Vietnam da Nord a Sud 5
Indice dei contenuti
Mete: Hanoi, Halong, Hué, Da Nang, Hoi An, Ho Chi Minh/Saigon e Delta del Mekong.
Premessa. Volevamo vederlo nel suo complesso e sapevamo di dover fare i conti con le stagioni in quanto il paese, stretto e lungo, presenta climi differenti nello stesso periodo. Il momento peggiore, perché presenti i tifoni, i cicloni e le tempeste tropicali, è tra maggio e novembre mentre il migliore va dalla prima parte di febbraio ad aprile. Perfetto, allora, per trascorrerci la settimana di Pasqua.
La spesa totale a persona è stata di € 1.800 così suddivise:
Volo internazionale in classe economica € 728 a testa: andata Roma–Hanoi e ritorno Ho Chi Minh–Roma con la compagnia Singapore Airlines (scalo a Singapore);
Tour Vietnam Classic € 1.125 ciascuno acquistato on line dall’operatore Stelle d’Oriente (www.stelledoriente.it) dopo aver valutato altre proposte (Amo Vietnam Travel: sales@amotravel.com, Travelasminute, Toa Associati) e sfogliato dépliant (Hotelplan, Viaggidea, Edenviaggi). Il pacchetto di 8 giorni/7 notti in camera doppia con prima colazione presso hotel di lusso comprende tutti i trasferimenti con mezzi privati con aria condizionata, due voli interni, Crociera di 2 giorni/1 notte ad Ha Long, ingressi ai siti, 9 pasti (7 pranzi e 2 cene con menù fisso), guida locale di lingua italiana, acqua minerale in bottiglia e salviette umidificate durante il tour.
Gli alberghi a 4 e 5 stelle dove abbiamo alloggiato sono stati i seguenti:
Ha Noi: Thien Thai hotel, stanza Deluxe (2 notti)
Ha Long: crociera di due giorni con Aphrodite Cruise, Cabin Luxury (1 notte)
Hue: Eldora hotel, Deluxe city view (1 notte)
Hoi An: Hoi An Historic hotel (2 notti)
Ho Chi Minh: Novotel Saigon Centre hotel, stanza Superior (1 notte)
In Volo. 25 Marzo: ROMA – SINGAPORE – HA NOI
Partiamo da Fiumicino con la Singapore Airlines alle 11,15 e arriviamo a Singapore alle 6,05. Ci assegnano i posti 42, ci sono tre file da tre, l’aeromobile non è pieno e ci si può allargare. Subito salvietta calda per le mani e aperitivo con arachidi. La brochure per i pasti ci illustra cosa mangeremo per pranzo: insalata di tonno, patata, fagiolini, uovo sodo e pachino, a scelta il pollo/pesce con salsa di pomodoro e olive, verdure e patatine novelle oppure straccetti di maiale in salsa di zenzero, broccoli, carote e riso alla cantonese; un panino con formaggino bel paese e gelato biscotto Pan di Stelle! Per intrattenerci tanti film di prima visione, documentari, giochi… da poter fare, ognuno, con il proprio monitor.
I messaggi vengono dati anche in italiano e le hostess sono gentilissime e bellissime nei loro stretti e lunghi sari.
Possibilità di ordinare uno spuntino in qualsiasi momento: panini ripieni, pacchetti di arachidi, barrette ai cereali o mele.
Prima di atterrare la cena (o colazione): tagliolini giapponesi brasati con arista di maiale, verdure cinesi e funghi oppure frittata di cipolle e pomodoro con wurstel di pollo, un paninetto, della frutta, sempre tè e caffè.
Un paio di calzini, spazzolino e dentifricio ci vengono dati, mentre in bagno troviamo colluttorio, pettini, crema per le mani, addirittura assorbenti per noi donne e lametta per gli uomini! 12 ore di volo e siamo a Singapore per uno scalo di circa tre ore e mezza che trascorriamo gironzolando per le lussureggianti composizioni floreali, i laghetti e i negozi del duty free.
Ci rimbarchiamo, posti 33, alle 9,20 e dopo tre ore mezza – durante le quali mangiamo nuovamente un pasto completo: maiale, riso, verdure, insalata russa e budino alla vaniglia – puntualmente atterriamo!
Sul volato avremmo potuto risparmiare parecchio prenotandolo con un più largo anticipo (e non solo tre settimane prima) o partendo in date differenti o utilizzando altre compagnie aeree quali China Southern Airlines, Aeroflot, Thai, Qatar, Turkish Airlines che prevedevano scali molto più lunghi a Bangkok, a Kuala Lumpur, a Hong Kong…
Abbiamo preferito questa spettacolare compagnia aerea perché ci ha consentito di ottimizzare il tempo, di giungere a destinazione non così stremati, in orari perfetti per le nostre esigenze e non ce ne siamo pentiti.
1° Giorno: 26 Marzo. HA NOI
Terra! Aeroporto internazionale di Noi Bai (a 45 km da Hanoi) dove non paghiamo il visto turistico d’ingresso in quanto la nostra permanenza non supera le due settimane (disposizione vigente da un annetto).
Sono le 11,40, i nostri orologi si aggiornano: siamo 6 ore avanti rispetto all’Italia, 5 ore tra qualche giorno quando lì vigerà l’ora legale. Incontriamo Serena, la ventiseienne responsabile di tutto il tour che ci dà il benvenuto con un omaggio, grandi sorrisi e qualche informazione in un italiano perfetto: Ha Noi è la capitale politica del Vietnam; significa città al di qua o circondata dai fiumi e qui vi è il Rosso (un ramo del fiume Giallo cinese) che attraversiamo su un modernissimo ponte dagli archi arancioni.
Il naso appiccicato al finestrino mentre scorrono viali, parchi, monumenti, negozietti di tutti i generi, orribili e pericolosissimi fili elettrici a mo’ di festoni tra un palazzo e l’altro!
E che stranezza le costruzioni! Strette e lunghe! Il motivo principale è il costo altissimo dei terreni per cui i palazzi sono sfruttati più in altezza che in larghezza! Alcuni fanno proprio impressione per la “magrezza”, altri sono curiosissimi! Altra ragione della loro forma è che rievocano i sampan, le barchette che all’epoca fungevano da dimore. Ora abbiamo capito cosa s’intendeva per “case tunnel”.
La circolazione è un vero inferno! Milioni di motorini inquinanti trasportano di tutto di più, auto dagli scarichi devastanti per la salute, risciò, pullman turistici impazzano. I pedoni vengono schivati, sembrano birilli da evitare, noi non so se sopravvivremo alla prima passeggiata. Pare ci sia una tecnica per attraversare e soprattutto per non essere presi in pieno: procedere con passo costante da una parte all’altra della strada, nessuna fermata brusca né dietrofront e i mezzi, nel frattempo, ti lisceranno lasciandoti indenne. Sono tutti abili, fenomenali autisti da far invidia ai piloti di Formula 1. La maggior parte delle persone indossa una mascherina che dovrebbe proteggerla dai gas di scarico, dalle polveri e dal sole, ma non so quanto possa essere utile.
Le automobili sono molto costose, soprattutto per l’alta percentuale (80-280%) delle tasse d’importazione, mentre la benzina costa pochissimo, circa € 0,40 il litro! Il prezzo dei motorini va dai 1.000 $ per un Honda con marce manuali ai 3.500 $ per un Piaggio con cambio automatico. Per quanto riguarda gli incidenti, le assicurazioni sono obbligatorie e hanno importi minimi, di solito ha ragione chi è più facoltoso; sembra incredibile (visto il modo di guidare) ma in tutta la vacanza non ne vediamo uno.
Mezz’ora e arriviamo all’Hotel THIEN THAI. Ci rilassiamo un po’ nella nostra grande stanza con lettone king size, ci omaggiano di una bottiglietta d’acqua ciascuno e di tea o caffè che possiamo prepararci utilizzando un bollitore. Ci sono TV satellitare, cassaforte, minibar, aria condizionata, wi-fi gratuito e nel bagno, con vasca e doccia, l’asciugacapelli, le ciabattine in plastica e compliments. Facciamo una sauna, un idromassaggio (non ci sogniamo minimamente di sfruttare la piccola sala fitness) e subito fuori! Non ci troviamo lontani dal centro storico; cartina alla mano, in una decina di minuti a piedi siamo nel cuore pulsante della caotica città.
Dobbiamo pensare al cambio. L’unità monetaria è il Vietnam Dong. Noi ci siamo portati sia euro (€ 1=24.000VND) sia dollari ($ 1=22.000D). In un negozietto che vende anche escursioni non abbiamo difficoltà a convertirli senza commissione e scopriamo che i pezzi da 50-100€/$ hanno il tasso più favorevole rispetto a quelli di taglio inferiore.
Apprezziamo subito la cordialità e il rispetto che i cittadini hanno nei confronti di noi turisti; giriamo in autonomia e in tutta sicurezza anche in vicoli ciechi col buio, ma va da sé che non indossiamo chili d’oro né ostentiamo prosperità.
Eccezionali le donne minute che portano ceste cariche di ogni bontà appese alle estremità di un bastone appoggiato su una spalla e perfettamente bilanciato; gli uomini che riparano biciclette sui marciapiedi; i barbieri che eseguono precisi tagli facendo accomodare i clienti su una semplice sediolina per strada di fronte a uno specchietto attaccato al primo muro che capita; le quantità di pane dall’aspetto di un granchio, baguette, ciriole perfettamente impilate!
Molti comprendono l’inglese, ma la lingua ufficiale è ovviamente la vietnamita, creata nel 1736 e diventata nazionale dal 1945. Nata appunto 300 anni fa, è un mix tra quella cinese, dalla grammatica più semplice, e quella latina, dai caratteri più comprensibili. Alcune tribù minoritarie, soprattutto sulle montagne, hanno conservato i loro dialetti; il cinese mandarino è usato da rari commercianti e il francese capito dagli anziani che hanno vissuto l’epoca coloniale.
Una stessa parola può assumere diversi significati, secondo gli accenti (minimo 2, massimo 5). Il monosillabo ma, per esempio, ne ha cinque e può voler dire: anima, madre, tomba, cavallo, semi di riso e ma, dipende dal tipo di “segno” posto sulla vocale.
Quanta folla! Ci sembra di vedere tutti gli 8 milioni di abitanti insieme!
Rientriamo in albergo all’interno del quale abbiamo la cena presso il Lotus Restaurant e conosciamo gli altri sei compagni di tour.
