Yeh Mera India

La nostra avventura con il mondo è iniziata da un po' di anni e si è trasformata dal primo singolo istante in una profonda esperienza personale e mentale
Scritto da: Prupi
yeh mera india
Partenza il: 09/08/2014
Ritorno il: 29/08/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Ascolta i podcast
 
Yeh mera India

La nostra avventura con il mondo è iniziata da un pò di anni a questa parte, e si è trasformata dal primo singolo istante, in una profonda esperienza personale e mentale.

Io ed Angelo amiamo viaggiare, vedere, scoprire, andare incontro alle persone, e ogni volta è un travolgente arricchimento.

Erano sei anni che pensavamo ad un viaggio in India, ma lo abbiamo sempre rimandato, un pò per tanti dubbi, tante incertezze, un pò perchè, come prima volta, desideravamo aprirci nel modo giusto, proprio per poter immagazzinare le quantità infinite di emozioni che ti lascia un paese del genere.

È difficile descrivere in poche parole ciò che ti lascia un viaggio… Si accumulano tante emozioni, tante sensazioni profonde, si respirano così tanti odori… È come se tornassi improvvisamente un bambino, ti appropriassi della sua innocenza, per la meraviglia davanti alle cose più banali.

E poi arriva il momento in cui ti chiedono di descrivere il tuo viaggio… ma è difficile… È come se, spiegare, portasse a sminuire tutto quello che hai provato, e il pensiero di una tale eventualità, ti priva della voglia di voler trasmettere agli altri un proprio pensiero intimo… Siamo tutti diversi, e nessuno può condividere le stesse percezioni: potranno mai capire l’emozione di un sorriso gratuito nel bel mezzo di un monsone?

L’India ti assale in tutti i sensi, in ogni modo immaginabile, attraverso le orecchie, il naso, gli occhi, ed è inutile cercare di fuggire da essi, perchè, che ti piaccia o no, ti raggiungeranno, e saranno parte integrante del tuo viaggio. Molto spesso si viaggia per placare quella forte irrequietezza che imperversa dentro di noi, una smania che è impossibile placare accontentandosi di rimanere in quella palla di vetro chiamata casa.

L’India, rispetto agli altri posti del mondo, ha un grande potere: nessuno può immaginare a cosa si va incontro, prima di essere lì, ma ancor di più, non si ha la più pallida idea del cambiamento interiore che si avrà, una volta lontani da questo paese così magico: è come se ti desse l’opportunità di gettare la tua vecchia pelle per farti conquistare una nuova visione della vita, per come è adesso, in questo istante.

In India non hai scampo, o ti lasci sopraffare e abbandonare dal clacson a tutto volume, dagli odori forti, dalle strade sovraffollate, dove il senso di spazio personale è praticamente nullo, oppure scegli di disprezzare ogni microscopica cosa.

Io, personalmente, ho trovato seducente tutto quel rumore incessante: il rombo dei tuk tuk, il tin tin dei rubinetti, il gratta gratta di due corna che vedi spuntare nelle strade, nei vicoli, in ogni dove. Ma poi arriva il tap tap delle unghie di una piccola bambina affamata che grattano imploranti il finestrino della vettura dove sei seduta. E inevitabilmente arriva quel dolore, rimane incastrato dentro la tua testa, e non ha intenzione di bloccarsi. Esso è strettamente collegato alle tue orecchie, come una morsa. Più il rumore che ti circonda diventa forte, e più questa fitta si fa potente, insinuandosi tra le percezioni olfattive e della vista.

Guardo gli occhi imploranti di quel volto innocente e sento il suo dolore. Mi sento in colpa! Cerco di ignorare i suoi gesti, mano contro bocca, chiedendo soldi per mangiare, ma il suo dolore trapassa il mio cervello, e non andrà via così facilmente. Niente… È più forte di me, so che non dovrei farlo, ci era stato sconsigliato, ma la voce del mio cuore è più forte… Alzo il finestrino, e le porgo un pacco di biscotti che mi ero portata dietro per le emergenze.

Da quegli occhi, per un momento, vedo scomparire un pò di sofferenza. Non so cosa sento. Forse è il mio senso di colpa che si abbassa nel vedere questa creatura innocente che spartisce i miei biscotti alle sorelline più piccole? È questo il dolore dell’India, è ovunque, in ogni vicolo, proprio come i mendicanti per le strade che spuntano dappertutto… Potrete anche sforzarvi di ignorarlo per un pò, ma è inutile, non va via!

È impossibile ignorare gli odori, l’inquinamento, la spazzatura, il sapore del legno bruciato… E poi, osservi le onnipresenti “vacche sacre” mentre rovistano tra i cumuli puzzolenti di plastica, cercando l’implacabile decomposizione dei rifiuti, mentre vagano tra le fogne a cielo aperto, tra sterco di animale, e mosche ronzanti, e le scopri contente di mangiare la propria immondizia quotidiana.

Ci sono alcuni momenti in cui spero che il mio raffreddore mi impedisca di percepire almeno una piccola parte di questi odori, ma inaspettatamente scopro che è impossibile non esalare il profumo della legna che brucia al ghat di Varanasi: Non è quel tipico odore di quei bellissimi boschi esotici, che ti rimanda al sandalo, ma semplicemente il profumo della legna ordinaria che si fonde alla putrefazione di cadavere.

Me le ricordo ancora quelle lettiere, e quei corpi avvolti a dei panni colorati, come se spiccassero attorno a quei vicoli bui… la nostra guida che ci diceva:” Ogni minuto ne spunterà un altro. Tutti vogliono essere cremati sul Gange. Preghiamo per il defunto nel suo viaggio al Nirvana, la sua anima procederà direttamente al cielo, senza pensare al karma e alla reincarnazione.”

Senza rendermene conto, mentre rifletto su tutte queste cose, mi ritrovo sopra a quello che io considero un tempio all’aperto, il luogo che ospitava le fiamme eterne, e tra la gran spirale di fumo grigio, sento l’anima di quei corpi scoppiettanti uscire fuori.

“Chi punge un occhio lo farà lacrimare, chi punge un cuore ne scopre il sentimento” perchè proprio in quel momento mi è venuta in mente questa frase? Sono destabilizzata a tal punto? No, non voglio pormi domande, mi sembrerebbe di mancare di rispetto verso l’ascendente dell’anima nel suo viaggio spirituale.

Le persone sono il centro del cuore pulsante dell’India: i bambini ti corrono incontro, ti sorridono, ti salutano animatamente. Non potrò mai dimenticare le loro dita pressare sulla nostra pelle, in cerca di un rifugio caldo e rassicurante… Spesso, il palmo delle loro mani, ci rimane attaccato, a disposizione, nei momenti in cui un’emozione più forte inizia a fluire, e arriva un timore improvviso, tipicamente infantile, che fa emergere dal profondo il coraggio di chiedere con gli occhi “Mi tieni la mano?” Ricordo che qualcuno mi aveva parlato di un’antica regola indiana, che recitava: “Dove va la mano vanno gli occhi, dove sono gli occhi è l’attenzione, dove l’attenzione, l’emozione”.

