Trekking in Nepal
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Nepal – Makalu, Giro dei Tre Colli
Sherpani Col, m. 6193, West Col, m. 6183 Ampulapcha Col, m. 5845 ‘Alpinisti per caso’
12 Ottobre 2014 – Day 1: Firenze – Roma – Doha
Questa nuova partenza per il Nepal, a distanza di due anni dalla prima mi coglie in uno stato emozionale completamente diverso.
In mezzo c’è stato il ‘mondo’, almeno nel mio piccolo. In certi momenti, soprattutto in questi ultimi tempi mi è davvero sembrato di dover spostare delle montagne. Sarà forse per quello che ora l’idea di doverci anche salire sopra mi inquieta non poco. Inquietudine quindi, ma anche un certo distacco. Beh, si capisce non è più una ‘prima’. Poi parto da Roma, quindi in treno da Firenze, e la cosa suona un pò strana. Farò tappa intermedia a Doha, Qatar, appunto dall’altra parte del mondo, tre metri sotto il livello del mare, ma territorio bonificato ad hoc: ‘business is business’.
13/10/14 – Day 2 – Doha – Kathmandu
L’attesa per la connection che mi condurrà a Kmd è davvero lunga. Forse troppo. Sono le 4 (5 ora locale) del mattino (il decollo era avvenuto poco dopo le 22,39), in pratica non ho dormito e ho ancora nelle narici i miasmi del cibo propinatoci dalle anonime hostess della Qatar Airlines. Caldo a bomba e rimandi all’ ‘extraluxury’ dappertutto. È il mio primo contatto con il mondo arabo, o forse con certo mondo arabo. Preghiere e Mercedes/BMW/Porsche in uno sfarzoso aeroporto che si erge sul nulla.
Poi toletta, cappuccino take away a ‘soli’ 5 euro e l’incontro con il ‘gruppo’. Già perchè questa volta nn me la sono sentita di andare da solo e contemporaneamente alzare il tiro, nel senso di affrontare un trekking che si annuncia decisamente più alpinistico rispetto a quello fatto due anni fa. Dopo esserci presentati con gli altri compagni di viaggio, ognuno torna a cercare di riposare. Martino, il capo spedizione mi indica gentilmente i ‘separè’ che nascondono l’area relax con i lettini: almeno chiudo gli occhi per qualche attimo. Ma, all’imbarco per Kmd, con previsioni locali che danno pioggia e discorsi poco incoraggianti sulle sanguisughe…., colpo di scena: mi ritrovo in business. Ah però! Allora teniamocela buona e godiamoci l’ottimo e abbondante cibo, le graziose e servizievoli hostess e l’abbondante spazio intorno alla comoda poltrona.
L’arrivo all’aeroporto di Kmd è come al solito laborioso. Lunga attesa per il visto (mi raccomando 2 foto tessera e 40 dollari USA pronti nel portafoglio).
Una volta fuori c’è il pulmino ad attenderci e bisogna fare attenzione a consegnare il bagaglio alla persona giusta, confusa tra la marea di pseudo porta bagagli affamati di ‘tips’.
Arrivo allo stralunato Hotel pseudo occidentale, cena di gruppo nell’unico posto rimasto aperto nelle vicinanze, sono le 21,30 circa e per Kmd è piuttosto tardi.
Quindi, a letto, dopo aver composto le coppie in camera.
14/10/14 – Day 3: Kathmandu
Perdo subito il gruppo. Di nuovo Kmd da solo: spese folli e 95 rupie (1 euro 121,60, quindi 0,80 centesimi) per un ottimo pranzo con tre chapati indiani, ciotola di fagioli e coca. La sera ritrovo gli altri con cui ceniamo in un raffinato ristorante nepalese, questa volta per circa 800/900 rupie a testa (8 euro, bevande escluse), ma cenetta niente male, con tanto di danze e spettacolini tipici all’inizio del pasto. Con Martino, la nostra guida alpina italiana, che zitto zitto si è salito il K2, il Broad Peak e quasi il Manaslu (‘chapeau!’ direbbero I francesi…), escono i primi discorsi alpinistici, K2, Casarotto… ‘La fatica ti porta avanti, ti porta benessere, salute, ecc. Se stai fermo perdi tutto’, queste le profetiche parole riportate da Martino in relazione a certe teorie di alcuni suoi colleghi… Diciamo che tale concetto avrebbe poi trovato larga applicazione nel percorso che da lì a poco avremmo avuto modo di compiere nelle giornate successive…
15/10/14 – Day 4: Kathmandu m 1355 – Tumlingtar m 518 – Mane Bhanjyang m 1100
Seconda notte in Hotel a Kmd e ci manca poco che ci restiamo. Infatti con il mio giovane compagno di stanza, confidando sulle reciproche doti di mattinieri non abbiamo messo la sveglia. Sveglia di soprassalto e ‘rush’ mattutino per preparare tutto e farsi trovare pronti all’appuntamento per il carico dei bagagli e il trasferimento in bus all’aeroporto per il previsto volo a Tumlingtar (11.20), poi rivelatosi in ritardo di un’ora. Solita esperienza mistica per attraversare la città, sebbene protetti dal magico bus, costeggiando appena fuori il luogo per la cremazione delle salme e i familiari a bivaccare nel campo, immersi in traffico e smog. Insiste, almeno per me, lo stato permanente di amniotico ‘rimbecillimento’. Bene, orario previsto per il decollo direzione Tumlingtar da Kmd, ore 9,30. Orario decollo effettivo 14,10! Ma il ritardo nn era eccessivo, stando alle locali abitudini. Yeti airlines e hostess deliziosamente sorridente. In neanche 1 h di volo giungiamo a destinazione. Sarà che ormai comincio a conoscere questo paese, sarà che il mio stato di percezione è totalmente diverso ormai, ma questa area mi sembra subito molto carina. Veloce pranzo organizzato dalla nostra guida locale imbarcatasi con noi a Kmd e responsabile di una seria agenzia locale ed eccoci sulle jeep che ci condurranno sino a Mane Bhanjyang, in pratica ‘bypassando’ la prima mezza tappa prevista per oggi e metà della tappa prevista per domani. Giunti a destinazione troviamo montato il nostro primo campo. Oltre alla guida nepalese Lapka (4 volte Everest, 2 Cho Oyu, 2 Makalu, tra le altre ‘cosucce’) ci sono 4 sherpa, una ventina di portatori e lo staff composto da cuoco e quattro aiuti, oltre noi 10 (compreso Martino la guida italiana). Ed è così che tra un’aranciata calda e un the/coffie con tanto di biscottini preparati e serviti nella tendone mensa ci prepariamo ad affrontare la nostra prima notte in tenda in un clima tendente al tropicale.
