Là dove tutto nasce
Per questo viaggio userò soprattutto la testa. Per mancanza di tempo: lavoro, famiglia, amici e pigrizia, non mi sono preparata fisicamente. Io parto assieme a tre grandi amici e compagni di viaggio. La proposta mi viene fatta da Maurizio, gran conoscitore dell’India. La meta; raggiungere a piedi, due, per mancanza di tempo da parte mia (….io lavoro), delle quattro principali sorgenti del Gange. Questo percorso, importante circuito indù, fa parte di un pellegrinaggio di oltre mille km il Char Dham Yatra (quattro centri pellegrinaggio) e deve essere visitato da sinistra a destra, come faremmo noi. Partiamo da tre aeroporti diversi, l’appuntamento è a Zurigo. Voliamo su Delhi con un volo della Swiss Air, si arriva in perfetto orario. E’ quasi mezzanotte. In aeroporto riconosco subito l’odore dell’India: la canfora, ed ho la conferma alla prima domanda, nella risposta con il dondolio della testa. Cambiamo un po’ di soldi (69,65 rupie per 1 €) e si esce veloci senza intoppi. Per andare in albergo, prenotato dall’Italia tramite Booking, prendiamo un taxi. L’abbiamo scelto, vicino all’aeroporto perché domani pomeriggio abbiamo un volo interno. L’albergo è pieno, anche se abbiamo la prenotazione, ma da bravi indiani ci sistemano subito e ci portano al vicino Hotel Grand Godwin. Notte quasi in bianco: rumori vari e soprattutto goccia del condizionatore. A colazione incontriamo Swami, proprietario dell’agenzia che ci ha organizzato il trek (www.team4adventure.com). Impieghiamo buona parte della mattinata con lui, noi facciamo domande ed esponiamo i nostri dubbi e richieste. Alle 12.30 arriva il transfer per l’aeroporto, in 10’ siamo al nostro terminal. Il volo interno parte in perfetto orario e dopo 45’ siamo a Dehradun (1.400mt). Dehradum capitale dello stato federale dell’Uttarakhand, situato nella regione di Garhwal, si trova ai piedi dalla catena dell’Himalaya, nella Doon Valley. E’ una delle più antiche città dell’India; famosa per: clima mite, i più prestigiosi e famosi istituti del paese e i khukris, i coltelli tradizionali. La spada usata nel film “Il Gladiatore” è stata progettata e realizzata qui. Dei membri dell’agenzia ci vengono a prendere all’aeroporto e ci accompagnano alla Samar Niwas Guest House, a circa 35 km dallo stesso, siamo a 710mt. In fretta dividiamo il bagaglio e restituiamo in una sacca i vestiti per il ritorno, così ci siamo un po’ alleggeriti. Usciamo dalla Guest House ed andiamo in cerca di sim indiane. Qui fa presto ad arrivare il buio della notte e lungo la strada non ci sono luci, solo le luci di qualche auto e del gran traffico di motorini e tuc tuc. Rientriamo, dove ci attende un’ottima ed abbondante cena con pollo tandoori, varie verdure cotte, dal (legumi bolliti e conditi con spezie), riso e chapati. Dopo settimane di preparazione, da parte mia solo preoccupata del peso dello zaino, ma la scelta l’ha fatta la bilancia, è arrivato il giorno del taglio del nastro. Abbondante colazione. A vicenda ci si aggiusta lo zaino. E’ pesantissimo. Finalmente si parte e ci auguriamo buon camino. I proprietari della Guest House insistono per accompagnarci in macchina. Gli fa molto strano che dei turisti stranieri facciano questo pellegrinaggio a piedi, oramai anche loro sono pochi a farlo, la maggior parte lo fa con bus o auto, tranne i sadhu e i rishi. Non so se questo giorno sia di buon auspicio per iniziare il mio pellegrinaggio, ma eccomi fare il primo passo del nuovo cammino indiano, seguendo la strada principale con un gran traffico. Maurizio e Paolo sono partiti in quinta, il primo dice: ogni ora, cinque minuti di sosta, dentro di me, io mi fermo quando ne ho bisogno. Dopo circa un’ora lasciamo la strada principale per prendere, sulla destra, la vecchia strada che porta a Mussoorie, più stretta e con meno traffico. Passiamo davanti al Centre buddista Sakya, poco dopo giungiamo a Rajpot: da qui, sulla destra parte una vecchia strada fatta dagli inglesi, poco più di un sentiero , saliamo e scendiamo in mezzo al nulla, nuvoloni neri si concentrano sopra le nostre teste, poco dopo si sfogano in un diluvio universale. Non troviamo riparo ed in pochi minuti siamo quattro bei pulcini bagnati. Ci guardiamo in faccia e tutti tremanti dal freddo, decidiamo di fare l’autostop. Saliamo nella prima macchina; passata e fermata e ci facciamo portare a Kempty Falls. Durante il tragitto esce pure il sole.
Kempty Falls è a 1.350mt. Scegliamo un alberghetto con l’acqua calda e subito doccia bollente per non ammalarci al primo giorno. Stendiamo i vestiti zuppi e li controlliamo perché siamo circondati da scimmie. Giriamo il piccolo paese, si fa qualche acquisto, i “bambini” di sfidano a freccette, rientriamo in albergo e ceniamo a base di noodle. Dei locali, in un tavolo vicino al nostro ci hanno fotografati per tutta la sera e poi fatto vedere gli scatti, ….con una delle tante applicazioni ci hanno pure incorniciati. Alle 7,10 dopo un’ abbondante colazione, riabbracciamo gli zaini e riprendiamo il nostro padayatra (pellegrinaggio a piedi). Il primo tratto segue sempre la strada principale, è in discesa, all’ombra e per nostra fortuna con poco traffico. La gente, quando la incrociamo per strada è sorpresa e stupita. Tutti ci salutano e: “ where are you from” ?! Dopo più di tre ore di cammino ci fermiamo in un localino e integriamo le calorie bruciate con pakora (verdure passate in pastella e fritte), dolcetti al cocco, chai (the indiano al latte) e coca cola. Un’ora di sosta, si riparte. Attraversiamo il fiume, strada completamente al sole ed il sole inizia a picchiare. Traffico. Il fiume è alla nostra sinistra. Sui 50-60cm, tra la roccia della montagna ed il ciglio della strada, persone grandi e piccole che si riposano, dormono, cucinano e mangiano, in poche parole vivono lì in mezzo al traffico, 30mt più avanti tra gli alberi, subito lo strapiombo, teli di plastica annodati sui tronchi… è la loro “casa”. Camminiamo altre due ore e decidiamo di fermarci nell’unica zona d’ombra ; è in riva ad un ruscello. Con noi c’è anche una mandria di bufali e dei bimbi che si stanno lavando. Ci concediamo un’oretta di riposo all’aroma di cacca, ma era l’unico punto alberato dopo km ed eravamo un po’ sfatti. Mandiamo giù della frutta secca, ripartiamo. Lungo la strada teniamo sempre la nostra sinistra, un’auto si ferma; dicono di essere di un giornale locale. Veniamo intervistati e ci fanno pure delle foto. La prossima sosta è in un dhaba, una di quelle baracchette di assi e lamiere dove sostano i viaggiatori himalayani lungo la strada, questa volta il nostro palato viene deliziato dalle “paratha” (schiacciatine di farina con verdure più o meno piccanti) e dahee (yogurt), tutto molto buono. Per farci il conto; la ragazza telefona ad un suo conoscente che parla due parole di inglese e glielo passa a Maurizio, …. così sappiamo che cosa dobbiamo pagare; prima neanche a gesti riuscivamo a venire a capo. Foto di rito con il personale del locale tutto emozionato. L’ora di siesta è passata velocissima, si riparte. Incrociamo nell’altro senso di marcia camioncini aperti pieni di pellegrini festanti. Un’altra ora di cammino ed arriviamo alla nostra meta di oggi, Nainbagh (830mt). Telefono a casa e ricevo due brutte notizie. Ok, ….andiamo avanti! Ora è tempo di andare a riposare. Dove facciamo colazione, un signore parlando con Fausto ci riconosce e gli dice che ieri sera ad una tv locale parlavano di noi, loro ci hanno riconosciuto dalle foto trasmesse. Si parte alle otto, il primo tratto è all’ombra, poi esce il sole e quando esce si fa sentire, per fortuna ogni tanto c’è qualche albero, filtra tra i rami ed escono magici giochi di luce. La scarpata sembra un immondezzaio, per il vezzo indiano di buttar giù qualsiasi rifiuto lungo la strada, ad ogni villaggio cartelloni pubblicitari enormi pubblicizzano qualsiasi cosa: bibite, creme, televisori, ecc. Tappa piacevole senza nessuna difficoltà, nessun dolore fisico particolare e qualcuno ha già guadagnato un buco sulla cintura. Alle 11,30 arriviamo a Damta (950mt). Decidiamo di fermarci, se proseguiamo non sappiamo quanti km dovremmo fare ancora prima di trovare una sistemazione. Prendiamo posto nell’unico albergo di Damta, l’Hotel Chaman Palace. Da fuori non è male. Le nostre stanze hanno anche un bel terrazzo vicino che da sulla vallata, ma quando si aprono i rubinetti della doccia, anche stasera ci si lava con il secchio. E’ ora di un piatto di noodle piccanti, buoni, ma i momo sono migliori, fa un gran caldo. Nel piccolo paese dove siamo alloggiati non c’è proprio niente, il pomeriggio ci riposiamo e lo dedichiamo a pianificare i prossimi giorni. “Cena” in hotel, ….che dura a farci capire! …..ma non ci siamo capiti! Ci alziamo e vediamo arrivare 3 Jeep strapiene di pellegrini con portantine giallo-arancio, si fermano qui a cena.