Poi ci sono le donne, abbigliate per lo più in sari: esse mostrano, con quella grazia, più garbata possibile, un flebile sorriso, spontaneo e contagioso, da cui segue il fruscìo della veste, che trasforma l’immagine che abbiamo davanti in una donna misteriosa… Lei, che nasconde il suo viso, a volte delicato e morbido, altre volte Irregolare e rugoso, dietro a un velo, come per voler dimostrare, in tutta la sua semplicità e purezza d’animo, tutto il rispetto possibile al nostro passaggio. Per quanto fossi pronta a tutto, ero impreparata agli sguardi insistenti delle persone, soprattutto di sesso maschile, agli occhi che mi inseguivano fino in fondo alla strada, ma soprattutto ero preoccupata per l’effetto che avrebbero avuto su di me e sul mio comportamento: molti ragazzi si rivolgevano ad Angelo per potermi scattare una foto con loro, altri attendevano, imperterriti, che lui si distraesse. C’era chi mi riprendeva con il cellulare, chi addirittura azzardava dei simpatici selfie con l’amico dell’amico dell’amico, altri ancora fingevano una foto di gruppo, ma la realtà era un’immagine troncata… c’ero solo io accanto al ragazzo di turno… di angelo neanche l’ombra… Ad ognuno di loro ho permesso di prendere il mio sorriso anche solo per un istante. Sicuramente non posso cambiare il fatto di avere i capelli biondi, gli occhi verdi e la pelle bianca…. Quello che so, è che non volevo sentirmi vulnerabile e, anche grazie all’aiuto di angelo, comportarmi nel modo più naturale possibile… Non avrei mai permesso che il comportamento sporco di pochi elementi, contaminasse l’amore che ho per molti: io amavo già l’India prima di incontrarla, prima di appoggiare la mia scarpa color canarino sulla sua terra. Ma quando ti trovi in India possono capitare anche dei, come dire, “simpatici imprevisti”: Solo ora riesco ad apprezzare l’umorismo di quelle situazioni, ma in quegli istanti le mie mani non smettevano di tremare. Avete mai avuto a che fare con una mucca con le crisi di identità? Una via di mezzo tra un lottatore di wrestling e un samurai con gli istinti ninja? Noi si!

Varanasi: ricordo ancora quel vicolo strettissimo e quel cancelletto che rimandava verso i ghat…. La mucca era perfettamente immobile e, come per fare un dispetto al passante di turno, bloccava il passaggio proprio al centro di quella tortuosa stradina. Io avevo superato di gran lunga Angelo, impegnato inflessibilmente nei suoi scatti…. È stata una frazione di qualche secondo, ma io e l’animale infernale ci guardammo l’un l’altro, restando impassibili…. Quel momento sembrava non finisse mai… È come se un fucile a doppia canna color cioccolato, con le ciglia folte, e le corna molto taglienti, non vedesse l’ora di mettersi in funzione. Mi guardai intorno, la stradina era praticamente deserta, eravamo solo io e lo sguardo omicida dell’animale, che mi impediva di andare avanti…. Ma quando pensavo che il Panico si stesse impossessando definitivamente del mio corpo e della mia capacità di intendere e di volere, ecco che arriva angelo, mio salvatore, il quale intuisce inequivocabilmente dalla mia espressione la frase:” IO PAURA!” A questo punto, quello che dovrebbe essere il mio eroe, noncurante della situazione e, con la certezza di potermi tranquillizzare, prosegue anticipandomi nel cammino, come per dimostrare la mia insensata paura per quell’innocuo animale. Non l’avesse mai fatto! Sento un flebile sbuffo, vedo fianchi ossuti e sporgenti sotto la pelle logora che si muovevano, ma soprattutto vedo angelo sbattuto al muro da due corna assassine: Sembrava seriamente arrabbiata! Quanto avrei voluto indossare, in quel momento, un completo da matador e sfoderare una bandiera di seta rossa, ma l’unica cosa che siamo riusciti a fare è stata urlare la parola “HELP!”, e se non fosse stato per l’intervento di un buon uomo indiano, mi sarei già immaginata le prime pagine dei maggiori quotidiani dell’India, con su scritto: “ragazzi italiani sventrati dalla forza omicida di una mucca” con tanto di immagine del ghigno assassino della vacca in questione. La morale di questa esperienza? Solo perché una mucca è sacra, ciò non significa che non sia ancora una testa di c***o totale!

Anche le scimmie, animali tanto intelligenti, quanto dispettosi, potrebbero riservare delle strane sorprese: meglio non indossare mai oggetti luccicanti, o comunque cose che possano attirare l’attenzione, soprattutto se si tratta di cibi e bevande. Tenere a bada gli ammaestratori di scimmie… Alcuni tirano brutti scherzi con lo scopo di poter spillare delle rupie agli stranieri, spingendo i loro amici pelosetti a rubare oggetti indispensabili per l’essere umano in vacanza: a Vrindavan, una scimmia si impossessò degli occhiali da vista di Angelo, ma la cosa più farsesca fu che un tizio ce li riconsegnò con la pretesa di essere pagato, visto che ci aveva evitato una gran rogna. Riflettendoci bene, la loro tecnica è molto astuta, ma la cosa più intelligente è quella di non lasciarsi spaventare e di non farsi abbindolare dal loro gioco. Ma scimmie a parte, l’energia di Vrindavan è tattile, è impossibile non sentire nell’aria le attività dei sadhu e dei pellegrini: non so se fosse dipeso dal fatto che ci siamo ritrovati proprio durante la festa di krishna, ma siamo rimasti davvero impressionati.

