#NavigandoVersoNord
Avendo a disposizione una sola settimana, decido di partire dalle Isole Lofoten. Per raggiungere Svolvaer, la città principale, impiego tutto il pomeriggio con ben tre rotte aeree: Milano Malpensa – Oslo, Oslo – Bodø e un splendido volo finale Bodø – Svolvaer con un biplano gestito dalla Widerøe, la principale compagnia di voli interni della Norvegia che sorvola fiordi e centinaia di piccole isolette prima di atterrare.
La vista dall’Hotel è spettacolare sul delizioso villaggio appoggiato sulle acque del fiordo ed incastonato tra le montagne. Avrei preferito soggiornare nelle case dei pescatori ma, viaggiando da solo, non mi è stato facile trovare posto. E la notte del 4 agosto non è mai buia anche quando il sole va a riposarsi dietro la montagna.
Il giorno successivo, passeggio per il centro di Svolvaer, la piazza principale, il mercatino dei fiori e dei souvenir, il molo con le numerose imbarcazione pronte a trasportare i turisti per i magici fiordi delle Lofoten. Ho appuntamento con Maurizio, un italiano che si è trasferito nelle isole e accompagna i turisti con la “Lofoten Lights & Nature”. Chiacchierare con lui mi trasporta nella vita in quelle isole e lo ringrazio per avermi fatto scoprire alcuni angoli favolosi della zona. Passiamo a fianco alla montagna dei sacrifici, dove le antiche popolazioni sacrificavano gli animali agli dei e raggiungiamo la prima tappa del percorso che si caratterizza per i paesaggi e le spiagge attorno ad Eggum, un paese di neanche un centinaio di abitanti e, forse, altrettanti campeggiatori, dominati dai resti del forte dove i nazisti avevano impiantato un radar durante la Seconda Guerra Mondiale. Già, perché la storia della costa norvegese non è fatta solo di mare e pesca ma anche di guerre durissime e violente. Da Eggum, ci spostiamo a prendere un caffè nella Casa vichinga di Borg. Si tratta di uno dei siti più visitati delle isole ma la mia impressione è che tutto sia così finto che non mi sento attratto dal visitarne il museo. La storia dice che la costruzione ricalchi il perimetro di una vera casa antica di cui furono trovate le pietre che ne delineavano i confini. Da lì, prendendo una stradina secondaria che sarebbe sicuramente chiusa in inverno, raggiungiamo una delle spiagge più belle che abbia mai visto. Il nome, Haukland, ci ricorda la Nuova Zelanda, l’acqua color smeraldo e la sabbia ci ricordano i caraibi ma i paesaggi montani, il clima (non troppo freddo, a dire il vero, in una splendida giornata di sole) ed il fatto che nessuno stia facendo il bagno ci riportano in Norvegia.
Ritorniamo sulla strada principale per spostarci in una zona più turistica. Il percorso verso Henningsvaer ci porta in un’altra spiaggia deliziosa, che si vede in tutte le guide alle isole. Raggiungiamo così il villaggio, conosciuto anche come la Venezia delle Lofoten. Si tratta di una delle cittadine più visitate nelle isole, elegante e piena di negozi artigianali ed interessanti pasticcerie. Le case di pescatori che si affacciano sul canale sono notevoli per la mia piccola macchina fotografica. Non sarà il Canal Grande ma meglio così. Vediamo anche numerose rastrelliere, una delle caratteristiche di tutta la costa, dove, in inverno specialmente, sono posti ad essiccare i merluzzi.
Da Henningsvaer ci spostiamo verso Kabelvåg dove si trova la più grande chiesa in legno del nord della Norvegia. Sulla sommità della collina c’è una statua di un Re da cui si gode un panorama favoloso sulla cittadina e le isole circostanti. Sono attratto dall’unico palazzo le cui finestre sono chiuse da grate. Si tratta della prigione, chiusa da anni per mancanza di detenuti.