Dopo la bella dormita, facciamo colazione con paratha e verdure fritte. Arriva l’ora di mettersi in cammino, finalmente si parte. Partiamo a piedi dopo un tira e molla di: prima bus, poi a piedi o viceversa?! Dopo circa due ore, breve sosta per un chai al volo in un dhaba. Per nostra fortuna c’è poca salita in questo tratto, alla sinistra c’è sempre il canto dello Yamuna. Un’altra oretta di cammino, giungiamo a Sarigad: un pugno di case, qualche negozietto e tante caprette. Qui decidiamo di prendere il bus. Un’ora di attesa ed il bus per Barkot arriva. Saliamo, 1ora e venti per percorrere i 30km, quelli che ci mancano per arrivare a Barkot per 55 rupie. Dal finestrino sfrecciano villaggi con case colorate dai tetti in ardesia, bei campi terrazzati intensamente coltivati incidono il fianco della montagna, uomini su palafitte che controllano il raccolto, ma tutto poco apprezzato, causa la guida dell’autista dai capelli con brillantina ed occhi di ghiaccio e diversi tornanti. Scendiamo un po’ frullati. Prendiamo posto all’hotel Devbhoomi, finalmente troviamo l’acqua calda che arriva dall’alto, che lusso. Pranziamo in un dhaba lungo la strada. Qualcuno ha finito la carta igienica. Tutti assieme, tanto per fare qualcosa andiamo a “caccia”; ci divertiamo un sacco per farci capire, ma la carta non si trova. Ogni tanto cade qualche goccia d’acqua, il pomeriggio lo dedichiamo con l’aiuto della polizia e di altre persone a scoprire le prossime tappe. Ci è venuta fame e si va a cena. I lampi rompono l’oscurità, piove a dirotto per tutta la notte. Dopo aver fatto colazione in albergo decidiamo di non partire perché continua a diluviare. Usciamo sotto l’acqua per fare quattro passi, ci fermiamo per il pranzo in un dhaba ed il pomeriggio, su suggerimento del proprietario dove siamo alloggiati, attraversiamo lo Yamuna ed andiamo a Paunti per visitare il Paunti Bhaderkali Mandir (tempio). Per giungere al Mandir attraversiamo il ponte. Qualche bimbo dagli occhi scuri pieni zeppi di luce e sorrisi che ti scaldano più del sole ci segue, tornano da scuola. Un piccolo sentiero balcone sale sulla collina di fronte, il torrente scorre diversi metri più in basso. Ci si arriva solo a piedi. Al nostro passaggio i più timidi si affacciano, altri escono dalle loro piccole abitazioni e sorpresi ci vengono vicino, ci toccano e salutano. Il Mandir lo troviamo chiuso e nessuno ha le chiavi. Piccolo, ben lavorato e colorato. Rientriamo.
Giunti in paese veniamo attirati e conquistati da canti e musica. Provengono dall’alto. Curiosiamo e loro ci invitano a salire. Saliamo, non prima di toglierci le scarpe. Ad accoglierci donne, parecchie donne, tre generazioni di donne che ballano, cantano e ci offrono vari dolcetti e bibite colorate e super zuccherate. La festa è in onore di Ganesh. Dopo un po’ noi ringraziamo, salutiamo e loro ci invitano a tornare dopo cena, quando saranno presenti anche gli uomini. Ceniamo nel nostro albergo e poi ritorniamo. E’ il bis di prima, si sono aggiunti solo gli uomini. Finalmente oggi arriva il sole. Per recuperare il giorno perso causa pioggia decidiamo di prendere il primo e unico bus da Barkot per Hanuman Chatti, 38km per 55 rupie. Scendiamo a Hanuman Chatti (2.070mt) e percorriamo gli undici km che ci separano da Janki Chatti a piedi. Le nuvole sono tornate a coprire il cielo e piove. Diluvia, nonostante l’acqua, ho ancora voglia di fare qualche scatto prima di rifugiarmi nell’ ashram. Aspettiamo che smetta e nel frattempo ci facciamo preparare qualcosa da mettere sotto i denti. L’ambiente è un po’ freddino, ma c’è una bellissima vista. Insistono per farci prenotare anche la notte, ma noi di comune accordo preferiamo proseguire ed in mezz’oretta arriviamo alla nostra meta: Janki Chatti (2.590mt). Depositiamo il nostro zaino all’ Arvind ed Arvind Annexe. Pomeriggio molto molto bagnato. Madre mia quanta acqua, è entra anche nella stanza, è continuata pure tutta la notte. Fa freddo. In camera stamattina ci sono solo 14°, ma per fortuna non piove per salire al tempio. Alleggeriamo lo zaino, ci prendiamo gli indumenti più pesanti ed un cambio, il resto lo ritroveremmo al nostro ritorno in albergo. Ci sono diversi militari e sentiamo il rumore di un elicottero, i politici arrivano direttamente in volo.
