Lost in translation… come sopravvivere in Giappone

Nel Paese del Sol Levante tra Tokyo, Nikko, Yoshida, Kyoto, Nara e Osaka in solitaria e con amici giapponesi
Scritto da: Alice Monitillo
Partenza il: 11/12/2014
Ritorno il: 22/12/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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È dal 2011 che ho un appuntamento in sospeso col Giappone, da quando cioè ho prenotato il volo e due settimane dopo c’è stata la catastrofe nucleare, che mi ha fatto desistere dal partire. Per cui, adesso che ho molto tempo libero, mi sono detta che era ora di far visita al Paese del Sol Levante, sperando che non avesse intenzione di giocarmi un altro brutto scherzetto. E per fortuna non è stato così.

Il viaggio l’ho condiviso con un’amica ed è stato diviso in tappe: prime 4 notti a Tokyo, poi 2 notti nei pressi di Shizuoka, a Yoshida da Aiko, un’amica giapponese che ho conosciuto quando studiavo in Francia e non vedo da allora, 3 notti a Kyoto e una ad Osaka.

VOLI

Ho prenotato con molto poco anticipo, due settimane prima della partenza, il volo Turkish Airlines MXP-NRT e poi KIX-MXP per 587 euro assicurazione all inclusive inclusa (prenotazione tramite expedia.it). Devo dire che è stata un’ottima scelta, e già lo sapevo perché avevo volato con TK quella volta del ritardo di sette ore da Abu Dhabi. I voli ( scalo a Istanbul) sono stati puntuali. La comodità in aereo è buona – per esempio c’è il poggiapiedi, che il 777 Alitalia dell’ultimo viaggio in Argentina non aveva-, per quanto possa essere comoda un’economy class ovviamente. Il servizio catering è anch’esso molto buono. Danno un dolcettino turco di benvenuto che si chiama lokum, e poi ci hanno servito il pasto completo per tutti e quattro i voli, anche quelli brevi!! Da non credere!! Tra low cost e compagnie in crisi oramai non ero più abituata ad essere servita e riverita in aereo! Inoltre come bevande non c’erano le solite cose confezionate, ma addirittura spremuta d’arancia fresca e un’ottima limonata aromatizzata alla menta! Insomma, viva TK!

ALBERGHI

A Tokyo abbiamo soggiornato al Nishitetsu Inn Shinjuku, perché avevo letto ottime recensioni su booking.com (dove ho prenotato tutto gli alberghi) e anche perché avevo letto che Shinjuku è un ottimo quartiere dove dormire. La camera doppia è piccola e più adatta ad una persona sola, ma normale per gli standard giapponesi –almeno così dicono tutti. Per il resto c’è tutto ciò che serve, cioè internet, il bollitore, il phon, il super wc elettronico con bidet incluso e i prodotti da bagno, ciabatte incluse ( ci sono in tutti gli alberghi). La colazione la si può fare al bar al piano terra, St. Marc café, una specie di catena alla Starbucks; per 700 yen ti danno the o caffè e due brioches, però alla fine tanto vale farsi il the in camera e mangiare i biscotti comprati al supermercato! Altrimenti per 1000 yen la si può fare in stile giapponese in un locale sotto per andare in metropolitana.

Cosa importante di questo hotel è che si trova a due minuti dalla fermata della metro Nishi Shinjuku, quindi è molto comodo. Dalla Shinjuku JR dista circa 10 minuti dall’uscita ovest. La prima volta che si prova ad uscirne si rischia davvero di perdersi, perché è enorme e caotica, però poi quando si prende la mano è tutto più semplice.

A Kyoto siamo state tre notti all’Hotel Excellence Hachijo Kyoto, che si trova a 5 minuti a piedi dalla stazione Kyoto, uscendo dall’uscita Hachijo. Qui ho preso due camere singole per 118 euro l’una. Nel prezzo è inclusa la colazione, che è offerta gratuitamente. Io avevo letto recensioni su booking.com che parlavano della colazione, ma in realtà booking non ne fa assolutamente menzione nella schermata dell’albergo. Posso però confermare che arrivati si scopre con piacere che la colazione è gratuita, ovviamente non è super ricca, c’è solo pane e marmellata, uova sode, caffè e the, però è gratuita e quindi la si apprezza molto! Le stanze erano grandi praticamente come quella di Tokyo, con la differenza che qui però ne avevamo due! Tutto nuovo di zecca e pulito, sempre con il fantastico water elettronico, ma questa volta pure col sedile riscaldato! È un ottimo hotel, anche se il personale ha un livello di inglese pari quasi allo zero e dopo il check out non ti tengono le valigie (in stazione però è pieno di lockers di varie misure).

A Osaka abbiamo alloggiato all’Ark Hotel Shinshaibashi. Una camera doppia per due notti – anche se ne abbiamo fatta una, ma volevo avere la camera a disposizione, visto che il volo del ritorno era alle 23h20- per 23400 yen. Credo che sia l’hotel più brutto, per quanto in realtà non lo fosse affatto. Semplicemente gli arredi dell’hotel e della camera erano più datati delle altre: senza chiave elettronica e con bagno più vecchio, benché sempre con wc elettronico. Indubbiamente però era più spaziosa di quella di Tokyo! La colazione non era inclusa, e non abbiamo neanche chiesto quanto costasse, perché tanto con il bollitore in camera ci siamo fatte il the. La cosa ottima di questo hotel è che si trova letteralmente attaccato all’uscita 4 della fermata metro Nagahoribashi. Letteralmente di fianco: esci e ti trovi l’entrata sulla sinistra.

In generale consiglio tutti e tre gli alberghi: rapporto qualità prezzo ottimo, e ottime locations!

TRASPORTI E SPOSTAMENTI

Come chiunque decida di andare in Giappone, ho comprato il Japan Rail pass prima di partire ( non si può comprare là). Facendo solo 11 giorni e arrivando e partendo da due città diverse, ho preso quello da una settimana al costo di 196 euro spedizione inclusa (comprato su questo sito http://www.japan-rail-pass.it/). Il pass permette l’uso illimitato dei treni della compagnia JR, treni veloci e locali e anche treni urbani che fungono da metropolitane.

Non è molto semplice orientarsi in Giappone, non solo per questioni di lingua, ma proprio perché spesso i nomi delle vie non esistono, per via del loro strano sistema di classificazione delle strade. Quello che consiglio vivamente, se non si conosce la lingua, è di comprare (sempre prima di partire perché là non si può) una scheda sim solo dati, di modo che si abbia sempre a disposizione google maps per potersi orientare. Io volevo comprarla, ma alla fine ho desistito e un po’ mi sono pentita, perché l’unica città in cui c’è un buon sistema di indicazioni anche in inglese è Kyoto. I siti da cui comprare sono questi: www.bmobile.ne.jp/english e https://www.econnectjapan.com/, ordini, paghi e poi te la fai recapitare in albergo. Del resto, se conoscerete dei giapponesi, scoprirete che loro stessi hanno sempre in mano il telefono per orientarsi, se si trovano in posti che non conoscono! Quindi consiglio vivamente di attrezzarsi prima di partire!

Inoltre, le stazioni della metropolitana sono immense e hanno almeno 4-5 uscite ciascuna – quando sono poche-, per cui una volta scesi è bene controllare quale uscita bisogna prendere per raggiungere la destinazione desiderata, altrimenti prendendo l’uscita sbagliata si rischia di trovarsi in un posto totalmente diverso!

Per quanto riguarda i viaggi con lo shinkansen, con il pass si può salire sul treno in tranquillità senza comprare il biglietto e usare le carrozze in cui non ci sono i posti riservati, di solito in testa e in coda al treno. Se si vuole avere il proprio posto come sul Frecciarossa bisogna prenotarlo, gratuitamente, presso gli uffici JR, il che significa entrare in contatto con un giapponese, che se va bene biascicherà un po’ di inglese. Noi non abbiamo mai prenotato i posti e ne abbiamo sempre trovati, solo tornando da Nikko non ci siamo sedute vicine. Per cui se non viaggiate in giorni di festa in cui si spostano tanto anche i giapponesi, non c’è bisogno di perdere tempo a prenotare i posti a sedere.

CIBO

Per quanto riguarda il capitolo cibo, le cose importanti da sapere sono due: in ogni ristorante viene sempre dato gratuitamente il the verde e/o l’acqua del rubinetto, quindi è inutile chiedere l’acqua in bottiglia. A volte viene dato a priori solo il the, ma basta chiedere il bicchiere d’acqua per averlo. Tantissimi ristoranti, soprattutto quelli con prezzi modici, hanno esposti fuori la versione plastificata dei loro piatti, che secondo me a volte sono decisamente più belli di quelli veri, e che regolarmente a me facevano venire fame. I pagamenti vengono fatti alle casse e il conto lo portano direttamente al tavolo assieme alle pietanze. Le mance per fortuna non sanno neanche cosa siano, anzi pare che si offendano se le si lascia. Ottimo motivo per amare i giapponesi! Per quanto riguarda i cibi, ovviamente va a gusti, io mi sono fatta la mia personale idea che se va bene i loro piatti sono mediamente insapori, se va male fanno schifo. Eviterei il capitolo dolci e snack strani, ne ho provati pochi ( tipo la pasta di riso) e mi hanno sempre disgustata tutti, non hanno idea di cosa sia un buon tiramisu e non sanno cosa si perdono!