Iniziamo il viaggio culinario: ciotolina con brodino e pezzetti di pollo e mais, i famosissimi Cha Gio ovvero involtini primavera fritti, pezzi di pollo fritti, pollo in agrodolce “laccato al miele”, bocconcini di maiale in latte di cocco, verdurine tipo verza saltate, riso bianco e dolcissimi pezzetti di banane e ananas caramellate. I vassoi dai quali servirsi sono posti in mezzo al tavolo da sporzionare e contengono quantità contate per tutti. Ci sfamiamo, ma certo non abbuffiamo e scopriamo di aver gusti complementari: ciò che piace a uno non piace all’altro e sarà così per tutta la settimana. Le bevande sono – lo saranno sempre – a pagamento e a prezzi contenuti.
Mettiamo a caricare i cellulari; le prese sono a due schede rotonde e da nessuna parte avremo problemi di elettricità.
Ci prepariamo uno zainetto per domani, quando partiremo per star fuori una notte (torneremo poi qui) e sistemiamo la valigia riempita con abiti leggeri per il centro sud, un po’ più pesanti per questa zona e ovviamente scarpe da ginnastica o comunque comode e sandali. Non ci siamo portati molto e abbiamo fatto più che bene. L’abbigliamento costa pochissimo, sicuramente falso, ma con etichette originali di marche famose come quella della The North Face o di prodotti Goretex. E’ cucito con precisione, i materiali utilizzati sono buoni e i turisti ne fanno incetta. Il costo delle lavanderie è irrisorio: 1$ al kg!
Crolliamo contenti dopo aver risposto via whatsapp a Giorgina Bufalini, la ragazza di Stelle d’Oriente con la quale abbiamo prenotato in Italia tutto il tour che si è sincerata del nostro arrivo e dell’accoglienza! Buona prima notte!
2° Giorno: 27 Marzo. HA NOI – BAIA DI HA LONG (Golfo del Tonchino)
Colazione a buffet dolce o salata. Noi preferiamo quattro tipi di frutta (cocomero, ananas, papaia e arancia), diversi dolcetti (danesi, cornettini), tre varietà di cereali, yogurt con maracuja, succhi di frutta e tea, ma in tanti si fanno preparare uova, bacon o gustano cibo cucinato.
Conosciamo la guida per la parte nord del nostro tour, si chiama Hung ovvero Alessandro, parla comprensibilmente la nostra lingua e ci fa accomodare su un pulmino comodo e pulito.
Partiamo per la Baia di Ha Long o Halong Bay considerata dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità dal 1994 e dall’11/11/2011 seconda (alle cascate Iguazù) meraviglia naturale del mondo con circa 2.000 isolette calcaree, su 1.500 kmq di superficie, che i cambiamenti climatici continuano a modellare incidendo sulle forme. In vietnamita significa dove il drago scende in mare perché, secondo una delle tante leggende, un drago, che viveva in montagna, si scagliò sulla costa e con la grossa coda creò voragini che si riempirono d’acqua lasciando che affiorassero le punte delle rocce.
Il trasferimento, nonostante la distanza sia solo di 175km, dura circa 4 ore perché il limite di velocità sull’autostrada (simile a una nostra strada statale, percorsa anche da motorini che, al contrario degli automobilisti – 60.000D –, non pagano) è di 80-90kmh. Ci fermiamo per una sosta in un enorme “autogrill” che vende di tutto: ceramiche, vestiti, cibi, sigarette, quadri, tappeti ricamati da apprendisti davanti i nostri occhi.
Il paesaggio non è altro che un susseguirsi di fiumiciattoli, cimiteri nel bel mezzo di verdeggianti campi e sterminate risaie dove “affiorano” i famosi cappelli conici di bambù intrecciato delle laboriose mondine.
Il riso tipo basmati cresce in collina ed è raccolto due volte l’anno. Quello seminato in montagna ha il chicco più simile al nostro. Al sud, dove la temperatura è più calda e vi sono solo due stagioni (secca e piovosa), i raccolti sono tre. Al nord le stagioni sono quattro come in Italia.
Al porto ci imbarchiamo su quella che chiamano una giunca di legno, una barca tradizionale, ma è mastodontica e imponente. Si tratta dell’Aphrodite Cruise accuratamente restaurata nel 2013 che ha le seguenti dimensioni: 41,5x9x11,5 metri! Sulla banchina ci accolgono con una bevanda, frutta e dolcetti mentre facciamo il check-in. La nave ha 17 cabine, a noi viene assegnata la Luxury n. 104, di mq 17 con un lettone king-size, bottigliette d’acqua, bouquet di fiori, un bel bagno con prodottini e finestrone altezza fiume attraverso il quale su barchette di legno, vediamo e veniamo visti da venditrici di perle che danno fuoco a collane e bracciali per mostrarne l’originalità. Al terzo piano si trova la zona dove consumeremo i pasti. E’ tutta a vetrate, arredata in legno, con eleganti tavoli e credenzona con portabottiglie di vini di ogni tipo. Hung rimane a terra, non abbiamo ben capito se non ci sia una cabina per lui o se è troppo costosa per cui tutte le spiegazioni saranno in inglese e date da Victor, il receptionist tutto fare, che presenta l’equipaggio, parla delle norme di sicurezza e dà il buon appetito per il primo pranzo. Ma che sciccheria! Le pietanze sono preparate con arte e squisite! Questo il menu: due mini involtini di riso con verdure su foglia di banana in piatto tondo di bambù; insalata di arancia con bocconcini di salmone, spicchi di mela e salsa al frutto della passione su croccante e commestibile coppetta di spaghetti di riso; zuppa di cocco con pezzetti di maiale e gamberetti in ciotola di terracotta con coperchio; involtini di manzo ai funghi ammorbiditi da succo d’uva appoggiati su un igloo di riso bollito e mousse di mango dentro il “guscio” del maracuja affiancato da quadratini di coloratissima frutta. Sempre, qua e là, petali o fiori di orchidea. Tea o caffè a volontà, bevande a pagamento. Passiamo tra isolette rocciose, faraglioni, cocuzzoli… intorno a noi molte altre imbarcazioni che tranquille sembrano scivolare su questo Golfo del Tonchino.
Ci fermiamo per esplorare la Grotta delle Sorprese Hang Sung Sot, una delle più belle di tutta la baia con stalattiti, stalagmiti e formazioni calcaree di varie sagome (alcune somigliano ad animali – elefante, cammello, lupo -, oggetti – anche fallici -, frutta…). Per accedere alle tre cave un’erta scala di pietra con più di cento gradini, nel complesso ce ne sono 712, ma la spesa, neanche tanto impegnativa, vale l’impresa. Godiamo di una vista panoramica maestosa e scattiamo decine di foto nella sala illuminata da luci multicolori. Peccato il tempo un po’ grigio, c’è una cappa in cielo e il color smeraldo stenta a farsi vedere. Se pensiamo che durante il periodo delle piogge è completamente immersa dall’acqua ci vengono i brividi… ci riteniamo fortunati.
Rientriamo dopo un paio d’ore, un offerto tea caldo allo zenzero ci scalda prima dell’happy hour (due bibite al costo di una), qualche stuzzichino (arachidi, tartine, patatine fritte, nuvolette) nel corso della dimostrazione di come viene preparato il famoso bò bìa ovvero involtino di verdure, ananas e gamberetti avvolto da carta di riso. Sembra molto semplice… qualcuno di noi prova a farlo, mentre altri assaggiano (io ricopro entrambi i ruoli!). Alla fine brindisi con rito vietnamita e giù un’alcolicissima grappa di riso al cocco! Ci abbandoniamo un po’ ammirando uno scenario surreale, che sa di misterioso, magico, non fa molto freddo, c’è tanta umidità ma nemmeno una zanzara. Si sta proprio bene! La giunca si dirige verso una zona tranquilla e attracca.
La cena, sempre a bordo, è ancor più deliziosa e raffinata: involtini di verdure con pezzetti di manzo ed erbette, spicchi di pompelmo con arachidi e gamberetti secchi tritati, zuppa di funghi chiodini e albume d’uovo, pesce avvolto in foglia di banano, gamberi e calamaretto alla piastra su tortino di riso nero. Dulcis in fundo, crepe di banana su fetta d’ananas. Le porzioni non sono abbondanti, ma i piatti coreograficamente perfetti, presentati con cura e attenzione da parte dei camerieri (quanta apprensione se qualcuno lascia la pietanza!).
Io ho gustato tutto con entusiasmo, apprezzando estetica e sostanza, altri (ma erano in minoranza) lamentavano la troppa apparenza e gli esigui contenuti.
Sulla giunca non c’è wi-fi; la tv è una sorta di monitor che proietta il film scelto dall’equipaggio e dalle 21 si può assistere alla pesca del calamaro.
Buona silenziosa notte!
3° Giorno: 28 Marzo. HALONG BAY – HA NOI
Alle 6,15, prima della colazione, sul pontile qualche esercizio di Tai Chi, antica arte marziale taoista, che seppure un po’ assonnata, non mi perdo! Con me una coppia australiana, una francese e un ragazzo mauriziano. Victor esegue movimenti molto lenti, blandi, di equilibrio, che cerchiamo di emulare mentre la giunca lentamente naviga tra scogliere carsiche e isolotti con nomi legati alle loro conformazioni o fantasiosi: Bruciatore di Incenso, Cane Pietra, Galli da Combattimento. Il paesaggio è un incanto, ma sarebbe mozzafiato se non ci fosse la nebbiolina che non rende giustizia al brillante verde acqua. Alle 7,30 una prima colazione con centrifughe detox al cetriolo, frappè, tanti dolcetti e immancabile frutta. Alle 8 con un “tender” ci accompagnano su una chiatta e da lì ci muoviamo (alcuni con kayak, noi con una barchetta a remi guidata), tra “gazebi” in legno e barchette ormeggiate, ovvero abitazioni del villaggio galleggiante di pescatori Cua Van, scoperto 30 anni fa. Certo, per noi è impensabile che 200 persone (all’epoca erano in 700) vivano in queste condizioni, con l’acqua potabile che una cisterna consegna due volte a settimana, con l’impossibilità di comunicare per richiedere l’intervento di un medico perché in tutta l’area non c’è campo…! Tra alcuni villaggi simile a questo c’è lo scambio merce: pesce contro frutta o verdura… in altri, magari impegnati nella coltivazione delle perle, circola la moneta. Il Governo aiuta la gente locale con costruzioni di casette “fluttuanti”, sicuramente più comode rispetto alle barche, ma sempre precarie.