Si parte con calma verso le nove per il tempio di Yamunotri (3.235mt). E’ qui l’origine della sorgente della Yamuna, il primo dei quattro siti-centri dello Char Dham Yatra. Cielo sereno, meno male. Il sentiero che porta alla sorgente è largo un paio di metri, abbastanza facile ed agevole, ben pavimentato, risale la vallata, è lungo 5km ed ha un dislivello di circa 600mt. Ogni anno milioni di fedeli, soprattutto indiani vengono qui in pellegrinaggio. Solo poche persone riescono a farlo a piedi come noi, tutti gli altri pellegrini lo fanno in groppa a muli con campanelli e bardature colorate o vengono trasportati su dandi (portantine). Quattro ragazzi giovani, soprattutto nepalesi sono i portatori, marciano sincronizzati come soldati, i loro clienti sono tutti bei grassoni. Ho visto un solo kandi: cesto di bambù fatto a cono con un sedile fissato al centro, qui i passeggeri sono rivolti all’indietro con i piedi a penzoloni. Sadhu pochi lungo il sentiero, hanno un ritmo proprio, non hanno mai fretta come gli altri pellegrini, qualcuno di più al tempio con l’immancabile ciotola per elemosinare il cibo, accompagnati da qualche inquietante tridente o danda (bastone) segno del grado cui appartengono; ” pitture” sul volto (i devoti di Shiva si segnano la fronte con tre linee orizzontali bianche, quelli ispirati da Vishnu hanno sopra il naso una sorta di U o di V), ed i grossi rosari a 108 grani. Il sentiero è attrezzato per i pellegrini con punti di ristoro e bagni. Per arrivare al tempio arroccato su un fianco del picco Bandar Poonch, in fondo alla vallata, ci impieghiamo due ore e mezza. Prendiamo due stanze al Yamunotri Ashram (3.170mt), depositiamo gli zaini e saliamo alla sorgente. Togliamo le scarpe per entrare al tempio. Qualcuno fa il bagno nelle vasche calde. Uomini e donne sono divisi. La vasca che sta più in alto e all’aperto è riservata agli uomini, quella sotto chiusa e buia è per le donne….ovviamente! Diversi sacerdoti prendono dei sacchettini in tessuto pieni di: riso, patate, e li immergono nell’acqua bollente. In pochi minuti si cuociono e viene distribuito come prasad (offerta consacrata) ai pellegrini in cambio di denaro. Insistono parecchio per farci fare la puja, ma noi non cediamo. Pranziamo in un ristorantino lungo la strada sulle rive dello Yamuna, nel pomeriggio ci raggiunge l’immancabile pioggia e ci riposiamo. Andiamo a letto come le galline, ma non c’è niente da fare e fa freddo. Questa mattina per scaldarmi vado anch’io ad immergermi nelle vasche calde e faccio il bagno. Io sono da sola ed unica donna. Una bella emozione! La temperatura dell’acqua è deliziosa, che goduria! Mentre faccio il bagno mi viene in mente d’aver letto che chi si bagna a Yamunotri, viene risparmiata una morte violenta! Facciamo colazione sotto una delle diverse tenda cucina scesi dalle vasche. Si riparte ed in meno di due ore siamo a Janki Chatti. Lungo il sentiero incrociamo diversi pellegrini che salgono con i muli o trasportati. Molte cacche e molto profumo di cacche, nonostante ci siano diversi ragazzi lungo il percorso che spazzano con scope dai lunghi manici. Pranziamo in un dhaba con degli ottimi momo e nell’attesa che smetta di piovere osservo i pellegrini che scendono.
Il pomeriggio attraversiamo lo Yamuna, il più grande affluente del Gange, per giungere nel villaggio di Kharsali. Molto bello; è circondato da numerosi campi terrazzati, ancora pioggia ad accompagnare i nostri passi. Le case sono perlopiù strutture ad un piano fatte di pietra e legno con balconi traforati che danno su cortili in cui sono legati bufali, mucche e capre. Di solito il bestiame occupa il pianterreno e la famiglia sopra. Un mosaico grigio, i tetti in ardesia; le costruzioni sorgono le une accanto alle altre, separate da strette viuzze. E’ la sede dei brahmani, quelli che si occupano del tempio di Yamunotri. Qui è anche la sede invernale dell’immagine di Yamuna Devi. Ogni novembre dopo la festività di Divali (legata al momento del raccolto), la divinità viene trasportata a spalle dai sacerdoti su un palanchino. Tamburi e danzatrici accompagnano la processione, che segue la fine anche della stagione dei pellegrinaggi. Un anziano si accende un bidi (sigaretta), un altro con un rametto di neem si massaggia le gengive e mi fissano, un signore si offre ad accompagnarci al Mandir. Lo seguiamo e solo Maurizio entra. Incrociamo un ragazzo che ci dà delle info sulla zona, soprattutto per fare trekking e ci regala il fiore nazionale dell’Uttarakhand, il Brahma Kamal (fiore di dio). Rientriamo in albergo e ci facciamo scaldare l’acqua, e dopo una cena un po’ povera si rientra in stanza ed io scivolo dentro al mio immancabile sacco a pelo. Notte movimentata da lampi tuoni ed abbondante acqua. Otto e trenta, pronti a partire, dopo un’ora e mezza siamo a Hanuman Chatti, qui troviamo posto alla GMVN che stanno restaurando in riva allo Yamuna. Ci aprono una stanza da sei. In velocità ci dedichiamo al bucato e poi mettiamo le gambe sotto il tavolo con bis di noodle. Facciamo due passi per digerire. Prendiamo un sentiero, attraversiamo lo Yamuna ed andiamo a far visita ad un Sadhu che a gesti ci aveva chiamati. Custodisce un tempietto e con molta semplicità ci prepara del tè al limone. Scambiamo qualche parola, salutiamo l’uomo dal gran fascino e sguardo sereno, con gli occhi che riflettono il mistero della sua interiorità per salire al paese di Durbil. E’ deserto, sembra deserto, ed invece dopo qualche minuto siamo circondati da bambini e donne tatuate. Tutti ci invitano a casa e ci vogliono loro ospiti. Accettiamo. Per accontentare più famiglie ci dividiamo. Il cielo si oscura e non promette niente di buono. Io e Paolo scendiamo. Arriviamo a filo per raccogliere il bucato, Fausto e Maurizio arrivano sotto l’ennesimo acquazzone. Cena nella stanza dagli alti soffitti, molti spifferi e contornata dall’assordante rumore dell’acqua che scorre, buona notte. Oggi si parte per il nostro trekking. La colazione è sostanziosa-pesante: patate fritte, frittata , chapati e thè. Ci consegnano anche il lunch box… che organizzazione questa agenzia. Grazie Maurizio. Sono passate da poco le otto e si va.