Entrare nel villaggio di Vrindavan è come infilarsi in una bizzarra distorsione temporale: inizialmente credi di essere andata indietro nel tempo, ma successivamente hai l’impressione che passato e presente si siano fusi in una straordinaria alleanza. Gli autobus e i camion, nelle piccole e affollate strade, competono con i carri trainati da buoi o da cavalli, mentre le mucche, le capre, e i maiali si mimetizzano con le persone, abbigliate con panni di un arancione brillante, o nella purezza del bianco. I canali di scolo che costeggiano le strade e gli edifici, emanano un odore che combatte con l’incenso, le spezie e gli aromi naturali degli animali: essi fungono come servizi igienici stradali per le persone che vogliono fare pipì o lavarsi i denti, ma anche come luogo fresco per i suini che vogliono dormire. Templi a parte, Vrindavan è il posto più unico che abbia mai visitato: è quasi impossibile descrivere il modo in cui questo posto sfida i tuoi sensi, le tue idee su come le cose dovrebbero essere, ma che poi vorresti non cambiassero. Ma quando parlo di sensi, per me è impossibile dimenticare il sovraccarico sensoriale che ti procura Old Delhi: descriverla per me è impossibile perchè è proprio in questo posto che sono iniziate le emozioni palpabili dentro di me… l’impressione che l’India ha lasciato su di me è di lunga durata, come dei quadri che sono destinati ad essere attaccati a lungo termine, lì in quella parete. Old Delhi è fragrante come il cardamomo e l’incenso che, mischiandosi nell’aria, cedono in un’ atmosfera penetrante. Old Delhi, ad un primo impatto, è scoraggiante: quella dimensione poco familiare, molto lontana dalla nostra concezione di occidente, ti può turbare. Old Delhi è sorprendente e imbarazzante: me lo ricordo ancora il nostro primo monsone, eravamo sopra il rickshaw, diretti verso la Jama Masjid, pioveva a catinelle, ma più l’acqua aumentava, tanto più il nostro conducente continuava a pedalare, quasi noncurante delle gocce di pioggia che gli piombavano addosso, indifferente alla fatica che penetrava il suo corpo, ma con la sicurezza che il dio Shiva vegliasse il suo cammino…. Quanta pena che ho provato in quel momento! Old Delhi è ossessionante: quelle facce rimangono indelebilmente impresse nella psiche di ogni essere umano dotato di cuore e apertura mentale. Ma lo shock autentico l’ho avuto a New Delhi, rapidamente più evoluta, strade a posto, persone vestite all’occidentale con la puzza sotto il naso, soprattutto in prossimità del parlamento: era impossibile non provare rabbia! Come può un posto come questo riuscire ad esistere? Come può un individuo comune, di status sociale normale andare in giro con la coscienza pulita, conoscendo tanta merda e squallore esistenti nelle zone limitrofe? Come potevano far finta di non vedere bambini emaciati che giocavano su cumuli di immondizia? O uomini storpi, con gli arti marciti fino all’osso? La quantità di sofferenza era ovunque… Era incessante… Mi sentivo indignata! Dov’era la responsabilità sociale? Dov’era la carità? Dove c***o è stato il governo? Non voglio fare la paladina della giustizia, non voglio nemmeno fare l’esperta di politica, visto che, anche il mio paese, l’Italia, ha un sacco di problemi… ma tutto questo è diverso, e vederlo così, ad occhi nudi, provoca in me una reazione violenta ed emozionale. Anche altre volte in altri viaggi, mi sono imbattuta nella povertà, ma solo in questo momento riesco finalmente a capire che cosa ispira le persone a mollare tutto e trasferirsi in qualche sporca bettola nel mezzo dell’Africa o, appunto, dell’India, per iniziare ad aiutare i più bisognosi: di fronte a tanto dolore sembra folle non farlo… l’esperienza di madre Teresa di Calcutta insegna, e ho sentito, anche solo per un attimo, quello che lei deve aver provato in tali circostanze. Quanto del mio reddito mensile sarei disposta a rinunciare, per nutrire 20 persone ogni mese? In base a quale quantità di euro la mia moralità ha un inizio e una fine? Mentre riflettevo su tutte queste cose, avrei voluto che la pioggia fosse caduta in quell’istante, come per preannunciare una sorta di giudizio universale verso l’uomo.

Ah la pioggia. L’odore della pioggia sulla terra, molto spesso, mi ricorda la musica di A.R. Rahman: il profumo della terra, si gonfia con l’amore per l’India! Ci sono stati alcuni momenti in cui ho sentito il vento tra i capelli e la pioggia ha inzuppato la mia anima… Ma a proposito di spirito, visto che io ed angelo eravamo in ballo, non abbiamo potuto fare a meno di inseguire la corrente vorticosa di umanità che racchiude le strade di Rishikesh: il sacro Gange del nord dell’India è più affascinante di quanto si pensi… Sereno? Arrabbiato nella sua corrente indiavolata? Non importa! Le sue mille sfaccettature sembra che raccontino sempre una storia. È possibile, soprattutto per un forestiero, trovare l’equilibrio mentale in india? Beh, se si cerca soprattutto questo, Rishikesh è il posto giusto per farlo. Non importa se si è un backpacker, un cultore dello yoga, un amante dell’avventura o un semplice turista: Sono tutti attirati dalla magia dei ghat. Eppure all’inizio non è stato semplicissimo: ti ritrovi a zigzagare tra le strade, per schivare auto, scooter, tuk-tuk, mucche, scimmie, e ogni volta che pensi “Dai su, è andata!”, ti ritrovi, nuovamente, a stringerti su un muro per evitare di essere colpita frontalmente da un motorino che ringhia a tutta velocità, e allora pensi “Il pericolo è il mio destino… Se proprio devo morire, allora colpitemi sulle rive del Gange” Ma poi ti rendi conto che il gioco vale la candela, quando un’intera famiglia, che scorgi fare giochi nell’acqua, tra schizzi e marachelle, viene a farti le feste, e in quel momento pensi “Cara Dea Ganga, se volevi onorare la mia presenza, non potevi trovare un metodo un pò più asciutto?” Ormai è tardi, sono tutta annacquata! Il risveglio a Rishikesh mi ha suscitato sensazioni davvero strane: mi trovavo ai piedi dell’Himalaya, tra foreste con alberi statuari di sal, e giù sulla vallata sottostante, il Gange era tortuosamente vivace… Meraviglioso! Eravamo ospiti presso una tranquilla villetta tenuta da persone favolose, niente a che vedere con le solite catene alberghiere che, tutto sono, tranne autentiche: alcuni visitatori, vengono qui, da tutto il mondo, non solo per la pace e la tranquillità, ma anche per la gestione dello stress e per fare della sana meditazione, attraverso le antiche discipline dello yoga e, perchè no, anche i trattamenti ayurvedici sono fondamentali per il proprio benessere psicofisico.

Ogni mattina, davanti ad una tazza del buon chai e dolci a base di curry, cocco, riso basmati e banane, o anche a delle ottime minestre di legumi, si potevano fare delle profonde conversazioni con il forestiero di turno, rigorosamente in pigiama kurta bianco, e ogni volta potevo affacciarmi nelle loro affascinanti storie. È facile abituarsi a camminare a piedi nudi, tra una stanza e l’altra, e salutarsi l’un l’altro a capo chino, con i due palmi delle mani insieme, come in preghiera, e un tranquillo “Namaskar”, prima del ritiro spirituale tra le colline. Questa è una terra magica, il dominio di Lord Shiva, accusata da “shakti”, quella forza divina che si manifesta per distruggere le forze demoniache e ripristinare l’equilibrio: forse è per questo che ogni pellegrino viene qui per trovare un punto di forza interiore, quel qualcosa chiamato illuminazione spirituale, e quando lo si trova è come se ti ritrovassi dopo un profondo risveglio… è così che mi sono sentita dopo aver visitato questi luoghi. Ci sono stati dei momenti in cui io ed Angelo, avremmo avuto proprio bisogno che qualche forza divina distruggesse le negatività che ci seguivano durante questo viaggio. È dura, è proprio dura: la variazione di temperatura è enorme…. In qualsiasi mezzo di trasporto ci troviamo, in qualsiasi luogo chiuso in cui ci imbattiamo, la sindrome da congelamento è con noi. Possiamo coprirci più che possiamo, ma tanto non ci molla. E quando pensi di essere diventato un ghiacciolo, eccoci che ci ritroviamo all’esterno, con una temperatura di 43 gradi, a sudare come i maiali. Impossibile non ammalarsi. La febbre sale? La tosse aumenta? Niente e nessuno fermerà il nostro cammino. Ci sono troppe cose da vedere e da vivere!