Su ogni dimora spicca la bandiera nazionale: sfondo rosso (colore della felicità) e stella gialla (la carnagione asiatica) a cinque punte come le classi sociali (militari, intellettuali, commercianti, operai e agricoltori).
Un’oretta scarsa e rientriamo per il check-out ma, prima dello sbarco, il Brunch che è un vero e proprio pranzo al buffet: riso, spaghetti di soia e di riso, carne, pesce, verdure saltate, salumi, insalatone, frutta e dolci. Tutto gustoso. Il trattamento da parte della crew è stato superlativo, sempre intenta a non farci mancare nulla, ma mi aspettavo più fermate e visite all’interno della baia; ci sarebbero state da vedere una fabbrica di carta di riso, un’azienda produttrice di perle con tanto di allevamento e spiegazione… non so quanto fossero distanti, ma secondo me di tempo ce n’era (forse si potevano concentrare in un solo giorno le due escursioni fatte).
Sul molo troviamo ad aspettarci Alessandro e l’autista. Quattro orette di viaggio e giungiamo ad Ha Noi per continuarne la visita.
Prima tappa il museo della storia del Vietnam, un viaggio nel tempo, dal paleolitico al XX sec.. Ricca è la collezione di oggetti che rappresentano le varie civiltà millenarie succedutesi e interessante quella di tamburi in bronzo ornati da scene della vita quotidiana, oggetti asiatici in ceramica, statue in legno, tra le quali una pregevole di Buddha risalente a 1500 anni fa.
Finalmente una piacevole passeggiata a piedi; sul marciapiede una linea tratteggiata delinea lo spazio riservato al parcheggio dei motorini e ai pedoni, ma è uno slalom continuo tra ingombrante mercanzia e cibi in preparazione o consumati senza sosta su piccoli sgabelli blu. Sembra di camminare in un’interminabile mensa di un asilo nido per l’altezza delle sedioline e dei tavolinetti prevalentemente rossi. D’altronde la popolazione ha un’altezza media di mt 1,60 per un peso di 45 kg (praticamente le mie misure! Ecco perché non trovo il tutto così scomodo)!
Quante bancarelle-macellerie vendono zampe di tutte le bestie (galline, maiali)! Tante friggitorie all’aperto immergono in pentoloni colmi d’olio quaglie o polli interi che hanno zampe e becchi legati! In alcune gabbiette gli uccellini pronti per essere spennati, messi a macerare in bacinelle, arrostiti e consumati! Tra le particolari pietanze esposte vi è il Gòc, un frutto rosso, grosso quanto un pompelmo, con cui si cucina il riso che diventa vermiglio. Brulicante è la viuzza con occidentalissimi pub che fino a qualche anno fa erano negozi statali dove veniva distribuito il cibo a chi mostrava una tessera.
Arriviamo davanti all’imponente Cattedrale di San Giuseppe, esempio di architettura coloniale del 1880. Sembra che la domenica un cospicuo numero di cristiani segua la messa, oggi è chiusa, peccato.
Passiamo su un ponte rosso che collega la riva con l’isola o montagna di giada, sopra la quale si erige il Tempio di Ngoc Son (30.000D), costruito nel 14° secolo in onore a tutte le religioni (buddismo, taoismo, confucianesimo). Conosciamo per la prima volta, ma poi lo ritroveremo in ogni santuario, il frutto mano di Budda: giallo come un cedro, ma non commestibile, dalla buccia spessa, rugosa e dalla forma bitorzoluta.
Le luci del crepuscolo rendono romanticissima l’atmosfera, quelle dei lampioni si riflettono sul Lago Hoan Kiem che ospita la pagoda della Tartaruga divenuta quasi l’immagine simbolo della città, coronata da una stella rossa e che sorge su un isolotto al centro del lago. Secondo la leggenda, verso la metà del XV secolo, gli dei diedero all’imperatore dell’epoca una spada magica per cacciare i dominatori cinesi dal paese. Finita la guerra, un giorno l’imperatore, mentre era in barca, s’imbatté in un’enorme tartaruga d’oro che gli strappò la spada e scomparve nell’acqua restituendola agli dei. Da allora il soprannome Lago della Spada Restituita.
E’ ora di un bel giretto con risciò (xich lo), il mezzo migliore per spostarsi, nel quartiere antico delle 36 Corporazioni o dei 36 mestieri, tra le sue 36 stradine (un labirinto che pullula di vitalità) dai nomi delle merci che vi si commerciavano e tutt’ora vendono. Ci rilassiamo e divertiamo, ognuno su un singolo ciclotaxi, adocchiando negozietti o ristorantini dove poter tornare. Concluso il tour, non avendo molto tempo per cenare, optiamo, e non ce ne pentiremo, per un Doner Kebab (poco più di un euro!) seduti su alcune sedioline davanti a uno dei tanti chioschetti che li propongono.
Facoltativamente assistiamo allo spettacolo delle marionette sull’acqua presso il Thang Long Water Puppet Theatre. Su un piccolo palco tre donne e tre uomini suonano degli strumenti antichi e particolari, cantano delle melodie e danno voce a dei pupazzi di ceramica mossi da invisibili artisti. Le impressioni del nostro gruppetto sono molto contrastanti: io l’ho trovato un po’ ridicolo e monotono, nonostante le 14 scenette avessero temi differenti (storie popolari della vita semplice contadina), altri si son fatti grasse risate. E’ comunque una delle più autentiche espressioni della cultura vietnamita e la spesa ($ 5 o 100.000D) vale l’impresa.
C’eravamo informati pure per lo spettacolo – più lungo e forse più interessante perché i teatranti interagivano con il pubblico – al poco distante The Golden Bell Theatre, ma gli orari non coincidevano con i nostri impegni.
Con una piacevole passeggiata rientriamo al Thien Thai hotel per l’ultima notte.
4° Giorno: 29 Marzo. HANOI – volo per HUÉ
Colazione ricca e abbondante come il primo giorno, check out, valige sul pulmino e via per completare la visita di Ha Noi.
La prima fermata è al tempio della Letteratura, esempio di architettura tradizionale, coperta da un tetto di tegole simili a scaglie di drago, costruito nel 1070 e dedicato al filosofo cinese Confucio nell’intento di rendere omaggio a eruditi e letterati. Curatissimo il giardino dove addetti sono intenti a potare le scritte dei segni zodiacali, secondo l’anno di nascita, e la rispettiva forma di animali (topo, coniglio, cavallo, gallo, bue, drago, capra, cane, tigre, serpente, scimmia e maiale). Io sottoscritta, da quasi 45 anni del segno del leone, oggi in Vietnam scopro di essere anche di quello del maiale!
Divenne sede della prima università del Vietnam che istruiva i figli dei mandarini e gli uomini (le donne ebbero il diritto allo studio solo nel 1939!) e tale rimase fino a quando l’Università Nazionale fu trasferita a Hué. Gli esami da sostenere erano 82, ma non in un tempo stabilito; chi li superava vedeva inciso su una stele, piantata sul dorso di una tartaruga di marmo, il suo nome. Interessante sapere che qui gli insegnanti sono quasi osannati, rispettati e stimati a tal punto che un giorno dell’anno, durante il capodanno buddista, è dedicato ai professori defunti. Con noi, in quello che oggi è considerato il simbolo nazionale dell’educazione, tantissimi bambini in gita che ci intrattengono e simpaticamente distraggono un po’.
E’ poi la volta del mausoleo del Presidente Ho Chi Minh, il monumento funebre edificato nel 1973 in granito grigio la cui struttura è stata ispirata a quella del Mausole di Lenin a Mosca. All’interno si trova il suo corpo imbalsamato, rinchiuso in una bara di vetro, nonostante nel testamento la sua volontà fosse di essere cremato. Purtroppo non lo vediamo perché la fila è lunga e bisognava prenotarsi! E’ imponente (mt 22 x 41 circa) e con grande fantasia somiglia a un loto stilizzato. Si trova al centro della piazza – che non possiamo attraversare e che è attorniata da giardini – in cui Ho lesse, il 2 settembre 1945, la dichiarazione d’indipendenza. Sulla facciata la scritta del suo nome, di fianco due piattaforme con sette gradini, di fronte un’asta portabandiera di circa 25mt e il Parlamento ovvero la Sala dell’Assemblea del Partito socialista.
Nei pressi, l’alto e giallo Palazzo presidenziale, l’antico palazzo del governatore generale dell’Indocina, dell’epoca francese, oggi utilizzato solo per incontri di stato e, mentre la guida spiega, immortaliamo una delegazione russa.
Un piccolo giardino attornia un laghetto da dove curiose radici di cipressi (o di alberi di Buddah) spuntano. A breve distanza la Casa n. 54 ovvero una costruzione gialla a piano terra dove Ho visse dal 1954 e le tre auto al suo servizio, una regalata dalla Francia e due dalla Russia. Sempre nella stessa area una palafitta presso la quale abitò da ultimo, arredata in legno arte povera e con esposti elmetti e apparecchi telefonici usati durante la guerra.
Siamo in fila tra tanti turisti, ma soprattutto tra moltissime vietnamite dai lunghi, ricamati e colorati vestiti in seta, considerati i costumi nazionali. Loro si prestano e contemporaneamente chiedono a noi una foto: un vero piacere reciproco!
Nella stessa area visitiamo la pagoda di Tran Quoc, una delle più antiche di tutto il Vietnam, ricostruita su un pilastro unico (sia nel XV secolo sia nel 1842) che l’imperatore fece erigere per ringraziare Budda del fatto che la moglie rimase incinta. Rievoca un fiore di loto, l’unica colonna è lo stelo ed è immersa in un ameno paesaggio lacustre.
A tal proposito, il fiore di loto rosa, che si trova in tutto il paese, è il simbolo nazionale per il suo significato spirituale (riaffiora dal fango, come la storia di questa nazione, dal drammatico passato recente alla rinascita) e materiale (i suoi semi, freschi o secchi, vengono utilizzati come cibo o per farcire i dolci, le foglie aromatizzano le bevande, il tea e i piccoli germogli amari sono adoperati in medicina come oppiacei).