Noi partiamo un po’ prima con due guide. I nostri zaini con le tende ed i viveri, per tutta la durata del nostro trek, verranno portati dai muli. Un cane si aggrega subito al nostro gruppetto e rimarrà con noi per tutti i giorni del trek, poi ci seguirà per un lungo tratto, anche quando noi saremmo in jeep. Il sentiero segue il fiume, incrociamo diversi ragazzi e ragazze in divisa che vanno a scuola, percorrono ogni giorno circa 5km per raggiungerla. Dopo un’oretta siamo a Nishni. Giriamo il villaggio in mezzo a visi sorpresi e curiosi, finalmente c’è il sole, anche se l’aria punge ancora un po’. Riprendiamo il sentiero attraverso il bosco, mi piace molto questo tratto. Le pochissime case che incrociamo ora ci dicono che siamo arrivati a Kandoli (2.740mt), facciamo sosta pranzo. Le nostre guide dicono che abbiamo un buon passo e ci vogliano far proseguire. Si prosegue, ma è durissima. Mi fermo diverse volte a prendere fiato. In uno spiazzo incrociamo un gregge con dei pastori che ci fanno vedere tre carcasse di capre uccise durante la notte probabilmente dal bagh, leopardo delle nevi. Ramola, il protettore delle greggi, in questo caso non si è dato da fare. Dobbiamo salire ancora, raggiungiamo uno spiazzo, pensiamo di aver raggiunto la nostra meta di oggi ed invece dobbiamo penare ancora un pochino. Una bella zona piana, siamo arrivati, non ancora, un po’ oltre la collinetta e giù c’è un ruscello. E’ li la nostra meta per oggi. In riva al ruscello, l’acqua serve per noi e per gli animali. Da piccola, forse qualcuno direbbe da giovane, sognavo spesso di abitare in una casetta di legno in riva ad un fiume ed avere una zattera per muovermi… Siamo a Seema, 3.460mt. lo staff ha già montato la tenda cucina e la tenda wc, che lusso! Noi montiamo le nostre e loro ci danno una mano. Mi guardo attorno e solo ora mi rendo conto che sono l’unica del gentil sesso, con ben 11 maschietti. Inizia a piovere, ci ripariamo nella tenda cucina e ci preparano il thè con i biscotti. Aiutiamo i ragazzi che portano i muli a cercare legna per fare un bel falò per scaldarci. Ottima ed abbondante la cena che ci hanno preparato. Dopo aver mangiato non ci perdiamo in chiacchiere, dobbiamo lasciare libera la tenda cucina, che per chi ci accompagna, diventerà subito “camera da letto”. Entro nel mio sacco a pelo ben vestita ed uso anche gli altri due che ci ha fornito l’agenzia per ripararmi. Stanotte ho dormito poco, però non ho avuto freddo anche se in tenda mi dicono stamattina che c’erano solo 5°. Prima di cambiarmi metto i vestiti a scaldarsi dentro al sacco a pelo, faccio la contorsionista per non prendere freddo per vestirmi. Apro la tenda ed i primi raggi del sole illuminano le cime innevate al di là della vallata e pian piano il sole arriva ad illuminare e riscaldare anche il nostro campo. Le tende sono tutte bagnate di pioggia, il telo interno è tutto coperto da gocce di condensa ed il prato da sul bianco cristallino, la brina ghiacciata. Esco. I fili d’erba rigidi e gelati scricchiolano sotto le scarpe. E’ già pronta l’acqua calda per il thè o caffè, mi ripeto che lusso! Ottima, varia ed abbondante la colazione. Gli zaini con tenda e materassini li abbiamo già consegnati prima di fare colazione e siamo pronti a partire. Noi quattro con le due guide partiamo sempre per primi, i ragazzi smontano il tutto e poi debbono caricare gli animali e quasi sempre fanno un percorso diverso dal nostro. Partiamo. Silenzio tutto attorno e con un bel sole che sta colorando il cielo, ci riscalda e subito una bella salita. Facciamo un pezzo all’ombra e la temperatura cambia notevolmente. C’è un’atmosfera incantata: la rugiada, le ragnatele sulle erbacce bagnate , tutto materiale per fare foto. Saliamo e scendiamo diverse volte lungo il crinale della montagna. Attraversiamo il Kanasa Pass (3.920mt). Paesaggio incontaminato. Quando arrivo in alto e cammino lungo i crinali mi sento libera, felice, anche se fa freddo. L’intenzione della nostra guida era di accamparci qui, ma ci accoglie un gran vento ed allora decidono di scendere un po’ e piantare le tende al Kanasa Camp (3.750mt), più riparato e vicino c’è un corso d’acqua. Che buon profumo d’erba, sto attenta a non pestare una stella alpina dai petali di feltro grigio. Montiamo in fretta le tende perché il tempo minaccia pioggia, ma per fortuna arrivano solo nubi che avvolgono il campo nella nebbia, molto suggestivo. Facciamo merenda ed inizia a piovere, anche oggi siamo arrivati giusti in tempo. Buongiorno, anche se fuori dalla tenda non si vede niente. Siamo circondati da nuvole e non si vede proprio nulla dello straordinario panorama che ci circonda. Peccato, un vero peccato! Dentro la tenda un grado in più rispetto a ieri mattina, ma io ho un gran freddo. Partiamo. Io tutta imbacuccata lascio scoperto solo gli occhi. Saliamo una collinetta da dove si può ammirare il Dodital Lake. Anche oggi i panorami sono incredibili, indescrivibili. Scendiamo al Darwa Pass (3.780mt), da qui inizia un canalone che scende velocemente al lago (3.070mt). Facciamo appena in tempo a montare le tende in riva e mangiare qualcosa al sole, che nel giro di pochi minuti inizia anche oggi immancabilmente a piovere. Appena smette facciamo il giro a piedi di uno dei più bei laghi d’acqua dolce d’alta quota del nord dell’India. Circondato da alti alberi, ha appena una circonferenza di un km e mezzo. Su un angolo del lago un piccolo tempio circondato da bandierine di stoffa con scritte sopra le preghiere, sarà il vento a spargerle nel mondo ed a consumarle fino all’ultima fibra. Si dice che il Dodital sia la città natale di Lord Ganesha, il dio dalla testa di elefante, adorato come il dio che elimina tutti gli ostacoli; si ritiene che la sua immagine disposta in un tempio, in casa, in ufficio, ecc porti fortuna, amore, saggezza. E’ quasi l’alba. Un rumore mi trascina fuori dal tepore del sacco a pelo e mi ordina di vestirmi, il corpo reagisce al freddo , movimenti rapidi e precisi per vedere, è lui il nostro amico a quattro zampe, meno male non altre sorprese! Alle otto siamo già partiti, prendiamo un sentiero ben segnato in mezzo a boschi, saliamo qualche centinaio di metri, dopo circa un’ora e mezza arriviamo in un villaggio abbandonato di capanne con il tetto in paglia: Mangi. Villaggio di pastori ben tenuto anche se disabitato da aprile a settembre. Case chiuse con lucchetti, ora sono scesi a Uttarkashi per passare l’inverno. C’è solo un signore, che immediatamente mette a bollire dell’acqua ed è onorato di prepararci un chai. Arrivano anche i ragazzi con i muli. Riprendiamo la nostra discesa e c’incrociamo con diverse persone che salgono. Il pranzo al sacco lo facciamo sotto una tettoia con una vista spettacolare sulla valle. Riprendiamo il nostro cammino, la guida ci fa prendere una ripida scorciatoia di tornanti ed arriviamo a Bevra. Bevra è circondata da “orti” di piante di macha (cholai) rosse, i cui semi servono per preparare il chapati dolce che si consuma a colazione con il miele. Usciamo dal villaggio, attraversiamo il torrente, è un po’ impegnativo per la forte corrente ed i sassi scivolosi, per giungere ad Agoda (2.210mt). Riusciamo appena in tempo a montare la tenda prima dell’immancabile pioggia pomeridiana, oggi accompagnata anche dalla grandine. Magnifica stellata. Il silenzio è assoluto. Un vento leggero di tanto in tanto mi riempie le orecchie, rientro per questa l’ultima notte di tenda. Stanotte ho avuto freddo, forse anche il cane perché ha dormito dentro la mia veranda.