Tra i posti da voler vivere, un posto di riguardo devo darlo sicuramente ad Amritsar: la pace e l’armonia che si vive in questo posto è ineguagliabile, inoltre la gente che ci vive è meravigliosa. Nel poco tempo in cui sono stata qui, ho avuto l’impressione che il Punjab sia un paese a parte rispetto all’India stessa, e che Amritsar stia una spanna sopra a qualsiasi altra città, non solo per il suo status più elevato, ma anche per la presenza del venerabile tempio d’oro. Già varcando il labirinto di stradine, o camminando per il caratteristico mercato, tra i più fiorenti in india, si può sentire la sua presenza serena…. Irradia una calma tale, da rendere le persone più attente e rispettose con il prossimo: sarà proprio questo il segreto dei sikh? Eppure non ci posso credere, sto per accedere all’interno del Gurudwara, il più sacro dei santuari sikh: uno dei miei più grandi sogni si sta realizzando. Dopo esserci coperti il capo e tolti le scarpe, io ed angelo bagnamo i nostri piedi su una sorta di piccola piscinetta, come per lasciare indietro le ostilità che, fino a quel momento, ci hanno appartenuto, ed entriamo in questo posto magico: improvvisamente una luce mi abbaglia gli occhi, è il riflesso cristallino dell’acqua che fa da specchio a una meraviglia dorata. Dentro di me sento una forte vibrazione che è impossibile da definire. Volevo vedere tutto, ed ero ansiosa di approfondire ogni minimo particolare storico, architettonico e religioso. Volevo sapere del libro sacro, volevo apprendere la vita di quel pellegrino che insegnava a fare le abluzioni al suo piccolo figlio. È stato davvero emozionante per me vedere un posto così ricco di storia e spiritualità, sentire gli inni sacri, avere l’occasione di visitare le cucine, i dormitori, ogni minuscolo angolo aperto anche alle persone di altre fedi, venerato anche dagli induisti, e a chiunque voglia offrire preghiere a Harmandir Sahib. Ci sono stati dei momenti in cui avrei voluto piangere di gioia, mentre offrivo la mia mano a qualunque Sikh che mi porgeva la sua benedizione. Non ho mai avuto un buon rapporto con la religione, molto spesso, dentro di me, ha sempre prevalso la razionalità, ma in quegli istanti mi sentivo purificata e benedetta, e improvvisamente riuscivo a capire che Dio ha reso tutti uguali e diversi… Sentivo per la prima volta che per qualcuno lassù ero speciale. Parminder, il giovane sikh che era con noi, continuava a dirmi che se una persona è sempre onesta, allora nessuno potrà farti del male, perché Dio ti salva e lui ti illuminerà: Satnam Waheguru Ji! Ma Amritsar è anche il luogo dove gli inglesi hanno commesso atrocità, assassinando centinaia di indiani che protestavano pacificamente contro le leggi pressanti che imperversavano tutta l’India: i luoghi in cui i proiettili delle truppe britanniche hanno colpito le pareti degli stabili sono chiaramente visibili, e il pozzo in cui molte persone sono saltate per cercare di sfuggire al massacro è ancora lì. Per un momento ho vissuto quegli istanti così difficili per la patria, e mai come in quella giornata, ho sentito veramente forte dentro di me, il significato dell’inno “Vande Mataram” Lodo te, Madre!

Erano le quattro del mattino, mi trovavo sul treno per continuare il mio tragitto in india. Quanta povertà, quanta sporcizia. Credo che se avessero potuto, anche i topi e gli scarafaggi avrebbero voluto parlare. Eppure, in quel momento, sembrava non importarmene. Era come se, dopo tutto quello che avevo visto, fosse cambiata la mia visione sulla vita: pensiamo sempre ai nostri melodrammi, ai nostri desideri, alle nostre sofferenze, ma non riflettiamo sul perchè succedono. Tutto ciò fa parte di un disegno molto più vasto. La nascita. La morte. È tutta una questione di karma! È proprio vero, viaggiare in treno in india, ti fa afferrare svariate lezioni: i treni, forse più di ogni altro mezzo di trasporto, vanno lentamente, e ci si sposta a ritmo preistorico. Ero stanca e insonnolita. Forse mi sono anche addormentata per un pò… Ma invece di contare i minuti fino all’arrivo, sognavo che questo viaggio fosse andato avanti per sempre. È come se fossi stata su questo treno per tutta la vita. Seduta di fronte a me c’era una ragazza, vestita più all’occidentale, ma mi compiacevo del fatto che i bracciali su entrambi i polsi non mancassero mai. Guardava fuori dal finestrino, a tratti rideva, a tratti piangeva, chissà quali immagini le passavano per la mente. Ai miei occhi era come una figura di Gauguin, il suo passato, il suo futuro, la sua esistenza, sembravano penetrarmi. Ero ammaliata? Ero disgustata? Forse vedevo in lei il riflesso di me stessa, la parte occidentale abituata alla vita materiale e priva di stimolo, ma nei suoi pensieri vedevo il kohl nero tipico delle donne indiane, un sari colorato, una brocca d’argilla equilibrato sulla sua testa, e mi chiedevo quale di questi aspetti, quale di queste parti, era in realtà me. In effetti non sono nemmeno riuscita a trovare una risposta mentre ero ad Agra. Oh il Taj Majal! L’oggetto iniziale della mia voglia di viaggiare! La mia ispirazione! Una delle sette meraviglie del mondo! All’inizio, ricordo, quando iniziai ad interessarmi al contesto India, l’ho amato tantissimo. Poi, più passava il tempo, e più questo amore si trasformava in un sentimento quasi opposto, ma contraddittorio. Queste sensazioni stimolavano ancor di più la mia curiosità.

Guardare una meraviglia del mondo come il Taj Mahal per la prima volta è un’esperienza surreale: stranamente è sia esagerata e deludente al tempo stesso. È vero, la sua struttura architettonica ti travolge tantissimo: la sua perfezione geometrica e simmetrica è impressionante e, in qualsiasi direzione io mi trovi, nord, sud, est, ovest, ho la stessa completa e assoluta visuale. Per non parlare dei dettagli. I passaggi coranici e le poesie persiane intagliate nel marmo, sono assolutamente strabilianti. Allora cos’è che mi ha deluso? A differenza delle immagini del Taj Mahal che promettono la bellezza bianca e incontaminata contrapposta alla solitudine degli stagni che lo riflettono, la realtà è ben diversa: non c’è pace in questo posto! Ti ritrovi a rimbalzare in mezzo ad un ammasso di persone che belano come delle pecore in un recinto. Eppure erano le sei del mattino! Molto spesso la mancanza di valore e di rispetto per certi tesori culturali, sgonfia la gioia e l’entusiasmo di tutto, elementi fondamentali durante la visita in un paese straniero, soprattutto per chi non è abituata a certi ghetti turistici. Poi, tutto ad un tratto, mentre mi trovavo sopra il forte rosso, c’è stato un momento che non dimenticherò mai: il cielo dalle fredde sfumature diventava un tutt’uno con il taj e con la sua acqua. Sentivo dentro di me la sensazione di un amore passato. È difficile descrivere uno scenario così puro e intenso. Credo che sia stato il momento in cui mi sono sentita più femminile, fragile, in mezzo a tanta potenza e bellezza. Era questo che cercavo, quello che mi aspettavo dal primo momento, quando sono arrivata ad Agra. Sento sempre più fortemente che il nostro è il modo migliore di viaggiare. Quante emozioni, sensazioni!