Proseguiamo per il Museo dell’Etnografia Xin Chao, considerato il miglior museo moderno, un complesso mosaico culturale composto da uno spazio a cielo aperto e una casa-museo, dov’è possibile conoscere le usanze dei 54 gruppi etnici esistenti in questo paese. Esposti gli oggetti di uso comune: costumi, strumenti musicali, zucche, vetrine tematiche sulla tessitura, ceramiche… Un albero (come quello di bambù che si trova in ogni villaggio) esprime la solidarietà e la relazione delle etnie. Ogni ramo è decorato e basato sulle caratteristiche di una certa razza. Pupazzi riproducono situazioni risolte da sciamani (vi è un corso, riconosciuto, per diventare medium) e appesi su una parete i simboli – da porre davanti alle capanne – che identificano chi le abita: single, famiglie, ricchi o capi villaggi. Carini i modellini di casupole, ci colpiscono quelli “allungati” dove le coppie sposate dovevano vivere per almeno tre anni (era la casa della suocera di lei) e poi quelle con scale anteriori per gli uomini o gli ospiti e posteriori per le donne più vicine alle cucine… Visita piuttosto interessante.
Per pranzo ci portano al Baguette e Chocolat il Training Restaurant of Hoa Sua School for disadvantage youth, dove gentilissimi giovani fanno pratica e diventano cortesissimi e professionali camerieri che prima presentano e poi servono i seguenti buoni piatti: zuppa densa di zucca con disegnino galleggiante al burro, involtini di spessa carta di riso ripieni di erbette e manzo, insalata di fiori di banano, pollo e arachidi tritate su nuvolette di mais, verdure saltate dalle sembianze di fagiolini con foglia di spinaci e funghetti, spezzatino di manzo con peperoni rossi, verdi e cipolle, pezzetti di maiale caramellato, bocconcini di pollo in salsa di limone, immancabile riso bianco e frutta. Le pietanze sono veramente abbondanti, ben condite le carni e con fatica riusciamo a finire tutti i vassoi dai quali ognuno si poteva (come al solito) servire.
Contenti di aver mangiato e dato il nostro contributo a questa iniziativa, ci trasferiamo in aeroporto, si vola a Hué!
Decolliamo alle 16,30 con la precisissima compagnia Vietnam Airlines (attenzione al bagaglio, peso massimo 20kg). Sull’aeromobile, posti 11B, distribuiscono una bottiglietta d’acqua a testa e dopo poco più di un’ora, alle 17,40, siamo accarezzati da un venticello molto più temperato. Siamo sotto il 17° parallelo che ha da sempre diviso il Viet Nam – un territorio dalla forma di lettera “s” – in due.
Ci viene a prendere la guida locale per la parte centrale del Vietnam. Si chiama Mai (fiore di pesco), parla molto bene la nostra lingua, ha studiato a Palermo dieci anni fa e sposato un palermitano! Ha due bimbe e, nonostante ci confessa subito di non sentirsi bene, inizia con grande entusiasmo ed energia il tour.
E’ sempre un susseguirsi di sconfinate distese di risaie sulle quali persone chinate e diversi bufali, il cui latte non viene utilizzato e la cui carne viene mangiata solo quando la bestia diventa troppo vecchia per lavorare. Scopriamo che gli adulti non bevono neppure il latte di mucca, troppo caro, ma è dato ai bambini in fase di crescita!
I taxi sono gialli, la divisa della polizia è ocra, sono i colori del drago, della potenza! Da queste parti i poliziotti, molto corrotti, rientrano tra le persone ricche, come i commercianti, gli insegnanti, i medici e gli statali in genere. Sembra che per assicurarsi il posto da “guardie” basti pagare “a chi si sa” circa 30 mila $.
Lo stipendio medio di un operaio è di 300-350€ al mese, quello di un impiegato privato oscilla tra i 500 e gli 800€. Un appartamento in zone periferiche di 60-80mq arriva a costare 100 mila €, mentre gli affitti si aggirano sui 300€ mensili. Spesso si usa locare una stanza a € 150, comprensiva di tutte le spese, altrimenti posti letto in camere di 20mq anche soppalcate. Ottenere un mutuo è molto difficile! Con le dovute proporzioni, è una realtà molto simile alla nostra!
Siamo sull’autostrada, un camioncino aperto sul retro dalla sagoma di un drago trasporta un feretro. Alcune persone sono sedute attorno alla bara, vestite di bianco, il colore dell’ottimismo perché il defunto sta passando a miglior vita e si reincarnerà. Buttano dei foglietti in aria, sono soldi finti di buon auspicio per le anime. Tanti i furgoncini stracolmi di composizioni di fiori, corone, che seguono in corteo.
Ci trasferiamo nel nuovissimo hotel Eldora altissimo, bianchissimo e luminosissimo. Un tea allo zenzero in bicchiere da cocktail ci viene offerto mentre facciamo il check in. Ci sistemiamo nell’enorme e pulitissima camera deluxe city view n. 808, arredata con pezzi di modernariato. Una parete completamente trasparente divide la stanza da letto dall’antibagno con vasca; aprendo un’altra porta si accederà al water e alla doccia.
Al 15° piano una visione quasi a 360° della città; al 14° la grande e limpida piscina che sarebbe proprio da sfruttare… ma non abbiamo troppo tempo e preferiamo una romantica passeggiata by night lungo le rive del fiume dei Profumi (per gli alberi aromatici piantati all’epoca alle sue pendici).
Quante persone sui cigli delle strade che, accovacciate, arrostiscono pannocchie, patate, friggono spiedini o bánh gối=panzerottini o palle perfettamente rotonde di mais, vendono pesce essiccato proponendo quasi tutto a $ 1. Siamo alla ricerca del mercato notturno, ma di aperto fino alle 22 c’è solo un mega supermercato con la gigante insegna Co.op Mart nei reparti del quale gironzoliamo acquistando – a un terzo del prezzo trovato finora – vari snack come torroncini al sesamo, barrette alle arachidi e facciamo incetta di frutta tipica (rambutan, guava, mangostano, carambola o star fruit).
Rientriamo, mandiamo un whatsapp di risposta a Stelle d’Oriente – il tour operator italiano che si accerta che il volo sia andato bene e siamo stati accolti dalla nuova guida per la scoperta del centro del paese – e crolliamo soddisfatti.
5° Giorno: 30 Marzo. HUE’
Colazione dolce (al contrario di tanti altri) all’altezza del lussuoso hotel! Ci riempiamo più volte i piatti con inusuali frutti quali longan (od occhio di drago/gatto al sapore di litchi), dragon fruit (esternamente rosso e internamente simile a un kiwi bianco con numerosissimi semini neri), maracuja… ma anche mango, papaia, ananas, anguria… e spalmiamo marmellata esotica su fette di differenti qualità di pane; qualche dolcetto di pasticceria tra almeno 7 tipi e via pieni di energia!
In tutto il Paese la colazione dei vietnamiti ha come base la zuppa=Pho di spaghetti di riso bianco, con carne di manzo (Bo) o di pollo (Ga), menta, lime e germogli di soia! Zuppa che, comunque, viene consumata in qualsiasi ora della giornata. Le insegne còm, ovvero ristorante che vende riso, sono infinite!
Scopriamo Hué, per quasi 150 anni capitale politica e culturale della nazione e dichiarata patrimonio storico dall’Unesco dal 1993 il cui fiume attraversiamo con un sampan, una barca di legno dalla forma di un dragone, guidata, con un volante a mo’ di bus, da un uomo piccolino seduto su una sgangherata sedia di legno!
La barca attracca e davanti a noi svetta, fra una lussureggiante vegetazione sulla cima di una collinetta, una torre ottagonale alta 21 metri e suddivisa in sette piani (ognuno dedicato alla reincarnazione umana di Buddha). L’amena veduta è da cartolina.
Passiamo sotto una delle tre porte ai lati delle quali due corpulente sculture (di cartapesta, crusca e riso) fanno da guardie alla pagoda Thien Mu, simbolo della città, il cui nome significa Celeste signora o Dama, un santuario buddista del XVII secolo, costruito sulle rovine di un antico santuario Cham, con tre differenti statue di Budda che rappresentano il passato, il presente e il futuro (in quest’ultima la divinità è tutta d’oro e opulenta). Curato e grazioso il giardino di bonsai.
A proposito, tutte le zone finora battute, ci hanno dato la sensazione di stare nel passato per gli anziani con abiti un po’ retro, saldamente ancorati alle proprie storie, che su biciclette trasportano cibi dell’orto, animali vivi…, sicuramente nel presente, ma anche nel futuro per i ragazzi con cellulari supertecnologici su scooter moderni vestiti all’occidentale. In qualsiasi “periodo”, comunque, abbiamo incontrato gente autentica, ospitale e serena che conquista il cuore.
Riprendiamo il pulmino e ci dirigiamo alla tomba reale di Minh Mang (100.000D) un nazionalista, molto conservatore, non amante dello scambio e del commercio tra i paesi, che cacciò addirittura i missionari cattolici per paura che fossero spie francesi. Con 500 mogli e 140 figli, a lui si deve il sistema d’irrigazione del Delta del sud. Qui per fortuna nessun bombardamento disumano, la tomba è stata leggermente restaurata e rappresenta l’armonia perfetta fra la natura e l’architettura. Tutto il sito si estende su 15 ettari; superiamo un portone, poi un lungo cortile d’onore presso il quale l’anima doveva riposare, un padiglione con una stele e davanti ai nostri occhi una montagna sotto la quale, in un punto non definito, il suo corpo. Non è stata mai scavata per rispetto al re e per superstizione: non disturbare le anime delle persone, almeno 200, fatte ammazzare perché non svelassero la collocazione della salma e dei suoi tesori. Molto interessante.
E’ poi la volta della tomba reale di Khai Dinh, su una ripida collina con tanto di terrazze di cemento e statue in arenaria. Era un imperatore odiato dalla sua comunità che vide alzarsi del 30% le tasse per le sue pazze spese, come quella di questa sfarzosa tomba ricca di decorazioni, mosaici con ceramiche francesi e cinesi sulle pareti. La costruzione durò 11 anni ma lui morì sei anni prima lasciando il progetto al figlio, che nel frattempo studiava in Francia. Saliamo 126 scalini per ammirare l’ineguagliabile area sacrificale, le due stanze dei guardiani, le sue foto, la scrivania e la poltrona da dove governò dal 1916 al 1925. Veramente notevole.
Tante le venditrici di banane con bimbi al seguito ai quali distribuisco penne, matite, caramelle, ricambiata da timidi sorrisi… la guida dice che i miei sono gesti graditi e inaspettati.
E’ ora di pranzo, ci fermiamo al Moc Vien, un ristorante immerso in un paradiso naturale, dove le salette, una riservata per ogni gruppo, sono pagode costruite tra un laghetto e l’altro collegato da piccoli ponti. La tavola è apparecchiata in maniera semplice ma elegante. Iniziamo con una zuppa di zucca, un’insalatina di mare (predominano le verdure) con spolverata di arachidi tritate, involtini di spaghetti di riso, striscioline di maiale caramellato, squisiti trancetti di pesce coperti da sughetto ai funghi e crème caramel. Cibi buoni, personalmente mi alzo soddisfatta, ma in realtà le pietanze non erano così abbondanti e un ragazzo del gruppo ha avuto sentore di aver ricevuto, dalla cameriera, il resto sbagliato al momento del pagamento delle bevande. A prescindere, pare che Hué sia definita la raffinata capitale gastronomica.
Curiosa la storia dei numeri, ognuno dei quali ha un significato: lo 0 non esiste, 1 la vita, 2 yin e yang, 3 la religione, 4 la morte, 5 gli elementi, 6 la ricchezza, 7 il fallimento, 8 la fortuna e 9 la potenza. In molte targhe, che possono essere scelte, non appaiono i numeri 4 e 7 così come non vi sono nei numeri di cellulari che si possono acquistare (e rivendere). Ovviamente quelli che hanno la presenza di cifre con valore positivo costano di più e, chi ti chiama o legge il bigliettino da visita… sa già quanto sei importante! Il numero della morte è proprio 4 perché si scrive nella stessa maniera con un accento differente e una pronuncia simile.
Ci dirigiamo alla cittadella costruita sul modello della Città proibita di Pechino, in 29 anni nei primi dell’ottocento e distrutta per il 70% durante la guerra. Oggi possiamo rivivere questo patrimonio inestimabile grazie a numerose donazioni, ai soldi ricavati dai biglietti venduti e a quelli dell’Unesco che ne hanno permesso la ricostruzione e la restaurazione. Il perimetro quadrato della cinta muraria è di 11 km ed è protetta da un fossato lungo il quale ancora scorre il canale artificiale. Le persone che vi abitavano, di giorno andavano a lavorare fuori, uscendo dalle 9 porte sulla terra o dalle due sull’acqua (differenti per il re, per uomini, per donne e per l’uscita di sicurezza) e la sera, al loro rientro, venivano alzati i ponti mobili. Ogni tanto l’imperatore, camuffato e irriconoscibile, faceva un giro in barca sul canale per controllare il popolo e che nessuno attentasse alla sua vita.
Passiamo sotto la porta principale Ngo Mon che odora di vernice fresca, subito due bacini e 9 cannoni (5 da un lato e 4 dall’altro). Iniziamo una lunga passeggiata fino alla sala delle urne delle Nove Dinastie dove Mai ci racconta qualche aneddoto dei vari imperatori: bambini, sfigati, nazionalisti, donnaioli o sterili. Ovunque i colori predominanti sono rosso felicità e giallo ricchezza e il numero ricorrente è il 9, la potenza!
Bellissime sono le colonne di legno per costruire le quali erano stati utilizzati degli alberi che crescono nel Laos. Vengono chiamati legni di ferro perché duri, scuri e il cui attuale costo va dai 30 ai 50.000 $ a tronco. Inattaccabili dalle termiti, anche perché laccate, purtroppo si stanno rovinando per la muffa.
Un plastico mostra che in origine vi era, all’interno, la città imperiale, quindi le abitazioni del re, delle due mogli, degli eunuchi, delle concubine, dei figli, degli insegnanti, della mamma, della nonna, delle guardie… un complesso di templi, la sala riunioni, gli uffici per le udienze, la città degli splendori… e poi il Palazzo della suprema Armonia, della suprema Pace e la Città Proibita di Porpora completamente rasa al suolo.
Raggiungiamo da ultimo, passando in mezzo a verdissimi giardini, sui quali spiccano siepi dalle forme più stravaganti, il piccolo ma grazioso teatro reale privato con sedie ad hoc per gli ospiti importanti.
In diversi luoghi bisogna entrare scalzi; è tutto molto pulito ma consiglio di indossare dei calzini. Escursione da non perdere con l’augurio di accurate e appassionate spiegazioni di una guida come Mai che salutiamo perché febbricitante.
Ci facciamo lasciare sul lungo fiume per una lenta camminata su un’area pedonale con tanti locali, prati curatissimi, in attesa di un tramonto magnifico e suggestivo, sicuramente fonte di ispirazione per molti artisti!
Rientriamo nel lussuoso Eldora Hotel piuttosto stanchi ma appagati e prepariamo le valigie: domani si ricambia città!
6° Giorno: 31 Marzo. HUE – DANANG – HOI AN
Colazione da applauso e conoscenza della nostra nuova guida: Thui che significa Intelligenza; una ragazza minuta che ha imparato benissimo l’italiano con un corso on line su internet (qui si prende ovunque!) e con la quale entriamo subito in sintonia (nhanai67@yahoo.com)! Pare che l’interesse per la lingua italiana, soprattutto per i ragazzi vietnamiti, sia iniziato negli anni 90, la presenza della tv in ogni casa, la passione per il calcio, per le squadre nostrane e quindi per comprendere le cronache sportive. Fino ad allora, tra l’altro, lo sport nazionale era l’arte marziale, la difesa personale, nata probabilmente per le varie invasioni subite… ora, come nel nostro Bel Paese, è il calcio.
Si parte. Direzione Hoi An a 130km. Dopo un’oretta e mezza di tragitto ci fermiamo in un resort dove vendono prevalentemente gioielli con perle incastonate. Affaccia sulla spiaggia di Lang Co e ne approfittiamo per una passeggiata, di una decina di minuti, lungo il Mar della Cina scoprendo come l’acqua sia pulita (non c’è il sole per cui non ne vediamo il colore brillante, ma è sicuramente linda) e la sabbia dorata.
Riprendiamo la strada salendo fino a 500mt e transitando su quello che chiamano il Passo delle Nuvole. La veduta dall’Hai Van Pass sulle baie sottostanti è panoramica e scattiamo varie foto dalle postazioni militari dei cinesi, dei francesi, degli americani in tempo di guerra. Noi turisti siamo tanti e quasi tutti un po’ distratti da una coppia di novelli sposi per un servizio fotografico da star tra cielo e mare. Lei ha un bianchissimo e amplissimo vestito e, col suo futuro partner, viene fatta arrampicare (non ci riesce e spunta dal nulla una scaletta di metallo!) su una piattaforma in mezzo alle nuvole! Che ridere! Quanti applausi le facciamo!
Le location per i banchetti dei matrimoni sono prevalentemente enormi ristoranti dentro Grandhotel dal momento in cui gli invitati possono arrivare a 300, a 500 o anche a 1.000! E’ una festa per tutto il borgo che conosce gli sposi da quando sono piccoli e la cui partecipazione è gradita ed estesa!
Rimanendo in tema consorti, le ragazze convolano a nozze vergini e soprattutto le mogli lavorano altrimenti rischiano di essere lasciate; l’uomo è prezioso, esiste il divorzio, ma una donna separata non troverà facilmente un altro marito, sarà considerata un oggetto usato. Senza parole. Le donne benestanti hanno la carnagione chiara, probabilmente non hanno necessità di svolgere alcun mestiere (e quindi esporsi al sole nei campi, nei mercati…), possono rimanere in casa ed essere mantenute dalla famiglia. Sono ritenute anche più belle, ed è per questo che, chi sta spesso in ambienti aperti, la nostra guida inclusa, applica quotidianamente una crema protettiva a schermo totale sul viso e sulle mani, e se indossa gonne o infradito, infila calze pesanti o calzettoni! La sera, poi, sul volto e decolté, spalma latte di capra che sembra abbia potere schiarente. Che differente modo di vedere la bellezza tra occidente e oriente! Con Intelligenza chiacchiero lungamente e lei sorride quando vede che, appena esce un tantino di sole, cerco di farmi colpire dai suoi raggi per mandar via quel pallore dell’inverno e sembrare più sana! Per quanto riguarda l’uomo, incredibile ma vero, il più attraente, oltre ad essere bianchiccio, deve avere anche un po’ di panza! Ahahahah!
Arriviamo a Da Nang o Danang una cittadina moderna di un milione di abitanti, la quarta del paese, un lungomare elegante, file di bonsai, siepi modellate (potate a mo’ di piccolo uomo vietnamita in segno di benvenuto), un ponte dalla struttura di un drago con la testa alta, la bocca aperta, la cresta con 81 squame dalle sembianze di fiamme, il moderno stadio, due campi da golf, la ruota panoramica, un casinò (ai vietnamiti è vietato andare) e un quartiere – nato una decina di anni fa – con ville da 500mq a prezzi occidentali. Ancora ben visibili gli addobbi per i festeggiamenti per l’ultimo dell’anno, nonostante sia stato l’8 febbraio scorso.
Ci fermiamo al piccolo Museo della scultura Cham, ci viene spiegata la religione induista del grande Regno Champa mentre ammiriamo la collezione (più di 300 opere) di belle statue in pietra arenaria e terracotta tra cui diversi linga ovvero simboli fallici, della fecondità, che evocano la divinità indù Shiva. In questa zona è presente anche una Buddha donna con un vaso in mano che contiene l’acqua miracolosa per i fedeli.
A proposito di religioni, quella predominante in Vietnam è il buddismo, ma ci sono consistenti gruppi di taoisti, confuciani e poi cattolici e musulmani. Una pratica religiosa è il culto per gli antenati che si basa sulla credenza che l’anima, se opportunamente pregata e onorata, protegga i familiari, li liberi da ogni nefandezza e li aiuti nella vita di ogni giorno. Da alcuni anni si sta diffondendo il caodaismo; i fondatori sostengono di avere ricevuto, durante una seduta spiritica, una rivelazione da Dio: creare una nuova dottrina che mescoli vari elementi religiosi orientali e occidentali. Al nord (la cui storia si sviluppa più sotto la cultura orientale cinese e russa) sono prevalentemente atei.