GIORNO 1: Tokyo

Arrivate “fresche come delle rose” dopo 10 ore di volo, all’aeroporto abbiamo espletato le formalità necessarie perché un viaggio in Giappone si svolga al meglio: abbiamo convertito il voucher JR nel famosissimo Japan Rail Pass. Dopo il JR pass abbiamo comprato il Tokyo Subway Ticket, che è un pass per viaggi illimitati sulle metro di Tokyo, ad eccezione delle linee JR. Si acquista presso i banchi Keisei bus agli arrivi. Abbiamo preso quello da tre giorni, che costa 1500 yen. Ero molto indecisa se comprarlo o no, perché molti dicevano di no, che tanto si usano solo i treni JR inclusi nel pass, ecc ecc ecc, ma alla fine ho preferito la tranquillità e la comodità di sapere che potevo usare i mezzi come e quando volevo ( anche perché, diciamolo, il sistema di pagamento delle tratte in metro non è esattamente dei più semplici, visto che dipende dalla distanza percorsa).

Ultimo passo prima di lasciare Narita: prenotazione del posto sul Narita express, che in un’ora e mezza circa ti porta a Tokyo città. Il NEX è incluso nel pass, però bisogna prenotare il posto a sedere. Basta dirlo al momento della conversione del voucher e fanno tutto loro.

Arrivate a Shinjuku, la nostra destinazione col NEX, abbiamo preso la metro e fatto una fermata per arrivare all’hotel. Abbiamo preso l’uscita giusta – la uno, indicata dal sito dell’albergo- e poi, una volta uscite in strada, non sapevamo più da che parte girarci. Dopo aver passato circa 3 minuti a contemplare il mio foglio google con la cartina, una gentile ragazza giapponese si è avvicinata e ha chiesto se avevamo bisogno. Ovviamente ne avevamo e ci ha dato l’indicazione giusta su dove andare, cioè girare a sinistra invece che a destra come avevamo fatto!

Arrivate in hotel ci hanno dato la stanza, abbiamo lasciato le valigie e siamo partite alla volta della città. Siamo andate prima ad Harajuku, perché la mia accompagnatrice era fissata di voler vedere i giardini, e lì ce n’è uno con un tempio. Ovviamente quando siamo arrivate noi avevano appena chiuso i cancelli, quindi niente giardino. Abbiamo però fatto una passeggiata nella viuzza Takeshita che pullula di negozietti di vestiti, accessori e quant’altro davvero meravigliosi. Se fossi stata da sola, ci avrei passato tutto il pomeriggio, ma purtroppo ero in compagnia.

Dopo Harajuku ci siamo dirette alla volta di Shibuya, per vedere l’incrocio più trafficato del mondo. Alla stazione ci siamo quasi perse perché non trovavamo l’uscita –un classico in Giappone-, ma alla fine ce l’abbiamo fatta e abbiamo anche visto la statua di Hachiko, il cagnolino su cui hanno fatto il film con Richard Gere. L’incrocio è veramente grande, posso dire di averlo attraversato, anche se quel giorno non era sicuro molto trafficato per gli standard giapponesi!

Visto che si era fatto buio, ci siamo dirette alla Mori Tower, nel complesso di Roppongi Hills ( tralascio il fatto che dopo essere uscite dalla metro, non è stato facile imboccare la direzione giusta), per ammirare il panorama della città dall’alto e soprattutto dallo skydeck, cioè all’aperto e non dietro i soliti finestroni tutti sporchi e ditati, da cui le foto vengono uno schifo. Il biglietto è costato 1500 yen: city view, cioè vista della città da dietro i finestroni, e mori art museum. Lo skydeck ovviamente prevedeva l’esborso di ulteriori 500 yen, ma ne è valsa la pena, perché il panorama è davvero magnifico! In particolare spicca la torre della tv di Tokyo, che assomiglia vagamente alla tour Eiffel e che è tutta illuminata. Avrò fatto duemila foto, giusto per essere certa che almeno un paio fossero venute.

Terminata l’ammirazione del panorama siamo tornate a Shinjuku a mangiare. Nelle immediate vicinanze dell’ albergo abbiamo trovato poco e niente – molti ristoranti non avevano nessun tipo di menù in inglese, e neanche le foto!-. Alla fine ci siamo infilate in un localino tipo fast food, però alla giapponese, perché invece di entrare e ordinare da mangiare, prima ordini fuori tipo da un distributore automatico, poi entri, consegni lo scontrino di pagamento, che è anche l’ordine, al solerte cameriere e poi ti siedi al bancone e aspetti di mangiare. Abbiamo preso una specie di menù stile Mcdonalds, con un pezzo di carne con sopra un uovo fritto, una zuppetta disgustosa con pezzi di pollo – poi ho scoperto essere la zuppa di miso-, riso scotto, colloso e insapore – altro classico giapponese- e insalata, anch’essa scondita. Diciamo che la carne con l’uovo non era male. Il tutto per 630 yen. Ho preso anche l’acqua in bottiglia, per scoprire che c’era la caraffa con l’acqua –del rubinetto- a disposizione!

Primo giorno terminato: siamo sopravvissute. Devo dire che non mi aspettavo sarebbe stato così complicato raggiungere i luoghi di interesse. Nel senso che muoversi con i mezzi è semplice, il problema è che una volta scesi dal treno, le stazioni sono talmente grandi e con talmente tante uscite che non sai mai quale prendere e regolarmente si finisce a prendere quella sbagliata!!!

Per fortuna i giorni seguenti la mia amica Aiko mi aveva mandato in soccorso una sua amica, Yukari, che ci ha fatto da guida per gli altri due giorni che abbiamo passato in città!

GIORNO 2: Tokyo

La seconda giornata a Tokyo ha previsto l’incontro con Yukari e con una coppia di suoi amici, Chie e il marito Naro. Benché non ci siano tornei di sumo in questo periodo, Nao ci aveva prenotato per andare a vedere un allenamento di sumo in zona fermata metro Ryoguku. Ci siamo incontrati alla fermata della metro e siamo andati insieme verso quella che presumibilmente è la palestra, anche se sembrava una casa. All’ingresso ci siamo tolti le scarpe e poi siamo entrati in una stanza non molto grande dove c’erano almeno 10 lottatori di sumo e altrettante persone di pubblico, sedute per terra su dei cuscini. Siamo stati lì per almeno un’ora ed è stato molto interessante vederli allenarsi. Me li immaginavo giganteschi, in realtà sono normali, solo che molti di loro sono piuttosto in sovrappeso. A vederli per strada probabilmente sarebbero dei banali ciccioni, lì, con indosso le loro strane mutande e con il loro chignon, sono degli atleti. L’allenatore di questi ragazzoni si chiama Nobuyoshi Hokutoumi ed è stato campione. Chie ci ha spiegato che la loro capigliatura, che sembra un banale chignon, in realtà non lo è, e prima di ogni allenamento il parrucchiere dei lottatori pettina ognuno di loro! È stato molto bello, perché come tante cose in Giappone, l’allenamento è sembrato quasi un rito religioso, tanto era preciso e rituale il modo in cui eseguivano i loro esercizi.

Terminato l’allenamento abbiamo passeggiato attorno alla palestra in direzione stadio del sumo. Siamo passati davanti alla statua di un uomo in piedi su una tartaruga. Sorvolando sul significato della tartaruga – che non ricordo-, quell’uomo era Tokugawa Ieyasu, padre fondatore del Giappone unito. Io l’ho paragonato subito a Garibaldi, ma i miei amici giapponesi non avevano la più pallida idea di chi fosse il nostro eroe dei due mondi.

Lo stadio del sumo lo abbiamo visto solo da fuori, poi ci siamo diretti a Ueno, nella via Ameyoko, che è un casino assoluto di negozi e ristorantini di ogni tipo, ordine e grado. Abbiamo pranzato al ristorante Juraku, tipico giapponese. Anche qui abbiamo tolto le scarpe e per la prima volta ho mangiato seduta per terra. Devo dire che anche stando sedute a gambe incrociate, comunque dopo un po’ dà davvero fastidio. Ho preso un menù composto da tempura di gamberi fritti, molto buoni, ennesima zuppa di miso, scarsamente buona, tazza di riso colloso e insapore e piattino con due fette di cetriolo viola – perché innaffiato nell’aceto-. Ho pagato 1100 yen e qui ho avuto la piacevole sorpresa di scoprire che in Giappone l’acqua è sempre gratis e te la danno senza chiederla.