16/10/14 – Day 5: Mane Bhanjyang m 1100 – Chichira m 1980
In realtà con le jeep saremmo potuti arrivare comodamente a Num risparmiandoci in pratica 2 gg e 1/2 di cammino. Ma per i soliti misteriosi motivi che paradossalmente si ripetono anche in un mega treck con mega guide come questo (avevo già vissuto qualcosa di simile nell’esperienza di due anni fa), ci ritroviamo a scarpinare per circa 1000 metri di dislivello fino a Chichira, con mega pausa pranzo (quasi matrimonio) a Bhotebas. La gente del posto mi sembra serena, belle persone e anche qualche bella casa, ovviamente per quello che è lo standard nepalese, che comunque a mio avviso resta un ottimo standard, se i parametri che indicizzano la qualità della vita vengono in parte rivisti. Noi siamo uno ‘spettacolo’ da vedere soprattutto per i più giovani. Tantissimi i bimbi e i ragazzi per i sentieri e le strade diretti alla scuola. Anche qualche mamma veramente veramente bella… e sorridente.
La notte è andata bene, a parte i latrati e i ringhi dei cani intenti ad azzannare i resti del nostro pasto intorno alle nostre tende. La cena della sera prima è stata roba da gran signori, anche troppo… Per certi versi l’ottima organizzazione della spedizione stempera in parte le aspettative di avventura del gruppo, ma siamo appena all’inizio. E comunque questa zona resta autentica e pochissimo frequentata.
Incontriamo una sola altra spedizione. Ho iniziato a conoscere il mio compagno di stanza/tenda, un giovanottone non ancora trentenne proveniente dal Giglio (si, proprio l’isola!), molto positivo e semplice. Durante la sosta pranzo ci indicano una fonte a pochi minuti dal punto sosta, verso l’interno delle coltivazioni (riso, orzo, forse tzampa), in cui è possibile darsi una bella rinfrescata, riequilibrando almeno in parte le ‘pecche’ mattutine.
In serata all’arrivo a Chichira m 1980, c’è la corrente elettrica! E vai con la ricarica dello smart, ormai quasi a zero…
17/10 – Day 6: Chichira m 1980 – Num m 1560
La cena della sera prima era molto buona, ma non è quello il fatto. Il problema è che questi primi due giorni a piedi ce li saremmo potuti tranquillamente risparmiare, ritrovandoci poi con giornate in più e preziose energie da spendere magari in momenti maggiormente necessari. Ma questi nepalesi hanno la testa veramente dura. Non c’è stato verso di far uscire una jeep, un trattore, niente… Trapela un pò di nervosismo nel gruppo e Martino appare contrariato. Comunque nuova sveglia al the nero alle 6,30 e poi velocemente in marcia. Ma la tappa di oggi non è eccessivamente impegnativa, a parte qualche cavalletta, ragnone e sanguisuga di troppo. In pratica dobbiamo risalire ancora ca 300 m per poi ridiscendere sino ai 1500 m di Num. Verso le 11 siamo già fermi per il pranzo! Siamo a Dauj La 2100 m. Bellino, ma insomma, siamo sulla strada e oltre i minuscoli insediamenti che via via si succedono nn c’è molto altro, a parte certo malcontento da parte di tutti per il ritmo blando impresso alla spedizione. Il clima umido, la continua tendenza alla pioggia e l’aria quasi tropicale non favoriscono un granchè la marcia. Pian piano si viene a scoprire che il vero ‘deux ex machina’ non è Mr Otto 8000, ma il cuoco. Un pò come in ‘Caccia a ottobre rosso’. In pratica dipendiamo da lui. È lui a dettare i tempi di marcia della spedizione. Questo a lungo andare avrà il suo peso e ognuno di noi si ritroverà a doverci fare i conti, nel bene e nel male, ma lo dico pur sempre con simpatia, intendiamoci. Verso le 13 riprendiamo il cammino e in circa 2 ore ‘scivoliamo’, è proprio il caso di dirlo, verso Num. E già, precipitiamo a ca 1500 m su un sentiero in mezzo ad un umida folta vegetazione dove sembrava di pattinare. Io finisco in terra più volte e per poco non spezzo un bastoncino, che però resta piegato. Num è un vero e proprio villaggio/città. Oltre ad arrivarvi in jeep ci sono dei lodge per dormire e vari posti per rifocillarsi. C’è addirittura la boutique del paese, più di una farmacia, negozietti di sport e addirittura di articoli d’elettricità. Ci sono un mare di bambini, carinissimi, di tutte le età, ma anche simpaticamente furbetti.
Al nostro arrivo incrociamo una studentessa/ricercatrice americana che sta qui già da due mesi per studiare la formazione delle fonti d’acqua e la loro funzionalità rispetto al territorio. Poi compare un ragazzo italiano, qui per conto di una ‘onlus’, a portare materiali per le scuole locali.
Il luogo è veramente carino. Verrebbe voglia di stabilirvisi e mi chiedo seriamente come potrebbe reagire la nostra psiche di fronte ad una scelta simile.
La sera poi prende una piega molto simpatica. Riusciamo addirittura a telefonare grazie alla ‘scoperta’ di Ruben, un partecipante della nostra spedizione, che trova un negozietto con un proprietario giovane e dolcissimo, padre di 5 bambini! che sorridendo accontenta tutte le nostre richieste per poche rupie. Qui la gente è fantastica, belle persone che mi sembrano piuttosto contente, se non addirittura felici. Dopo la cena, tornando con alcuni dei miei ‘soci’ a recuperare il mio ‘smart’ lasciato a caricare, di ritorno incontriamo di nuovo la ragazza americana e per poco non ne esce una serata danzante con l’arrivo in jeep di alcuni nepalesi, un tamburo e un pò di musica. Ma è tardi e domani dobbiamo partire presto: ‘good night’! Insomma i primi due giorni del treck se ne sono andati tra pranzi, cene, colazioni e the luculliani. La gamba l’abbiamo cominciata a sciogliere, senza dannarci. Ora si tratta di capire se il cuoco ci consentirà di provare a fare ‘sti benedetti tre colli…
18/10/14 – Day 7: Num m 1560 – Tashigaon m 2100
Oggi tappa durissima. In pratica discesa agli inferi e ritorno alla vita. Sì, perchè dai ca 1560 di Num siamo in pratica ridiscesi fino ai ca 800 m del fiume Sauna Dan Da, con partenza alle 6,30, (sveglia 5,30), come se nn bastasse sotto una pioggia piuttosto battente e un accenno di temporale. Il sentiero sprofondava nel vero senso della parola in una sorta di buco nero al cui fondo scorreva il fiume. Rocce rese viscide dall’acqua, pioggia battente, vegetazione fittissima e sanguisughe all’attacco dei nostri piedi in un clima caldo umido che ben spiega il nome del fiume: sauna.
Bagnati non si sa se più dalla pioggia, dal sudore o dal caldo umido, riprendiamo a salire cercando di riguadagnare a mo’ di rassegnati ‘Sisifo’ il costolone del lato opposto della montagna per cercare di issarci nuovamente, il più rapidamente possibile, almeno ai 1500 di Seduwa per mangiarci il nostro pranzetto al sacco e lasciare questa specie di giungla. Per fortuna smette di piovere e possiamo riprendere il cammino con più serenità, ma il tempo non è bello, purtroppo. Oltre alla spedizione nippo incontrata il giorno prima e accampatasi accanto a noi oggi incrociamo un paio di gruppi, il primo anglofano e il secondo di francesi che tornavano dal Makalu Base Camp a circa 5 gg di cammino.