Stamane invece il sole splende. Lasciamo il “campo”, attraversiamo il paese, incontriamo ragazze e ragazzi in divisa che vanno a scuola, donne che puliscono il riso sulla porta di casa, uomini che le osservano con bidi tra le dita, ascoltano una radiolina. Oggi per la prima volta partiamo assieme ai muli, poi ci dovremmo dividere, causa frana, loro saliranno ed allungheranno il percorso di 3/4 km, noi prendiamo un sentiero che scende in mezzo ad alte piante, arbusti ed ortiche che mi lasciano il segno. Fa un gran caldo, questo tratto è tutto al sole, attraversiamo la grande frana scavalcando alberi abbattuti e grosse pietre. Dall’alto vediamo la nostra Mahindra che ci sta aspettando. Scendiamo sempre facendo molta attenzione. Attraverso il ponte, mi volto a guardare l’ultimo tratto fatto. Siamo a Sangam Chatti (1.580mt). E’ ora di togliere lo zaino, mangiamo qualcosa e dopo un’oretta arrivano i muli. Carichiamo il tutto nella macchina che ci porta a Uttarkashi; sede di: numerosi templi molto antichi, ashram e dharanshala . Foto, baci, abbracci ed indirizzi con guide ed i ragazzi che portavano i muli. Partiamo all’una e dopo un po’ mi accorgo che il nostro amico a quattro zampe ci segue, …ci segue per alcuni km. Mi lascia, ci lascia tutti senza parole. Percorriamo i 15km per arrivare a Uttarkashi (1.200mt) in 45 minuti. Prendiamo posto al Monal Tourist Home. Facciamo subito il bucato. Io lavo tutto quello che ho. Il Monal è in una bella posizione, ottima vista e soprattutto comodo per andare a chiedere i permessi all’ufficio governativo per arrivare a Gaumukh. I permessi li otteniamo in mezz’ora con una copia del passaporto e del visto. Bisogna fissare le date di ingresso e di uscita, vale tre giorni e costa 600 rupie a persona, ogni giorno in più costa 250 rupie a testa. Fatto tutto, ritorniamo al nostro hotel, ci riposiamo, docciamo e poi scendiamo al paese (3km) ovviamente a piedi, per andare a cena. Giriamo un po’. La città profuma di incenso e frutta. Cerchiamo la birra per chi ha le voglie ed andiamo a cena al Sangrilà, un ristorante Nepal/Tibetano. Un po’ difficile trovare il posto, qualcuno dice che è chiuso ed invece è aperto e n’ è valsa veramente la pena. Ottimi i miei momo al formaggio. Rientriamo in albergo in autostop. Dopo la notte di riposo, questa mattina si parte alle sette. Facciamo a ritroso un pezzo di strada che abbiamo fatto ieri in macchina e giriamo a destra per Gangotri. Non c’è altra scelta che quella di camminare sul nostro d’asfalto che corre parallelo al fiume. La strada è quasi tutta asfaltata con lavori in corso, dove ragazzi portano secchi di pece fusa, la versano sulle grosse buche e la sistemano con le mani avvolte da stracci per non scottarsi, segue il corso del fiume e non c’è molto traffico. La corrente è assordante, ci sono diverse rapidi, faccio fatica a sentire chi mi parla. Sosta chai. Lungo il percorso di oggi non c’è nessuna zona d’ombra ed il caldo si fa sentire, i pantaloni si appiccicano alle gambe. Per oggi abbiamo dato. Ci fermiamo e scegliamo il Maneri Lake Hotel. Prendiamo due stanze che si affacciano sul lago. Siamo a (1.300mt). Andiamo alla ricerca per mangiare qualche cosa e lungo la strada troviamo un localino che fa solo noodle. Do un aiuto in “cucina”, gli suggerisco cosa mettere nella pentola per colorarli ed arricchirli un po’ questi noodle albini. Veniamo circondati da “curiosi”. Fausto e Paolo nel pomeriggio vanno a caccia d’ acqua in bottiglia, ci perdiamo a chiacchiere in albergo , prendiamo il sole, ci fan visita dei martin pescatore. Finalmente un bel tramonto. Davanti a noi le cime innevate spennellate di rosso. Partiamo alle 7.30 sotto un cielo azzurro senza nessuna nuvola, ma l’aria è fresca. Appena usciti dalla “città” siamo immersi di nuovo nel silenzio. Lungo la strada il primo gregge di pecore e covoni di fieno che si muovono, sono le donne dentro a farli muovere. Prendiamo fiato con un chai e questo ci da carica per arrivare a Bhatwari. L’ambiente attraversato oggi, tutto quello che ho visto è valsa comunque la fatica. Ci fermiamo al primo albergo che incontriamo all’inizio del paese: l’hotel Shiv Ganga Sagar, siamo a 1.690mt. Mangiamo qualcosa qui, niente di speciale e poi andiamo verso il “centro”. Ci facciamo un dahee (yogurt) nell’ultimo ristorante del paese e prenotiamo pure per la cena.
Sono le sette, arriva l’ora di mettersi in cammino. Partiamo dopo aver fatto colazione. Un gregge numeroso non ci lascia uscire dall’albergo. Diversi minibus ci sorpassano, respiriamo scarichi di furgoncini e qualche fedele ci fotografa, vanno tutti a Gangotri . Altro gregge. Per le prime due ore siamo all’ombra e fa freddo, la gola è stretta ed il sole non riesce a penetrare. Il panorama rapisce il mio sguardo, il pensiero, l’anima. Verso le 11,30 arriviamo a Gangnani (1.920mt). Ci vengono incontro dei ragazzi che ci offrono delle stanze. Noi scegliamo l’hotel Rishilok, proprio di fronte alle vasche d’acqua termale. Mi piace la nostra stanza, lunga e stretta, soffitto basso tutta in legno e le pareti esterne che danno sulla valle sono tutte a vetri. Che bella vista. Andiamo a pranzo in uno dei ristorantini lungo la strada. Pomeriggio lo dedico ad osservare il “mondo” che passa e poi mi faccio un bagno termale. All’inizio in solitaria, poi è arrivata una signora, prima di immergersi ha fatto il bucato ai vestiti che aveva addosso. Scendo, faccio due passi. Mi vergogno un pochino, vedendo donne di rientro dalla raccolta di legname e foraggio per gli animali con carichi enormi, sono tenuti da cinghie passate sulla fronte che le fanno camminare gobbe in avanti, arrancano sul pendio, mentre alle mie spalle il sole comincia la sua discesa, scende anche la temperatura, cambiano i colori e le grandi montagne sono più vicine. Non ho voluto andare a cena, ero ancora sazia dal pranzo, sono rimasta in stanza ad ammirare il cielo stellato dentro al mio sacco a pelo e pensare a questo Yatra. Ogni anno milioni di fedeli soprattutto indiani vanno in processione verso le sue sorgenti. Pellegrinaggio, che per gli induisti deve essere compiuto almeno una volta nella vita. Secondo una credenza popolare indù, chiunque attraversa lo spartiacque del Gange andando da Yamunotri a ovest, verso Badrinath a est, ha in premio il Moska, cioè la salvezza. Alla sveglia delle 6,30 entra una bellissima luce dalle finestre che fa immaginare una giornata con tempo stabile. Alle sette siamo già con lo zaino in spalla e sulla strada. Si parte. Fa un gran freddo e per più di due ore si cammina all’ombra, anche se in movimento e con la fatica della salita non mi scaldo, l’aria è frizzante. Attraversiamo dei boschi e finalmente giungono i primi raggi di sole. Arrivano pure i tornanti. Prendiamo alcune mulattiere che tagliano i campi coltivati a mele, in alcuni punti li stanno raccogliendo e poi lungo la strada principale li troviamo in vendita. Questo tratto di strada mi piace molto, c’è una bellissima vista sulla valle, peccato, è un po’ dura a salire. Con la scusa di prendere fiato, mi fermo un po’ all’ombra, mi siedo su un masso sul ciglio della strada, abbraccio il paesaggio con lo sguardo. Alle 12,30 siamo a Sukhi Top (2.700mt). E’ ora di pranzo. Oggi il menù offre solo noodle istantanei della Maggi. Io salto. Scendiamo a Jhala (2.540mt). Dall’alto si può ammirare la Bhagirati, il più venerato tra gli affluenti della Ganga, scorre in un largo letto ghiaioso, non ha molta acqua in questo tratto. Per me è presto fermarci e preferirei proseguire. La tappa diventa lunga, lo so, ma sceglierei d’ andare avanti. E’ la prima volta che camminiamo nel pomeriggio. Attraversiamo il fiume, c’è una stupenda luce anche per fare qualche scatto. La natura con questa luce mi da carica, le gambe sono scolte e girano. Si ferma una macchina, è dell’esercito ed il comandante scende e ci viene incontro, ci chiede il perché del nostro cammino, di dove siamo, ecc. e ci saluta ammirato. …..certi incontri non capitano mai per caso! Grazie a questo tipo di esperienza, mi rendo sempre più conto di quanta ricchezza di scambi culturali e umani ci sia per che viaggia spostandosi a piedi. Qualcuno di noi arranca, mentre alle nostre spalle il sole comincia la sua discesa. Tutto questo camminare ci fa arrivare alle 16,50 a Dharali (2.530mt). Oggi abbiamo fatto la tappa più lunga, camminato per più di 38km. In questo paese c’è l’imbarazzo della scelta per dormire. Ceniamo al ristorante dell’albergo, ma andiamo a comperare i noodle nel ristorantino di fronte. Anche da noi in Italia si fa così!