Rientrato a Svolvaer, visito il centro commerciale (che in Italia chiameremmo Supermercato), la chiesa sulla collina ed il villaggio dei pescatori. Concludo la splendida giornata cenando in una tipica costruzione dell’isola all’Anker Brygge. Dopo cena mi accoglie una pioggia che mi fa entrare nel museo della Seconda Guerra Mondiale dove scopro storie e reperti unici interessantissimi.
Il giorno dopo, mi aspetta l’emozionante escursione in gommone per visitare uno dei posti più celebri nelle isole. Gli organizzatori dell’escursione procurano una tuta, degli occhialoni e un giubbotto salvagente. Sono l’unico italiano iscritto assieme a una famiglia di Kuwaitiani e a dei norvegesi per un totale di una decina di persone. Sul gommone si sale come se si fosse in moto e ci si tiene stretti ai manubri perché, appena fuori dal porto, si parte a tutta velocità. Si può alzare la mano solo se si sta male o se si avvista un’aquila di mare. E, dopo poche decine di minuti, alzo la mano. Non sto male ma l’ho vista lì, svolazzare davanti a me. Lo skipper ferma il motore e lancia del pesce in acqua. Bisogna essere pazienti. I gabbiani si allontanano; sanno che quello non è territorio loro. Ed eccola scendere finalmente maestosa ad offrirci tutta la sua bellezza in cambio del boccone prelibato.
Ripartiamo ed entriamo in un miracolo della natura. Il Trollfjord è considerato uno dei fiordi più belli di tutta la Norvegia. L’ingresso è strettissimo e mi sembra incredibile che, qualche sera dopo, ci entrerò con l’enorme barca del Postale. All’interno, l’acqua è color smeraldo pur in una giornata nuvolosa. Le pareti delle montagne cadono a picco, impreziosite da una elegante cascata d’acqua, un filo bianco incastonato nella roccia giallastra e nel muschio. Al fondo del fiordo, un piccolo molo è l’unico modo per raggiungere la spiaggia piena di campeggiatori. Su una parete qualcuno ha murato due troll che sembrano controllare divertiti il traffico, non stressante, nello stretto canale. È un’atmosfera magica che mi lascia incantato.
Il percorso in gommone prosegue sotto un violento acquazzone che non ci ferma e ci fa scoprire altre spiagge incantevoli e minuscoli villaggi i cui nomi impronunciabili sono di un fascino irresistibile: Digermulen, Ulvågen, Brettesnes, Skjoldvaer fino a raggiungere le deliziose casette di pescatori appollaiate sull’acqua di Skrova.
Il giro in gommone è un’esperienza favolosa che consiglio. In alternativa si può prendere la più tranquilla imbarcazione che fa più o meno lo stesso giro. Si tenga conto che i posti citati sono quasi tutti non raggiungibili in auto e l’unica possibilità di vederli è via mare.
L’ultimo giorno sulle Lofoten mi unisco ad una coppia di genovesi conosciuti in aereo e ci incamminiamo per un giro in auto della parte nord delle isole. Sarà per la giornata di splendido sole ma dobbiamo ammettere che anche la parte nord, che tutti considerano meno turistica, è semplicemente deliziosa. Prendiamo la strada che va sull’isola di Austvågøya. Ogni tanto dobbiamo fermarci nelle aree di sosta per fotografare le montagne che cadono a picco in quelli che sembrano dei laghi di montagna se non fosse che sono pieni dell’acqua dell’oceano. Ci incuriosisce una deviazione che, dopo meno di un chilometro, finisce nel nulla. Per proseguire bisogna salire su un traghetto. Cartina alla mano decidiamo di proseguire con la macchina con la strada fino all’altra sponda per rientrare in quel punto con il traghetto e così facciamo.