In una delle soste in salita sotto la pioggia, in uno dei numerosi posti sosta/case indigene trovo una ragazza del posto, di passaggio diretta non so dove che mi offre delle banane: gentilissima e dolcissima, poi anche lei riprende il suo cammino con la sua borsetta ‘firmata’ e il suo abito buono. Ma le banane, evidentemente abbondanti da queste parti, resteranno un ‘leitmotiv’ dei prossimi giorni anche nella cucina del nostro ‘amato’ cuoco-guru. La sera verso le 15,45 arriviamo a Tashigaon, in cima al villaggio a circa 2100 m. Dormiremo tutti in un lodge, perchè la tappa è stata lunga (e massacrante direi…) e l’arrivo dei portatori con le tende è previsto per le 18. Insomma circa 8h di cammino e c’è chi sostiene addirittura 1700 m di dislivello. Il tempo di darsi una sciacquata e bersi qualcosa che subito riprende a piovere. Per fortuna almeno ora siamo al riparo. Scambio due parole con una coppia della savoia francese, ma capisco che anche loro stanno ridiscendendo senza aver combinato granchè a causa del maltempo. Fa freddo ed è umido. Vado a cercarmi un fuoco in una capanna accanto alla costruzione principale, dove un giovane ed un adulto guidati a tratti da una anziana sapiente signora, stanno cucinando riso, credo, e preparando altre verdure per la cena. Il fumo quasi soffoca, ma almeno c’è un pò di tepore e cerco di asciugarmi un minimo in attesa dell’arrivo dei portatori con le borse dei ricambi.
19/10/14 – Day 8: Tashigaon m 2100 – Kauma Danda m 3500
La cena del giorno prima è stata decente, allietata anche da un pò di birra (qui costa più che in Italia). La nottata l’abbiamo passata in una camerata tutti insieme, con gli ultimi portatori arrivati a notte fonda. La mattina finalmente ci svegliamo con il sole. Ne approfitto per radermi (rigorosamente alla cieca) e darmi una sciacquata. Colazione e partenza per quello che sarà un lungo giorno di cammino (tanto per cambiare…). Foresta e umidità continuano a farci compagnia. Partiamo prestissimo per poter arrivare a Kauma Danda m 3500 prima che faccia buio. Facciamo una pausa relativamente breve a Dhara Karka e poi di nuovo su per il ripido sentiero, in pratica continuo per tutto il giorno. Al lodge d’arrivo incontriamo una coppia di francesi che sta scendendo. Dicono che il tempo è stato così così e che al Base Camp del Makalù c’erano 20 cm di neve. Sono riusciti a fare una cima secondaria sui 5000, ma niente di più. Un paio di giornate di sole le hanno avute, ma freddissimo. Poi incontriamo una spedizione inglese di ritorno anche loro dal campo base del Makalù, ma nessuno ha fatto i tre colli! Comincio ad avere seri dubbi sulla riuscita dell’ ‘impresa’.
La sera uno dei portatori sta male ed ha bisogno del medico (fortunatamente nel nostro gruppo ce n’è uno, Paolo, piuttosto in gamba, mi pare). Anche uno dei nostri, Ruben, è un pò in crisi e patisce il freddo, tanto da preferire saltare la cena per restare in tenda (anche se poi un pò di cibo glielo mandiamo su). Cena al gelo e subito sotto la tenda, sotto il sacco a pelo. Siamo a 3600 e dobbiamo abituarci. Ultimi scampoli di vegetazione, ancora niente neve e gli insediamenti abitativi sono ormai rarissimi e molto piccoli. Oggi siamo saliti per circa 1580 e scesi per circa 80 (questi i dati forniti dal satellitare di Amgiad, uno dei giovani del gruppo, italo palestinese, attrezzatissimo ingegnere meccatronico).
20/10/14 – Day 9: Kauma Danda m 3500 – Dobate m 3860
La nottata è passata… caro Maestro Edoardo… Mattinata tutto sommata bella, ma con nuvolaglia in rapida ascensione. In pratica nei quattro gg di trekking sin qui trascorsi abbiamo fatto ca 4300 m di dislivello abbondanti e nn so più se 1000 o 1500 di discesa con una media di 6/7 ore al giorno di cammino. Nella ‘truppa’ serpeggia un pò di malcontento per il tempo e aumenta la consapevolezza che si sta trattando pur sempre di uno sforzo di una certa consistenza e che la buona riuscita è tutt’altro che certa. Martino ha il suo bel da fare per tenere alto il morale del gruppo e la sera prima ha dovuto sfoderare un salamino di una certa qualità… Ennesima ripida salita per arrivare al colle Tutu La Pass e al successivo Keke La per poi ridiscendere al lago Kalo Pokhari m 3930, sulle cui rive ci fermiamo per il pranzo, ma ricomincia a piovere, o meglio a nevischiare e anticipiamo forzatamente la ripresa del cammino con arrivo previsto a Dobate, m 3860 circa dove viene piazzato il campo per la notte in prossimità di un lodge, dove incrociamo un gruppo di tre coppie di cechi, anche loro di ritorno per aver rinunciato all’attraversamento dei tre colli. Troppa neve e tempo non buono. Dal passo attraversato vediamo il Makalù e l’area del Baruntse. Verso le 15 siamo a destinazione. Piove e ci infiliamo sotto le tende dopo altri 911 m di dislivello in salita e 672 in discesa. Il morale, va detto, non è altissimo. Ormai siamo in piena ‘trance trekistica’ e la soglia dei 4000, ormai vicina, ci proietterà in un’altra dimensione, sicuramente più alpinistica, per il deciso mutamento del ‘landscape’, non più alberi e mutamento radicale del tipo di vegetazione, e sterzata decisa nel clima, con l’umidità destinata a restare a valle.
21/10/14 – Day 10: Dobate m 3860 – Yangri Kharka m 3640
Ancora una partenza intorno alle 8 per arrivare verso le 11 a Nehe Kharka, m 3640 per l’immancabile pranzo che arriva con calma insieme al consueto nevischio. Trangugiamo sotto tende e ombrelli e intorno alle 13 ci rimettiamo in cammino per arrivare finalmente in un posto davvero bello, poetico: Yangri Kharka, m 3640 dove dormiremo. Avvistiamo i primi yak. Non c’è il sole, ma siamo accampati su un enorme prato fuori un lodge e una sorta di piccolo gompa. In questa zona del Nepal il Tibet e le sue consuetudini religiose appaiono più lontane. Su ogni passo ci sono si bandiere della preghiera e aste che segnalano il luogo, ma le costruzioni rituali che si ergono in prossimità dei villaggi o aggregati umani sono senza ruote della preghiera. Però sempre passare a sinistra. Siamo accampati in prossimità di un fiume, il Bacun che in pratica stiamo risalendo lungo la vallata che porta lo stesso nome. È festa grande, possiamo almeno darci una sciacquata diciamo un pò più ‘approfondita’ e fare un pò di bucato. Verso le 17 arriva un gruppo di tre giovani spagnoli direttamente dal campo base del Makalù, dove vi erano arrivati partendo da qui 2 giorni fa. Dormiranno e mangeranno al Lodge. Amgiad, il mio consulente al satellitare mi dice che abbian percorso ca 10 km, con 500 m di dislivello in salita e 700 in discesa.