Pit stop presso un’ampia fabbrica di marmi che espone oggetti piccolissimi e statue alte quanto palazzi. Molte donne scartavetrano e modellano blocchi, dalla terrazza del negozio multipiano fotografiamo una bella pagoda su una delle cinque montagnette rinominate i cinque elementi: il fuoco, la terra, il legno, il metallo e l’acqua (l’aria non è considerata una materia importante!).
Lungo il percorso rimaniamo ammaliati dalle distese di risaie intervallate da imponenti montagne e tanti laghetti dove l’acqua è salmastra e avviene l’allevamento sia di riso, sia di frutti di mare.
Arriviamo a Hoi An e iniziamo la scoperta della cittadina di 120.000 abitanti, conosciuta come Faifo dai primi commercianti (di spezie, seta, legno, oggetti in lacca, ceramica, porcellana…), ma oggi più nota come la città delle lanterne colorate appese a fili stesi da un palazzo all’altro che rallegrano tutte le stradine.
E’ stata uno dei principali porti internazionali del sud est asiatico e svolgeva un importante ruolo negli scambi marittimi. Gli affari duravano dai 4 ai 6 mesi durante i quali battelli stranieri arrivavano in gran numero e giapponesi, cinesi, olandesi, portoghesi, indonesiani… stazionavano facendosi costruire superbe residenze. Ora il suo sviluppo è dovuto prevalentemente al turismo e i suoi quartieri, che risalgono a un secolo e mezzo fa, sono considerati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco dal 4 dicembre 1999. Vi sono ben 844 edifici, tra case storiche e templi, di quattro differenti stili: cinese, giapponese, vietnamita e francese.
Visitiamo la sartoria Thang Loi dove, intenti a cucire, tessere, ricamare, ci sono moltissimi giovani. Interessante la spiegazione della lavorazione della seta e la coltivazione dei bachi bianchi e gialli che sembrano le patatine puff. Le tovaglie, i quadretti, gli eventuali vestiti su misura (che potrebbero consegnarci dopo un’ora o direttamente in hotel) sono particolari, alcuni splendidi, altri per i nostri gusti occidentali immettibili. Singolare è la realizzazione delle famose lanterne (dai 5 ai 10$) che caratterizzano questa romantica città.
Ci fermiamo sul piccolo ponte coperto giapponese del 17° secolo, dallo stile di una pagoda, la cui elegante struttura di legno e pietra, con piastrelle grigie rossastre, si trova su archetti sopra l’affluente del Fiume Thu Bon. All’inizio e alla fine, le statue di una coppia di scimmiette e di cani (femmine di fronte ai maschi) per indicare l’anno d’inizio e quello di conclusione dei lavori per la sua costruzione.
Pranziamo sulla via centrale al Tam tam cafe, un pulito ristorante gestito da cinesi. Ci fanno accomodare al secondo piano, le finestre sono aperte, l’arietta è deliziosa, buonissimo il menu. Come antipasto una gustosa e ricca insalata di verdure con granella di arachidi da accompagnare con le gallette di riso; per primo delicati ravioli sia tondi ripieni di maiale sia ovali ripieni di gamberetti; due secondi: foglie di loto profumate che avvolgono mini involtini di manzo e morbidi bocconcini di maiale in agrodolce al sesamo da avvolgere in carta di riso; come contorno un originale cestino di terracotta ripieno di melanzane e cipolle al caramello e, per dolcetto, un piccolo bignè che però non ha nulla a che vedere con i nostrani di San Giuseppe!
Soddisfatti proseguiamo la visita entrando in un paio di Old House, ovvero case antiche di due secoli. La prima è quella della famiglia Tan Ky, la seconda della famiglia Nha Co, entrambe residenze, per più di 8 generazioni, di facoltosi mercanti. All’entrata due rosoni rossi, gli occhi del drago, per proteggerle dai maligni, un tempio, letti di bambù, colonne di tek, mobili intarsiati di madreperla… i cinque elementi regnano. In una delle due, con calma e perfezione, alcune donne impastano ravioli di manioca o mangiano, a una velocità incredibile, mini lumachine aiutandosi con uno spillo. In tutte e due sono evidenti i segni di dove arrivò l’acqua durante le passate inondazioni.
Per strada una miriade di rivendite di souvenir coloratissimi che espongono di tutto di più, dalle lanterne, ai magneti, alle grappe con serpente e/o scorpione galleggiante (viagra naturale) e ambulanti di gelati (su lunghi stecchini ghiaccioli cilindrici), di frittelle di banana, di ravioli ripieni di gamberetti… Diversi anche i centri spa (presenti in tutto il paese) dove potersi rilassare con un massaggio parziale o totale, di varia durata e stile, a prezzi veramente bassi (dai 10 ai 20 €).
Entriamo in un’antica scuola elementare cinese all’interno della quale un tempietto dedicato alla Dea del mare con due statue, una davanti l’altra, più grande e più piccina, laccate d’oro e contornate da donazioni di cibi. Ai lati due piccoli battelli sulla cui prua sono disegnati occhi di coccodrillo che dovrebbero far paura agli altri naviganti.
Visitiamo poi The Fukien Chinese Congregation Assembly Hall ovvero le sale delle riunioni dei mercanti fondate da una congregazione cinese devota alla Dea protettrice della maternità, dove molte donne vanno a pregare quando sono in stato interessante affinché la Dea decida il sesso, salvaguardi i figli, incida sulla loro educazione e insegnamento. Appesi al soffitto incensi dalla forma di spirali con bigliettini pendenti che alcuni addetti continuano a scrivere con le richieste, previa donazione, dei fedeli.
Anche in questo luogo la presenza di opere raffiguranti i 4 animali sacri della mitologia vietnamita: una fontana drago (potenza), statue dell’uccello della fenice (eleganza e bellezza; il maschio è chiamato Feng, la femmina Huang e insieme rappresentano la felicità coniugale e l’unione), l’unicorno (pace; testa di un cavallo con un corno di carne e corpo di cervo con coda di bue per difendere il santuario) e la tartaruga (longevità e forza; la carapace rappresenta il cielo, le quattro zampe i pilastri del mondo: filo conduttore tra Cielo e Terra, importante legame tra mondo terreno e mondo spirituale, l’unico essere vivente veritiero). Nell’antistante cortile, perfetti bonsai e piante variopinte. Effettivamente incantevole.
La guida ci porta in un negozio esclusivo per l’acquisto dei nidi di rondine. Lungo il percorso avevamo visto dall’esterno i luoghi in cui sono allevati questi uccellini: costruzioni quadrate con dei buchini su tutti i lati nelle quali è trasmessa musica. Rimaniamo sconvolti dai prezzi impressi sulle confezioni e sulle scatole Hoi An Salangane Nest: 12 milioni di Dong al kg. Praticamente per 20 grammi di bava di salangana/rondine dovremmo tirar fuori € 100! Mah! Sarà pure tanto nutriente, avrà probabilmente proprietà curative, ma preferiamo investire i nostri Dong altrove.
Abbiamo girato comodamente a piedi perché il tutto si trova all’interno di un perimetro ben definito dove non sono ammesse automobili.
Pernottiamo all’Hotel Hoi An Historic nella stanza 344 arredata con legno forse un po’ troppo scuro, due lettoni – uno matrimoniale e uno singolo –, un balconcino, bollitore elettrico con cui ci prepariamo – bottigliette d’acqua sempre gratuite – un tea e un cappuccino in polvere, bagno con vasca e tv che si accende automaticamente al nostro arrivo per darci il benvenuto.
Il tempo di una doccia con prodottini omaggio e nuovamente fuori… troppo poco tempo e non abbastanza caldo per godersi la grande piscina all’aperto o la spa! Prima un giro al mercato del pesce e della frutta dove la acquistiamo già sbucciata, divisa in pezzi e confezionata (es. una buona porzione di mango circa 0,65€), poi a quello notturno dall’altra parte del fiume. Che atmosfera rilassante! Tantissime signore con bambini insistono per farci acquistare lanterne e candele galleggianti (€ 0,40 l’una) che si adagiano sul fiume dopo aver espresso un desiderio; numerose ambulanti strafriggono dolci, ciambelle… curiosi gli intarsiatori di bambù che realizzano simpatici volti. In questo animato mercatino compreremo, previa contrattazione (a volte triplicano i costi!), tutti i souvenir, dai magnetici al balsamo di tigre (che in questo Paese, oltre all’olio di eucalipto, va alla grande e sembra avere poteri miracolosi).
Troviamo convenienti anche le sigarette (una stecca di Marlboro € 13 con due accendini omaggio); quasi nessuna vietnamita ha questo vizio, gli uomini preferiscono una larga e lunga pipa e su una brochure, scritta in francese, è chiara la scritta Hoi An, ville touristique non tabagique!
Sulle imbarcazioni galleggianti un paio di birre costano poco più di 1 € (Saigon, Tiger, La Rue ma non l’artigianale Bia Hoi che viene preparata quotidianamente e smaltita in giornata). Sgranocchio pannocchie, assaggio patate rosse arrostite, fossi più nostalgica entrerei in localini a sorseggiare caffè Lavazza, assisto a giochi popolari… una piacevole e coinvolgente serata.
7° Giorno: 1° Aprile. HOI AN – volo – HO CHI MINH (SAIGON)
La mattiniera colazione alle 5,30 è considerevole; immaginavamo, visto l’orario, qualcosa di più ridotto, e invece breakfast regolarissima! Anche questo hotel non ci delude!
Ci trasferiamo in aeroporto, volo domestico della Vietnam Airlines alle 8,25 per la più grande città economica: Ho Chi Minh, antica Saigon. Durante l’ora e mezza di volo, posti 35B, distribuiscono una bottiglietta d’acqua.
Puntualissimi veniamo accolti dal sorridente Danh che ci dà il benvenuto nella città più popolosa (circa 8 milioni di abitanti) della nazione, sulla sponda occidentale del fiume Saigon dove modeste abitazioni e vecchi edifici fanno da sfondo a grattacieli ultramoderni.
E’ fiero della sua metropoli che definisce dinamica e vivace. Con entusiasmo la paragona a uno scooter in cui gli abitanti fungono da volante e la città stessa da motore che trascina l’intero Paese. Ci parla della costruzione di una linea metro di 20km che dovrebbe iniziare a breve e concludersi fra tre anni. Racconta di quanto il socialismo, dal 1992, sia stato meno restrittivo qui al sud per scoraggiare i giovani ad andar via, esigenza nata dal fatto che ci furono 3 milioni di perdite in vent’anni per le guerre e 4 milioni nei successivi 18 anni per la fuga dei troppi cittadini. In quest’area, influenzata dalla cultura occidentale (dal 1800 i francesi e dal 1857 gli americani) c’è più libertà nell’ambito delle regole dettate dal comunismo e si è puntato molto sull’educazione, basti pensare che in tutta la nazione sono presenti 200 università e, solo a Saigon, 60 di cui 40 pubbliche.
