Maranhao, Brazil: la rotta delle emozioni
Un viaggio unico, attraverso il paesaggio meno brasiliano del Brasile, in una regione poco conosciuta dai viaggiatori e dai circuiti turistici classici. L’itinerario, di circa 1.000 km, si snoda attraverso l’area costiera di tre Stati brasiliani e ha un ritmo non troppo serrato, con trasferimenti, quasi tutti fuori pista, molto vari e soprattutto piacevoli. In 4×4 si visitano gli splendidi parchi nazionali più famosi del Nordest brasiliano: il Parco di Jericoacoara nello Stato del Ceará, il Parco del Delta del Rio Parnaíba nel Piauì e il Parco dei Lençóis nello Stato del Maranhão.
Atterriamo a Fortaleza e facciamo una breve tappa a Cumbuco. Il giorno successivo, dopo aver studiato l’andamento della marea e sistemato la pressione delle gomme, sfrecciamo veloci lungo un tratto di spiaggia deserta, a ridosso del mare. Ci dirigiamo verso Jericoacoara, città di sabbia, circondata da un sistema di dune mobili, che avanzano continuamente all’incessante soffiare dei venti. Grazie all’aliseo, forte e costante che soffia dall’Africa nella seconda metà dell’anno, il litorale nord orientale del Brasile è una delle migliori destinazioni per i kitesurfer a livello mondiale. Il piccolo paesino di pescatori è circondato da alte dune e verdi palmeti, con una lunghissima spiaggia, considerata tra le più belle del mondo. Non c’è traccia di asfalto, si passeggia con i piedi che affondano nella sabbia e si capisce, così, perché le calzature nazionali siano le hawaianas. Fino al 1985 non c’era elettricità, telefono e televisione, Jeri era isolata dal resto del mondo. Solo nel 1998, con l’arrivo dell’energia elettrica, ha cominciato a svilupparsi turisticamente, ma senza però perdere la sua naturalità. Il parco omonimo, che la circonda, offre bellezze naturali e paesaggi da cartolina. Per scoprirli, danzando a bordo di dune buggy o in fuoristrada, non è necessario allontanarsi troppo.
A pochi chilometri dalla cittadina si trovano le splendide lagune Paraiso, Azul e Tatajuba, dove ci si può sdraiare su amache galleggianti a pelo d’acqua e rilassarsi prendendo il sole. Ma ci sono anche le caratteristiche dune. Quella di Funil è la più alta, si scende con il sandboard e si risale aggrappati ad una fune. Cominciano per noi le corse per tuffarci nelle lagune e per risalire faticosamente per poi riprendere a rotolare giù, divertimento assicurato per tutta la vacanza. Il nome Jericoacoara, in lingua indigena, deriva dalla vaga forma di coccodrillo della sua duna Por do Sol da cui si assiste tutte le sere allo spettacolo del tramonto. Una processione di locali e turisti partecipano al rito, sfidando i venti insistenti che scagliano con forza i granelli di sabbia sulla pelle. E’ uno dei rari luoghi della terra dove si può assistere al fenomeno del raggio verde, il lampo della durata di un millisecondo che compare nel preciso istante in cui il sole svanisce all’orizzonte. Solo in quel momento si rompono il silenzio e la concentrazione e ci si lancia, tutti insieme, giù di corsa verso il mare. Ciò che stupisce di quest’ambiente è che ci si sente improvvisamente a proprio agio e cresce via via la confidenza con la sabbia, il sole e il mare. E’ un forte invito a godere pienamente di tutto ciò che la natura offre, facendosi coinvolgere intensamente e allontanandosi da quell’ossessiva dipendenza da telefonini, dai computer e dalla tecnologia.
Dopo un’altra entusiasmante corsa in jeep sul bagnasciuga, tra oceano e candide dune, traghettiamo le jeep sul fiume Coreaù a Camocin e passiamo dallo stato di Cearà a quello di Piauì, raggiungendo il delta del Parnaìba, secondo al mondo, dopo quello del Nilo, disseminato di isole, canali e lagune coperte da mangrovie. Passiamo due giorni a Ilha Canaria ed approfittiamo per esplorare il paesaggio preamazzonico. L’atmosfera è cambiata rispetto allo svago offerto da Jeri, lasciando il posto ad un lento ritmo quotidiano, solo apparentemente monotono, che trova il giusto equilibrio tra benessere fisico e serenità interiore. Il contagio è immediato ed amplifica le nostre facoltà sensoriali. Nel silenzio della foresta, con la luce della luna, fluttuiamo con la nostra canoa in legno, alla ricerca degli animali notturni. Le torce individuano occhi che brillano nel buio, riusciamo a catturare e ad accarezzare le tenere squame dei piccoli alligatori. Ascoltiamo i rumori della natura sotto un cielo stellato, sentiamo il pulsare della vita e grazie ai nostri esperti accompagnatori, osserviamo serpenti raggomitolati sui rami, iguane aggrappate agli arbusti, scimmie nascoste tra il fogliame. Tratteniamo il respiro per non disturbare. E’ un’esperienza indimenticabile.