Se ripenso a Mathura, durante il festival di Krishna, avverto ancora il suo effetto speciale: i templi, gli Hare krishna, la devozione dei pellegrini, è tutto davvero molto intenso! Un Brahmino si avvicinò e ci disse: “Sapete che questo è il luogo del Signore Krishna?” Angelo mi guardava come per dirmi: “Chi è Krishna?”, ovviamente se ne rese conto successivamente, visitando il posto dove si dice egli nacque. Ricordo ancora come fosse ieri, quanti pellegrini attendevano sotto il sole cocente, l’apertura dei templi, solo per dare un veloce saluto al loro signore, prima che richiudessero, nell’arco di quei cinque minuti: fra tutte le buone qualità, quella che fa fiorire la personalità umana è la devozione. Gli indiani sono fra coloro che riconoscono questo sentimento divino. Ma la cosa che mi ha colpito di più è stata l’atmosfera travolgente dello Jamuna: la barca, la puja con cui angelo mi benediva, i versi della bhagavad Gita, l’acqua, i ghat. Che soddisfazione seduti in quella pace! Non riuscivo a capire perchè il fiume mi aveva colpito così tanto, cercavo di analizzare da dove venisse questa felicità: ero completamente a stomaco vuoto, sicuramente non avevo fumato marijuana e non ne avevo intenzione. Allora cos’era? Era solo il fiume stesso la causa del mio stato d’animo, era la sua bellezza che mi dava tanta pace e dolcezza. Sicuramente non eravamo sempre a stomaco vuoto: se ripenso alle spezie, mi ritorna un certo languorino nello stomaco! Si è vero, ho mangiato i piatti più squisiti e afrodisiaci in quella terra: Piatti caldi, di tutti i colori e spezie. Ogni boccone, che sia preso con la mano, o con l’utilizzo di una posata, era un bel senso del peccato e un sapore strano, diverso ma coinvolgente. Un mondo pieno di misteri e piaceri, ogni volta era un indovinello o una tentazione, o addirittura tutte e due le cose.

I miei piatti preferiti? Ma assolutamente quelli vegetariani. Primo fra tutti il thali! Forse, inizialmente, può sembrare un piatto intimidatorio, se non si sa mangiare come la gente del posto, ma poi non si potrà più fare a meno di gustare le pietanze in questo modo: mescolare le salse con il riso e le verdure, è un’esperienza altamente sensoriale, perchè permette di assorbire tutto il gusto all’interno del nostro palato. E poi, se a fine pasto ci si sente andare a fuoco, niente paura, l’anice fa miracoli! L’India è anche bollywood! Lo ammetto, essendo un’appassionata di cinema indiano, non potevo farmi sfuggire la possibilità di guardarmi un film dal vivo. Non capisco l’hindi, è vero, ma neanche questo riesce a fermarmi! No, davvero. È stato fantastico: sentire gli applausi e applausi della folla, ogni volta che c’era un momento romantico, o quando il bene trionfava sul male, le risate, i fischi. Anche il cinema è stato tutto un tripudio di colore!

Parlando di colore potrei raccontare della fatidica città rosa, Jaipur. Ma la realtà è stata ben diversa da quel che immaginavo. La prima cosa che ho notato quando sono arrivata a Jaipur, è che si può dire tutto tranne che il rosa fosse il suo colore predominante: le costruzioni, pallide, forse color corallo, sono sbiadite a causa del riverbero del sole, dall’età e dalle circostanze. Girovagare tra le vie della parte vecchia, come al solito, non è una passeggiata: le strade, minuscole e puzzolenti, sembra che ringhino, aumentando la probabilità di essere investiti. Ma si sa, la situazione è simile un pò per tutta l’India. Cos’è che mi è rimasto impresso di Jaipur? Non voglio nominare assolutamente l’Amber Fort, non tanto perché io ed Angelo non amiamo particolarmente certi posti ammazzati dal turismo di massa, ma soprattutto perché non abbiamo apprezzato il cosiddetto “elephant ride”, il giro sugli elefanti per entrare all’interno del forte. Una allucinante buffonata! Uno dei luoghi migliori da visitare a Jaipur è il Galta Ji, noto anche come il Tempio delle Scimmie: esso è situato in una valle ed è facilmente raggiungibile con un tuk tuk fino a un pezzo, per poi salire in cima alla collina. Il sole diventa un peso in salita, soprattutto quando le zone d’ombra sono nulle, ma la vista dall’alto della città rosa, la compagnia delle scimmie durante il cammino, e l’incontro con tante persone, così colorate e interessanti, ripaga di tutta la fatica. Finalmente raggiungiamo il tempio, o almeno uno degli ingressi. Un giovane sacerdote si avvicinò a noi, con la sua gentilezza ci invitò ad entrare perché, è vero che che quel posto sembrava un piccolo buco scavato in una roccia, ma era un luogo molto speciale, perchè all’interno della pietra si poteva scorgere il grande dio Hindù Hanuman, noto anche come il Dio Scimmia: in quel momento sentivo che quello era il regno della tranquillità. In India la gente ha questa straordinaria capacità di parlare con gli sconosciuti, in una conversazione di un minuto si può sapere tutto di una persona: il numero di bambini, come va la scuola, le tensioni in famiglia, i problemi finanziari e quanta spiritualità si è raggiunti sino ad ora. È così che mi sono sentita accolta nella città di Brahma. Benvenuti a Pushkar, il luogo dove tutto è possibile! In passato ho letto di persone che descrivevano Pushkar solo come uno scenario di teatro, tutto era falso, falso, falso, oltre ad essere molto pericoloso, e sono arrivata lì con poche pretese. Ora posso dire di essere contenta di esserci stata, questo posto è una perla. OK, trattasi sempre di una calamita turistica, e se non hai un pò di buon senso potresti finire come uno di quei turisti che si fermano a fare shopping, passeggiando tra i piccoli vicoli, e che non vanno neanche a vedere il famoso tempio di Brahma. Ma noi non siamo così! Moltissime persone si riuniscono sul lago sacro per celebrare il tramonto, con tamburi e altri strumenti musicali. L’atmosfera è surreale. Ci sono gruppi di indiani che giocano a scacchi, chi si gusta del cibo vegetariano (eh si, qui la filosofia alimentare per cui è bandita la carne, è un vero e proprio stile di vita), chi beve chai, chi prega, tra abluzioni e non, e chi come noi osserva questo spettacolo e pensa. Mi mancano le persone care che ho in Italia, ma qui riscopri la felicità con il tuo sè e ti senti inaspettatamente realizzata.