Sebbene la valle sia ancora immersa nelle ombre, le cime delle montagne alle nostre spalle sono illuminate dai primi raggi del sole. Usciamo verso le otto con destinazione Gangotri, oggi ci aspettano solo 22km. Parto con piumino e guanti, fa molto fresco e l’aria pizzica, il sole sta entrando in paese e noi usciamo, proseguiamo in una valle più stretta di quella di ieri e spesso all’ombra. Attraversiamo: Lanka, Bhaironghatti, qui ci fermiamo per un chai, proseguiamo tenendo la destra seguendo il corso del fiume, ora incassato nel fondo della stretta valle, mi giro su me stessa, camminando ho spesso l’abitudine di fermarmi, girarmi e guardare indietro, vedo delle vette con la neve. Lo zaino inizia a essere invisibile. Ultimo punto di ristoro è ad 8km prima di Gangotri, dopo è tutto un lavoro in corso: uomini e donne molto giovani, con abiti logori, macchiati di sudore e ricoperti di polvere, sotto un sole cuocente rompono pietre seduti sulla strada. Le giovani donne-bambine, bellissime, con cavigliere d’argento e minuscoli orecchini d’oro alla narice sinistra, tilak in fronte sembrano modelle ed invece …. sono già mamme che lavorano con i bimbi piccoli vicino. Che lavoro infame! Un’altra volta mi dico quanto sono fortunata! Mangiamo un po’ di polvere, il sole mi sta arrostendo come una castagna. Mi dà alla testa, troppo forte, qui ci vorrebbero gli alberi di questa mattina, ma invece i punti d’ombra si contano, la pelle è scottata, rossa. Alle 14.00 entriamo a Gangotri (3.060mt), città di pellegrinaggio, origine e sede della dea Ganga, il secondo dei quattro siti del circuito del Char Dham. Ancora lavori in corso, ma qui sono per fare un grande parcheggio per accogliere i turisti. Una stretta via pedonale: dukaan (negozi per pellegrini) su ambo i lati con doop bhati (i coni accesi) che fumano ovunque su tutte le bancarelle, tutti vendono le stesse cose, ristorantini ed alberghi. Siamo affamati e prima di trovare da dormire andiamo a pranzo. Un po’ ripresi dal sole e dalla fame per i km macinati, andiamo in cerca di un posto dove dormire. Ci fermiamo al Ganga Niwas Tourist Complex. L’albergo da sulla via principale con una bella terrazza soleggiata, ottima per stendere. Giro il paese, vado in riva alla Bhagirati, mi siedo su un masso ed osservo i pellegrini che fanno i loro bagni nell’acqua gelida ed in velocità cercano di rivestirsi. Dopo una giornata torrida, è scesa la notte, molto vento e nuvoloni che non prevedono niente di buono. Ceniamo al Krishna Restaurant con mono al formaggio e vegetariani, le porzioni sono abbondanti e cerchiamo di fare il programma per i prossimi giorni.
Buongiorno, in stanza 14°. Colazione, bucato e poi tutti e quattro assieme decidiamo di andare a fare un giro. Attraversiamo un ponte sul Bhagirathi e scendiamo il corso del fiume. Grossi massi, una cascata, schiuma spruzzi, attorno tempietti nascosti, asharam abitati da swami, gli illuminati dell’induismo, qualche sadhu. Attraversiamo un bel bosco ed arriviamo vicino ad un grosso masso-caverna da dove si vede uscire del fumo. Ci avviciniamo. Maurizio entra per primo da solo, e poi quando esce, ci chiede se vogliamo entrare anche noi. Entriamo. Buio. I miei occhi lentamente si adattano all’oscurità, riesco ad individuare all’interno una figura: è un baba in meditazione, ha gli occhi chiusi. Rimaniamo li alcuni minuti in silenzio, lasciamo un’offerta e poi cercando di non far rumore togliamo il disturbo. E’ stata una bella esperienza. Ritorniamo dalla stessa strada, andiamo in riva alla Bhagirathi, diventa Gange solo quando si unisce all’Alavnanda a Devprayag ed assistiamo alle abluzioni dei pellegrini. I rituali mi hanno sempre affascinato, non posso fare a meno di provare curiosità per i gesti delle varie fedi: qui i fedeli compiono i riti della purificazione, nonostante la fredda temperatura dell’acqua. Ci dividiamo per il pranzo. La scelta mia e di Maurizio è stata più che azzeccata. Pomeriggio, io bighellono un po’ da sola per la cittadina, ho la testa che mi gira un pochino, d’altronde siamo a 3.000mt. Ritorno davanti al tempio e rimango ad osservare i pellegrini con i loro rituali. L’istante breve in cui si immergono nella corrente gelida, tre volte, secondo il rito. Il sole è sparito, ci sono grossi nuvoloni, fa freddo e tira vento, imploro le nuvole a spostarsi per scaldarmi un po’ e per fare qualche foto con la luce, vince il tempo. Rientro di corsa per ritirare il bucato, arriva un bel acquazzone. Usciamo per cena e scegliamo lo stesso locale dove siamo stati io e Maurizio a pranzo. Mentre mi addormento, sento il rumore della pioggia che aveva ripreso a cadere. Io, emozionata stamattina. Oggi Gangotri-Bhojbasa: trek turistico e religioso, quattordici chilometri di sentiero ben tracciato sul lato sinistro della valle, ottocento metri di dislivello, le guide dicono che è uno dei dieci trekking più belli al mondo… andiamo a constatare!