Ci spostiamo a Tutoia e da lì a Caburè, tra mangrovie e oceano, e con un battello sul fiume Preguisas arriviamo ad Atins, porta d’ingresso per il Parco Nazionale dei Lencois, un’assoluta meraviglia della natura, il remoto deserto Bianco, recente scoperta geografica, che ancora resta, in parte, un mistero per i geologi. I due fiumi Parnaìba e Preguicas trasportano la sabbia dall’interno del continente fino all’Atlantico, dove le correnti oceaniche la respingono verso ovest, creando dei sedimenti per decine di chilometri di costa. Durante la stagione secca l’implacabile vento spinge la sabbia di nuovo verso l’interno, creando una serie di dune alte fino a 40 metri. Ogni anno tra gennaio e giugno le piogge riempiono le valli tra le dune formando nuove lagune che a luglio sature finiscono per collegarsi tra loro. E’ l’apice del viaggio, uno scenario fantastico di dune bianchissime e lagune di acqua cristallina, laghetti color smeraldo a ridosso del mare. Il parco si estende per 155.000 ettari ed è un perfetto connubio tra deserto e acqua, unico al mondo, che appaga la vista ad ogni occasione. Approfittiamo per una cavalcata sulla spiaggia e poi saliamo sulle dune, dove lasciamo i cavalli per affondare anche i nostri piedi nella sabbia finissima e tiepida, ma non riusciamo a lasciare impronte perché il vento rapidamente le cancella.
Dopo aver visitato il faro di Mandacarù, si arriva alle dune di Vassouras, nei piccoli Lencois, e poi con una lancha rapida lungo il fiume Preguicas, siamo a Barreirinhas, dove voliamo con un piccolo aereo sulla zona, per una full immersion in questa natura estrema e straordinaria. I lencois visti dall’altro sono perle turchesi, luminose e sfavillanti che si incastonano nell’arido paesaggio desertico. Il nome Lencois significa lenzuola, perché assogliano ad una immensa distesa di candidi panni bianchi stesi al sole ad asciugare. Proseguiamo per Santo Amaro, navigando sul rio Alegre, tripudio di vegetazione e con le jeep facciamo altre escursioni all’interno del parco. Continuiamo a rotolarci giù dalle dune e a rifocillarci nelle acque limpide delle lagune. La più profonda, che raggiunge in alcuni punti gli 8 metri, è la Gaivota. Durante le escursioni ci troviamo davanti posti sospesi tra sogno e realtà. Scendendo da una duna si apre una grande pianura verdeggiante, pascolo privilegiato di buoi e cavalli, tappezzato da chiazze di colore giallo e viola. Oltrepassiamo lagune secche, dove ci sono capanne abbandonate, segno del passaggio degli uomini. Altre volte restiamo sospesi semplicemente circondati da sabbia.
Da Santo Amaro con una lancha risalendo il fiume si arriva a Humberto Campos e da qui con minibus fino a Sao Luis, capitale del Maranhao, e alla dirimpettaia Alcantara, entrambe affascinanti città coloniali dal sapore decadente. Dopo giorni in mezzo alla natura, alla quiete e alla solitudine, torniamo alla civiltà e, tra l’altro, in una città che figura tra le prime più pericolose del mondo, con i suoi 1,5 milioni di abitanti. Sao Luis, il cui centro storico è patrimonio Unesco, è conosciuta come la città delle tegole per l’incalcolabile numero di piastrelle decorative bianche e blu, gli azulejos, che servivano a proteggere le pareti degli edifici dal clima caldo-umido. Con un’ora e mezza di catamarano, in uno stretto di mare alquanto turbolento, si arriva ad Alcantara, tra strade acciottolate, casette basse e colorate che si alternano a vecchi ruderi in pietra che conservano solo la facciata. Nella piazza principale, pregna di storia, si erge il pelourinho, sovrastato da una bandiera verde con il simbolo della pace: era l’asta dove venivano legati e frustati gli schiavi africani. Il mare ci chiama. Al tramonto, dalla barca avvistiamo gli ibis rossi che si danno appuntamento per rifinire il colore del cielo. I famosi Guarà, dopo essersi cibati di gamberi, tornano ai loro nidi in stormi e si confondono con le lingue di fuoco degli ultimi raggi del sole. Poi le ombre della sera si allungano, i rumori degli animali si affievoliscono e lasciano posto al fruscio ritmato della risacca.
Il nostro viaggio è finito lasciandoci il sapore di un Brasile semplice e autentico che è entrato nei nostri occhi e nel cuore. Abbiamo registrato suoni sconosciuti, annusato odori e profumi di quest’aria, di questa terra, di quest’acqua, mentre eravamo immersi nei colori, nel silenzio e nel vento. Dopo aver provato il privilegio della solitudine, torniamo a casa con la mente piena di ricordi, di una distesa infinita di lenzuola, il Sahara brasiliano, che ci resta ancora attaccato addosso, come la sabbia…