Ci dirigiamo verso Sortland. Pranziamo con un ottimo hot dog da un benzinaio e, in mezzo al fiordo, notiamo il postale che naviga verso Svolvaer. La sera saremo noi in acqua proprio da quelle parti. Immersi nei panorami, arriviamo finalmente, dopo un paio di ore abbondanti di guida (con molte pause), a Melbu dove la strada finisce in attesa di un traghetto che ci fa attraversare un tratto di fiordo in cui esaurire di nuovo le memory card delle macchine fotografiche. Il traguardo è il molo dove ci eravamo fermati in precedenza.
La sera ci aspetta un cambiamento di orizzonte della nostra avventura: alle 22:00 siamo a bordo dell’Hurtigruten, il postale in rotta verso Nord. Fin da bambino desideravo vedere il Postale ed eccomi a bordo, nella mia stretta cabina prenotata con fatica (un mese e mezzo prima sembravano già esauriti i posti). Neanche il tempo di abituarmi e sono di nuovo dentro il Trollfjord. Impressionante vedere quel barcone così grande in uno spazio così ristretto. Devo ammettere che la gita in gommone mi aveva permesso di godermi molto meglio la meraviglia del posto ma non mi dispiace quella sensazione di déjà-vu.
La notte (di luce) prosegue senza nessun problema: il barcone sembra spostarsi sui binari e non soffro di alcun male, dormendo come un bambino. I sei ponti sopra di me mi aspettano con sale da cui gustare paesaggi favolosi, colazioni maestose, ristorante, negozio di souvenir, idromassaggio e docce all’aperto e quanto più possibile per rendere indimenticabile la traversata. Chiacchierando con altri compagni di viaggio ho la conferma che forse i sette giorni di percorso da Bergen fino a Kirkenes sono troppi e che la parte migliore inizia proprio dalle isole Lofoten come ho fatto io.
Il primo villaggio ad attirare la mia attenzione è Finnsnes con uno dei tanti ponti altissimi fatti apposta per far passare sotto il postale. Dall’altoparlante le varie tappe sono annunciate e mi piace la sensazione di fare parte di un servizio di posta sulle coste norvegesi e se anche non fosse più così, lasciatemi nella mia ignoranza.
La prima città importante che incontriamo durante il viaggio è Tromsø, la capitale dell’Artico. Nel porto, l’Hurtigruten si ferma per alcune ore e mi permette di visitare il “Polaria”, il nuovo acquario dal design ultra moderno che ci racconta la vita nei mari artici. Quindi, attraverso la città ed il lungo ponte che mi porta sul Tromsdalen, la costa che si affaccia davanti al centro della città. Dagli anni Settanta, il simbolo è la bianca costruzione della Cattedrale dell’Artico. Dopo averla visitata ed aver fotografato il panorama sull’immensa cittadina universitaria e su trampolini per lo sci, ritorno verso il centro dove attraverso la Storgata, la via principale della città con la bella piazza centrale. Girando in autobus attorno alla città si può vedere anche il monumento a memoria dell’equipaggio del “Italia” di Umberto Nobile e di coloro che perirono per cercare di soccorrerli tra cui Roald Amundsen.
La sera ci si reimbarca sull’Hurtigruten, pronti per prepararsi alla gustosa (e cara) cena al ristorante.
Il tramonto (per quanto si possa chiamare così in quanto la luce ci illumina per tutta la notte) ci sorprende sulle coste del villaggio di Karlsøy che sembra fatto apposta per stupirci con la sua chiesetta bianca e le case colorate che si rispecchiano nell’acqua del fiordo in un tripudio luminoso. Il postale non effettua fermate nel piccolo molo ma si tratta di una comunità molto interessante in quanto frutto della convivenza tra abitanti locali, una comunità hippie e una comunità musulmana.