In India, come in altri paesi in cui la forbice tra ricchezza e povertà è molto alta, si vive con il pensiero che ogni giorno che passa sia come una benedizione, e l’impazienza del piano divino di Dio è sempre alle porte: i giorni che viviamo ora, sono sia i tempi finali che i nuovi inizi, e la volontà divina è sempre al lavoro nel cosmo. Nelle acque del pozzo si può finalmente vedere la bontà di Dio, la sua grazia, e incredibilmente ci si sente inondati dalla sua abbondanza, tesa a ristabilire l’equilibrio nella vita dell’essere umano. È con questa premessa che mi avvicinavo con la macchina al piccolo villaggio di Abhaneri, superando bancarelle adornate con i frutti sommersi di pomeriggi di calore, che punteggiavano il ciglio della strada. Siamo arrivati, finalmente, all’entrata del Chand Baori, uno dei più profondi e grandi pozzi dell’India, risalente al nono secolo: esso è stato costruito dal re Chanda della dinastia Nikumbha, e fu dedicato ad Hashat Mata, dea della gioia e felicità. Lo stato del Rajasthan è estremamente arido, e la costruzione di questo pozzo era stata fatta con lo scopo di conservare più acqua possibile, visto che nel suo fondo l’aria rimane più fredda, ed è proprio per questo che diveniva luogo di ritrovo per la comunità, durante i periodi di caldo intenso. Io ed Angelo abbiamo trovato questo luogo abbastanza deserto, condizione ottimale per poterlo esplorare: nonostante lo stato di abbandono, gli agenti atmosferici, il flagello di cemento, posto per preservare determinate caratteristiche visive, il pozzo ci aveva intimidito. Ci sembrava come se fossimo stati gettati su un’illustrazione di Escher, con le antiche sculture indù che ne facevano da contorno. Era difficile da realizzare con la mente in maniera veramente razionale. Inutile, l’illusione prendeva il sopravvento.

Ho sempre apprezzato i luoghi storici, sono affascinata dalla brillante cultura di strada ed i segreti che ne riserva, la sua mescolanza culturale… sembra stia lì a chiederti di essere esplorata. Non sono particolarmente un’amante dell’arte mughal, ma comunque meritava di essere vista: il Taj Mahal, il forte rosso, la tomba di Humayun, una struttura imponente, che ha ricevuto la mia ammirazione, e sottovalutata rispetto al Taj, ma che è da esempio nell’evoluzione artistica Indoislamica, e soprattutto commissionata da una donna, e non è poco. Poteva mai mancare una capatina a fatehpur sikri? Sicuramente no! Si dice che Akbar abbia visitato il villaggio di Sikri per consultare un santo sufi: l’imperatore era senza eredi e gli venne predetta la nascita di un figlio. Quando la profezia divenne realtà, Akbar costruì la nuova capitale: purtroppo il capolavoro indoislamico fu abbandonato poco dopo la morte del sovrano. Esso è incredibilmente conservato, e la tolleranza religiosa di Akbar si riflette nella miscela carismatica di influenze islamiche e indù in tutto il disegno della città. Io ed Angelo ci siamo trovati in soggezione nel vedere come ancora oggi tutti i dettagli sono ancora visibili in queste costruzioni, e la pietra arenaria rossa spicca tra i raggi solari in tutta la sua imponenza.

I giorni trascorrevano di città in città, ma man mano che passava il tempo, non vedevo più l’India con gli occhi: giorno dopo giorno la sentivo pulsare dentro di me, le persone, i colori, i rumori, la spiritualità, tutto era diventato la quotidianità per me. Non so come spiegarlo, ma da semplici ospiti, io ed angelo ci sentivamo parte integrante di tutto. Uno dei posti che ci ha colpito di più e che è rimasto nella nostra pelle, è un piccolo villaggio fuori da tutti i circuiti turistici, un luogo dove imperversa la pace e serenità, e che ti fa respirare il sapore dell’India genuina di un tempo: Khandela ti amo!

La povertà, i bambini che sgambettavano mezzi nudi sulle strade affollate, gli anziani buttati ad ogni angolo delle strade, i cani randagi che vagavano senza meta. Tutto ciò si confondeva con i mille sorrisi che incrociavi o quando ti fermavi davanti ad una donna con un bambino in braccio. Quel sorriso ricambiato con infinito affetto e gioia era ed è un attimo della mia vita che mai potrò dimenticare: tu donavi un pò di gioia a questi fanciulli e loro ricambiavano con una tenerezza infinita, con quegli occhi neri che per un attimo si illuminavano ed illuminavano di calore anche il mio cuore.

Non so se la semplicità di questo posto meraviglioso posto possa dipendere dal fatto che il villaggio è da sempre stato governato dalla casta dei Rajput, mantenendo, per la sua gente, i principi saldi degli antichi metodi artigianali, ma devo dire che questa atmosfera che si respirava, è stata per me, una vera e propria esperienza per la mia coscienza.

Non posso, purtroppo, dire lo stesso, per quanto riguarda Orchaa. Fermarsi ad Orchaa ne è valsa la pena solo per averla utilizzata come punto di stop, per poi arrivare a kajuraho, come si è, spesso, soliti fare. Ma per il resto, credo che, come posto, sia molto sopravvalutato. Orchaa si compone di una serie di palazzi, templi e monumenti, costruiti nel 16° secolo su un’isola tra due canali del fiume Betwa: la città è stata abbandonata e dimenticata, e gli edifici inghiottiti dalla giungla, fino alla sua recente riscoperta. A differenza di altri palazzi che abbiamo visto durante questo viaggio, ben tenuti e sontuosamente decorati, quelli di Orchha sono nudi e fatiscenti, caratteristica che dovrebbe comporre un certo suo fascino e dare quella dignità struggente del tempo circondata da una tranquilla foresta. Il problema è che non sono circondati da una tranquilla foresta, sono circondati da una cittadina abbastanza vivace. Quando si sta in piedi su una terrazza del Raj Mahal, non stai pensando, “Sono commossa fino alle lacrime per il pathos che mi dà questo monumento di impermanenza e degrado”. Invece ti viene da pensare alle bancarelle che stanno subito sotto di esso. Niente di così poco autentico!

Probabilmente la tensione emotiva che ti procura un determinato posto, non è uguale per tutti. Tanta gente va a visitare sarnath come se andasse a vedere la galleria degli Uffizi di Firenze. Ma per me, questo è stato un posto speciale. Mi ha fatto respirare quell’essenza del buddhismo, che il suolo indiano ha abbandonato.