22/10/14 – Day 11: Yangri Kharka m 3640 – Langmale Kharka m 4400
Settimo giorno di trekking. Ci svegliamo con comodo (6.30). La giornata promette bene e il sole non tarda a uscire da dietro alle montagne! Cambia la musica: siamo in una dimensione altra, alpina. Non più alberi, non più umidità. Primi segni di neve e sempre più radi e rari sono gli insediamenti con indigeni locali a tenere in vita I pochi punti di appoggio che incontriamo. Nel lodge dove ci siamo appoggiati per i pasti compare una bella donna nepalese, non più giovanissima e dal portamento signorile. Belle le facce anche del ragazzo poco più che ventenne e dell’uomo adulto che gestiscono il lodge.
La sera prima il nostro ‘Signore dei cuochi’ ci ha fatto gli spaghetti con una ‘sauce’ locale, un pò di verdure e delle ottime patatine fritte purtroppo ormai freddate.
A Roma forse, e dico forse, avrebbero avuto qualcosa a che ridire sul tempo di cottura della pasta.
Birra e coca (cola, s’intende) si trovano a prezzi non proprio bassissimi (300/500 rupie, 2,50/4 euro). Per l’acqua minerale in bottiglia invece niente da fare. Bisogna riempire le borracce e/o le bottigliette con acqua bollita presa dai torrenti e cercare di stemperarla in qualche modo (vitamine, additivi vari, ecc.).Vedendomi sfornito di borraccia e alle prese con bottigliette che si sformano con il bollore dell’acqua, Ruben si attiva a mia insaputa per acquistare una borraccia usata, poggiata là da qualche parte all’interno del buio lodge. Ed è così che me la propone dopo averne addirittura brillantemente trattato il prezzo (da 1200 a 300 rupie). Grazie a Ruben anche io ho la mia borraccia, che provvediamo almeno a disinfettare, bollendola. Se il nostro attuale premier, dovesse incontrare delle difficoltà, ecco, a mio avviso, una nuova proposta da parte nostra, pronta a sostituirlo… Sono due sere che ci propinano la pizza e sono due sere che fatichiamo a mangiarla… Io non ho più un solo muscolo che non mi dolga. Ho il terrore degli strappi e cerco di controllare alcune contusioni che mi provocano qualche disturbo in particolare sotto la pianta del mio piede destro. Piedi che ieri ho lavato e ringraziato per avermi condotto fin qui. Francamente il loro aspetto nn è dei migliori, poverini…., ma grazie! Con il sole Paolo ‘doc’ e Martino ‘guide’ sfoderano i pannelli solari che posizioniamo sul retro degli zaini per caricare gli apparecchi durante la salita. Salita che è godibilissima. Finalmente puntiamo decisi ai 4000 senza più ‘ripensamenti’. Questi continui saliscendi ci hanno davvero provato. Si sale per un comodo sentiero continuo, ma docile, con solo qualche strappetto. Il verde dei prati il grigio delle rocce e il bianco delle vette che spuntano ogni dove rendono il treck odierno godibilissimo. Verso le 11 raggiungiamo quota 4000 e ci fermiamo per il solito cinematografo del pranzo. Siamo a Tadosa. Puntuali arrivano i primi fiocchi trasportati dal vento. È giunta l’ora di riprendere il cammino. È buffo, sherpa e portatori che fino ad ora erano in affanno e puntualmente in ritardo, ora viaggiano come treni. Mentre noi dobbiamo forzatamente rallentare il passo per cercare di evitare spiacevoli sorprese con la quota. Verso le 15,30 siamo giunti a Langmale Kharka, quota 4.400, in pratica meglio della Vallot al M. Bianco, poco meno del Margherita al Rosa. Ha nevischiato per tutta la salita, ma il posto è molto bello, incastonato tra le montagne. C’è una costruzione principale, sorta di ricovero/lodge, gli immancabili murimani chorten della preghiera, prima e dopo l’insediamento, poi un paio di costruzioni secondarie, da una delle quali escono poco alla volta i residenti del luogo, un’anziana signora, due donne più giovani e un paio di uomini di mezza età. Ma soprattutto c’è una radio. Ed è così che salgono i primi Sherpa e ci spiegano con nostalgia che ora in Nepal c’è un festival, Tihar a conclusione di un precedente periodo festivalizio di 15 giorni. Quindi alzano il volume e ci mettiamo a cantare, o quantomeno a ‘salmodiare’ l’allegra filastrocca trasmessa per radio. Cominciamo a socializzare e mi diverto ad intervistare prima gli Sherpa e poi alcuni dei portatori che stanno al gioco, a loro volta divertiti. Di lì a poco ci ritroviamo a danzare insieme felici. Un bel pezzo di carne secca generosamente offertoci conclude il momento di festa. Così ci ritroviamo a sistemare il giaciglio per la notte che non tarda ad arrivare facendosi largo in una nebbia ostinata. Ma è già da qualche giorno che questi ragazzi che ci guidano e conducono gridano, cantano, scherzano e giocano felici, pur occupandosi dei loro compiti e alcuni portandosi dietro carichi impossibili per la buona riuscita del nostro bel trekking. Questo probabilmente grazie alla quota che li favorisce e forse grazie al clima di festa che giunge loro per il Festival che si sta per concludere. Che dire, pur essendosi instaurata una buona atmosfera all’interno del gruppo, ma anche della spedizione, in realtà mi rendo conto che, almeno per quanto visto sino ad ora, anche questo trekking si sarebbe potuto fare da soli. Certo, meno agevole e più severo di quello intorno all’Annapurna, ma assolutamente possibile, magari con un semplice ‘porter’ locale, ovviamente transito dei passi escluso, forse. Beh, ora sono in tenda rannicchiato sotto il sacco a pelo, unico modo per difendersi dal freddo, a scrivere queste poche note, in attesa di essere chiamati per la cena.