Finito il pranzo abbiamo percorso la via Ameyoko, con molta difficoltà data l’immensa fiumana di gente. Abbiamo assaggiato il the verde giapponese in un negozietto – decisamente troppo amaro per i miei gusti da europea che aggiunge latte e zucchero al the nero-, dei dolcetti fatti di soia in un altro negozio, un pezzo di alga di quelle che usano per il sushi e poi basta, per fortuna.

Siamo andati poi al quartiere di Akihabara, quello della gente che si veste strana. Siamo andati in uno di quei locali, detti maid café, dove le ragazze sono vestite da cameriere francesi un po’ sexy e fanno le sciocche con i clienti, che loro considerano padroni e che quindi adulano un po’. Il posto si chiama café at home, e dopo aver aspettato circa 30 minuti ci hanno fatto entrare e ci hanno dato il tavolo. L’entrata al locale costa 600 yen, più la consumazione, più le tasse. Purtroppo non si può fotografare niente e nessuno – solo il cibo, che davvero merita, perché i piatti te li portano come se fossero delle composizioni e un hamburger per esempio diventa un orsetto-, o meglio, se si vuole fotografare le ragazze bisogna prendere un pacchetto che include la foto con loro e qualcosa da bere o da mangiare. In realtà si può fare la foto, oppure giocare con loro ad un giochino che loro scelgono per 3 minuti. Io ho scelto la foto e ho ordinato un latte freddo con the verde decorativo. Quando ce l’hanno portato, la gentile maid – così si chiamano- ci ha disegnato su hello kitty con il the verde in sciroppo. Dopo un po’ mi hanno chiamata per fare la foto con una ragazza che avevo precedentemente scelto da una sorta di catalogo – l’ho scelta a caso perché mi sembravano tutte uguali…-, mi sono messa in testa un cerchietto con due orecchie da gatto, ho fatto il gesto del gatto che sbuca da dietro un muro insieme a Mambo – nickname della ragazza- e abbiamo fatto la foto, che poi mi hanno gentilmente stampato, in formato piuttosto piccolo. Yukari ha scelto il gioco con una ragazza, che io sono andata a vedere. 3 minuti di giochino stupido e siccome Yukari ha vinto, le hanno dato una biro come premio. Questa simpatica esperienza è costata in totale 2000 yen. Ci hanno spiegato, e avevo letto, che questi bar sono frequentati da uomini e ragazzi che hanno problemi a relazionarsi con il gentil sesso. Qui possono parlare un po’ con queste ragazze, che di sicuro non sono timide e che li adulano come se fossero i loro padroni.

Uscite da lì abbiamo girato un paio di enormi edifici in cui ad ogni piano c’erano giochi, videogiochi o negozi. Siamo andati in uno a fare una foto in stile fototessera – che si chiamano perikura- vestite in maschera. Io ho scelto una specie di kimono, ma avremmo anche potuto fare senza, visto che nella foto fondamentalmente si vedono quasi solo le facce. La cosa simpatica è che hanno una specie di photoshop incluso, per cui i visi vengono migliorati/deformati lievemente–occhi grossi per esempio-. Alla fine abbiamo ottenuto una striscetta, più piccola di una pellicola da macchina fotografica. Indubbiamente i giapponesi hanno il braccino corto per quanto riguarda la stampa delle foto. Comunque mi sono divertita molto, perché ho fatto delle cose tipicamente giapponesi!

Per cena Yukari aveva prenotato la cena in battello con vista sulla baia di Tokyo. Più che un battello alla fine era una barca in cui altro non c’era che i tavoli – quelli bassi ovviamente- per mangiare. Della baia abbiamo visto poco, solo il rainbow bridge, chiamato così perché è illuminato con i colori dell’arcobaleno. Abbiamo mangiato un’infinità di roba, tutta cucinata al momento sulla piastra sul tavolo. In realtà, per essere precisi loro hanno cucinato e mangiato letteralmente una montagna di roba, io ho solo assaggiato perché non avevo molta fame e ovviamente non mi piaceva molto. Comunque il cibo consisteva in okonomyaki, detta pizza giapponese, cioè delle tazze di una specie di insalata, con pesce e/o uovo, e/o pancetta e/o pasta ecc ecc , il tutto cotto sulla piastra e reso tondo come una pizza. Il dolce, che ho assaggiato per pietà, era il zencai monjya, cioè dei cornflakes mischiati con soia, panna e sciroppo d’acero ripassati sulla piastra. Non male, ma nulla di che. Comunque, quanto hanno mangiato quei tre ragazzi!! Mamma mia, credo che letteralmente ci avranno portato almeno 5-6 tazze di roba, e credetemi, di cibo ce n’era!! Infatti Nao alla fine era troppo pieno e gli ho consigliato una coca cola. Alla fine comunque ne sono uscita che puzzavo di fritto in una maniera incredibile! Questa crociera, che mi aspettavo comunque migliore in termini di paesaggio, è costata 5900 yen.

Al termine del primo giorno ho capito un paio di cose fondamentali: girare per Tokyo è effettivamente difficile, perché più di una volta i ragazzi hanno avuto problemi a capire dove andare, e loro usavano google maps!! I giapponesi sono persone gentilissime, ci sono bagni pubblici gratis e puliti dappertutto e se non avessi avuto la possibilità di girare con Yukari, non avrei potuto fare delle bellissime esperienze, incluse le più banali e in teoria famose come andare al maid café.

GIORNO 3: Tokyo

Ultimo giorno a Tokyo, sempre con la nostra personalissima guida Yukari. Senza di lei, non avremmo visto e fatto nemmeno la metà delle cose che abbiamo visto e fatto!

In questo terzo giorno ho fatto una scoperta meravigliosa, che può sembrare banale fino a che non la si prova, poi ti cambia il modo di pensare e anche la vita: il water elettronico con l’asse riscaldata, è fantastico quando fa freddo!

Comunque… la mattina siamo andate ad Asakusa e abbiamo visto in tempio Senoji. Per arrivare si passa da una via costellata di negozi di souvenir, che più o meno abbiamo passato tutti. Al tempio Yukari mi ha fatto provare una delle attività tipiche giapponesi dopo perikura e karaoke: esprimere un desiderio. In pratica ci sono delle specie di armadietti ai lati del tempio. Bisogna prendere in mano un recipiente di metallo che contiene un sacco di legnetti, scuoterlo come una maracas mentre si esprime un desiderio e poi tirare fuori un legnetto. Il legnetto corrisponde ad un cassetto e dentro il cassetto c’è un foglio che ti dice se il desiderio si avvererà o no. A me è andata bene, perché diceva che con il tempo tutto si sistemerà. A Yukari no, le ha praticamente dato 7 anni di sfiga, così lei lo ha attorcigliato attorno ad un cavo lì di fianco, preposto appunto per lasciare i foglietti poco graditi. Il tutto non l’avrei potuto mai fare da sola, perché a parte il biglietto, che era scritto anche in inglese, tutto il percorso per arrivare al foglietto era solo in giapponese!

Davanti al tempio c’è anche un enorme brucia incenso. Si va lì e ci si getta il fumo sulla testa per buon auspicio, in pratica si cerca di affumicarsi. Poi si può lanciare la monetina davanti alla statua del dio e di nuovo si esprime un desiderio. Per fare ciò e in generale per pregare, è bene prima lavarsi le mani e la bocca, per essere puri. Ci sono ovviamente fontanelle ad hoc.

Dopo Asakusa siamo tornati a Shinjuku e abbiamo mangiato in una viuzza larga 2 metri attorno alla stazione, dove ci sono un sacco di localini minuscoli. La via mi ha ricordato molto gli hutong cinesi e anche i locali, che non erano per niente a prova di Nas e ASL. Abbiamo mangiato degli spiedini, che qui chiamano yakitori, molto buoni.

Dopo siamo andate a Yanaka Ginza, che è una zona vicino alla stazione Nippori, la cosiddetta città vecchia, dove gli edifici sono alti 3-4 piani non di più. Ovviamente io mi aspettavo una città vecchia di mille anni, in realtà credo che il vecchio non abbia più di una cinquantina d’anni. Comunque è una zona molto carina e molto tranquilla perché non sembra di stare in una grande città. È ricca di templi e cimiteri, addirittura quello della famiglia del loro Garibaldi. È una zona in cui pare ci siano molti gatti, noi ne abbiamo visti solo tre però. In compenso è la zona di Tokyo in cui ho visto più cani, anche nel passeggino e vestiti in modo ridicolo purtroppo…

Prima di ritornare a Shinjuku abbiamo fatto una degustazione di the in un bar appena al termine della Yanaka dan dan, la scalinata dove abbiamo visto i gatti. Abbiamo preso un maccha, che è un tipo di the verde spumoso perché viene tipo shakerato. Non è fantastico, necessiterebbe di un po’ di zucchero a mio parere. Poi ci hanno portato un assaggio di houji che è un altro thè giapponese, molto buono, che ha un vago retrogusto di caramello. Il tutto per 550 yen. Io ho preso anche le foglie di the houji da portare a casa. 100 gr per 650 yen. È in questo bar che ho scoperto l’asse del water riscaldata, un posto che ricorderò per sempre!