E’ stato qui, a Sarnath, che il Buddha ha predicato il suo primo sermone dopo aver raggiunto l’illuminazione a Bodh Gaya. A quel tempo dopo aver camminato per km e km, da Bodh Gaya a Sarnath, ha spiegato ai suoi cinque vecchi amici che… beh… la vita aveva una fondamento di sofferenza, ma era possibile, in qualche modo, trovare una fine a quella sofferenza, quella che potremmo chiamare la felicità e la pace. Buddha avrebbe trascorso i restanti 45 anni della sua vita per spiegare in modo dettagliato, e con quella chiarezza che nessuno mai aveva trovato prima, come trovare quella soddisfazione finale e come porre fine a tutte le sofferenze.

Di solito gli occidentali pensano che il buddhismo è fondato solo sulla meditazione. Il Buddha disse alla gente di seguire otto passi per trovare la pace definitiva e la felicità. La meditazione fu coinvolta solo negli ultimi due passaggi.

Se penso alle rinunce che io ed angelo facciamo per poter fare ciò che più ci piace, e cioè viaggiare, chiunque ci prenderebbe per matti. E poi mi trovo qui a sarnath, e rifletto sul fatto che ognuno di noi ha la sua personale concezione di rinuncia: c’è chi rinuncia ad una serata in pizzeria, chi rinuncia a una bella macchina, c’è chi rinuncia, addirittura, ad una bella amicizia o ad una storia d’amore.

Il Buddha affermava che lo stato naturale della mente umana è calma e chiara. Per raggiungere quello stato naturale chiese ai suoi seguaci di astenersi dall’avidità, l’odio e l’illusione. Per un sacco di persone oggi, che sono attratti al Buddismo a causa della meditazione, rinunciare significa mettere da parte i loro sogni ad occhi aperti, le fantasie, le preoccupazioni, e la rabbia, mentre, in meditazione, studiano la loro respirazione o ciò che sta accadendo nel corpo. Se non possono assolutamente rinunciare a quegli aspetti negativi di se stessi, l’idea è di fare almeno un passo indietro e osservare, come uno spettacolo di passaggio, quel processo che viene chiamato consapevolezza. Solo in quel momento si avrà il completo risveglio.

Quando sono arrivata in India, il mio scopo non era quello di visitarla come una semplice turista, rinchiusa e protetta nel mondo ovattato di un pulmino turistico. Il mio tentativo era quello di conoscere l’induismo dall’interno, andare nei templi indù, parlare con i brahmini e il popolo dei fedeli, partecipare alle loro feste, capire un pò di più dei loro testi sacri, per sentire dentro di me cos’è questo induismo e quali sentimenti suscita questa fede religiosa.

Ma c’era anche un certo rischio in questo, perché l’induismo ti prende, ti affascina. È vero! Non avevo preventivato, però, che il buddhismo, per altri versi, ti prende anche di più, ti avvolge nel suo pensiero più intellettuale e filosofico.

Sarebbe una grande lezione, per tanti preti cattolici, entrare nell’universo di queste religioni, sperimentarne il pathos, sperimentare quell’equilibrio psicologico, fra sensibilità cristiana e sensibilità orientale, spingersi oltre, e magari arrivare al punto di mettere in pericolo la propria fede, ed entrare, alla fine, in una nuova dimensione spirituale: il dialogo fra le religioni deve servire a far sparire la paura dell’altro. Tutti hanno paura del diverso e si cerca di neutralizzarlo. Molti musulmani lo fanno obbligando a convertirsi all’islam, i cristiani cercano di dimostrare che il cristianesimo è la vera religione, gli indù cercano di inglobare tutti nella loro storia e sopravvivenza millenaria. È sempre stato così!

È bello ogni tanto lasciarsi andare, lasciarsi emozionare, affascinare. La vita che avviene nella vecchia Europa, raramente mi offre doni di questo tipo. È curioso, ma nello stesso tempo, meraviglioso, contemplare le immagini del sole e della luna di pushkar e versare lacrime, piuttosto che davanti al Taj Mahal.

Il Taj Mahal… Perdonatemi, ma perchè quando si dice india, si pensa quasi sempre e solo al Taj Mahal, tra le sette meraviglie del mondo moderno, quando ci sono luoghi come i templi erotici di Khajuraho, che ridefiniscono il vero nucleo dello spirito vitale delle persone, un popolo silenzioso che trova una dimensione umana e soprannaturale del vivere.

Le sculture erotiche dei templi di khajuraho, potrebbero essere scioccanti agli occhi di chi non è preparato. È stato uno shock anche per me, anche se non per l’erotismo nell’arte, ma per quell’incredibile bellezza in quel tempio dell’arte.

Il luogo comune che la bellezza stà negli occhi di chi guarda, è piuttosto rilevante qui: la stessa figura può apparire diversa a persone diverse In ogni caso, ciò che è indiscutibile è che queste figure hanno guadagnato l’attenzione di appassionati d’arte di tutto il mondo, e sono spesso argomento di discussione per molti.

Perchè i templi sono pieni di sculture sessualmente esplicite? Il sesso è una parte naturale della vita. Prima dell’avvento delle religioni puritane basate sulla colpa, come l’Islam e il cristianesimo, gli hindù non tendevano ad associare i risvolti dell’eros alla vergogna: esso era parte della vita ed espressione altissima dell’amare.

File interminabili di figure scolpite finemente, ritraggono le emozioni di una donna, il volto semplice e sorridente dell’innocenza, fino a ritrarre espressioni e pose seducenti.

Donne che si spazzolano i capelli, che applicano il trucco agli occhi, o che ballano con gioiose pose, e poi ballerini, musicisti, guerrieri, animali, per poi finire con l’essenza dell’erotismo. Mistero, contrasto, allusione, inusualità… tutto fa parte di un dialogo che stabilisce il senso della coppia.

Esse sono le più grandi impressioni della nostra coscienza trasformate in immagini: invece di viaggiare con una mente piena di voglie sensuali, bisogna arrendersi a queste voglie e liberarsi, e solo in quel momento vedremo Dio.

Purtroppo in India nulla è come prima: È diventato il Paese del “mistero delle donne scomparse”, distrutte dall’aborto selettivo, dall’infanticidio e la discriminazione socio-economica… la società indiana è riuscita a trasformare in una martellante notizia globale una delle pratiche nazionali più disgustose e diffuse… la violenza sessuale.

Khajuraho non è solo templi erotici: la città vecchia sembra appartenere ad un altro mondo, essa sembra quasi ignara della reputazione legata all’erotismo di questa città.

Ho trovato le vecchie stradine notevolmente pulite, in netto contrasto con quella fresca e puzzolente spazzatura, tipica delle città indiane.

L’antico borgo è composto da piccole case di fango con tetti di tegole che ospitano intere famiglie, con porte di diversa grandezza, caratteristica che sta a evidenziare la diversificazione fra caste: la gente è cordiale e molto amichevole, si vede che, in qualche modo hanno imparato le buone maniere. Mi è dispiaciuto declinare l’invito di una donna che voleva farmi entrare nella sua casa per potermi fare degli Stupendissimi disegni su tutto il piede, e soprattutto senza altri fini.