Il mattino mi sveglio alle 5:00 per uscire sul ponte e fotografare l’interessante villaggio di Hammerfest, la città con popolazione superiore a cinque mila abitanti più a Nord del mondo. Un imponente fortino sulla collina che sovrasta la cittadina è il ricordo che la storia del paese è stata funestata dalle guerre fin dal 1880 quando le truppe inglesi l’assediarono per toglierla ai Finnmark per arrivare alla Seconda Guerra Mondiale quando i Nazisti costrinsero alla fuga gli abitanti e la rasero al suolo per non lasciare nulla agli inglesi.
Poche ore ci separano da uno degli obbiettivi del viaggio. Dal porto di Honningsvåg, infatti, partono gli autobus per raggiungere Capo Nord. Se non vi iscrivete ad un’escursione organizzata come ho fatto io sull’Hurtigruten, sappiate che dovete pagare una tassa per entrare. Gli alberi hanno smesso da tempo di decorare i paesaggi che ora sono dominati da muschi e dalle renne che pascolano indisturbate. 71° 10′ 21″ di latitudine fanno sì che sia considerato il punto più a nord d’Europa, anche se ciò non è propriamente corretto in quanto superato di poco dal promontorio di Knivskjellodden che si vede se spostiamo lo sguardo verso ovest. Siamo fortunati, in quanto arriviamo sulla falesia in una giornata di sole, relativamente calda (io sono vestito con giacca vento da sci, pile e polo). La guida sull’autobus mi dice che spesso il promontorio si trova tra le nuvole ed il paesaggio è nascosto nella nebbia. Come dicevo, si tratta di un obbiettivo in quanto serve proprio a fare la foto al globo che sovrasta il promontorio. I paesaggi sono bellissimi ma meno interessanti rispetto a ciò che abbiamo visto nel viaggio verso nord che fin qui ci ha portato. Qualche metro prima del globo si trova una struttura con il bar, il negozio di souvenir, la cappella di St Johannes ed il museo Thai. Attorno alla pianura che sovrasta il promontorio, c’è anche la scultura che raffigura una madre e suo figlio che indicano la rappresentazione “Bambini del mondo”, sette medaglioni in pietra con disegni di fanciulli di altrettante differenti nazioni.
Risalpiamo con il postale per l’ultima parte di navigazione. Poco prima di cena, passiamo davanti al Finnjerka, una configurazione di scogli che sembrano pareti di una cattedrale naturale. Il giusto per metterci un po’ di appetito e, questa volta, cenare ottimamente sul bar della barca (spendendo anche meno che al ristorante).
Il mattino successivo, alle 9:00, il nostro viaggio termina a Kirkenes (bisogna lasciare la cabina un’ora prima) dove prendo l’autobus per l’aeroporto per salire su un piccolo aereo della “Widerøe” che mi porta allo scalo di Tromsø da cui proseguire verso l’ultima tappa del mio viaggio. Quella prima tappa in volo mi permette di conoscere l’hostess più bella che abbia mai visto nella mia vita. Perfetta! Una versione umana di Barbie hostess a cui sono pronto a dichiarare tutto il mio amore. Ma lei non sembra essere altrettanto pronta e così proseguo per prendere la coincidenza per Bergen.
Arrivo nella seconda città più importante della Norvegia giusto in tempo per lasciare i miei bagagli in albergo, rinfrescarmi, capire la sistemazione (non è difficile se alloggiate in zona centrale) e fiondarmi al mercato del pesce dove ad un banco di italiani ceno con un granchio reale.