Siamo tornate poi di nuovo a Shinjuku, dove abbiamo incontrato Kaori, amica di Yukari e dove siamo andate a vedere lo spettacolo al robot restaurant in Kabuchi cho. In teoria questo dovrebbe essere il quartiere a luci rosse. Secondo me di luci rosse proprio non ne aveva, a parte quelle al neon. Oppure comunque erano ben nascoste. Direi che è il quartiere delle vita notturna, ma anche diurna con tanti negozi e centri commerciali.

Al robot restaurant per 6000 yen abbiamo assistito ad uno spettacolo misto fatto di musica, canti e sceneggiati con grandi macchinari, inclusi i robot e tante ragazze poco vestite. Devo ammettere che non mi è piaciuto… quasi per niente, se vogliamo essere gentili. Secondo me altro non è che uno spettacolo per turisti, infatti ce n’erano molti, c’era addirittura del personale occidentale, il che significa che il target sono i turisti. Credo che nemmeno a Yukari e Kaori sia piaciuto troppo, ma tutte abbiamo deciso di dire che “sì, è stato carino”. Avevo letto le recensioni su trip advisor di gente entusiasta “ bellissimo, imperdibile, fantastico”. Se la dovessi fare io, direi “ da evitare, solo per turisti”.

Per terminare la serata siamo andati al café Gré, un bar in stile vagamente europeo dove abbiamo mangiato una fetta di torta per festeggiare il compleanno della mia compagna di viaggio. Poi nanna che il giorno dopo avevamo il treno per Nikko: da Shinjuku alla stazione Tokyo all’ora di punta, in pratica un suicidio anticipato e ben annunciato a detta di Yukari e Kaori.

GIORNO 4: Nikko

In realtà non è stato poi così drammatico. Siamo arrivate agevolmente alla stazione e altrettanto agevolmente abbiamo preso lo shinkansen per Nikko (con cambio a Utsunomiya). Evidentemente Yukari e Kaori non hanno mai avuto il privilegio di prendere la metro a Roma alle 8 del mattino, perché a Tokyo c’è tanto caos e milioni di persone che si muovono, ma in un certo qual modo è tutto perfettamente organizzato e scorre senza problemi. A Roma no.

Comunque; lo shinkasen non mi è sembrato questo granché, non c’era il wi fi e come interni questa volta devo ammettere che preferisco il Frecciarossa! Il tragitto di circa due ore ci ha portato dal passare in mezzo a case e grattacieli fino ad arrivare in campagna, dove i condomini hanno lasciato spazio a case monofamiliari e a orti.

Arrivate a Nikko siamo andate all’ufficio informazioni a farci spiegare un po’ cosa fare e come fare per farla. Abbiamo quindi preso un pass per viaggi illimitati sull’autobus al costo di 2000 yen, una cartina e un origami in omaggio ai turisti. Col bus ci siamo dirette subito al sito dei templi, che è patrimonio mondiale dell’umanità. Nonostante ciò non c’è una sola indicazione o un solo cartello scritto in inglese, per cui l’orientamento è assolutamente impossibile. Tant’è che onestamente non sono ben certa di sapere che cos’ho visto, sicuramente però non abbiamo visto granché. Abbiamo preso un biglietto da 900 yen che in teoria ci ha permesso di vedere il Tayuin e credo il tempio di Rinno-ji. Poi mi è venuto un tale nervoso, che alla fine ce ne siamo andate alla volta della cascate di Kegon, sempre con il bus incluso nel pass – anche perché le ore di luce stavano finendo.

Se posso dare un consiglio a chi volesse andare a Nikko, se non parlate giapponese, cercate di trovarvi una guida sul posto che vi porti a visitare i templi, perché altrimenti è davvero difficile riuscire a capire cosa si sta visitando, se si riesce ad arrivare da qualche parte.

Per fortuna la cascata ha risollevato le sorti di questa giornata. Non sono certo le Iguazu o quelle del Niagara, però mi è piaciuta molto e ho fatto un sacco di foto. Per raggiungerla bisogna scendere in ascensore pagando 550 yen. Faceva tra l’altro molto freddo e i boschi erano imbiancati di neve. Vicino alla cascata c’è anche il lago Chuzenjii, dove si possono noleggiare dei simpatici pedalò a forma di cigno, ovviamente in bella stagione.

Tornate in città ci siamo fermate al ponte Shinkyo, ponte sacro di colore rosso che non mi è sembrato proprio nulla di che. Addirittura, per potersi avvicinare bisogna comprare il biglietto, per fortuna quando ci siamo arrivate noi era già chiuso. Prima di riprendere il treno per Tokyo ci siamo fermate a mangiare all’Hippori Dako, un simpatico ristorantino le cui pareti sono interamente tappezzate di bigliettini, foto e messaggi lasciati dai turisti di passaggio, ovviamente l’abbiamo lasciato anche noi. Io ho preso un mix rice, che includeva: spiedini yakitori, riso e noodles per 950 yen più coca a 250 yen. È un posto molto carino e il cibo è ottimo, da provare!

Insomma, a Nikko abbiamo un po’ toppato…Si è sentita l’assenza di Yukari!! Ci sarebbero altre cascate e poi posti naturalistici da vedere lì nei dintorni, in giornata però non si riesce a fare tutto purtroppo, soprattutto se si perde tempo a capire come orientarsi tra i templi…

Per fortuna sia a Kyoto che a Nara avevo prenotato le guide per girare le città!

GIORNO 5: Yoshida

Siamo partite alle volta di Yoshida, nella prefettura di Shizuoka, dove abita la mia amica Aiko. Siamo partite alle 9h26 con lo shinkansen, poi cambio a Shizuoka e discesa alla stazione di Shimada. Anche questo viaggio verso la stazione di Tokyo da Shinjuku con le valigie avrebbe dovuto essere un disastro, con Yukari in pensiero per noi che rischiavamo di essere travolte dalle masse di lavoratori d’ufficio, invece non è stato così, anzi, dopo la prima fermata i vagoni hanno progressivamente cominciato a svuotarsi. Ennesima riprova che per quanto caos ci possa essere a Tokyo nelle stazioni, il sistema di trasporti riesce comunque a gestirlo molto bene. È davvero sorprendente come nonostante il traffico di persone, il tutto scorra perfettamente liscio, perché ognuno sa esattamente cosa fare per evitare di arrecare danno agli altri ( per esempio tutti tengono la sinistra sulle scali mobili e nei tragitti sotterranei tra una linea di treni e l’altra, ci sono corsie “invisibili” per chi va e chi viene, così eviti di scontrarti).

Comunque, arrivate dalla mia Aiko, assieme a sua sorella Teyuri, siamo andate a mangiare in un ristorante sushi, di quelli in cui i piatti di sushi scorrono in continuo su un tapis roulant. Per ordinare ai tavoli c’è un computer touch screen, dove scegli cosa vuoi mangiare, poi ad un certo punto il computer si mette a parlare e ti dice che il tuo piattino sta arrivando, ed è identificato da un ideogramma. 30 secondi dopo ti passa davanti e te lo puoi prendere. Forte! Per pagare suoni un campanello elettronico, il cameriere viene, conta quanti piattini hai preso e ti dice quanto pagare. Se fosse da noi, tutti si ruberebbero i piattini per pagare meno! Tralascio il capitolo “quanto è buono il sushi”, perché io proprio non capisco cos’abbia di buono del riso scotto e colloso con sopra un pezzo di pesce crudo…

Dopo siamo state a casa sua, che è una tipica casa giapponese con futon, tatami e porte scorrevoli di carta velina.

Ci ha portato poi al supermercato e al negozio “tutto a 100 yen”, che va davvero di moda, tanto che altri europei che sono passati da lei l’hanno scelto come luogo per comprare i souvenir. Effettivamente sono dei bei negozi che non vendono assolutamente solo inutile paccottiglia cinese. Ci sarà anche quella, ma vendono anche cose molto carine e soprattutto tutte davvero a 100 yen – più tasse, cioè 108- , non come da noi, che i negozi da un euro poi vendono cose anche più care, oltre che qualitativamente schifose.

Per cena abbiamo mangiato dell’ottimo riso al curry e siamo state un po’ in famiglia; è incredibile come su tre ragazze ventenni, solo la mia amica parlasse inglese! Ed è incredibile come i giapponesi alla fine siano tutti molti simili: fanno tutti gli stessi versi onomatopeici per esprimere stupore, felicità o disappunto! Sembrano proprio dei cartoni animati, ovviamente in senso positivo, perché a me piacciono molto!

GIORNO 6: Yoshida

Aiko e sua sorella Yoko ci hanno portate in giro tutto il giorno. Ovviamente c’era un vento che portava via, però per fortuna il cielo era parzialmente limpido. Ci ha portate al faro di Omaezaki, dove in teoria si poteva salire e da lì vedere il monte Fuji, in pratica c’era troppo vento e non siamo salite e comunque il monte Fuji non si vedeva perché non era abbastanza limpido. Comunque c’è una bellissima passeggiata lungo la costa e siccome a causa del vento il mare era grosso e pieno di onde, è stato davvero molto suggestivo.