23/10/14 – Day 12: Langmale Kharka m 4400 – Campo base Makalù 4835
Mattinata incantevole, colazione da favola allietata da del formaggio e spek di provenienza nostrana. È veramente il primo giorno di bel tempo. Abbiamo dormito piuttosto bene e ci svegliamo prima dell’orario previsto. Alle 8 siamo in cammino e ci addentriamo in un vallone detritico stupendo incastonato tra cime innevate. Verso le 11 ci fermiamo per il pranzo. Siamo a quota 4700 m. Ci sistemiamo tra alcuni resti di un ricovero forse per bestie ma anche qualcosa di abitativo. Siamo di fronte al Cham Lung. La prima punta in basso è sui 6400 e la prima punta in alto che vediamo è oltre i 6700, poi ne seguono altre che però sono nella nebbia. Ci rimettiamo in cammino e in circa 2 ore giungiamo al campo base del Makalù, quota 4835, dopo aver sfiorato i 5000. Complessivamente circa 600 m di dislivello in salita e circa 130 in discesa. Diciamo che quest’ultimo tratto serve per mettere le cose in chiaro: non sarà uno scherzo, almeno per noi. Al Base Camp c’è una spedizione inglese che sta tentando una via al Makalù, la parete Sud Est, decisamente dura. Si intravedono dei puntini neri sul piano dopo la prima cresta, che poi si incamminano per ridiscendere nonostante ormai siano le 17 passate. Forse lì c’è il primo campo. Fa freddino, ma il tempo buono aiuta. Per ora tutti bene, salvo qualche piccolo mal di testa. Però la preoccupazione aumenta. Ora due tappe di avvicinamento e acclimatazione e poi le tre dure tappe decisive. Chi ce lo ha fatto fare? Passo e chiudo, low battery. 612 up, 132 down, 6 h
24/10/14 – Day 13: Campo base Makalù m 4835 – Swiss Base Camp, Campo degli Svizzeri m 5178
512 up, 123 down, 5 h pausa pranzo inclusa.
Cari Signori, qui non si scherza. Partenza verso le 8,30 dopo una serata e relativa cena abbastanza tranquilla. Ci ritiriamo verso le 9 e dormo come un sasso fin verso le sei, a differenza di qualche compagno a cui non sono tanto piaciuti i festeggiamenti fino a tarda notte dei nostri sherpa e della bella signorina che gestisce una specie di Lodge con un altro paio di persone. Mi dicono che la temperatura dentro la tenda sia scesa fino a -7, mentre quella all’interno del lodge con sherpa e signorina, immagino fosse decisamente più alta…, ma c’è il festival che finisce, che diamine! La mattinata è splendida. Il Makalù con i suoi 8473 m ci sovrasta imponente. Dopo una soleggiata ma ‘fresca’ colazione, ci incamminiamo con calma in uno scenario di incomparabile bellezza. Di lì a poco un elicottero alle nostre spalle plana verso il Makalù BC. La sera prima avevamo visto armeggiare in quota fino a quelli che presumibilmente erano i primi due campi della salita che stava provando la spedizione inglese. Le lucine delle frontali scendevano numerose fino a tarda notte. Martino ci spiega che probabilmente devono aver tirato via tutto per rientrare. Chissà forse un incidente o magari per troppa neve. La stessa neve che progressivamente incontriamo anche noi in quello che diviene sempre più un sentiero su pietraia, poi un misto ad aggirare il vallone verso il campo così detto degli svizzeri che si inerpica circa 400m più in alto. Ne viene fuori un tratto di misto, traverso, per niente banale, che Martino paragona a certo sentiero nei paraggi del Gonella per andare al nostro Bianco.
Poco prima di mezzogiorno troviamo una conca leggermente riparata dal vento, che, pur essendo sempre oltre 5000, ci consente di riposare e mangiare.
Come puntualmente riferitomi da Amgiad, ci danno a 5200 m.
Sudati tutti, credetemi.
Sino ad ora abbiamo salito 463m e scesi circa 54 m.
Il tempo sembra reggere, ma, almeno il sottoscritto è piuttosto provato.
Avevo sottovalutato la tappa che non mi aspettavo così infida e faticosa.
E forse non sono stato l’unico a sottovalutarla.
Durante la salita Lapka lo Sherpa guida che ci conduce ci mostra il versante opposto del Makalù, rispetto al primo avvistato, su cui lui salì insieme ad altri due Sherpa e due alpinisti ca 20 anni fa.
Poi compare il Lothse Sher e non é chiaro se sullo sfondo sia visibile anche la punta principale del Lothse, comunque tutto oltre gli 8000. Ancora pochi passi e improvvisanente compare L’Everest!
Confesso il briciolo d’emozione, che ambiente!
Posso assicurare che per dei comuni mortali e non alpinisti supermen, tutto ciò é nient’affatto banale.
Riprendiamo il simpatico traversino misto rocce e neve bagnata e dopo ancora un pò di salita scivolosa su un bel fondo ghiaione con torrente 6/700 m più in basso, toccata quota 5300 ridiscendiamo fino ai 5178 del campo dove passeremo la notte con le ns tendine montate sulla neve. Brrrr!
Nel pomeriggio proviamo gli imbrachi e lo jumar per le corde fisse. C’è il sole, per fortuna, ma il gelo ci attende nelle nostre tende in attesa della cena e, speriamo, del meritato riposo.
25/10/14 – Day 14 Swiss Camp/Campo degli Svizzeri m 5178 – Sherpani Base Camp m 5690
596 up, 91 down
Giornata abbastanza scioccante. Dobbiamo arrivare allo Sherpani Base Camp e lo facciamo dopo ca 5 h con un sentiero di traverso tutto pietre e neve. Io comincio a sentire la quota e sono inappetente. Pranziamo, si fa per dire, almeno per il sottoscritto, tra le pietre, ovviamente.
Alla sera i metri risaliti saranno quasi 600. Mettiamo giù le tende mentre nevischia. Serpeggia malumore, proprio ora che siamo alla vigilia del colle più importante. Francamente ritrovarsi in Himalaya, su 20/30 cm di neve, oltre 5500 metri di quota, in tendina con un bel nebbione e tanto di nevischio alla vigilia di quello che è l’attraversamento dei due colli più alti e impegnativi, oltre al successivo Ampu Lapcha, previsti per il trekking, non è esattamente il massimo. Qualcuno pensa anche di prendersi qualche Sherpa e tornarsene indietro qualora il tempo non desse chiari segni di miglioramento. Io mi ritiro nella tenda in attesa della cena, che arriva presto (17,30) in vista della levataccia (2,00) prevista per la partenza dell’indomani. Mi sforzo di buttar giù una minestrina. Ci guardiamo in faccia, c’é un pò di preoccupazione generale. Martino si avvale dell’apporto di Paolo ‘Doc’ per fare il punto della situazione e consigliare i medicinali più adatti a seconda dei disturbi avvertiti dai vari partecipanti della spedizione. A nanna presto. Non vi dico il freddo. La serata, nonostante il nevischio sembra però migliorare. A domani…
26/10/14 – Day 15: Sherpani Base Camp m 5690 – Baruntse Base Camp m 5435 M 6193 Sherpani Col; M 6183 West Col. 684 up, 389 down, 11,5 km
Partiamo alle 3,30 Ovviamente abbiamo dormito vestiti. Mettiamo su gli imbraghi, piccozza e ramponi e via, con le frontali. La salita è impegnativa: quota, pietre, neve, dislivello, buio, freddo. Procedere, bisogna procedere…, come sempre del resto, in montagna come nella vita.
Con le prime luci dell’alba siamo al tratto conclusivo della salita, quello attrezzato in precedenza dai nostri sherpa con le corde fisse. Attacchiamo gli jumar e ci issiamo al tratto sommitale del colle.
