sostanziale di una società del Qatar ne ha permesso la realizzazione).
Nella zona nord, tra Hampstead e Highgate abbiamo fatto una bellissima passeggiata in un quartiere residenziale collinare con belle case, attraversando il Waterlow park con il suo laghetto semi ghiacciato e approdando infine al cimitero di Highgate (4 £ il contributo per l’entrata), dove si trovano, tra le tante, le tombe di Karl Marx e della scrittrice George Eliot. La visita al cimitero è stata veramente una scoperta. Le tombe, tutte a terra con lapidi e in qualche caso statue, sono disseminate in un bosco che in inverno è spoglio e, nelle giornate di sole, molto luminoso. Il terreno collinare e l’affollamento delle sepolture che coprono un arco di tempo piuttosto ampio, che arriva fino ai nostri giorni, ha reso le lapidi più antiche e muschiose un po’ instabili, che a volte si appoggiano tra di loro. In generale si respira un senso di pace profonda: il bosco, i piccoli uccelli che svolazzano conferiscono un senso di serena naturalità alla morte, come quello che si respira, per esempio, nei piccoli cimiteri di montagna. In questo ambiente siamo rimasti particolarmente colpiti da una porzione di prato, verde, definita nei contorni da un cordolo in pietra, con una piccola lapide da un lato per ricordare che lì sotto sono sepolte le suore di un convento nei pressi. E poi, la tomba di una coppia formata da un medico cristiano e la moglie ebrea, che riporta una citazione dal libro di Ruth, esempio di tolleranza di cui dovremmo far tesoro “perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io e vi sarò sepolta”.
A nord di Liverpool street, ai confini con la City, convivono vecchie case e nuovi palazzi destinati a uffici, cantieri per la costruzione di nuovi edifici. L’Old Spitafields Market costituisce il punto di passaggio con la zona di Brick Lane, un quartiere abitato in prevalenza da bengalesi, dove abbiamo incontrato una piccola moschea con il suo alto minareto ed esempi di Street Art molto interessanti. Per apprezzarla è necessario camminare lentamente, voltarsi indietro per cambiare prospettiva di osservazione, prendere stradine laterali, perché dietro un muro uno slargo può riservare una sorpresa. Si tratta in massima parte di graffiti, alcuni coloratissimi, altri in bianco e nero come la famosa Gru di Roa, ma abbiamo trovato anche alcuni esempi dei mosaici tipici di Space Invader (figurine dei computer games), analoghi a quelli visti a Roma o a Parigi.
In sintesi: a Londra, anche se ci sei stato molte volte, c’è sempre qualcosa di nuovo, diverso, interessante da vedere, fare…
Aspetti organizzativi
1. Trasporti. Per raggiungere Londra abbiamo volato all’andata da Roma Fiumicino a Gatwick con Easy Jet, prenotato con sole due settimane di anticipo: costosissimo! Circa 250 € a persona. Il ritorno con Vueling (Gatwick-Fiumicino), 50 € a persona con bagaglio in stiva. Puntuali sia il volo dell’andata che quello del ritorno. Per il transfer Gatwick-Londra abbiamo comperato dall’Italia il biglietto A/R (22,20 €) per il treno della ThamesLink. È più conveniente del Gatwick Express, ma va tenuto conto che la linea è frequentata dai pendolari: la tratta Londra-Gatwick alle 18.00 era affollatissima, una corsa saltata per una protesta sindacale, il treno pieno zeppo, lento, per fortuna eravamo partiti per tempo!
A Londra ci siamo mossi con la metropolitana, acquistando una Oyster (la nota card dei trasporti londinesi, 5 £ di deposito), caricata con 30 £ (costo limite giornaliero di 6,40 £). La rimanenza la utilizzeremo al prossimo viaggio.
2. Sistemazione. Abbiamo prenotato da Roma con Booking il London Shepherd’s Bush, della catena Ibis, situato nel quartiere di Hammersmith. Costo 238 € per tre notti la camera doppia, senza prima colazione. Standard Ibis: semplice, essenziale, pulitissimo. Personale cortese ed efficiente. In Zona 2, a pochi passi dalla stazione della metropolitana (Shepherd’s Bush, sulla Central Line). Il quartiere è popolare, multietnico, tranquillo e, nello stesso tempo, vivace. La scelta si è rivelata ottima, sotto tutti i punti di vista, compreso il rapporto qualità/prezzo.
3. Pasti. Per la colazione, nei pressi dell’hotel, il primo giorno siamo andati nell’immancabile Starbucks. Poi abbiamo scoperto lì accanto, Soussa, una pasticceria tunisina che ci è piaciuta molto!
A pranzo nei mercati ci siamo affidati allo street food: l’immancabile fish & chips, pie di verdura, pita con falafel.
A cena, cucina etnica. Quella indiana di Masala Zone a Covent Garden (48 Floral Street); quella giapponese di Bone Daddies (63-97 Kensington High Street) dove abbiamo mangiato un ottimo ramen (brodo di pollo, con pezzetti di carne e spaghetti di riso). All’uscita abbiamo fatto un giro nel Whole Foods Market, ospitato nello stesso stabile, con un’incredibile offerta di prodotti alimentari biologici; quella nepalese di Nepal Restaurant (121, Uxbridge Rd ad Hammersmith), in una zona multietnica, frequentato essenzialmente da inglesi (eravamo noi gli unici turisti quella sera), dove abbiamo gustato ottimi ravioli con ripieno vegetale e piatti di agnello, speziato, ma non troppo piccante. Il tutto accompagnato da un lassi salato (tipica bevanda a base di yogurt).