Rifocillato sono pronto per un patrimonio dell’umanità: i Bryggen di Bergen. Non conoscevo la storia della Lega Anseatica e mi appassiono immediatamente. Conosciuta anche come Hansa, fu un’alleanza di città nata attorno al XII secolo che controllava il monopolio dei commerci su gran parte dell’Europa settentrionale e del mar Baltico. I mercanti delle città si univano in società (Hanse) con l’intenzione di acquisire degli speciali privilegi commerciali per i commerci tra di loro. Il centro di questa Lega era la città di Lubecca che fondò dei quartieri anseatici che erano gestiti da consoli e dipendenti inviati appositamente in loco. Tali quartieri si trovavano a Novgorod, Bruges, Londra e proprio a Bergen. Era un modo per i tedeschi di controllare l’economia europea (una pratica che è sempre piaciuta molto alla stirpe germanica). Nel corso dei secoli, in particolare dopo l’inizio delle Grandi Esplorazioni che portarono alla formazione di altre leghe come la Compagnia delle Indie, la Lega Anseatica andò a disgregarsi ed i relativi quartieri furono smantellati. A Bergen si controllava il commercio dello stoccafisso che, dal Nord, veniva spedito in Europa in cambio di cereali. Questa pratica continuò anche dopo la fine della Lega Anseatica e anche dopo che i Norvegesi presero il controllo degli uffici ai tedeschi. Pur distrutti da un incendio nel 1700, le strutture del Bryggen rimasero funzionanti più o meno con le stesse regole di sempre fino alla fine del 1800 e ciò è servito per avere una testimonianza praticamente unica di ciò che fu la Lega Anseatica, tant’è che, nel 1979, l’UNESCO premiò il quartiere a Patrimonio dell’Umanità. Questa onorificenza permise ai norvegesi di restaurare il quartiere e renderlo un monumento delizioso da visitare nella mia prima serata in città. Legati al quartiere ci sono la chiesa Mariakirken e i resti dell’ospedale di Santa Caterina. Mi aggiro tra quelle stradine deliziose, mangiucchiando un Skillingboller, il dolce tipico di Bergen. Alla fine del Bryggen sono attratto dal parco Bergenhus Festning che racchiude, al suo interno, i ricordi della storia militare della città e delle sue mitiche battaglie.
Rientrando in albergo, rimango travolto da ragazzi di tutte le razze che si trascinano da una discoteca all’altra. Bergen è soprattutto una città universitaria. Ed è così bella che non ho ancora voglia di dormire. Il mio albergo è vicino alla Johanneskirken, aperta in quella sera per permettere le prove del coro: a mia ultima visita, prima della notte (ah, finalmente, dopo una settimana, rivedo il buio dopo le 23.00).
Il mio ultimo giorno inizia presto, salendo sulla collina di Fløyden con la funicolare. La scelta di arrivare alle 10:00 alla stazione di partenza risulta appropriata in quanto anticipo la pioggia e, soprattutto, la coda immensa che noto al mio rientro un’ora e mezza dopo. Pago il biglietto di sola andata per rientrare a piedi in città dalla collina. Sulla vetta il panorama è favoloso. Sarebbe anche il punto di partenza per molte escursioni nel bosco ma non ho molto tempo, dovendo dedicare solo più un giorno a Bergen ed osservando i nuvoloni neri in avvicinamento. Mi incammino così per l’unico sentiero che mi è concesso, quello che mi riporta nel centro della città in circa tre quarti d’ora di passeggiata in mezzo al verde ed attraverso un delizioso quartiere residenziale fatto di eleganti casette di legno.
Torno in centro insieme al temporale. I musei mi salveranno. Mi incammino subito al Museo della Lega Anseatica che mi spiega la storia e mi fa entrare nelle stanze delle casette di Bryggen come dovevano essere ai tempi della Lega. Il museo è stupendo ed è una tappa fondamentale nella visita della città. Il biglietto comprende anche la visita ad una vecchia casa patronale ricostruita perfettamente.
Mi riparo dalla pioggia trascorrendo il pomeriggio al KOBE, l’enorme museo d’arte della città, un doveroso omaggio all’arte nordica con tutti gli artisti più importanti e stanze intere dedicate ai soli Edward Munch, Johan Christian Dahl e Nikolai Astrup.
La sera mi cerco un elegante ristorantino per chiudere in bellezza con una costosa ma appagante cena.
Il mattino riparto per Milano Malpensa con scalo a Copenaghen e chiudo così la mia navigazione verso nord.