Partiamo prima delle otto, dopo 40’ siamo al posto di controllo dove verificano e ritirano i nostri permessi. Ci registrano. Foto di rito prima di ripartire sotto l’insegna del blue sheep. Il primo tratto del sentiero è facile e leggermente in salita, segue il percorso del fiume. Lungo la via diversi operai da un lato stanno facendo manutenzione e dall’altro diversi turisti sono già di ritorno. Ne blocchiamo un paio, ci facciamo raccontare la loro esperienza e chiediamo soprattutto info sulla difficoltà del percorso. Riprendiamo il nostro cammino ed a ogni curva ci appare uno spettacolo diverso. La vallata è ampia e davanti a noi solo cime innevate del Baghirati 1,2, e 3. Alle 11.30 arriviamo a Chirbasa 3.630mt, luogo ideale per riprendere fiato e ci fermiamo per una sosta chai ed alle 14,10 raggiungiamo la nostra meta di oggi: Bhojbasa. Traduzione: bosco di betulle, forse in un passato remoto, perché oggi non c’è l’ombra di un albero, ne tanto meno di un bosco. Siamo alla bellezza di 3.792mt. Dall’alto una splendida vista sulla vallata dove ci sono delle tende e costruzioni. Andiamo subito in cerca di un posto letto. Alla GMVN nella struttura in muratura non c’è posto, c’è posto solo nelle tende. Tenda,…..io direi anche no. A questa altezza fa un po’ freschino appena scende il sole, figuriamoci di notte. Troviamo posto li vicino nell’Ashram Lal Baba’s per 300 rupie a testa in pensione completa al giorno. Affare fatto. Appena arrivati Pandi Goupal Krishna, il Baba che gestisce l’Ashram ci fa vedere diversi stanzoni, e ci dà la possibilità di scegliere quello che vogliamo. Scegliamo quello con meno buchi. Ci offre subito riso e daal. La fame è tanta che lo divoriamo e troviamo pure buono. Ci sistemiamo nella camerata minimalista. Una piccola finestra, dalla parte opposta la porta tutta rosicchiata dai topi soprattutto nel basso, a terra solo delle spesse coperte vissute. Ci prepariamo tutto a portata di mano per la notte ed usciamo. L’aria è più pura. Io mi metto al sole fino a quando non sparisce dietro alle alte montagne, ed arriva subito il freddo. Proviamo ad andare a cena alla GMVN, ci chiedono di fare l’ordinazione subito si no poi è tutto già prenotato. Nell’attesa del nostro piatto caldo cerchiamo informazioni per arrivare alla mia meta prima di partire da casa: Tapovan . Dei ragazzi dicono che lo si può fare in giornata e che una parte è impegnativa, questo lo sapevo già prima di partire, e ci consigliano di prendere una guida per non sbagliare percorso. Consumiamo la cena, ci confrontiamo ed ognuno è libero di fare la sua scelta per la salita. Rientriamo all’Ashram e Fausto chiede al Baba se ci può recuperare una guida per l’indomani mattina; lui si ferma anche a cena con gli altri ospiti del centro. Per mettersi a tavola ed essere serviti bisogna: sedersi per terra sopra una coperta, sotto il portico aperto e togliersi le scarpe. Io troppo freddo per fare tutto ciò, per consumare una cena di solo riso e daal. Decido con Maurizio e Paolo di approfittarne solo dell’acqua calda del the per lavarmi i denti. Noi tre disertori prima delle otto siamo già sotto le coperte, non prima di aver chiuso bene i nostri zaini ed aver appeso tutto quello che potevamo nei quattro chiodi trovati piantati. Durante la notte sul tetto in lamiera un continuo gran premio tra topi ed altri animali. Anche i russi, gli altri ospiti devoti a Krishna si sono dati da fare, qualcuno è stato male!
Stamattina la temperatura nella nostra “suite” segnava 6°. Alle 6.30 arriva la nostra guida che per 1.200rupie ci accompagnerà a Tapovan. Alla fine si va via tutti quattro assieme, anche se qualcuno prima era un po’ restio, poi ha cambiato idea. Alle sette in punto con uno zaino leggero, l’occorrente per la giornata, io più bardata che mai, con tutti i vestiti pesanti addosso, partiamo alla conquista di Tapovan. I nomi molto spesso sono il motore di un viaggio, si parte per seguirne il suo fascino ed anche Tapovan per me lo è. Con noi e la nostra guida viene anche un sadhu: infradito, berrettino di lana, veste sdrucita ocra e arancione. Lungo il sentiero incontriamo diverse altre persone tutte infreddolite e soprattutto con calzature poco idonee per fare questo tipo di percorso. I pellegrini tutti assonnati per l’alzataccia, faticano con i loro corpi, camminano guardando solo dove mettere i piedi e per lo più non si curano della bellezza che li circonda, non sollevano gli occhi per ammirare la natura, puntano solo alla meta. Finalmente esce il sole. Questa mattina non c’è nemmeno una nuvola in cielo, l’aria è frizzante ed il vento si infila sotto i vestiti, anche se sono solo le otto, subito la temperatura cambia. Alle 8.40 giriamo attorno e dall’alto vediamo Gaumukh (Bocca di Mucca), la vasta caverna del ghiacciaio dalla quale la Grande Madre partorisce il Gange. Secondo alcune tradizioni, è la luna è la vera sorgente del Gange. Ma la via delle sorgenti sale in realtà ancora più in alto. Attraversa il ghiacciaio e si porta sulla sua morena sinistra scavalcando ripidi pendii. Anche noi continuiamo restando in alto ed attraversiamo il ghiacciaio pieno di pietre. Fiato corto. Finito il ghiacciaio inizia una bella salita a zig zag, perdiamo il fiato. Tapovan, Tapovan, Tapovan. Continuo a ripetermelo sottovoce come un mantra mentre arranco sul sentiero molto ripido, ma con calma e tanta forza di volontà anche per una come me che non va mai a camminare in montagna, ci si arriva. Dopo neanche due ore dalla nostra partenza da Bhojbasa giungiamo a Tapovan alla bellezza di 4.310mt. Da qui nella piana si possono ammirare a 360° le cime della Baghirati 1, 2, e 3, il Meru Peak 6.660mt di granito rosa e beige, e la piramide dello Shivling di 6.550mt. Quest’ultimo è spesso paragonato al Cervino, per la sua torre di roccia e ghiaccio che buca il cielo, venerata dagli hindu come simbolo fallico di Shiva. La fatica fatta è ripagata pienamente dall’ambiente attraversato. Sulla piana diverse tende. Tapovan è campo base per le partenza delle spedizioni alpinistiche dirette ai monti circostanti. Proseguiamo e saliamo ancora un po’ per giungere alla “residenza” di un giovane sadhu. Ci togliamo le scarpe, ci sediamo sopra una coperta molto vissuta, ammiriamo estasiati il grande paesaggio e le straordinarie bellezze della natura, ….ci offre del chai. Giriamo un po’ sulla cresta della montagna. Oggi è una splendida giornata di sole. Attorno ad un altare di pietra, alcuni occidentali stanno meditando assieme a dei “religiosi” locali. Tanta spiritualità in mezzo a queste bellezze naturali. Verso le 12.15 decidiamo di tornare. Percorriamo la stessa strada fatta all’andata, facendo molta attenzione. Giungiamo a Gaumukh dall’alto, poi scendiamo fino al fiume, ed io raccolgo un po’ di liquido divino. E’ gelido. Pur non essendo mai stata in questo luogo prima d’ora, ho provato una strana sensazione di familiarità, come se lo conoscessi…. Torniamo. Facciamo un tratto lungo l’argine tra grossi sassi e pietre, la voce del fiume copre le nostre, incontriamo un sadhu, dai capelli: aggrovigliati, secchi ed ispidi; nella mano un libro aperto di preghiere. Tutto solo circondato da uccelli neri dal becco giallo. Siamo felici d’aver raggiunto la meta tutti e quattro, la mia meta prefissata prima di partire da casa. Nella strada del ritorno ci siamo imbattuti nelle rare pecore azzurre dell’Himalaya: bharal, che pretendere di più! Rientriamo verso le quattro del pomeriggio. Ceniamo alla GMVN e come le galline andiamo a nanna. E’ l’alba di un altro giorno senza nuvole, ne mancano pochi alla fine del viaggio. Prima di partire facciamo colazione. A me, la specie di porridge caldo del Baba non mi va giù e preferisco un pacchetto di biscotti presi alla GMVN con thè nero. Verso le 7,40 si parte per Gangotri.