Anche qui un intrico di vicoli, transitati quotidianamente da 7 milioni di motorini (quasi due per ogni abitante!), in cui il traffico è inestricabile ma, sembra strano a dirsi, nessuno si arrabbia né suona il clacson all’impazzata come al nord; la condotta di guida è più rispettata e c’è maggiore educazione stradale. Un tranquillo caos, una calma vita frenetica. Nelle ore di punta non si vede più l’asfalto, solo sciami di caschi; nervi saldi sì nell’attraversare, ma sicuramente i mezzi rallenteranno. Sulle due ruote vediamo quattro, cinque persone… nonostante la legge imponga un massimo di due adulti più un bambino con meno di 11 anni al centro. Dal terzo adulto in poi si pagherà una multa di $ 25, ma non vediamo alcun vigile sanzionare.
Prima tappa all’interessante Museo della storia rivoluzionaria vietnamita, un grande edificio a più piani dove sono raccolte immagini, documenti, maledette armi, bombe, tra cui quella micidiale a chiodi. La parte esterna di quello che fino a poco fa si chiamava il Museo della Guerra ospita mezzi e velivoli utilizzati dall’esercito statunitense durante il conflitto. Inquietante la rappresentazione delle carceri dove i Viet Cong o gli altri vietnamiti, considerati spie o traditori, venivano rinchiusi, così come terribili sono gli strumenti di morte e tortura (la ghigliottina, il telefono militare modificato per erogare corrente, la piastra forata dove il condannato, completamente nudo, era costretto a fare una capriola e poi, lacerato, trascinato sui sassi, le “gabbie delle tigri” di filo spinato dove i prigionieri venivano rinchiusi per giorni, spesso insieme ad insetti). Nel tentativo di stanare i locali nascosti tra la vegetazione delle foreste, gli americani fecero ricorso a svariate armi chimiche tra cui un diserbante chiamato “orange agent” (agente arancio) per il colore dei fusti dove veniva stoccato che fu irrorato per via aerea su vaste regioni, al fine di deforestarle e far uscire i nemici allo scoperto. Sostanze come il napalm, la diossina non fecero ammalare solo il terreno, ma si rivelarono fortemente cancerogene e mutogene per la popolazione al punto tale che continuano a nascere bambini con gravi malformazioni (e, come se non bastasse, qualche agricoltore muore ancora oggi per le bombe inesplose che si trovano sotto terra)!
Vasta è la raccolta di foto che documentano questo dolore, ma io non riesco più di tanto a soffermarmi perché la commozione sale, gli occhi mi si riempiono di lacrime. Leggo con orgoglio il grande cartello di solidarietà inviato dall’Italia Il Vietnam è la nostra coscienza e i messaggi di tutto il mondo durante le tante manifestazioni pacifiste. Diversi film sono stati ispirati a questo orrore, guardo l’immagine che ha fatto il giro del mondo diventando il simbolo della schifosa guerra: una bambina che corre nuda sulla strada.
Chiedo alla guida se i suoi connazionali portano rancore nei confronti di chi li ha fatti combattere in un’orribile e inutile guerra, ma la risposta è secca e sicura: “no”. Non sono vendicativi, né si piangono addosso; l’ambasciatore americano, ex prigioniero, è sposato con una vietnamita!
Con il magone e un nodo in gola, silenziosamente risaliamo sul pullman, direzione ristorante Kobe per un pranzetto giapponese con tanto di show cooking. Un cuoco, con ordinati ingredienti a portata di mano, mostra, per poi farli degustare, i piatti del menu. Assaggiata ostrica con formaggio fuso e funghi al flambé (la miglior scelta), fette di baguette con aglio e burro (pesantissimo), risotto alla “cantonese” (esiguo), straccetti di pollo, coriandolo, aglio e peperone (difficili da digerire) e zuppa di salmone (troppo liquida). Come bevanda un tiepido e insipido tea verde sarà gentilmente offerto. Grande pulizia, eleganza nell’apparecchiare e rigore da parte dei camerieri. Sicuramente una particolare esperienza, differente rispetto a quella vissuta più volte in Italia in locali nipponici: cibi decisamente impegnativi per lo stomaco, ma che nello stesso tempo saziano poco. Prezzi alti rispetto a quelli locali.
Curioso il proverbio autoctono secondo il quale “le persone dovrebbero imparare a mangiare prima ancora che a parlare”.
Il tour prevede una visita al Palazzo della Riunificazione, edificio in cui avvenne la storica riconciliazione tra il Vietnam del Sud e quello del Nord, con sale bunker utilizzate per le operazioni di guerra, precedentemente conosciuto come il Palazzo Presidenziale dove la mattina del 30 aprile 1975 arrivarono i carri armati comunisti e Saigon cadde, ma proprio oggi si tiene il 4° Asean Chief Justice’s meeting!
In alternativa visitiamo il Museo FITO, un’oasi di pace che racchiude in sé la storia della fitoterapia, una pratica medica atavica tuttora radicata. Il palazzo ha un’architettura tipica e moderna, su cinque piani si collocano 18 stanzette con un totale di 3000 differenti oggetti (coltelli, macine, mortai, vasi, giare, armadietti… e il famoso manoscritto di 167×45 ovvero un album di 12 pagine con le figure di 2000 piante medicinali). Ammiriamo quadretti rappresentanti i medici dal 12° al 18° secolo e assaggiamo una tisana. Prima di congedarci ci propongono l’acquisto di prodotti omeopatici di tutti i tipi a prezzi nemmeno troppo alti, ma non ne approfittiamo.
Dopo aver appreso qualche segreto di questa medicina tradizionale, riprendiamo il pulmino che ci lascerà davanti a uno degli edifici coloniali che più riflette l’influenza francese: la posta, dotato di una grande struttura metallica disegnata da Gustav Eiffel. Esternamente è di un giallo intenso, internamente più tenue, sulla parete di fronte l’entrata spicca la grande immagine di Ho Chi Minh, su un lato alcune cabine di legno racchiudono bancomat. Giusto il tempo di acquistare dei francobolli e usciamo.
Nell’attigua piazza, imponente spicca (le due torri campanili arrivano a 60mt!) la Cattedrale di Notre Dame in stile neo-romanico di fine XIX secolo che i francesi costruirono per seguire la messa durante la loro occupazione e che oggi è frequentata dal 10% dei cattolici di Saigon (in tutto il Paese sono l’8%). Non possiamo arrivare dinanzi l’altare per cui scattiamo solo qualche foto della lunga (133mt) e spoglia navata centrale che ospita fino a 1.200 fedeli.
Davanti alla Cattedrale un’alta, più di 5 mt, statua della Madonna della Pace, realizzata da uno scultore italiano e donata dal Vaticano nel 69, anno successivo una brutta battaglia durante la quale vennero sterminate 40 mila persone. La targa di bronzo Regina Pacis ora pronobis nella speranza che non ci siano più guerre nel paese (e nel mondo!).
Facciamo un veloce giro per lo storico quartiere Cho Lon – che significa Grande mercato – fondato nel 1778 da immigrati cinesi commercianti. E’ una vera e propria Chinatown attraversata da una fitta rete di viali brulicanti di passanti, negozi, ristoranti e bancarelle con una grande varietà di prodotti. Alcune merci, tipo barattoloni pieni di fosforescenti quadratini, non riesco neppure a comprenderle (somigliano a caramelle ma non lo sono!). L’atmosfera è vibrante, il tutto è molto pittoresco, lo stile di vita è orientale popolare; è un luogo importante a livello storico-culturale (60% cinesi, 40% vietnamiti) e interessanti sono le costruzioni in architettura cinese classica con tetti di tegole di colore grigio bruno. Per il poco tempo a disposizione riesco ad acquistare solo una bustona di anacardi all’irrisoria cifra di € 6 al kg!
Non riusciamo a entrare nella parte coperta, ma tra il dedalo di viette, ognuna dedicata alla vendita di un prodotto che può essere frutta, pollame, mobilio, sigarette, ciclomotori, plastica, quadri… noi percorriamo quella in cui si espone prevalentemente pesce secco: bustone trasparenti di gamberetti di differenti sfumature di arancione impazzano e puzzano! Una legge di 7 anni fa ha imposto insegne anche in lingua vietnamita e non solo cinese.
Mi piace ricordare che Cocciante nacque proprio qui, a Saigon, il 20 febbraio 1946 da padre italiano e da madre francese e solo all’età di undici anni emigrò con la famiglia a Roma. Chiedo alla guida se lo conosce. Risponde di sì, ma solo perché molti italiani gli pongono la mia stessa domanda, d’altronde le sue canzoni non sono note.
Pernotteremo al Novotel Saigon Centre, dove la camera 1714 ci accoglie con mille comodità! Curiosa la parete completamente trasparente o satinata (secondo l’interruttore che si spinge) che divide la grande stanza – con letto king size – dall’antibagno; da applauso e free, accanto al bollitore per il tea e le due bottigliette d’acqua, la macchinetta del Nespresso che mettiamo in funzione per gustare il primo vero caffè da una settimana a questa parte!
Non abbiamo il tempo per fruire, gratuitamente, del centro fitness, della sauna, della piscina… ma solo quello di una doccia e usciamo per una passeggiata lungo Book Street ritrovandoci nella piazza della Regina Pacis, di fronte alla quale numerose fedeli in ginocchio, mani congiunte, cantano il rosario attorniate da fiaccole. Nel giardino antistante alla cattedrale, seduti per terra su un foglio di giornale, giovani gustano una birra o sgranocchiano cibi venduti da ambulanti.
Arriviamo fino al grattacielo più alto della capitale, lo Sky Deck, da dove si può ammirare la città dall’alto pagando un ticket di 100.000D. Uno scenario identico si può osservare dal bar Altoheli dell’attigua Bitexco Financial Tower. Ovviamente bisognerà consumare almeno una bibita, ma si starà comodamente seduti al 52° piano dello skybar, dove vi è anche un piazzale per l’atterraggio per gli elicotteri. All’interno della torre tanti negozi che chiudono alle 22.