Il tempo regge, ma la lotta è contro il freddo specie per chi, come me, forse sta salendo con abbigliamento non esattamente adeguato. Mi riferisco alle scarpe (Meindl di cuoio nel mio caso) e ai guanti (dei North Face ‘doppi’).
Cerco di soffiare aria calda all’interno dei miei guanti battendo sia le mani che i piedi. Non sapete quanto mi penta di non aver passato più volte la crema sugli scarponi prima di partire (invece di una sola volta, perchè finita! Maledetta pigrizia….!) così da renderli maggiormente impermeabilizzati.
Un pò di neve e di umido ormai è entrato.
L’idea di mettere due paia di calze, per tentare di proteggermi dal freddo non è stata buona. La mancanza di spazio all’interno della calzatura non aiuta il piede e il risultato é che ancora oggi, a distanza di oltre due settimane, ho le dita centrali di entrambi i piedi come informicolite e parzialmente prive di sensibilità, quasi avessero avuto una ‘toccatina’ di congelamento.
Passerà, massaggini, impacchi acqua calda e santa pazienza, ma le calzature sono importanti e la mia scelta è stata troppo approssimativa.
Lapka infatti già da qualche giorno sfodera la tuta ‘Everest’ piumino integrale testa piedi che lo scherma e lo protegge da possibili sorprese dovute al freddo.
Siamo sullo Sherpani Col, m 6193. Forse l’obiettivo massimo di questo impegnativo tour: a questo punto è stato raggiunto. Ma devo dire la verità, il godimento è relativo, prevale la preoccupazione per l’imminente calata che ci attende e la successiva lunga traversata del nevaio/ghiacciaio fino alla risalita del West col sul fronte opposto e definitiva nuova discesa alla volta del Baruntse Base Camp dove pernotteremo.
La prima calata va, anche se non senza qualche problema generale.
Alla fine siamo tutti giù e in un modo o nell’altro riusciamo a guadagnare anche il secondo colle, questa volta riuscendo a calarci in maniera decisamente più dignitosa.
Ma non è finita qui. Il panorama è si spettacolare, siamo effettivamente immersi in quell’immensità di ghiacci, creste, picchi e ghiacciai che è la realtà Himalayana, ma davanti abbiamo ancora un percorso lungo e incerto fino al campo per la notte.
Vi arriviamo al buio, verso le 19, barcollando. Sfiniti dopo una giornata lunga più di 17 ore.
Troviamo riparo in una sorta di ricovero per attrezzi/lodge dove ci illudiamo per tutta la sera di poter chiudere una porta in realtà inesistente. A delimitare il dentro dal fuori all’ingresso della casupola c’è, infatti, un semplice e misero telo di plastica azzurro che sventola tristemente, sic! E purtroppo anche la copertura del ricovero è concepita nello stesso modo. Un telo e qualche palo di legno per non farlo volar via.
Brutte notizie: alcuni portatori hanno incontrato difficoltà. Almeno tre bagagli sono stati abbandonati e non arriveranno per la notte. Lo stesso per le tende. Alcuni carichi sono finiti in un crepaccio. Quindi dovremo da una parte aggiustarci per la notte e dall’altra pazientare l’indomani affinchè ‘porters’ e sherpa si adoperino per il recupero del materiale mancante. Il morale del gruppo non è al massimo. Alcuni di noi accusano dei problemi di stanchezza e freddo. Lapka ci dice che una tenda disponibile ci sarebbe e io, visto l’ammasso di corpi all’interno del suddetto ricovero, decido di approfittarne, anche se poi me ne pentirò per aver costretto allo sfratto gli sherpa che vi si erano sistemati nel frattempo. Il mio giovane compagno di tenda mi segue, ma i materassini non ci sono e inoltre dobbiamo ridistribuirci i sacchi a pelo doppi che ci eravamo procurati prima della partenza per maggior protezione, per darli a chi ne è sprovvisto, causa mancato arrivo del bagaglio. Risultato: notte tremabonda, con sacco a ‘peletto’ direttamente su neve ghiacciata, fatto salvo un ‘teletto’ in plastica a fare da misero filtro.
La mattina dopo siamo tutti vivi ma uno dei nostri ha dei problemi di inizio congelamento ai piedi. Bisogna chiamare l’elicottero.
27/10/14 – Day 16: Baruntse Base Camp m 5435 – rest day (giornata di riposo)
Il tempo per fortuna non è male. Ci attende quindi una giornata di forzato riposo per consentire ai portatori di recuperare il materiale disperso e /o abbandonato il giorno precedente. Attendiamo inoltre l’arrivo dell’elicottero per recuperare Ruben, a causa dei problemi ai piedi, e Sergio che lo accompagnerà per sostenerlo anche con l’inglese, nelle cure che lo attenderanno a Kmd. La giornata scorre veloce e surreale per certi versi, tra rasature, risciacqui, elicotteri e via vai di ‘porters’ affaccendati quanto affaticati. L’unica certezza è rappresentata dalla regolarità quasi paradossale dei pasti e dall’immarcescibilità del cuoco della spedizione. Riposo.
28/10/14 – Day 17: Baruntse Base Camp m 5435 – Ampu Lapcha Base Camp m 5526
Dopo la stralunata quanto sbrindellata giornata precedente (la prima e unica di riposo di tutto il giro), eccoci di nuovo in marcia per l’Ampulapcha Base Camp. Il tempo è bello e nonostante tutti gli inconvenienti del giorno precedente, viene fuori una tappa davvero godibilissima, in uno scenario splendido.
Sosta per il pranzo sulle sponde del magnifico lago Panch Pokhari e prosecuzione dell’impegnativo quanto soddisfacente traverso su percorso i parte misto fino all’incavo in cui sono state posizionate le tende in vista dell’impegnativo attraversamento dell’ultimo dei colli rimasti, l’Ampulapcha appunto, previsto per il giorno successivo.
Una volta in vista del campo, nonostante stanchezza quota e quant’altro, mi sento improvvisamente bene, pieno di forza e voglia di continuare. Martino mi fa un gran complimento, forse senza accorgersene, che ovviamente tengo per me.
Salita 392, Discesa 297, 6,93 km, 4h + 1,05h riposo
29/10/14 – Day 18: Ampu Lapcha Base Camp m 5526 – Chukung m 4728
Up 492, Down 1096, Sviluppo 11,4, Ore totali 11, Partenza ore 5 arrivo ore 16
Nuova partenza al buio con le lampade per attaccare subito l’ultimo dei colli: Amphu Laptsha m 5845. L’inizio è su pietraia misto a neve. Poi la salita si apre elegante e severa con la complicità del sorgere del sole. Ghiaccio, traversi, piccozza e ramponi, un suntuoso quanto sinuoso percorso che diventa puro divertimento, faticoso ma bello, fino alla parte sommitale, in parte attrezzata con corde fisse.Finalmente su.
Lo spettacolo impareggiabile, come del resto impareggiabile è stata l’intera salita.
Everest, Lothse, Cho Oyo, Makalu, Kangchenjunga, questi gl’imponenti 8000 visti durante la traversata, alcuni in lontananza, altri prepotentemente vicini.