Come al solito, i bambini sono l’anima del posto… non ci abbandonano mai: stiamo attenti a non dargli soldi, anche se ce lo chiedono. È un male per la loro educazione, perché se noi stranieri ci lasciamo impietosire, si adagieranno e impareranno a non andare a scuola.

Ah la scuola. Io ed angelo non potremo mai dimenticare l’esperienza fatta nella struttura di khajuraho: sono stati dei momenti tra i più toccanti che abbiamo vissuto in india… L’innocenza di quelle creature che ti guardavano, con un misto di incredulità e di speranza, mentre regalavo ad ognuno di loro una penna che, immediatamente, inserivano all’interno delle loro sudicie cartelle, per paura che cambiassi idea, emozionavano la mia anima… Quegli occhi che ti osservavano, mentre accarezzavano la tua mano, per sentire il calore della tua pelle, e provare quella sensazione che in genere si ha, quando si tocca un animale di un’altra specie. No, non si possono dimenticare.

Circa 300 bambini, di età compresa tra i 4 e i 14 anni, frequentano questa scuola. La maggior parte degli insegnanti sono volontari e mandano avanti la scuola con le donazioni di chi, come noi, passa da quelle parti e che continua a sostenerli da lontano. Poco tempo fa, grazie a queste offerte, sono riusciti a procurarsi delle panchine per poter far sedere soprattutto i più piccoli, poichè le aule avevano solo pavimentazioni di fango, e non è piacevole seguire una lezione inginocchiati per terra, soprattutto quando già si è costretti a camminare a piedi per chilometri, dai vicini villaggi, fino alla scuola.

Era difficile trovare le parole per poter chiedere se la maggior parte di queste creature avrebbero potuto scrivere oltre il proprio nome: avevo paura della risposta! La realtà stava nel fatto che i volontari facevano di tutto per potergli insegnare a leggere, scrivere e contare, ma oltre a questo, era difficile poter classificare concretamente il loro futuro.

L’istruzione dei poveri delle campagne non è solo una questione di risorse o di incentivi: nella loro miseria, quando dei genitori hanno uno spasmodico bisogno di lavoro, e devono essere aiutati, sono costretti a dover etichettare i loro figli in “Questo sarà il genio” e “Questo sarà lo stupido”… Amano i loro figli, ma sono costretti a dover giustificare la scelta difficile di chi non dovrà essere analfabeta.

È inutile descrivere i nostri sentimenti di fronte a questa realtà… Non ci sono parole!

Dove potevamo terminare la nostra avventura, volta ad esplorare i posti più spirituali dell’India Gangetica, se non nella città santa di Haridwar?

Come descrivere questo posto? Intenso, occupato, frenetico, ma al tempo stesso unico, genuino, accogliente ma soprattutto mistico.

Sono rimasta piacevolmente sorpresa dalla mancanza di turisti qui: eravamo solo noi in mezzo ad una folla di indiani, nella loro vita quotidiana, le loro abitudini, i loro rituali.

Haridwar è un assalto liberatorio sui sensi: mi immergo in un mare di colori, mi arricchisco di nuovi odori, i miei polmoni si riempiono di un altro luogo dell’India, ed io mi sento libera e aperta ad altre esperienze.

Mi colpisce particolarmente un uomo… nella mia testa mi sono convinta che fosse un contadino. Il suo corpo avvizzito, la pelle sgualcita come un guscio di noce, la faccia color cioccolato fondente e gli occhiali da vista simili al fondo di un bicchiere: gli sorridiamo gentilmente, e mentre ricambia, la sua faccia diventa come un fulmine che trasuda un lampo di gioia. Quel sorriso arriva dritto al nostro cuore! Nella mia testa vorrei tanto gettargli le braccia al collo, vorrei rassicurarlo, vorrei dirgli che la sua vita andrà bene.

Haridwar è piena di Sadhu, coperti solo in vesti arancioni, la testa nascosta in una foresta di capelli e barba bianca, rotolando mala tra le dita, borbottando i loro canti e persi nelle loro credenze.

Haridwar è adorazione del fiume divino: come il buio scende, ci troviamo sulle scivolose Har ki pauri. Ho trascorso mesi a sognare quelle cupole arancione e bianco, ed ora sono ben piantate nello stesso terreno sul quale toccano i miei piedi scalzi. Inizia il canto capriccioso, imposto dalle ossessionanti campane: l’aria è densa di incenso, e le candele punteggiano il fiume nero nella notte. I sacerdoti, sul ciglio del corso d’acqua, hanno in mano grandi lampade ad olio in fiamme che, oscillando, venerano il fiume e benedicono le persone. La folla ipnotizzata si spinge in avanti, il calore di quelle fiamme infuria sempre di più, inghiottendo le braccia dei Pandit, che non si distolgono dalla preghiera. Quell’incantevole atmosfera, quasi tantrica, mi ipnotizza, mi destabilizza! In mezzo al caos, cerco di uscire da quella potente suggestione che quel rito mi ha trasmesso. È tutto finito, e la folla appassionata diminuisce. Appoggio sull’acqua il mio cesto di fiori illuminato da una candela, con un desiderio, e lo guardo allontanarsi lungo la dea dei fiumi. sento quasi colare le lacrime giù per la guancia, sopraffatta dall’emozione.

L’ultima mattina la trascorriamo osservando e ascoltando, a pochi metri di distanza, l’eco delle risate dei bambini che giocano con i loro fratelli sulle rive del fiume, mentre i genitori lavano i loro vestiti e i capelli. C’è chi fa il bagno e nuota nel fiume, e chi, come un uomo, un pò più in là, regge, verso il cielo, una ciotola d’acqua di rame, e la offre agli dèi cantando preghiere sacre. È strano. Viviamo in diversi contesti, in tempi diversi. Eppure qualcosa di noi resta fermo, immutabile. Non immaginavo che la mia connessione con l’India, ma soprattutto con il Ganga, sarebbe stata così forte. È come se il fiume della mia vita, fosse guidato da una forza imponente che mi dà il suo appoggio. Non importa cosa succederà nel frattempo, so per certo che questo fiume tornerà a fondersi con la mia anima. Ora so per certo che torneremo di nuovo in India, a cercare nuove risposte a domande di eternità che, fino a quel momento, terrò strette nel palmo della mia mano.

“In India si dice che l’ora più bella è quella dell’alba, quando la notte aleggia ancora nell’aria e il giorno non è ancora pieno, quando la distinzione fra tenebra e luce non è ancora netta e per qualche momento l’uomo, se vuole, se sa fare attenzione, può intuire che tutto ciò che nella vita gli appare in contrasto, il buio e la luce, il falso e il vero non sono che due aspetti della stessa cosa. Sono diversi, ma non facilmente separabili, sono distinti, ma non sono due. Come un uomo e una donna, che sono sì meravigliosamente differenti, ma che nell’amore diventano uno.” Tiziano Terzani dal libro “Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo”.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche