La nostra bell’Italia
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A fine novembre la scelta sarebbe dovuta cadere su una delle tante cittadine trentine o austriache che già sfoggiano gli addobbi natalizi e ospitano nelle proprie piazze i pittoreschi mercatini di Natale. A volte però viene a mancare quell’entusiasmo che dovrebbe precedere la festività più importante dell’anno e si sente il bisogno di sfuggire dalle tradizionali mete per esplorarne delle altre, inconsuete per il periodo. Questo è accaduto a noi, ma non siamo rimasti certo delusi dalla breve vacanza sospesa tra la Romagna di San Leo, le Marche di Gradara e Urbino, l’Umbria di Gubbio e la bassa Lombardia di Mantova.
Scoprire borghi, castelli, palazzi, musei senza preoccuparsi di code, traffico caotico, irritanti comitive di turisti giapponesi e usufruendo di generosi sconti sui pernottamenti, si è rivelata l’alternativa vincente. Per non parlare poi dell’emozionante magia che abbiamo provato visitando le splendide grotte di Frasassi con soli altri quattro avventurieri. Sì, perché è così che ci si sente addentrandosi tra gigantesche stalagmiti e selve di stalattiti pendenti dalla roccia, ascoltando in completo silenzio il ticchettio delle gocce d’acqua che precipitano in un laghetto o su una colata di bianca calcite. Disegno quest’itinerario, tempestato di storia, arte, buona cucina, attrazioni naturali e suggestivi paesaggi collinari nella nostra bell’Italia, con la certezza che anche voi ne rimarrete estasiati.
26 NOVEMBRE
Nell’antico territorio del Montefeltro sorge un borgo medievale appollaiato su un masso roccioso talmente alto e appuntito, che viene da chiedersi se i primi abitanti non avessero voluto autopunirsi isolandosi in quella panoramica prigione. Non fraintendetemi, il luogo è davvero incantevole e oggi raggiungibile grazie a una comoda strada incastonata nella pietra, ma centinaia di anni fa non appariva di certo così ospitale. Nonostante tutto, uno scampolo di uomini decise di arrampicarsi fin lassù per dare inizio alla storia di San Leo le cui successive vicende la videro diventare capoluogo della contea di Montefeltro (territorio a cavallo tra Emilia Romagna, San Marino, Marche e Toscana) e persino Capitale d’Italia. Non solo, personaggi illustri come Dante e San Francesco d’Assisi scelsero di trattenersi fra queste impervie colline e non si può dar loro torto quando si ammira lo splendido panorama che dalle montagne degrada fino al mare. Purtroppo la nebbia ha guastato le nostre vedute sulla vallata del Marecchia e la magnifica visione del Forte di cui avremmo dovuto godere avvicinandoci al paese. Pazienza vorrà dire che ci torneremo, magari approfittando di uno di quei caldi week-end primaverili che permettono d’inaugurare l’arrivo della bella stagione con il primo tuffo in mare nella vicina Rimini.
Entriamo a San Leo attraverso la volta in pietra, abbandonando l’asfalto per procedere sui sampietrini, e la prima dimora d’interesse storico che incontriamo è il Palazzo della Rovere, ora sede del Municipio ma un tempo elegante abitazione delle famiglie al vertice del Ducato di Urbino e della provincia Feretrana. Costruito da Francesco Maria II nel ‘600, dell’edificio non passano inosservate le finestre sormontate dagli elaborati frontoni e il portale abbellito dai conci (blocchi di roccia squadrati) bugnati (indica una particolare tecnica di lavorazione).Pochi passi e davanti a noi si apre la piazza, al centro della quale fa bella mostra di sé la fontana costruita nel 1893 in ricordo dell’olmo di San Francesco che un tempo cresceva proprio in quel punto. Lì intorno si affacciano il Palazzo Mediceo e la Pieve di Santa Maria Assunta.
Del primo, edificato nel XVI secolo per il Governatore del Montefeltro e che oggi ospita il Museo d’Arte Sacra, l’archivio storico, la Biblioteca e l’ufficio turistico, attira l’attenzione lo stemma di Firenze raffigurante un Giglio inciso in una pietra e sistemato sopra l’ingresso principale. La seconda, cristianizzata da Santo Leone nel lontano III secolo, è famosa per essere il monumento religioso più antico di tutto il Montefeltro. Le variazioni di tonalità dell’esterno che spaziano dal bianco, al grigio, fino al marrone, testimoniano l’utilizzo di diversi tipi di materiale come i conci di arenaria, le pietre e il calcare. L’abside principale è affiancata dalle due più piccole secondarie e il tutto è scandito dalla presenza discreta delle lesene e da archetti che corrono sotto il cornicione.
Proseguendo verso il belvedere con l’immancabile monumento ai caduti, la Cattedrale di San Leone impone la sua possente presenza grazie a una struttura simile, se pur più grande, a quella della vicina Pieve. La colorazione risulta omogenea dato che per edificarla è stata utilizzata esclusivamente roccia arenaria le cui calde sfumature rientrano tra il giallo oro e il marrone chiaro. La particolarità di questo edificio sta nel fatto che nasconde i resti di un’altra chiesa risalente al VII secolo, sulla quale fu costruita l’odierna Cattedrale riconsacrata nel 1173. L’intero complesso è sorvegliato dalla Torre a pianta quadrata che sembra elevarsi dalla rupe come se ne fosse un tutt’uno visto che i conci sono stati sapientemente sistemati gli uni sopra gli altri per formare una struttura solida e compatta. Anche qui vi è nascosta una costruzione, di forma circolare che si arrampica fino all’alloggiamento delle campane, probabilmente utilizzate per il vecchio Duomo. Nel corso dei secoli inoltre, la Torre ricoprì i ruoli di postazione militare e nascondiglio per gli antichi canonici.
Lasciamo per ultimo la visita, se pur semplicemente dall’esterno, del famoso Forte simbolo di San Leo. Man mano che si sale lungo il ripido sentiero fino al punto più alto del monte, ci si accorge che i romani non avrebbero potuto scegliere luogo migliore per realizzare una prima fortificazione, sia per l’ovvia predominanza sul territorio circostante che per la naturale conformazione incredibilmente verticale della roccia che lo costituisce. La roccaforte militare che ammiriamo oggi, sede di un Museo che espone armi antiche e di una pinacoteca, è di origine rinascimentale ma come ho prima accennato le sue vicende sono molto più lunghe e burrascose. Ampliata, modificata, ridisegnata secondo l’avanzare delle tecniche di guerra, passata di mano in mano alle famiglie potenti dei differenti periodi storici e controllata dal Ducato di Urbino e poi dallo Stato Pontificio. Nel 1631 fu convertita a carcere e servì da prigione per illustri personaggi come l’avventuriero e alchimista Conte di Cagliostro e il patriota Felice Orsini.
Per ulteriori informazioni su dove mangiare e dormire, cosa fare e vedere a San Leo e il calendario delle manifestazioni, visitate il sito internet: http://www.san-leo.it/.
A pomeriggio inoltrato arriviamo su un colle marchigiano, poco distante dal confine romagnolo e dal litorale adriatico, conosciuto fin dai tempi dei romani e divenuto strategicamente importante in epoca medievale. La torre principale (risalente al XII secolo) e la successiva roccaforte ospitarono le potenti famiglie Malatesta, Borgia, Sforza, Medici, Della Rovere, che fecero la storia di questa parte d’Italia. Come avrete capito la meta è il Castello di Gradara, protetto da ben due cinte murarie la cui esterna ingloba un pittoresco borgo medievale pieno di accoglienti ristorantini e negozi di souvenir.
Al cuore della fortezza si accede grazie a un ponte levatoio che ci catapulta nella bella corte quadrata con l’immancabile pozzo e circondata su tre lati da un alto porticato che in parte continua fino al primo livello. La visita inizia dalla Sala della Tortura, alla base del mastio, dotata di una cisterna protetta da una grata di ferro che fungeva da riserva idrica. Un tempo questo locale era raggiungibile solo tramite una botola attraverso la quale veniva calata una scaletta dalla Sala del Mastio, posta al piano superiore e nella cui fascia dipinta sotto il soffitto si ammirano i motivi araldici malatestiani. La Sala del Mastio è il principio di uno splendido susseguirsi di stanze che testimoniano il passaggio delle diverse casate nobili e ne narrano le vicende.
La Sala di Sigismondo e Isotta è chiamata così per i ritratti rappresentanti Sigismondo Malatesta signore di Rimini e la moglie Isotta degli Atti. Ad abbellire l’ambiente vi sono i simboli ispirati all’araldica della famiglia Malatesta (la rosa a quattro petali, la scacchiera, le tre teste, la M goticizzante, le lettere intrecciate SI) e il soffitto ligneo a cassettoni riportante gli stessi motivi. La Sala della Passione è il contenitore di splendidi dipinti sulla Passione di Cristo come la lavanda dei piedi, la cattura di Cristo e la flagellazione. Il Camerino di Lucrezia Borgia è un piccolo locale con soffitto a volta; la sua iniziale funzione militare fu convertita a uso domestico e questo lo si capisce dalle pitture, se pur danneggiate, che lo impreziosiscono. Si continua per la Sala del Leone Sforzesco che deve il suo nome al leone rampante delle decorazioni murarie simbolo, insieme al ramo di cotogno e alle ali di drago, della casata degli Sforza da Cotignola. Nella Sala del Cardinale, probabilmente destinata a ospitare personaggi ecclesiastici illustri, si ammira lo stupendo baldacchino intagliato e dorato che custodisce un letto, vero e proprio manufatto tirolese, mentre nella Sala dei Putti colpiscono le decorazioni a fasce orizzontali contenenti grottesche, medaglioni e i giochi dei putti, ovvero dei bambini. La Sala Rossa è un tripudio di calde tonalità, da quelle più sfumate delle pareti a quelle rubino dei tessuti, inoltre contiene bei mobili d’epoca come il tavolo ottagonale, la poltrona e il letto. Non passano inosservate le scritte ‘MALEDICTUS HOMO’ e ‘QVI CONFIDIT IN HOMINE’, sopra i due portali collocati ai lati opposti della Sala del Consiglio, che riflettono la cattiveria dell’uomo. Tristemente romantica la Camera di Francesca in quanto, intorno al 1920, l’allora proprietario della rocca decise di ricostruirvi le vicende di Paolo e Francesca. I due cognati, amanti, uccisi per gelosia dal marito di lei, secondo il V canto della Divina Commedia di Dante Alighieri sono condannati al fuoco eterno dell’inferno nel cerchio dei lussuriosi per aver ceduto alla passione. La visita del piano nobile si conclude con la Sala di Giustizia il cui nome dipende dal grande rilievo intagliato e dipinto che riproduce i sette arcangeli; stupendo anche la Pala di Giovanni Santi con la Madonna e il bambino seduti sul trono e i santi.
Prima di abbandonare il colle di Gradara non bisogna dimenticarsi di salire sulla cinta muraria merlata che abbraccia il borgo per compiere il camminamento di ronda e fingersi antichi cavalieri che vegliavano sulla fortezza, proteggendosi dietro le torrette che a intervalli regolari scandiscono le mura e scrutando l’orizzonte (nebbia permettendo!).
Per tutte le info visitate il sito del Castello: http://www.castellodigradara.org.
CONSIGLI PER MANGIARE E DORMIRE NEI PRESSI DI URBINO
La sera raggiungiamo la Tenuta Santi Giacomo e Filippo, a dieci chilometri da Urbino, dove al suo interno sorge l’Urbino Resort, uno splendido hotel ricavato nei sei edifici ristrutturati che componevano l’antico borgo intorno all’abbazia omonima. Immerso in un curatissimo paesaggio rurale capace di allietare corpo e mente, il resort offre una piscina all’aperto e un centro benessere oltre agli infiniti spazi dov’è possibile passeggiare e andare in bicicletta. In verità il luogo sarebbe stato al di sopra della nostra portata ma visto il periodo di bassa stagione, su Booking.com abbiamo trovato una offerta estremamente vantaggiosa. (Sito internet: www.tenutasantigiacomoefilippo.it/it/urbino-resort).
Non si può venire nelle Marche durante il mese di novembre senza assaggiare i piatti a base di tartufo, il prezioso tubero bianco o nero dall’odore pungente e il sapore inconfondibile, così abbiamo scelto l’agriturismo La Tartufara nelle vicinanze dell’albergo e immerso nei boschi dai quali si ricava questo pregiato prodotto. I piatti sono cucinati al momento e hanno porzioni generose, il rapporto qualità prezzo è buono e col proprietario si può discutere delle diverse specie di tartufo e dei cani addestrati per la cerca. (Sito internet: www.locandaurbino.com/it)
27 NOVEMBRE
URBINO si staglia prepotente su due colli ripidi ed elevati emergendo da un paesaggio boschivo dove i prati e i campi coltivati sembrano ritagliarsi faticosamente uno spazio. Una giornata di pioggia accoglie il nostro ingresso in città dove il grigiore della nebbia è presto dimenticato grazie alla vivacità che la contraddistingue essendo il maggiore centro accademico delle Marche. In effetti, per vivere qui è meglio essere giovani viste le pendenze impegnative che raggiungono le strade e gli stretti vicoli che serpeggiano tra le case adibite ad appartamenti per studenti, le università e le innumerevoli opere d’arte dislocate per tutto il borgo.
Si parte dalla Chiesa di San Francesco del XIV secolo, sull’angolo tra Via Raffaello e Piazza della Repubblica, ammirandone il campanile gotico e il porticato per poi spingersi fin sotto all’altare dietro cui è esposta la grande Pala di Federico Barocci raffigurante il ‘Perdono di Assisi’.
Poco distante dalla chiesa, in un edificio quattrocentesco semplice e lineare, si trova la casa natale del celebre pittore RAFFAELLO (1483-1520) massimo esponente del Rinascimento e interprete di una nuova bellezza, classica, ideale, a tratti giocosa concretizzata nei suoi dipinti e capace di trasmettere serenità a chi la osserva. Oggi la casa, sede ufficiale dell’Accademia Raffaello, è visitabile e colpisce per la sua semplicità e l’intimità dei locali. Bella la Sala Grande, il salone principale da ricevimento con il soffitto ligneo a cassettoni, il grande camino in pietra e due finestre con il tipico ‘sedile urbinate’. Suggestiva la Stanza dell’Affresco che espone l’affresco della ‘Madonna col Bambino’ originariamente nella Sala Grande e successivamente rimosso e collocato in questo ambiente; eleganti sono l’arredamento, le ceramiche, il tavolino e i mobili in noce finemente decorati. Nel cortile interno, risultato dall’unione dell’abitazione della madre di Raffaello con quella del padre dopo il matrimonio, è curioso notare: le pietre e il lavabo utilizzati dagli aiutanti del pittore per raffinare i colori e il pozzo, indispensabile a quei tempi per l’approvvigionamento idrico.
Fortunatamente la pioggia ha lasciato spazio a un timido sole così percorriamo l’intera Via Raffaello fino a Piazzale Roma al centro del quale si erge il monumento dedicato al pittore urbinate. Da qui si passeggia in pianura sino al Parco della Resistenza per godere di una magnifica vista sulle colline circostanti che divengono in lontananza rilievi montuosi e sull’imponente complesso del Palazzo Ducale e della Cattedrale, nostre prossime mete.
Scendiamo lungo stradine e scalinate nascoste al consueto flusso turistico per arrivare in Largo San Crescentino fiancheggiato da Palazzo Corboli e dal Palazzo Comunale, sulla cui parete campeggia un bel dipinto della Madonna con in braccio il Bambino, e al centro del quale si eleva una colonna sormontata dalla piccola statua in bronzo di San Crescentino patrono della città.
Una manciata di metri e siamo in Piazza Duca Federico per ammirare col naso all’insù la bella Cattedrale in stile neoclassico. La facciata è scandita da lesene con capitelli decorati e il frontone è sormontato da statue dietro cui s’innalza la cupola. Il candore dell’esterno continua prepotente anche all’interno, opera del noto architetto Valadier, con la grande navata principale dal soffitto a volta e le due laterali terminanti in cappelle riccamente decorate.
Di fianco al Duomo non sfigura il Palazzo Ducale, sede della Galleria Nazionale delle Marche, stupendo esempio del Rinascimento italiano con le sue geometrie imponenti ma lineari, eleganti eppure regolari e senza fronzoli. L’edificio ha origini antiche ma fu con Federico da Montefeltro nel XV secolo che si diede il via alla realizzazione del Palazzo che tutt’oggi osserviamo.
Il cortile d’onore interno è davvero signorile con il bel porticato che lo abbraccia disegnato da colonne che sostengono le volte a crociera del passaggio coperto. Da qui, scendendo lungo una rampa si arriva a un corridoio orizzontale nei sotterranei del Palazzo lungo cui si trovavano le cucine, il bagno, le cantine, la lavanderia, la stalla, la selleria e il magazzino per il foraggio, il tutto in un contesto di pavimenti in pietra, soffitti a volte e pareti in mattoni. Curioso sapere che nel corridoio sono state rinvenute delle vasche che servivano a depurare l’acqua raccolta nella cisterna del cortile d’onore.
Il percorso di visita vero e proprio inizia con l’Appartamento della Jole, un insieme di sette sale che Federico da Montefeltro abitò per prime in attesa che si concludessero il lavori per il più sfarzoso Appartamento del Duca nel lato opposto del Palazzo. Quest’area prende il nome dal camino della ‘Jole’, una figura mitologica amante di Ercole scolpita sul camino della sala I. La sala III custodisce l’Alcova di Federico, un rarissimo arredo ligneo risalente al 1460 dove si celava il letto del principe.
Nell’Appartamento degli Ospiti troviamo due opere a mio parere stupende: la ‘Flagellazione’ di Piero della Francesca e ‘La Città Ideale’ di Luciano Laurana. Particolare e sontuosa è la Sala degli Angeli, nelle Sale di Rappresentanza, chiamata così per la splendida decorazione di putti (bambini) angeli danzanti sull’architrave del grande camino. Il Salone del Trono poi è certamente il più maestoso del palazzo visti i suoi 35 metri di lunghezza e i 15 di larghezza, abbellito da due camini e preziosi arazzi alle pareti.
La Sala delle Udienze è il primo di una serie di ambienti magnificamente decorati dell’Appartamento del Duca, i suoi portali in pietra in cui si aprono meravigliose porte di legno intarsiato sono bellissimi. Nel cuore dell’Appartamento del Duca si cela lo Studiolo di Federico, giustamente definito uno scrigno di bellezza, che insieme alla Biblioteca e alle due cappelline sono i luoghi più raffinati del Palazzo. Le decorazioni pittoriche e gli intarsi regalano una prospettiva unica dando l’illusione di essere in un ambiente molto più ampio. Tra le sale dell’Appartamento della Duchessa, la Stanza di preghiera è quella che maggiormente affascina per le strabilianti decorazioni del soffitto che rappresentano scene di vita comune offrendo un senso di profondità impressionante.
Chiudono questa carrellata di opere d’arte le Sale dell’Appartamento Roveresco destinate alla pittura del seicento e ospitanti quadri dal suggestivo potere realistico. (Sito internet del Palazzo Ducale: www.palazzoducaleurbino.it).
Confinante alla Piazza Duca Federico si allunga Piazza Rinascimento con l’Obelisco egiziano e la chiesa di San Domenico che per il periodo Natalizio ospita una piccola mostra di Musei.
Passeggiando per i vicoli più discosti dal centro scopriamo la bella ‘casa di Francesco Paciotti architetto militare nato nel 1521′ (così recita la targa apposta sul muro). Ospita la fondazione per la letteratura europea, moderna e contemporanea e dal cortile pensile si gode di una romantica vista sulle colline che al tramonto pare un quadro impressionista. La stessa fascinosa veduta, e ultima di questa intensa giornata, è offerta dal giardino del complesso monumentale Santa Chiara, antico monastero costruito nel XV secolo da Federico di Montefeltro e oggi sede dell’ISIA (istituto superiore per le industrie artistiche).
CONSIGLIO PER MANGIARE A URBINO
Per un pranzo veloce, economico ma comunque squisito, consiglio il piccolo locale con specialità ad asporto Fagiolo Pizza in Via Veneto; è sempre pieno di studenti e gente del posto e quando si assaggiano le pizze e le focacce se ne capisce il motivo. (Pagina facebook: https://www.facebook.com/fagiolopizza
28 NOVEMBRE
Il sito di cui mi accingo a parlare è di certo una tra le più incredibili attrazioni naturali dell’intero pianeta; sarà per la grandezza e la piacevole temperatura interna che d’inverno ti avvolge e ti riscalda, per le luci soffuse posizionate a doc, per la visita in quasi completa solitudine o semplicemente perché qui la la natura ha dato il meglio di sé. La certezza è che quando ci si ritrova in mezzo l’emozione ti attanaglia il cuore, la bocca non si chiuda per lo stupore e gli occhi vorrebbero potersi spalancare ancora di più per godere in un solo istante di tutto quello spettacolo. Sto parlando delle grotte di Frasassi.
Fin dal 1948 si era capito che nella zona di Genga il sottosuolo nascondeva qualcosa di eccezionale. Da allora nuove esplorazioni permisero all’uomo di spingersi sempre più nel cuore della montagna ma la scoperta più straordinaria avvenne il 25 settembre 1971, quando un gruppetto di speleologi si accorse che tra gli arbusti cresciuti sul fianco della montagna si apriva uno stretto passaggio che pareva condurre in un buco nero. Si trattava invece dell’Abisso Ancona, chiamata anche Grotta Grande del Vento, alto ben 200 metri, lungo 180 m e largo 120 m. La prima apertura al pubblico avvenne il 1 settembre 1974 e oggi il percorso turistico si snoda per 1,5 chilometri mentre, per i più curiosi e temerari, sono a disposizione altri due tracciati speleo-avventura da compiersi con attrezzature specifiche e previa prenotazione.
Ma cosa custodiscono di talmente incredibile queste grotte? Stalattiti e stalagmiti. Le stalattiti pendono dal soffitto e si formano, nel corso di migliaia di anni, grazie ai continui depositi di carbonato di calcio presente nell’acqua che se ne arricchisce percorrendo le rocce calcaree e poi gocciola ininterrottamente dall’alto. Lo stadio iniziale della stalattite viene detta cannula perché somigliante a una cannuccia trasparente e crescendo prende la forma di un cono rovesciato. Nei casi però in cui sia investita da correnti d’aria può assumere sagome bizzarre sviluppandosi anche orizzontalmente. Le modalità di creazione delle stalagmiti sono uguali a quelle sopra descritte, con l’unica differenza che queste crescono dal pavimento, spesso proprio sotto alle stalattiti, e quando si congiungono ad esse danno origine a delle colonne.
A questo punto vi chiederete cosa ci sia di strabiliante. Il fatto è che la natura non si è limitata a forgiare dei semplici coni ma ha saputo disegnare figure di una bellezza artificialmente irriproducibile che ognuno di noi può interpretare a suo gusto e secondo la propria immaginazione. In uno spazio così ampio come quello della Grotta del Vento, dove l’occhio umano ha difficoltà a percepire le reali dimensioni delle svariate concrezioni per la mancanza di punti di riferimento, si può paragonare il gruppo di stalagmiti dell’altezza di 20 metri ai giganti troll del Signore degli Anelli. In alto si nota la fetta di pancetta e in un angolo una stalagmite ferrigna sormontata da una concrezione bianca sembra il diavolo con la candela. C’è il castello delle fatine, così chiamato per la selva di stalagmiti simili a guglie che a seconda degli elementi chimici presenti assumono colorazioni che vanno dal giallo al rosso al grigio cenere, e poi una colata di calcite talmente bianca da abbagliare è detta la cascata del Niagara.
Dopo l’Abisso Ancona il soffitto si abbassa notevolmente e si passa nella Sala dei Duecento con il suo castello delle streghe composto da tante stalagmiti rossastre simili a pinnacoli e sopra il turista pende la spada di Damocle lunga 7,4 metri. Si accede quindi alla Sale del Gran Canyon con i suoi profondi crepacci il cui fondo è coperto d’acqua; qui è magnifico il fitto inseme di lisce e bianche stalattiti riproducenti canne d’organo e toglie il fiato il laghetto dal quale emergono esili stalagmite detta sala delle candeline. La visita si conclude con la Sala dell’Orsa e quella dell’Infinito.
Alle Grotte di Frasassi l’ingresso coincide con l’uscita ma è curioso sapere che inizialmente il percorso turistico era stato concepito diversamente in modo che si entrasse da una parte, si percorresse il tragitto in una sola direzione e quindi si uscisse in un punto differente. Gli esperti, fortunatamente, si sono accorti che in tal modo si sarebbe creata una corrente d’aria dannosa per il delicato equilibrio ambientale del sito. Sempre per lo stesso motivo sono stati posizionati dei portelloni nel corridoio di accesso che si richiudono subito dopo l’entrata del gruppo di visitatori. Per tutte le informazioni utili alla visita consultate il sito: www.frasassi.com.
Nelle vicinanze merita una visita il Santuario della Madonna di Frasassi che si raggiunge tramite una ripida mulattiera che sale lungo la parete verticale della Gola di Frasassi. La piccola chiesa risalente al 1029 è davvero particolare perché scavata nella roccia friabile e poggiata in un’ampia galleria naturale nella quale sorge anche il Tempio del Valadier. L’edificio, in stile neoclassico a pianta ottagonale e abbellito da una una cupola, è stato edificato nel 1828 per volere di Papa Leone XII su disegno di Giuseppe Valadier (da qui il nome) utilizzando del travertino chiaro.
Interessante sapere che in questa grotta aperta sul ciglio dell’alto precipizio, si celebra ogni anno dal 1981 il più grande presepe vivente del mondo per estensione territoriale.
UNA PIACEVOLE SCOPERTA PER ASSAPORARE LE SPECIALITà MARCHIGIANE E UMBRE
So che vi sembrerà strano ma in uno dei chioschi nel piazzale dove si acquistano i biglietti per le Grotte di Frasassi abbiamo gustato la crescia più gustosa dell’intera vacanza. La crescia marchigiana è una via di mezzo tra la focaccia e la piadina, farcita secondo i gusti del consumatore, tuttavia la variante più richiesta è quella con salumi e formaggi. Non solo, mio marito ha assaggiato delle buonissime fette di salame di cinghiale, di ‘coglioni di mulo‘ e di ‘palle del nonno‘ (che vi garantisco non sono delle parolacce, bensì dei salumi a base di carne di maiale tipici di Norcia). Di contro io, amante dei dolci, ho apprezzato una fetta di frustingo, una torta ipercalorica a base di mosto d’uva, frutta secca e un mix di spezie e liquori vari: deliziosa.
Fortunatamente abbiamo tutto il pomeriggio per bruciare i grassi accumulati dal succulento pranzo e il modo migliore per farlo è visitare la vicina città di Gubbio, in Umbria, il cui centro storico si sviluppa in verticale lungo i fianchi del Monte Ingino.
Inizio col dire che il nucleo medievale è tutta un’opera d’arte e i vari monumenti che s’incontrano possono essere considerati come dei diamanti che impreziosiscono una collana d’oro.
Piacevolmente accompagnati da una miriade di graziosi negozi che espongono souvenir, tipici prodotti enogastronomici o artigianali ceramiche e maioliche dipinte a mano, saliamo fin nella Piazza Grande che poi è una splendida terrazza sorretta da grandi volte e dalla quale si osserva il panorama sugli edifici antichi e la vallata chiusa in lontananza dai bassi rilievi. Qui è impossibile non rimanere colpiti dalla possente struttura merlata di Palazzo dei Consoli e dal prospiciente Palazzo del Podestà.
La costruzione di Palazzo dei Consoli iniziò nel 1300 e continuò per ben cinque secoli. Se pur la struttura rispecchia i vecchi canoni medievali, la presenza di servizi igienici e condutture per l’acqua corrente simboleggia per quei tempi un elevato avanzamento tecnico. Fu la sede delle maggiori figure politiche e giuridiche del comune di Gubbio, infatti nella grande Sala dell’Arengo, dall’altissimo soffitto a volta, si riuniva il Consiglio Generale del Popolo. Nella vicina Cappella sono conservate le famose 7 Tavole Iguvine in bronzo. Scoperte nel 1444 nell’area del teatro romano, su di esse sono stati incisi tra il III e il I secolo a.C. dei segni alfabetici nel linguaggio umbro. A oggi, dopo i numerosi e fantasiosi tentativi d’interpretazione, si può affermare con certezza che le tavole rappresentano il testo rituale più lungo dell’antichità e svelano anche aspetti nell’ambito militare, economico e giuridico.