Poi la calata. Più di 50 m per planare nel placido ghiacciaio/nevaio da dove parte la discesa, interminabile, in direzione di Chukung, m 4728, dove arriviamo quasi a buio, tramortiti da quasi 11 ore di traversata, almeno per noi, estremamente impegnativa. Ci danno qualcosa di simile a una stanza, attraversando ricoveri di yak, nella notte, ma per noi è quasi una reggia, dopo quasi due settimane di tenda. Mi riconnetto con il mondo e, come ormai so bene, al mondo non importa assolutamente nulla di riconnettersi con me, ma francamente non è che la cosa abbia tutta questa importanza.
Giovedì 30/10/14 – Day 19: Chukung, m 4728 – Nanchebazar m 3447
Dopo la prima notte in un letto, da qualche giorno a questa parte, anche l’orrida stanzina dove ci hanno infilato la sera prima, pur sempre al freddo e al gelo, ci sembra ottima. Siamo reduci da una giornata massacrante, ma quanto ci aspetta oggi non è da meno. Dobbiamo recuperare sui tempi previsti dal programma originale e quindi dobbiamo fondere due tappe in una. Ecco il dettaglio a fine giornata: dislivello in salita 719; dislivello in discesa 1934; Km 27,2; ore totali effettive 7’33’. Partenza da Chucung 8,15; arrivo Nanchebazar m 3447, 17,30. Non dico altro. Solo che sono in pessima forma. Mi sembra di avere la febbre e non ne posso più di mangiare le solite cose, quindi all’ora di pranzo mi sdraio in terra e cerco di dormire un pò, rifiutando il cibo.
Le continue salite sono massacranti. Mi passano avanti tutti e le faccio con il piumino indosso! Non so neanche io come quando e perchè, ma alla fine arriviamo. Ci infiliamo, pretendendolo, in un lodge decisamente migliore. Ormai siamo in basso (si fa per dire) e puntiamo tutti ad una cena finalmente ‘libera’, ma il cuoco ricompare e si aggira furtivamente nel locale cucina del lodge che ci ospita. Il tempo passa, temiamo per il peggio, ma alla fine ci spariamo una cenetta mitica. Niente doccia, ma dormita solenne che ci attende. Mi riconnetto in rete per la seconda giornata consecutiva.
31/10/14 – Day 20: Nanchebazar m 3447 – Lukla m 2858
Dormito da favola in un vero letto. Bagno con specchio: ci si rade! Pazienza per la doccia (che non c’è). Come dice Amgiad, se mettiamo una rosa fresca in stanza dopo un quarto d’ora la troviamo stecchita. Ma se la mettiamo accanto a un ‘porter’ ? Lasciamo stare… Ieri sera cenetta finalmente neutra, ma il cuoco non molla. Stamani si è di nuovo presentato con le sue pietanze ed i suoi piatti di ferro persino nella sala pranzo del lodge dove abbiamo pernottato. Io sono uscito presto e ho comprato qualche cornetto e altre paste da assaggiare, di nascosto dal cuoco… Breve visita a questo opulento (per il Nepal) villaggione turistico e appuntamento alle 9,30 per mettersi in cammino per Lukla, 5/6 h di cammino previste, dove domani ci imbarcheremo, si spera, per Kmd. Alle 16,30 siamo a Lukla. Oggi ho recuperato la forma e quasi non ho patito, ma i dati sono i seguenti: Dislivello in salita 949; dislivello in discesa 1294; distanza percorsi Km 27 7,20′ effettivi movimento; 1,05 sosta Lukla altitudine M 2858. Partiti 9,00. Arrivati 16,30.
Il trekking (se di trekking si può parlare!) è finito. Averlo visto sulla carta è un conto. Averlo fatto è decisamente un altro. Due pacche sulle spalle tra tutti. Sistemazione in un lodge così così, ma Lukla non è granchè e chiusi nella sala pranzo per riprendersi dallo sforzo, aspettiamo cena e ‘festa’ finale con tutti i membri della spedizione (‘porters’, Sherpa, guide, ecc.) per distribuzione mance, indumenti, ecc.
Domani in aeroporto alle 8. Volo previsto ‘verso’ le 9. Staremo a vedere se riusciranno i nostri eroi.
Un’ultima cosa: sono contento di aver optato per questo itinerario, perchè dopo aver toccato con mano la realtà del Kumbu, vallata percorsa al rientro, pregna di un turismo esasperato, quasi snaturata da quella che è la realtà nepalese, decisamente più delicata e sognante, quale quella che abbiamo potuto assaporare durante il nostro trekking soprattutto nella parte iniziale, sicuramente sarei rimasto contrariato e insoddisfatto nel fare ad esempio un’ascesa del tipo dell’Island Peak, alla fine anche meno significativa, forse, rispetto al nostro percorso alpinistico compiuto.
1/11/14 – Day 21: Lukla m 2858 – Kathmandu m 1355
Le danze della sera precedente hanno appena mitigato il sottile senso di disagio per la nottata in un lodge appena qualche punto dietro quello di Nanche e il lieve, si fa per dire, senso di inquietitudine per l’aereo da prendere. Primo, l’aeroporto ‘Tenzin Hillary’ di Lukla è sulla ‘black list’ in fatto di incidenti. Si tratta infatti di una sottile quanto breve striscia di asfalto rigorosamente in pendenza, alla ‘nepalese’ potrei dire, e poi stando alla situazione generale, siamo esposti a qualunque agente del tempo atmosferico (nebbia, vento, pioggia, ecc.), per non dire organizzativo e la ‘frittata’ sarebbe presto fatta. Lukla infatti, a parte l’aereo, in alternativa, dista tre giorni di cammino e uno di bus da Kmd. Sveglia alle 7,00 colazione 7,30, con ormai tutto l’apparato della spedizione in smobilitazione, e alle 8 tutti pronti per andare in aeroporto, ma di aerei neanche l’ombra. Ci dicono che da Kmd non decollano per una perturbazione. Scrutiamo il celo. C’è il sole, ma anche una certa consistente nuvolaglia. Mah!
Verso metà mattinata, mentre siamo intenti a passeggiare nervosamente tra le stradine di questo surreale villaggetto, il suono di una sirena ci avverte che la situazione voli da Kmd è fortunatamente sbloccata.
Arrivano i primi aerei. Tre sono le compagnie abilitate. Noi dovremmo essere imbarcati con il terzo volo della Yeti Airlines, dei cui aerei in atterraggio però neanche l’ombra. Con i più giovani del gruppo ci mettiamo lì a scrutare il cielo nella speranza e attesa di avvistare uno dei ‘nostri’ aerei. Sembriamo dei bambini che giocano a una specie di ‘nascondino’ in attesa che la mamma li chiami per il pranzo. Intanto Lukla, tra elicotteri, aerei, ardite manovre di atterraggi e decolli, nonchè monossido di carbonio ‘a palla’ cala la maschera e svela la sua vera identità.
Noi sempre più agitati cominciamo ad accerchiare il povero Lapka, Sherpa guida responsabile, ormai quasi unico superstite della spedizione in rappresentanza della locale agenzia con cui abbiamo compiuto l’intero percorso.