A mangiare ci hanno portato in un self service dove abbiamo preso gli udon, in pratica degli spaghettoni enormi. Abbiamo preso quella che Aiko ha definito come carbonara giapponese, per il semplice motivo che ci hanno buttato su un uovo crudo. Ovviamente è un insulto alla carbonara e alla miriade di sapori che ti offre, perché invece l’udon non sa praticamente di niente se non gli si aggiunge qualcosa, salsa di soia per esempio. Poi ho preso ancora il tempura, che posso dire sia una delle poche cose che mi piacciono, semplicemente perché è pesce/verdura fritto, cioè la cosa più simile alla nostra cucina! Comunque mangiare gli udon è piuttosto complicato, perché sono immersi in una specie di brodo insapore e con le bacchette non è semplice tirarli su, perché tendono spesso a rituffarsi nel brodo generando parecchi schizzi, che regolarmente terminano il loro viaggio sui vestiti. Bisogna fare come fanno loro, cioè praticamente infilare la testa nella ciotola, così da ridurre al minimo la distanza che l’udon deve percorrere tra la zuppa e la bocca.

Nel pomeriggio ci hanno portate al museo del the, che è costato 1000 yen e si trova a Shimada. Nella zona è pieno di coltivazioni di the verde, letteralmente da non capire dove iniziano e dove finiscono i campi. Il museo è bello, racconta un po’ la storia del the e ci sono ricostruzioni di sale da the del mondo, peccato che sia tutto in giapponese. La cosa più bella è che ti fanno fare il maccha, cioè il the verde in polvere. In pratica ti danno le foglie, che si mettono in una specie di frullatore a mano che le pesta e le trasforma in polvere! Poi abbiamo fatto un segnalibro in stile origami – in quella parte del museo dedicata ai bambini- e infine abbiamo assistito alla cerimonia del the. In Giappone bere il the può essere un vero e proprio rito. Se la cerimonia è ufficiale o formale, addirittura non puoi partecipare se non sei stato istruito a dovere. Ovviamente al museo era una dimostrazione aperta a tutti! Una signora in kimono ci ha fatto il maccha e un’altra signora in kimono ce l’ha servito prostrandosi alle nostre ginocchia – eravamo ovviamente sedute per terra-. Terminata la tazzina di the abbiamo provato i kimono e ci siamo fatte fotografare come delle vere giapponesine, anche se meno aggraziate direi!! È stato molto bello, la signora in kimono, anche se parlava solo giapponese, è stata davvero gentile!

Per terminare con le esperienze giapponesi siamo andate al karaoke Manekineko a Fujeda. In Giappone è pieno di locali karaoke, che consistono in stanzette più o meno grandi e più o meno insonorizzate, fornite di tv e stereo, dove i ragazzi vanno a divertirsi. Ci siamo state un’ora per 400 yen a testa e ci siamo esibite in canzoni strappalacrime del tipo di my heart will go on e we are the world. Non l’avevo mai fatto e non pensavo che avrei potuto farlo, visto che sono timida, invece mi sono divertita davvero molto! Sarei rimasta almeno un’altra ora a cantare a squarciagola con tutto il pathos di cui sono capace, cioè poco! Peccato che da noi locali del genere non esistano!

Per cena siamo tornate in famiglia e ci hanno cucinato il mitico pollo fritto – Aiko si ricordava quanto mi piacesse!, oden – una specie di zuppona con uova sode, patate e tante altre cose immangiabili tra cui il tofu-, shirasu – cuccioli di sardine grandi quanto una falangetta, bolliti senza pietà- e il riso al curry della sera precedente.

Da Aiko sono stati due giorni davvero bellissimi, non solo perché ho rivisto la mia amica, ma perché ho avuto davvero un assaggio di vita giapponese, che sicuramente non molte persone possono avere!

L’esperienza del dormire sul futon non è nulla di che, io dormo dappertutto, sicuramente quello che mi ha colpito è che non hanno il riscaldamento. Hanno solo stufette elettriche e similari che accendono solo nella stanza in cui si trovano; quindi dove ti trovi fa caldo, appena esci geli. Andare in bagno è un’esperienza tremenda e svegliarsi la mattina anche, perché di notte ovviamente la stufetta la si spegne per evitare brutti incidenti!

GIORNO 7: Kyoto

È stato triste salutare Aiko e la sua famiglia, anche se con loro c’è stata comunicazione quasi zero, visto che non parlano inglese. Però sono stati tutti davvero gentilissimi e ci hanno dimostrato tanto affetto e premura! Yuko ci ha addirittura fatto una specie di ritratto di me e della mia compagna di viaggio, siccome lei ha studiato alla scuola d’arte e le avevamo chiesto di farci vedere qualcosa ma non poteva perché non ne aveva.

Siamo partite da Shimada alle 8h15 con cambio a Kakegawa. La notte prima era nevicato molto, infatti lo shinkasen non solo era in ritardo di 30 minuti (!) ma abbiamo anche attraversato paesaggi tutti bianchi innevati.

Come previsto, anche la stazione di Kyoto era gigantesca come quella di Tokyo. Per andare al nostro albergo abbiamo preso l’uscita Hachijo come trovato su internet, poi, esattamente come a Tokyo, non sapevamo da che parte girarci, così abbiamo chiesto all’ufficio informazioni appena lì all’entrata, ci hanno messo nella direzione giusta e siamo arrivate in un battibaleno. Come previsto non ci hanno dato la camera, per cui siamo subito partite in direzione Palazzo Imperiale. Il Palazzo è visitabile solo tramite visita guidata ed è interamente gratuito. L’unica cosa è che la visita va prenotata con anticipo. Si può fare tranquillamente su internet, come ho fatto io, sul sito: sankan.kunaicho.go.jp/guide/kyoto.html

In stazione all’ufficio informazioni turistiche abbiamo comprato il pass metropolitana da un giorno a 600 yen ( vale solo per le due linee di metro, le altre linee ferroviarie sono private e non sono incluse!).

Scese alla fermata preposta, che è attaccata ai giardini del palazzo, ci siamo subito addentrate nei giardini alla ricerca della seisho mon gate, punto di raccolta per la visita guidata. Durante il tragitto con lo shinkansen abbiamo attraversato paesaggi innevati, a Kyoto invece di neve ce n’era giusto una spruzzatina, anche se tutto il giorno ha continuato ad alternare neve, squarci di sole e nuvole; comunque sui tetti del palazzo e su alcune zone in ombra dei giardini c’era la neve e le foto sono venute molto bene!

Per fortuna l’entrata l’abbiamo trovata subito. Siccome mancavano 40 minuti, siamo andate a mangiare nel ristorante lì davanti dove ho preso il kitsune dannburi: una ciotola di riso con dentro qualcosa di imprecisato simile alla carne, ma che carne non era.

La visita è cominciata puntuale, con guida in inglese che ci ha fatto visitare il Palazzo Imperiale solo da fuori, perché gli interni non sono visitabili. A volte però le porte sono aperte e si possono vedere i dipinti alle pareti. Ci ha raccontato varie cose interessanti, tra cui per esempio che praticamente il riscaldamento non c’era, e che l’imperatore si metteva 12 strati di kimono di inverno. E siccome anche l’illuminazione era quella che era, si dipingevano la faccia di bianco candido per essere più riconoscibili. Oggi il Palazzo di Kyoto ( che tra l’altro è relativamente recente, perché è bruciato ed è stato ricostruito varie volte nel corso dei secoli) è inutilizzato, perché l’imperatore vive a Tokyo e quando va a Kyoto comunque risiede in un altro palazzo. Lo usano solo occasionalmente. Per esempio, per ricevere capi di Stato stranieri: ci sono stati sia Bush senior che la Regina d’Inghilterra.

Finita la visita, che è durata un’oretta, abbiamo preso la metro e siamo scese alla fermata Higashiyama per andare a vedere alcuni templi e passeggiare nel parco. Siamo riuscite a visitare solo lo Shoren-in, perché purtroppo chiudono tutti alle 4. È costato 500 yen e devo dire che era molto carino. Probabilmente avremmo dovuto vedere cose così anche a Nikko!! Come tempio non è nulla di che onestamente, i soliti interni vuoti da visitare scalzi con i tatami e i tetti a spiovente, però ha un bellissimo giardino giapponese.

Continuando a passeggiare siamo andate al parco Maruyama Koen e lì abbiamo visto lo Yasaka Jinja, sempre una zona religiosa con una specie di tempio grande colorato di bianco e arancione e altri più piccoli, con un sacco di lanterne luminose e i soliti luoghi dove pagare, esprimere desideri scrollando scrigni e poi decidere se vanno bene o no. Io ho anche suonato una campana con una corda lunga… però non ho pagato e mi sono dimenticata di esprimere il desiderio… terminato il parco ci siamo trovate a Shijo- Dori, una via tutta illuminata di negozi in cui, essendo periodo natalizio, degli altoparlanti accompagnavano con canzoni natalizie le passeggiate di turisti e giapponesi. Da lì abbiamo fatto un giro nella via delle geisha Hanami-gochi, dove ci sono anche molte case da the d’epoca. Di geisha ne sono rimaste veramente poche in Giappone, circa 300, e benché la maggior parte si trovi a Kyoto, purtroppo non ne abbiamo vista nessuna!