Facciamo altri due passi, scattiamo una foto all’Opera House, una al Municipio, ai modernissimi grattacieli che cambiano colore ogni dieci secondi, agli artisti che si esibiscono ballando break dance e sguardiamo divertiti piccole band, cantanti improvvisati (quanto amano il karaoke!) che, nonostante le stecche, hanno il loro pubblico. Stanchi, ma appagati, rientriamo al diciassettesimo piano del modernissimo Novotel Saigon Centre.
8° Giorno: 2 Aprile. HO CHI MINH – BEN TRE
Ultima Colazione in terra vietnamita! La migliore in assoluto come varietà e quantità di pietanze! Ce n’è veramente per tutti i gusti degli abitanti dei continenti!
Nell’ampia sala c’è addirittura un acquario, le cameriere passano in continuazione per versarci tea o caffè e noi ci riempiamo più volte i piatti con mille bontà.
Partenza in direzione del Delta del Mekong, la “risaia del Vietnam“. Siamo su quel reticolo di piccoli fiumi e 400 canali che il lungo fiume (6.100km, in alcuni punti largo 3km e profondo 25mt) forma prima di sfociare nel Mar Cinese Meridionale.
Passiamo su vari ponti, sotto i quali uno dei nove bracci in cui si dirama il Mekong, noto come Fiume dei nove draghi o madre di tutte le acque, scorre.
Due ore di auto (110km facendo una piccola sosta in un autogrill dove laghetti, ninfee e fiori di loto fanno da padrone) e siamo nella provincia di Ben Tre che, durante le guerre, era conosciuta come base militare segreta dei comunisti, abitata prevalentemente da guerriglieri e che è la più piccola delle 12 province totali. Oggi ogni villaggio è praticamente un’isoletta e le capanne spesso galleggianti sono abitate da allevatori di pesci. Purtroppo fu la più bersagliata perché il primo collegamento che si trova via mare; ha 250 mila abitanti e un cimitero a 60 mila caduti.
Iniziamo a scoprire questa bellissima località con un giro in barca a remi tra gli intricati canali di uno dei maggiori affluenti del Mekong, il fiume Ham Luong sorseggiando un succo di cocco.
La guida ci dice che in questa zona si produce l’80% del riso di tutto il paese e che lo scorso anno se ne sono raccolte 8 milioni di tonnellate! D’altronde la temperatura media è di 26°C, l’umidità del 65%, non si deve aspettare il cambio di stagione; in un campo si vedono piante mature, in un altro è appena avvenuto il raccolto oppure affiora. Due mesi di pioggia riempiono le aree con così tanta acqua da ripulire i fondali dai residui della bassa marea, dal limo, dal fango e si continua il ciclo.
Oggi quest’area è chiamata anche frutteto sul Delta di Mekong dal momento in cui il 70% della frutta proviene da qui. Gli alberi che la caratterizzano maggiormente, però, sono le palme da cocco che hanno un ruolo molto importante nella vita quotidiana degli abitanti i quali utilizzano i tronchi per costruire le loro case, le foglie per cucinare, con il guscio souvenir artigianali quali scodelle, con la polpa ne ricavano balsamo, olio e le famosissime caramelle – completamente ecologiche perché incartate nella carta di riso – che assaggiamo dopo averne osservata la preparazione. La palma dà i suoi frutti dopo sei anni di vita e fino al compimento dei 25; ogni mese c’è una raccolta e un casco è composto da una quindicina di frutti.
Ci fermiamo per vedere alcune “fabbriche” a conduzione familiare come la fornace per la lavorazione di mattoni in stampi a cottura tradizionale (quante montagne di buccia di riso occorre per mantenere sempre accesa la brace); quella in cui due donne ci mostrano la tessitura delle stuoie di paglia dalla pianta cai còi con un telaio a mano (anche 12mt al giorno) e quella dove si spaccano i cocchi, si separa la polpa dalla corteccia, si sbucciano, grattugiano, tritano con strumenti (a volte un po’ pericolosi se non si usano con attenzione) idonei e ad hoc per ogni operazione.
Nel corso delle varie soste degustiamo (e acquistiamo per pochi dollari) bontà artigianali come torroncini alla banana e frutta secca, pezzetti di zenzero e piccole strisce di cocco spolverate da zucchero a velo, ananas disidratata e della particolarissima frutta fresca locale (pompelmo o pomelo, jack fruit, mele d’acqua o susine), sorseggiando un tè garbatamente offerto.
Per raggiungere una famiglia locale – presso la quale consumeremo il pranzo – il gruppo si divide. Alcuni arriveranno comodamente su un’apetta, noi e la guida con una bici percorrendo una vietta asfaltata di nemmeno due metri immersa nel verde rigoglioso, tra ruscelli, incrociando donne cariche di merci, bimbi che escono da scuola in divisa…
A proposito di scuola, le elementari durano 5 anni mentre le medie, così come le superiori, tre anni. Il costo mensile per quella pubblica è di circa $ 25 al mese per l’acquisto del cibo, per la pulizia delle classi.
Gentilmente ci fanno accomodare dentro una vera e propria foresta, un bel venticello, nemmeno un insetto e pietanze fresche e gustose come il famoso Fried Elefant Ear Fish od orecchio d’elefante, un pescione posto in verticale su un supporto di legno in bellavista. A seguire fiori di banano fritti, gamberoni alla piastra, spaghetti di riso con gamberetti e verdurine, riso alla “cantonese” e alla fine una tazza del famoso caffè Culi vietnamita dal gusto di cioccolato che goccia dopo goccia cade nel bicchiere passando per un filtro (assolutamente da provare!). Lo abbiamo sorseggiato stretto e caldo, ma i locali lo gradiscono di più freddo o con ghiaccio. Qualche volta, pensando di farci cosa gradita, ci hanno portato un bicchiere di caffè americano in una ciotola con dell’acqua calda per mantenerne la temperatura. Interessante sapere che il Vietnam è, dopo il Brasile, il secondo esportatore di caffè e il primo esportatore di pepe!
Un’escursione emozionante, una realtà affascinante, uno spaccato di vita rurale di questi abitanti così profondamente legati ai cicli della natura, a metà tra acqua e terra. Alcuni mangiano i topolini di campo e, per catturarli, a volte ricorrono a bruciare le radici del riso di cui si nutrono (la guida ci dice che sono “puliti” e non “sporchi” come quelli delle fogne nelle città!). Altro piatto piuttosto curioso è quello che ha come ingrediente principale il serpente non velenoso macinato con le verdure.
Era l’ultimo pranzo. I ristoranti in cui abbiamo mangiato erano tutti molto puliti. Come faccio in Italia a volte ho evitato qualche fritto, alcune pietanze avevano un retrogusto un po’ particolare per la salsa Nuoc Mam, a base di pesce fermentato e dall’odore pungente, ogni tanto ho scartato l’onnipresente coriandolo, ma nel complesso ho trovato la cucina molto gradevole. Il gruppo, a proposito di cibo, si è diviso esattamente a metà. Chi la sera andava a scovare ristoranti con cucina italiana per compensare il pranzo vietnamita e chi, come me (paese in cui vado, vivanda che mangio) per cena si orientava sullo sfizioso street food (particolari le castagne d’acqua dalle sembianze di una rapa marrone che molte donne sbucciano e vendono a sacchetti). Ma quante cose non ho assaggiato: il vino di riso, la mortadella arrotolata, i germogli di bambù… sarà per una prossima vacanza, stimolante quanto questa!
Risaliamo sul sampan il cui tettuccio, ogni qualvolta passiamo sotto un ponte deve essere abbassato (il gondoliere e il nostro autista smontano velocemente la tendina per poi risollevarla), un ultimo sguardo ai villaggi acquatici sul fiume le cui case possono arrivare a costare anche 2000$ e sbarchiamo sul molo dove ci aspetta il pulmino per il trasferimento in aeroporto.
Peccato non aver avuto il tempo di visitare i Tunnel di Cu Chi, l’incredibile rete di gallerie sotterranee (più di 200km), la cui costruzione iniziò nel 1940 per mano dei guerriglieri e proseguì durante tutto il periodo della guerra in Vietnam. Bastava un’altra mezza giornata! Sono a una cinquantina di km e si snodano fino a mt 10 sotto terra, su più livelli, dove i vietcong e 13 mila persone considerate ribelli dormivano, mangiavano, conservavano cibo, armi, lavoravano, si curavano e si salvavano dai bombardamenti. Ci dicono che sono anguste e a dimensione dei loro minuti fisici, ma attualmente, per essere accessibili a tutti, sono state ampliate.
Di questo Paese ci porteremo dietro tanti ricordi, ma primo fra tutti quello delle meravigliose e tenere persone, dai caratteristici cappelli a cono di bambù intrecciato, dai larghi pantaloni sbrindellati, dalle infradito con qualsiasi condizione climatica, perennemente indaffarate a cucinare, a mangiare a qualsiasi ora, appollaiate a chiacchierare sugli sgabelli bluette, sui cigli della strada dove hanno casa, bottega, negozio, magazzino, garage…
Salutiamo affettuosamente la nostra guida alla quale diamo un altro borsone d’indumenti, matite, penne che saprà distribuire e mettiamo fine alla vacanza.
Nemmeno all’uscita paghiamo le tasse!
Il primo volo, direzione Singapore, è alle ore 19,40, posti 59H.
Dopo un’oretta la cena: a scelta maiale, riso e verdure o pollo, patate e verdure, per tutti un budino alla vaniglia.
Dopo un paio d’ore facciamo scalo a Singapore, cominciamo a riaggiornare i nostri orologi; qui sono le 22,40.
9° Giorno: 3 Aprile. SINGAPORE – ROMA
Ci imbarchiamo e all’1,20 nuovamente in volo, posti 35A. Nemmeno un’altra ora e la cena è servita: pesce in salsa di pomodoro e origano con purea e verdure oppure pollo, riso allo zenzero e verdure, per tutti un’insalatina di penne e gamberetti, come dolce un tortino al limone. Siamo un po’ sfasati dal jet lag, io cerco di rimettermi in linea con l’ora italiana.
Le 12 ore e mezza di volo passano, un’oretta prima dell’atterraggio la colazione con tagliolini con carne di maiale, verdure cinesi e funghi oppure omelette al formaggio e alle 7,55 in punto mettiamo piede a terra!
Tạm biệt ovvero arrivederci Vietnam.
Buon viaggio, Luna Lecci