Anche oggi è una bella giornata di sole. Ripercorriamo la stessa e unica strada per tornare, io mi giro spesso indietro a guardare quello che mi lascio alle spalle; ora: montagne con un po’ di neve, alla mia sinistra sempre e solo lei la Madre Ganga con il suo scorrere veloce e rumoroso. Il silenzio sul sentiero è rotto solo dal tic tio dei bastoncini di Fausto che mi stanno un po’ irritando. In alcuni tratti siamo solo noi, circondati da alberi, che stanno cambiando colore con le sfumature dell’autunno che sta arrivando. Non mi resta che chiudere gli occhi ed imprimerli nella memoria. Il sole già caldo sulla faccia. Sento che questi luoghi già mi mancano. Un sadhu poco gentile, dai lunghi capelli cenere avvolti attorno alla testa in matasse, che assomigliano a rotoli di corda, in infradito ci chiede dell’acqua. Dopo tre ore arriviamo all’uscita-ingresso dove controllano la durata della nostra permanenza. Ancora mezz’ora e giungiamo al nostro albergo dove ci facciamo scaldare un secchio d’acqua per una doccia, poi bucato. Io scelgo di andare a pranzo da sola e girare un po’ per il paese, invece i miei amici maschietti cercano e prenotano con 6.500rupie un taxi Mahindra per domattina, destinazione Rishikesh. Mi siedo un po’ davanti al piccolo e compatto tempio bianco, con una parte del tetto dorato e circondato da impalcature in bambù. Osservo i pellegrini che prima di entrare battono le diverse campane allineate per annunciare il loro passaggio in onore di dio. …la religione è la colla dell’India! Mi viene in mente che anche qui all’inizio di novembre i gioielli e le decorazioni della dea Ganga scendono in processione da Gangotri a Mukhba, paese più a valle, viene portata a spalle su un doli, una portantina. Arriva sera. Ottima dormita.
Alle sei usciamo dall’albergo che è ancora buio e troviamo il nostro taxista che sta dormendo in auto. Si parte. Ora ripercorriamo in macchina una parte della strada che abbiamo fatto a piedi, riconosciamo tutti i posti. Rifare in auto ha tutto un altro sapore, non è una bella sensazione. Quasi tre ore per fare 95km. Siamo a Gangori. Il nostro autista si ferma in un albergo di sua conoscenza, ci facciamo una bella colazione. Si riparte, 4km ed attraversiamo Uttarkashi. Usciamo dalla città ed il paesaggio è molto bello: campi verdi di riso nascente, qualche albero, un continuo saliscendi , tornanti, ed io sono incollata al finestrino e cerco di rimanere sveglia. Ci mancava la foratura, alle 15 finalmente arriviamo a Rishikesh (630mt) ed andiamo all’agenzia White World Expeditions per pianificare i prossimi giorni. Tempo non ne abbiamo molto per fare quello che abbiamo fantasticato in questi ultimi giorni e così decidiamo di rimanere due notti in città e di scoprire la capitale mondiale dello yoga. Scegliamo l’Anandam Resort: grande, spazioso e pulito, ma soprattutto con l’acqua calda che scende dall’alto. Usciamo per cena in un ristorante che ci hanno consigliato i ragazzi dell’agenzia. Terrazza molto bella, meno buono il cibo, è frequentato solo da occidentali. Questa mattina constatiamo che i bar per fare colazione aprono verso le nove. Nella zona dove siamo noi non ce ne sono, ci dividiamo ed io mi faccio un lassi davanti all’albergo. Ci diamo appuntamento per andare a cambiare degli euro in un bel negozio di antichità. Più tranquilli con il cambio in tasca, iniziamo a scoprire a piedi questa città sulle rive del Gange. Una strada asfaltata, non molto larga a due corsie corre parallela alle sponde del fiume, ci sono un sacco di occidentali, hippy, troppi per i miei gusti, mucche spazzine. È piena di bancarelle e negozietti, bar con wifi pieni di figli dei fiori. Ci fermiamo alla “German Bakery”, prendiamo posto in un tavolino sul terrazzo con vista Ganga. Imbarazzo di scelta tra paste e torte, belle da vedere e molto buone da gustare. Proseguiamo la nostra camminata. Prendiamo un sentiero che ci porta al fiume dove tre sadhu seduti stanno tenendo una animata discussione. Rimaniamo un po’ all’ombra ad osservare la scena, fa molto caldo e c’è un bel po’ d’umidità. Proseguiamo il nostro giro in riva al fiume. Il fiume è vivo, è vita. Bimbi ed adulti prendono il sole e fanno il bagno assieme alle mucche, gommoni in acqua con ragazzi che stanno imparando a fare rafting, due fratelli sui dieci anni vengono verso di noi con dei piattini di offerte per la puja. Sopra ai fazzoletti rossi e dorati: fiori, incensi, noci di cocco, il tutto contornato da palline di zucchero. Mi giro, mi accorgo che su un terrazzo c’è un sadhu naga. Ci chiama, che meraviglia, ed a gesti ci invita ad andare da lui. Non si può per niente al mondo perdere questa occasione. Saliamo, ci togliamo le scarpe e ci sediamo. Parla un discreto inglese e ci intrattiene con racconti ed alcune posizioni inusuali di yoga. Il naga è un po’ fatto e barcolla, tutto nudo, ricoperto di sola cenere con lunghissimi capelli rasta. A fatica riusciamo a togliere il disturbo, ci chiede e facciamo un’offerta. Noi andiamo e lui scende in riva. Si lava e si cosparge nuovamente di cenere litigando con una donna che sta facendo il bucato. Proseguiamo fino al ponte. Lo attraversiamo, torniamo lungo la strada in albergo per riposarci un po’. Usciamo prima del tramonto per andare sulle rive del Gange a vedere la puja. Entriamo nel caffè dove i Beatles scrissero alcune canzoni del disco White Album Beatles, ed è per questo che Rishikesh venne famosa, proprio per i ragazzi di Liverpool che trascorsero qui alcuni periodi di meditazione all’interno di un ashram (luogo per il ritiro spirituale). Proseguiamo direzione della riva per assistere alla cerimonia. Poche persone sono presenti, ci rimaniamo poco e poi andiamo in cerca di un locale dove si possa mangiare non solo vegetariano. Oggi trasferimento. Verso le 9.30 arriva la nostra Toyota che ci porterà nella capitale. Sette ore per percorrere 260km. Bello e vario il panorama che si vede dal finestrino, fa un gran caldo, meno male che la macchina ha l’aria condizionata. Per pranzo ci fermiamo lungo la strada in uno dei tanti ristoranti allineati tutti uguali. Giungiamo al nostro albergo prenotato qualche giorno fa, approfittando della connessione wifi a Rishikesh, utilizzando Booking, l’Hotel City Height nella zona del Main Bazar. Ottima la posizione peccato che le stanze non hanno finestre. Usciamo quasi subito e con due tuc tuc andiamo nella zona di Janpath Market perché Maurizio vuole salutare qualche vecchio amico e cercare di fare dei buoni affari. Per ritornare in albergo prendiamo nuovamente due tuc tuc. Mi piace girare con questo piccolo mezzo, in mezzo al caos di Delhi. Rientriamo per cena e scegliamo un locale vicino al nostro albergo.
Ultimo giorno, per questo viaggio in terra indiana. A Delhi ci sono già stata un paio di volte, ma non avevo mai visto il National Museum. Ed eccoci, oggi si entra per 650rupie compresa l’audioguida. Ci sono molte cose da vedere, i 200.000 oggetti di arte indiana consentono di ripercorrere i cinque millenni di storia del Paese, ci rimaniamo per circa 3 ore. Ritorniamo in tuc tuc nella zona del nostro albergo, come all’andata, incrociamo nella via dove siamo alloggiati, una sfilata di carri e persone mascherate, con musica a tutto volume. Mi fermo a fare qualche foto e poi vado a spendere le ultime rupie. La cena finale la facciamo in una terrazza all’ultimo piano con vista della città. Prima delle 21 arriva il nostro taxi e dopo 40’ giungiamo in aeroporto. Namaste India. Per l’ impegnativa avventura, lunga esperienza e le tante belle situazioni vissute insieme da ricordare per la vita.