Abbiamo poi proseguito su Shijo-Dori fino a che non siamo arrivate alla fermata della metro che potevano usare col pass, cioè Shijo, per tornare in albergo. Siamo passate davanti al teatro Minamiza, dove fanno spettacoli di Kabuki, un’arte teatrale giapponese. Avevo guardato i prezzi da casa, ma costava troppo, anche se, col senno di poi, avrei preferito il kabuki al robot restaurant!!

A differenza di Tokyo, Kyoto è più attrezzata per i turisti occidentali. I nomi delle strade sono anche in inglese e ci sono molti cartelli con indicazioni su come raggiungere i luoghi turistici. Infatti il tempio l’abbiamo trovato piuttosto facilmente, nonostante in realtà abbiamo dovuto chiedere dove fossimo perché all’ingresso non c’era scritto – in inglese-!

Ad ogni modo, non sapendo né leggere né scrivere, io per il giorno seguente avevo prenotato la guida. Me l’aveva suggerita un amico che era già stato in Giappone. Un po’ come i free tours che si fanno in Europa o che ho fatto in Argentina, con la differenza che qui devi prenotare e non le dai la mancia, ma semplicemente le paghi le entrate alle attrazioni e il pranzo. Sono degli studenti universitari, parte di un’associazione, delle guide private ( nei free tour non si visitano attrazioni ma si passeggia e basta) che si pagano poco. Su suggerimento del mio amico, abbiamo comprato un paio di souvenir italiani a Malpensa da dar loro a fine tour: un calendario magnetico del 2015 e una nutellina con scritto grazie. Pare che i giapponesi apprezzino molto queste stupidate!

GIORNO 8: Kyoto

Le guide, Mao e Mana sono arrivate a prenderci in hotel in perfetto orario, addirittura prima che mi presentassi io in reception, il che è tutto dire. Le ho prenotate tramite questo sito: http://www.geocities.jp/goodsamaritanclub_hp/index.html

In teoria la guida doveva essere una, ma ho erroneamente cliccato, compilando la richiesta, che sarei stata disponibile ad avere come guida una trainee, cioè una che sta imparando. Ho cliccato sì solo perché stava scritto che non avrei dovuto pagare le sue spese. Il risultato qual è stato? Che in realtà abbiamo dovuto pagare per due, benché avessi letto che avrei dovuto pagare per uno e che anche Takehiro, la guida del mio amico che era stato in Giappone, mi aveva detto che avrei dovuto pagare per uno. Ovviamente ho chiesto alle ragazze se dovevo pagare per entrambe e mi è stato risposto di sì. Non ho osato questionare perché non volevo rovinare la giornata, anche se in realtà per me era già rovinata, tanto che ho pensato di non dar loro i regalini… ma poi l’ho fatto lo stesso.

Comunque, dopo aver fatto conoscenza, la prima tappa del nostro giro è stata Fushimi Inari, cioè uno dei tanti templi di Kyoto, per la precisione la località turistica più visitata del Giappone nel 2014, come recita il premio Tripadvisor. Ci siamo andati con JR, e avendo oramai il pass scaduto, non solo abbiamo dovuto pagare per loro, ma anche per noi: andata e ritorno a testa: 480 yen. Il tempio è effettivamente molto bello, direi quello che mi è piaciuto di più, anche perché gratis. Abbiamo imparato che i Tori, cioè quelle porte enormi che sono un po’ ovunque nei luoghi sacri, sono appunto le porte che separano il regno umano da quello divino. La particolarità di questo tempio è che di tori ce ne sono oltre 10 000, più o meno grandi. Questo perché la gente può pagare per farli costruire (i grandi costano circa 100000 di yen), nella speranza che portino fortuna ai loro affari. Mi domando cosa facciano dopo aver speso tali cifre, se invece poi le cose vanno male… lì mi sono di nuovo dilettata anch’io nell’arte dell’esprimere desideri, un’arte tutta giapponese direi. Ovviamente a pagamento. Ci sono due torrette alte circa un metro con in cima due pietre rotonde: omokaruishi. In pratica dove aver gettato i soldi – a tua discrezione, io ho messo 5 yen- devi metterti di fronte a una delle due torrette, esprimere il desiderio e pensare a quanto sarà pesante la pietra. Poi la devi sollevare e se la pietra pesa più di quello che pensavi, il desiderio non si avvera. Per quanto mi riguarda, pesava più o meno ciò che mi immaginavo, quindi speriamo bene!

Da lì poi si può fare una camminata di circa due ore per raggiungere la cima della montagna e vedere il panorama. Sarebbe stato molto bello, ma purtroppo non avevamo tempo, così siamo ritornate alla stazione di Kyoto. Abbiamo comprato il pass degli autobus per 500 yen e siamo partite alle volta del Nijo-jo, il castello dello shogun, il sempre verde Tokugawa. Deve dire che il castello non mi è piaciuto molto, ed è pure costato 600 yen! È il solito palazzone totalmente vuoto che bisogna visitare scalzi e in cui non c’è ovviamente riscaldamento, per cui a me viene solo voglia di farlo di corsa per rimettere le scarpe.

Neanche la parte dei giardini che abbiamo visto mi è piaciuta molto, erano meglio quelli di Shoren. Comunque c’è tutta un’altra parte che ovviamente non abbiamo visto perché eravamo di fretta.

Dopo pranzo (abbiamo mangiato udon, questa volta niente carbonara giapponese, ma udon al curry, che così almeno avevano un sapore!), pagato ovviamente per entrambe le ragazze, siamo andate al tempio Kinkaku ji (400 yen), dove c’è un padiglione d’oro, stavolta costruito da un altro shogun, Ashikaga Yoshimitsu, definito particolarmente arrogante perché ha messo in cima al padiglione una statua della fenice, simbolo che solo l’imperatore può usare. Tra l’altro il tutto è bruciato negli anni 50 per mano di un monaco pazzo, per cui l’intera opera è molto, ma molto recente! E pensare che il nostro Colosseo è antico doc al 100%… Comunque la vista del padiglione d’ora sul laghetto è particolarmente scenografica.

Da lì abbiamo ripreso il bus e siamo andate al mercato di Nishiki, che è un lungo “corridoio” in cui si alternano negozi di souvenir e di alimentari tipici. Molto pittoresco e carino. Ci sono cibi di ogni tipo, tutti più o meno strani, come i polipetti rosso sangue nella cui testa è stato messo un uovo di quaglia; ovviamente non ho avuto il coraggio di provarli e tra l’altro neanche le guide li avevano mai provati.

Il tempo con le guide era giunto al termine, gli abbiamo dato i regalini, e meno male, perché loro ci avevano scritto due letterine, e loro ci hanno suggerito di andare fino ad Arashimaya, dove dal 12 al 21 dicembre si potevano visitare alcuni templi e il sentiero nel bosco di bambù anche la sera, perché erano illuminati. Così abbiamo fatto, abbiamo preso la Hankyu line per 220 yen fino ad Arashimaya, da lì abbiamo camminato per un’oretta in quello che alla fine è un passaggio che fanno tutti, infatti c’era un sacco di gente. Il sentiero nel bosco di bambù è molto bello, anche se probabilmente è più bello di giorno. Abbiamo visitato un solo tempio, il Nison-in, 500 yen, ed è stata una vera fregatura, perché una parte non si poteva vedere in quanto non illuminata. In generale posso dire che il tutto era comunque poco illuminato, e credo che meriti la visita durante il giorno e non di sera. Comunque sono contenta di aver visto il bosco di bambù, che è davvero bello.

Tornate in albergo, dopo il consueto giro alla ricerca dell’uscita giusta della stazione di Kyoto, siamo tornate in albergo dirette e io mi sono fatta un buon thè in camera.

Nel complesso posso dire che la giornata con le guide forse si sarebbe potuta evitare, perché Kyoto la si può girare abbastanza bene in solitaria e soprattutto perché le guide non erano poi così all’altezza- tralasciando il fatto di averne pagate due-. Dall’altro lato però mi ha fatto piacere conoscere altra gente del posto e, chissà, magari farmi nuovi amici.

GIORNO 9: Nara

La guida per Nara, Momoka, per fortuna è stata migliore di quelle di Kyoto, non solo perché era una sola e quindi abbiamo pagato per uno, ma anche perché se non avessimo pagato i suoi pasti, in realtà li avrebbe pagati da sé, visto che ha sempre fatto il gesto di pagare! Inoltre era più preparata delle altre due e sono contenta di averla avuta. L’abbiamo prenotata qui: www.narastudentguide.org/NSG/tourist.html.