Nervosismo alle stelle, ormai è quasi ora di pranzo, si scopre che Yeti nella fattispecie non esiste, ma è Sata la compagnia con cui dovremmo volare. Non riusciamo a capire (tanto per cambiare) perchè sono quasi le 12 e siamo ancora nella terrazza del lodge sovrastante l’aeroporto e non nella sala d’imbarco!
Inutile chiedersi come potesse essere possibile farci essere pronti per le 8 a fronte di tutti gli sviluppi che stavano emergendo a riguardo e in considerazione di un volo che avrebbe dovuto essere prenotato da mesi (noi ci eravamo fatti il Khumbo in due giorni pur di presentarci puntuali all’appuntamento: questo è il Nepal, prendere o lasciare.
Beh, con l’ansia appena lievemente calmata, non facciamo in tempo a sederci per mangiare qualcosa che ricompare la signora di prima per comunicarci che di nuovo da Kmd i voli sono temporaneamente sospesi.
Di nuovo angoscia, agitazione, quasi saltiamo alla gola del malcapitato amico Lapka, il quale si attacca al telefono a sua volta con il proprio boss che da Kmd cerca di tranquillizzare noi tutti dicendo che i voli sono regolari. Quando tutto sembra precipitare, non sappiamo bene perchè e per come qualcuno da ordine di portare i nostri bagagli in aeroporto invitandoci a recarci presso la sala imbarco: sembra fatta, sono circa le 14.30. Sembra… Infatti una volta nella sala d’imbarco scopriamo che il nostro non era il terzo volo della compagnia preposta, ma la terza serie di voli degli aerei (4) componenti la flottiglia della compagnia presso la quale ci hanno prenotato. Quindi ancora, attesa, ansia per almeno un paio d’ore scrutando il cielo in attesa dei nostri ‘aerei’. Alla fine, tra una confusione generale e un tifo quasi da stadio dei fortunati passeggeri arrivati al fatidico attimi del volo, parte dei nostri bagagli sono stati indirizzati sul carrello preparato all’esterno per l’imbarco. Io mi ritrovo ad inseguire e cercare il mio bagaglio che era improvvisamente scomparso dal mucchio. Tra grida, fasi concitate, richiami da parte dei compagni, alla fine qualcuno mi spiega che, per ragioni di peso, alcuni dei bagagli sono stati trasferiti ad uno degli elicotteri sempre diretti a Kmd. Speriamo bene! Comunque siamo già oltre le 16 quando riusciamo davvero ad imbarcarci per il paventato decollo. Ma a quel punto saremmo partiti anche volando a pedali… Una ventina di posti, aereo semi manuale per la maggior parte dei comandi, e via per l’impervida, breve e scoscesa pista di decollo mozza sull’enorme strapiombo che apre sulla vallata circondata dai monti da aggirare prima di stabilizzarsi sulla rotta per Kmd. Rapidi segno della croce, da parte di alcuni, riti scaramantici da parte di altri e che il buon Dio ce la mandi buona.
Una volta stabilizzata la rotta però ecco che l’impareggiabile scenario della catena Himalayana si svela visibile dai posti di seduta sulla destra del veivolo. Montagne spettacolari, autorevoli quanto imponenti e poderose.
Una sola parola: magnifico, sempre riusciremo a raccontarlo però…
In ca 45′ con un ‘morbido’, si fa per dire, atterraggio eccoci di nuovo al Kmd International Airport. Una comoda navetta è pronta ad attenderci per accompagnarci all’hotel. I bagagli mancanti arriveranno poi in serata e, udite, udite, arriveranno davvero, miracolo nepalese… È fatta! In albergo ci sono un paio di gruppi italiani accompagnati da guide amiche di alcuni dei nostri. C’è anche un forte alpinista connazionale, uno dei primi ad aver affrontato tutti gli 8000 senza ossigeno, che si sta dando da fare per organizzare qualche bella futura spedizione per i suoi clienti. Ritroviamo anche i nostri compagni evacuati con l’elicottero. Purtroppo la situazione di uno dei due è piuttosto seria, ma le pronte e specialistiche cure del reparto apposito dell’ospedale di Kmd sembrano aver scongiurato il peggio. Volerà regolarmente anche lui in Italia con il resto del gruppo e proseguendo le apposite cure in qualche mese tornerà a posto, senza conseguenze permanenti, per fortuna.
Una doccia salutare e salvatrice e subito immersi nel caos inquinato dell’elettrizzante e affascinante Kmd per tentare di sfruttare questo ultimo scampo di giornata in attesa dell’ ‘ultima cena’ che ci concederemo tutti insieme in un ottimo ristorantino in piena Thamel. Poi il magico letto di un albergo per noi a questo punto da favola. Grazie di essere tutti riuniti dopo quella che per noi alla fine è stata una vera e propria ‘impresa’ e buonanotte!
2/11/14 – Day 22 Kathmandu – Doha
Dormita da sogno. Pulito e profumato come non mai mi sveglio presto con il pensiero di far quadrare i conti della valigia. Lauta colazione. Grazie a Martino prendiamo contatti anche con il suo altrettanto forte e un pò piu giovane collega per possibili nuove esperienze Himalayane. Poi la polvere e lo smog di Kmd mi avvolgono in un ultimo abbraccio tra i consueti mille colori, suoni e profumi che non mi farebbero mai lasciare questa iperbolica città. I commercianti antepongono la loro machiavellica dolcezza alla furbizia che li contraddistingue e il portafoglio si svuota allegramente. A mezzogiorno torno in affanno all’hotel per andare a pranzo tutti insieme invitati da Ngima Dendi Sherpa il grande boss dell’agenzia che ha organizzato il nostro tour nepalese per conto del gruppo italiano a cui mi sono accodato e con la quale alla fine possiamo dire di esserci trovati molto bene. Pranzetto gustosissimo innaffiato da birra abbondante per aiutarci a dimenticare qualche piccolo inconveniente occorso durante il tour. Saluti brindisi, sogni di nuove future e ancora più impegnative spedizioni, poi valige in furgone e via in aeroporto. Persino Qatar Airlines è in ritardo, ma per fortuna niente di preoccupante. Si torna a casa, ahimè. Grazie a chi ci ha saputo guidare, ai miei compagni di avventura, tutti uomini, e donne, comuni, alpinisticamente parlando, come il sottoscritto del resto, ma tutti tosti e assolutamente non disposti a mollare spronati dalle bonarie quanto risolute ‘scudisciate’ del Martino. Sicuramente un’esperienza preziosa concessa a noi tutti. Si vola verso Doha.
Lunedì 3/11/14 – Day 23: Doha – Roma – Firenze
Dopo una nottata a fare su e giù per l’aeroporto di Doha ci si imbarca per le rispettive destinazioni, Milano e Roma per il sottoscritto. Qualche ora di sonno, navetta per Termini e di nuovo buffamente in treno per Firenze dove arrivo in mattinata.
Alla prossima, speriamo.
Per chi volesse, c’è un video della spedizione disponibile su youtube http://youtu.be/YTwdPJ9Bqnk