Il Palazzo, che dal 1909 ospita il Museo Civico, comprende la collezione archeologica nei sotterranei, quella orientale e risorgimentale e la Pinacoteca con dipinti, affreschi, arredi e oggetti d’epoca in quello che una volta era il piano nobile dove risiedevano ed esercitavano i Consoli e il Gonfaloniere (paragonabile all’odierno magistrato). Dalla Pinacoteca all’ultimo livello dell’edificio, si accede alla loggia esterna ed è inutile dire che la vista da lassù è entusiasmante.
Lasciata Piazza Grande mentre le luci della sera iniziano a illuminare le vie del centro, ci inerpichiamo fino alla Cattedrale di Sant’Ubaldo o Duomo di Gubbio, eretto in epoca medievale e dalla struttura compatta, possente, semplice sia all’esterno che all’interno. La chiesa si trova proprio di fronte al Palazzo Ducale del XIII secolo e di cui limitiamo la visita all’elegante cortile rinascimentale interno circondato dal bel colonnato. Il sito, originariamente di proprietà della magistratura comunale, fu donato al duca Federico di Montefeltro il quale lo trasformò nella splendida dimora che si è conservata fino ai giorni nostri. Imperdibile anche il suo giardino pensile che si raggiunge direttamente da Via Sant’Ubaldo.
Curioso sapere che durante il periodo natalizio sui fianchi del Monte Ingino che scendono sino a Gubbio è allestito uno degli alberi di Natale più fascinosi dell’intero pianeta. Pensate che le luci che lo costituiscono sono collegate con più di 8,5 chilometri di cavi elettrici e negli anni ’90 è entrato a far parte nel Guinness dei primati come l’albero più grande del mondo.
CONSIGLI PER MANGIARE E DORMIRE A GUBBIO
Se volete pernottare nel centro di Gubbio in un ambiente cortese, famigliare e spendendo poco consiglio il B&B Residenza di Via Piccardi mentre per la cena il vicino Ristorante alla balestra (Sito internet: www.ristoranteallabalestra.it) offre un’ampio menù con ottimi piatti dal buon rapporto qualità prezzo.
29 NOVEMBRE
Questa giornata è dedicata al tranquillo rientro in Valtellina ma per spezzare il monotono viaggio in autostrada decidiamo di scoprire, se pur superficialmente, Mantova.
Il modo migliore per avvicinarsi alla città è percorrendo Ponte San Giorgio per la magnifica prospettiva sui poderosi torrioni del Castello di San Giorgio e sull’intero profilo medievale del centro abitato abbellito da torri, campanili e cupole.
Piazza Sordello si apre in tutta la sua grandezza, circondata da un susseguirsi di edifici antichi, dai portici di Palazzo Ducale e dalla marmorea facciata della Cattedrale di San Pietro. Pochi passi e siamo in Piazza Broletto al centro della quale è poggiata la particolare fontana con tre delfini dalle code intrecciate, quindi procediamo fino in Piazza delle Erbe dove il Palazzo della Ragione e la Torre Fancelliana dominano la scena. Quest’ultima accoglie al piano terra la Campana delle Ore del 1296 mentre dal suo culmine si gode di una bella vista sui tetti di Mantova. Sulla facciata c’è poi l’Orologio astronomico di Bartolomeo Manfredi risalente al 1473 che inizialmente prevedeva ben otto funzioni ma poi andò via via guastandosi fino a segnare le sole ore del giorno. Oggi si possono ammirare cinque effetti: in quale segno si trovano il sole, la luna e le fasi lunari, i punti cardinali e quale dei sette pianeti domina il periodo.
Vicino sorge la Basilica di Sant’Andrea, ancor più bella se la si osserva dalla laterale Piazza Leon Battista Alberti raggiungibile attraverso uno stretto portico, da qui infatti l’edificio esplode in tutta la sua imponenza dominato dalla cupola alta 80 metri. Curioso sapere che nella sua cripta sono conservati i Sacri Vasi contenenti il sangue di Cristo.
Concludiamo la visita di Mantova passeggiando tranquillamente per le principali vie del centro storico con un’occhiata alle vetrine dei negozi decorate per Natale e l’altra buttata sui monumenti, mentre già voliamo con la fantasia progettando il prossimo viaggio.