Ci è venuta a prendere alla stazione, dove siamo arrivate da Kyoto al costo di 710 yen in 40 minuti.

Con lei abbiamo passeggiato tutta la giornata, che purtroppo non è stata delle più clementi perché verso l’ora di pranzo ha cominciato a piovere piuttosto forte. Comunque per fortuna avevamo già visto tutto l’essenziale.

Ci ha portate a vedere il tempio Kofuji che ha una piccola parte riservata ai bambini morti prima dei genitori, che vanno più o meno in un limbo come quello cristiano, da quello che ho capito. Ci ha spiegato la differenza tra shrine e tempio, che io stupidamente pensavo fossero due modi diversi per definire la stessa cosa. In realtà lo shrine è il luogo di culto shintoista, il tempio è quello dei buddisti. Dopo il Kofuji ci siamo dirette alla volta del Todaiji passando per il parco di Nara. Lì abbiamo cominciato a vedere i cervi, che a Nara vivono in totale libertà e te li trovi più o meno dappertutto, che ti guardano in attesa che tu gli dia un biscottino. Ovviamente in tutti i negozi per 150 yen vendono i biscotti per i cervi. Effettivamente sono molto docili e abituati all’uomo, l’unica cosa che però non mi è piaciuta affatto è vedere che a tutti i maschi sono state tagliate le corna “ perché essendo così a contatto con l’uomo, sarebbe stato troppo pericoloso lasciargliele”, così mi ha detto Momoka. Sinceramente, se un cervo incorna un uomo è perché quest’ultimo l’ha provocato in qualche modo ed inoltre, siccome i cervi sono arrivati in Giappone prima dei giapponesi ( citazione dalla mia guida cartacea), dovrebbero essere gli umani, giapponesi e non, a stare alla larga dai cervi per evitare di essere incornati, invece che mutilare i cervi che di colpe proprio non ne hanno!! Comunque, alla fine poi un cervo con due cornini striminziti l’ho visto, chissà poverino quando toccherà anche a lui…

Il Todaji l’abbiamo visto solo da fuori, l’ingresso sarebbe costato 500 yen. Alla fine i templi sono tutti uguali e sinceramente non avevamo voglia di spendere altri soldi per vedere i soliti tatami e le solite statuine, anche perché il tempo non prometteva per niente bene e volevo evitare che piovesse prima di finire di vedere i templi. Così siamo andate direttamente allo shrine Tamukeyana, da dove si può godere di una parziale vista panoramica della città, che non è neanche tanto bella. Momoka ci ha spiegato che lì per una certa festa a marzo bruciano un grosso palo di bambù e un monaco corre come un pazzo avanti e indietro con il palo infuocato in mano. Poi ti chiedi com’è che quasi tutti i templi e castelli giapponesi sono andati a fuoco svariate volte nel corso della storia…particolare curioso, i piccioni sono il simbolo di questo tempio e simboleggiano la pace. Pensare che da noi proprio non piacciono, poveri piccioni!

Dal Tamukeyama, appena prima che cominciasse a piovere siamo andate a vedere l’ultimo tempio shrine, il Kasuga, che è stato davvero il più bel posto che ho visto qui in Giappone. Questo tempio è composto da templi più piccolini nei quali si può esprimere solo un tipo di desiderio (per esempio solo per la salute o per il lavoro). I giapponesi direi che sono fissati con i desideri, non c’è tempio in cui non ci sia un qualche modo per esprimere desideri, ovviamente a pagamento. Il Kasuga si trova dentro ad un parco bellissimo, costellato da oltre 3000 lanterne, anch’esse donate a pagamento per realizzare i desideri dei ricchi facoltosi che le hanno fatte fare. Sulle lanterne si può mettere un foglio di carta con scritto il proprio desiderio, se le forze della natura ( acqua, vento…) lo rompono, allora il desiderio si avvera. A volte capita che siano i cervi a mangiarsi la carta, però secondo me anche loro fanno parte della natura. Inoltre, i cervi sono i messaggeri del Kasuga, quindi secondo me valgono a pieno titolo per la realizzazione dei desideri.

La passeggiata nel tempio e nel parco attorno al Kasuga, con tutte le lanterne, i cervi, tanti alberi e alcuni punti addirittura con le lucine natalizie ad illuminare il percorso è stata davvero bella e suggestiva. Probabilmente anche il fatto che fosse una giornata uggiosa, l’ha resa ancor più magica. È davvero il posto che mi è piaciuto di più!

A passeggiata quasi terminata ha cominciato a piovere e siccome era comunque ora di pranzo, siamo andate a mangiare. Questa volta ho provato il tonkatsu, cioè una cotoletta di maiale. L’ho presa con riso e curry, visto che almeno se le cose sono insapore, il curry aiuta a trovarne uno. Era buona ed è costata 1058 yen.

Dopo pranzo e sotto una pioggia copiosa siamo andati nella zona di Naramachi e abbiamo visitato una tipica abitazione giapponese antica (maciya). La caratteristica principale di queste abitazioni è che erano molto lunghe e molto strette perché le tasse sulla casa si pagavano in base alla larghezza! Ovviamente tatami ovunque, niente riscaldamento e piedi scalzi, la solita goduria! Durante il tragitto verso Naramachi ci siamo fermati al Daisu, uno dei negozi con tutto a 100 yen e abbiamo comprato una specie di cerotto tipo quelli per il mal di schiena che sanno di menta, che però ha la funzione di riscaldarti: può raggiungere temperature verso i 60 gradi!! Me l’aveva dato Aiko e siccome a casa nostra non li ho mai visti e tengono caldo davvero per anche 10 ore, ho deciso di comprarne un paio di pacchetti, ovviamente a 108 yen l’uno, vuoi mai che possano essere rifilati anche come regali in altre occasioni!

Infine abbiamo deciso di ritornare in stazione per prendere il treno per Kyoto, perché pioveva troppo per continuare a camminare. Tra l’altro, quella zona era molto carina, con viuzze strette e case basse.

Sulla strada siamo incappate per caso in un neko café, ovvero un cat café, ovvero un bar in cui ci sono gatti che girano ovunque. Sono bar popolari in Giappone, e da poco se ne vedono aperti alcuni anche in Europa. Io l’avevo provato a Vienna e non mi era piaciuto molto, perché i gatti non sembravano molto curati e perché gli avventori erano troppo rompiscatole nei confronti dei gatti, per cui in realtà, pur sapendo che in Giappone ce n’erano molti, non li ho cercati e neanche ci sarei andata se non l’avessi visto! Diciamo che il destino ha voluto che provassi l’esperienza del cat café giapponese. È costato 1000 yen per un’ora e mezza più una consumazione a scelta tra: limonata calda con miele ( la nostra scelta), caffèlatte o caffè. Il locale era piccolo e pieno di gatti, ce ne saranno stati almeno dieci e forse più di venti che saltavano sopra e sotto i tavoli senza farsi troppi problemi! Momoka sembrava circondata da gli alieni invece che da gatti, non aveva mai toccato un gatto in vita sua e praticamente l’ha fatto per un solo secondo lì al cat café su mio invito, in compenso però ha fatto qualche foto, credo quindi che non le sia dispiaciuto, visto che comunque abbiamo pagato noi anche per lei!

Mi è piaciuto di più di Vienna, perché i gatti si vedeva che stavano bene, ma come sempre agli avventori vorrei tanto fare del male, o che almeno gliene facesse il gatto, perché non hanno mai abbastanza rispetto per l’animale. Comunque è stato simpatico, il gestore era molto gentile e ci ha fatto vedere sull’iphone alcune foto e video dei micetti lì presenti, noi abbiamo ricambiato con alcune foto e video dei nostri micetti, sembrava quasi una gara a chi avesse il gatto più buffo!

Finito l’esperimento cat café siamo tornate in stazione e poi a Kyoto. Abbiamo salutato Momoka, le abbiamo dato il nostro regalino italiano ( un portachiavi e un calendario magnete con le foto dell’Italia) e siamo tornate in città. Per la prima volta in 3 giorni non ci siamo perse alla stazione di Kyoto e abbiamo subito trovato l’uscita per il nostro hotel, incredibile!

GIORNO 10: Osaka

Abbiamo lasciato Kyoto per la nostra, ahimè, ultima destinazione giapponese: Osaka. Abbiamo preso il treno delle 10 per 560 yen e siamo arrivati a Osaka mezz’ora dopo.

Abbiamo lasciato le valigie in albergo, il check in è sempre e solo nel pomeriggio, e poi ci siamo dirette al castello. In metropolitana abbiamo comprato l’eco card, un pass di un giorno per i mezzi che durante i weekend – era domenica- costa 600 yen, sopra settimana 800, e dà lo sconto per una trentina di attrazioni. Col senno di poi avremmo fatto meglio a prendere la Osaka amazing card per 3000 yen: un pass di due giorni per i mezzi che dà accesso gratuito alla stessa trentina di attrazioni…

Il castello di Osaka, che a mio parere è la sola attrazione rilevante e probabilmente più vecchia di 60 anni, assomiglia ad una pagoda e sormonta un ampio parco. È stato ovviamente bruciato un tot di volte e ricostruito definitivamente nel 1931. Con lo sconto del pass abbiamo pagato l’ingresso alla torre 500 yen. Fondamentalmente è un museo in cui si narra la storia del castello, che ha avuto un ruolo centrale nell’assedio di Osaka, dove, manco a dirlo, lo soghun Tokugawa ha sconfitto il suo rivale e, ovviamente, bruciato e ricostruito il castello. La parte bella del museo è l’ottavo piano, da dove si può godere di una vista a 360 gradi sulla città, e il quarto piano, dove ci sono esposte le armature dei samurai, che sono molto belle.

Volevamo poi vedere i giardini Nishinomaru ma erano chiusi, così ce ne siamo andate in direzione della ruota panoramica, una delle più alte al mondo con i suoi 112,5 metri.

Abbiamo pranzato nel centro commerciale di fianco alla ruota dove abbiamo preso una omoletsu per 890 yen, cioè una omelette, o meglio, del riso dentro ad uno strato sottilissimo di uovo; ancora mi domando come fanno a farla…

La ruota con lo sconto pass è costata 700 yen, invece di 800 (non è che la eco card dia grandissimi sconti, per cui è ancora più consigliabile l’amazing pass), il giro è durato circa 10 minuti e devo ammettere che non solo il panorama non mi ha entusiasmato, ma che sentire il vento sibilare a 110 metri dall’altezza mi ha fatto venire un po’ di ansia… probabilmente è meglio vedere la ruota da giù, quando è illuminata, perché altrimenti a mio parere l’esperienza non è un granché.

Lasciata da parte la ruota siamo andate all’Umeda sky building per vedere il panorama cittadino dal suo floating garden (che però in realtà non è un giardino, non c’è nemmeno l’erba). Ovviamente c’è voluto un attimo per trovare la direzione giusta una volta uscite dalla metro, però alla fine ci siamo arrivate. Alla base del grattacielo c’era un mercatino di Natale in stile tedesco, tant’è che all’entrata si veniva accolti con un frohe Weinhachten! La vista panoramica è costata 640 yen invece di 700 e obiettivamente mi è piaciuta di più quella di Tokyo. Speravo di poter fotografare la ruota illuminata, ma era troppo lontana. Sarebbe stato meglio andare al tramonto, come avrei voluto fare, ma a parte che la giornata non era per niente bella da godersi il tramonto, quando siamo arrivate abbiamo dovuto fare circa mezz’ora di fila per salire… dulcis in fundo, anche in cima allo sky building, indovina, indovinello cosa si poteva fare? Esprimere un desiderio!!! Questa volta ci hanno fornito delle stelline d’argento su cui scrivere il desiderio per poi appenderle o sull’albero di Natale, oppure su degli appositi cavi. Ovviamente ho di nuovo espresso il mio desiderio e credo di non aver mai espresso così tanti desideri in tutta la mia vita, perlomeno non così ravvicinati nel tempo! All’aperto sull’osservatorio c’era addirittura un posto in cui scambiarsi una promessa d’amore da blindare con un lucchetto in stile ponte Milvio; non ho approfondito se il lucchetto andava comprato o bastava portarselo da casa…

Scese dalla torre siamo andate a Dotombori, il quartiere dei divertimenti. Siamo scese a Namba e poi ci siamo addentrate nelle vie illuminate a giorno piene di ristorantini, chioschi e bar. La pietanza principale è il tako-yaki, delle specie di polpettine di polpo molto molli, ma si possono trovare anche le famose pizze giapponesi, il manzo di kobe, il sushi e probabilmente anche qualcosa di italiano se si cerca bene! Abbiamo assaggiato il polpo ad un banchetto, 8 polpettine per 550 yen. Ovviamente ce l’ha ricoperto di salsine e odori vari, posso dire che non è nulla di eccezionale. Sicuramente però è fresco, perché te lo cucinano in strada sul momento!

Siamo tornate in albergo passando per la strada delle griffe, dove ovviamente molte erano italiane.

GIORNO 11: Osaka

Partendo dal presupposto che un giorno ad Osaka basta e avanza, questo nostro secondo giorno in città è stato del tutto inutile; se solo l’aereo fosse stato in giornata invece che di notte, avremmo evitato di pagare una notte in più e di vagare per la città alla ricerca di qualcosa di carino da vedere.

La mattina dopo la colazione in camera a base di the verde rigorosamente senza zucchero, siamo andate in direzione Tennoji Park e torre Tsutenkaku. Abbiamo di nuovo comprato un pass giornaliero, questa volta al costo di 800 yen ( l’amazing pass sarebbe stato molto meglio!).

Da principio abbiamo deciso di andare a vedere lo shrine Imamya Ebisu Jinja, lì in zona torre Tsutenkaku, visto che dalla mini guida di Osaka presa in stazione sembrava carino. Ovviamente abbiamo fatto fatica a trovarlo e abbiamo solo parzialmente dedotto che fosse lui, perché come sempre i nomi dei templi sono solo in giapponese. Comunque non era nulla di che, al contrario, piccolo e insignificante. Siamo allora tornate in direzione torre e per la strada dei negozi Shin Sekai, visto che comunque volevamo anche comprare qualche souvenir o in ogni caso guardare cosa i negozi avevano da offrire: fondamentalmente nulla. Anche la stessa torre è risultata essere piuttosto bassina, o almeno io la immaginavo simile alla Skytree di Tokyo, quindi ben più alta. Abbiamo passeggiato per Shin Sekai e per Jan-Jan Yokocho senza vedere nulla di particolare, tanti negozi ma nulla di accattivante. Siamo entrate in un negozio di elettronica per avere la riconferma che comprare marche giapponesi in Giappone non costa affatto meno, o quantomeno non tanto da decidere di spendere e spandere in tecnologia.

Ci siamo dirette poi al parco Tennoji, che anche se è inverno, poteva rivelarsi un luogo carino con buoni spunti fotografici. Ebbene, non l’abbiamo trovato. O meglio, probabilmente era chiuso, perché abbiamo circumnavigato quello che doveva esserne il perimetro, siamo arrivate fino all’entrata dello zoo, abbiamo seguito i cartelli che indicavano il parco e i giardini Ketakuen, eppure non siamo arrivate a nulla se non alla conclusione che il parco cittadino il lunedì è chiuso, oppure l’entrata è ben nascosta.

Sconsolate, anche un po’ nervosa per quanto mi riguarda, abbiamo ripreso la metro e siamo tornate in zona Dotombori, anch’essa ricca di vie di negozi.

Abbiamo fatto Shisaibashi suji, che è una via di negozi all’occidentale, quindi scarsamente interessante, poi abbiamo fatto Ebisubashi-suji, che invece è stata più interessante perché ho comprato la mia tazza e un paio di coppette che loro usano per il riso e che io conto di usare per il gelato. Abbiamo visto anche un negozio che vendeva i famosi piatti finti che si trovano all’esterno di tantissimi ristoranti, e tra l’altro erano parecchio cari!! Un piatto con cotoletta di maiale al curry e riso ( tutto rigorosamente finto) costava circa 6000 yen!

Per pranzo ci siamo fermate in un localino in Ebisubashi-suji dove io ho preso l’ultima tempura e gli ultimi udon insapori della vacanza; tutto sommato è stato un po’ triste – il cibo era buono però!-! Comunque, sono riuscita a non schizzare troppa zuppa in giro, merito del fatto che ho quasi pucciato il naso nella ciotola.

Poi abbiamo visto il Kuromon Ichiba market, che la mini guida vantava come un mercato visitato da circa 150 000 persone al giorno e che a me è sembrato niente più che la solita strada coperta di negozietti di cibo più o meno strani ma anche poco pittoreschi; infine in Tenjimbashisuji, altra via di negozi decantata come la più lunga del Giappone, ma che ancora una volta non aveva molto da offrire, nonostante la descrizione offerta dalla guida. Comunque effettivamente era piuttosto lunga.

Alla fine, almeno soddisfatta dall’acquisto delle ceramiche, siamo ritornate in albergo a riposare e poi abbiamo preso il treno per l’aeroporto dalla fermata metro Tengachaya. Da quella fermata il costo è stato di 920 yen. Ovviamente per non farci mancare nulla, abbiamo preso il treno sbagliato. La direzione era quella giusta, peccato che il treno fosse un rapido e con prenotazione posto obbligatoria. L’unico controllore che abbiamo mai trovato sui treni ovviamente lì c’era e ci ha prontamente detto che se volevamo rimanere su, avremmo dovuto pagare 500 yen per il posto, altrimenti potevamo scendere alla fermata successiva e prendere il treno corretto, cosa che abbiamo fatto. Tutto sommato ci è andata bene, avrebbe potuto farci la multa!!

Alla fine all’aeroporto ci siamo arrivate, praticamente in anticipo grazie al pezzo fatto sul treno rapido! Sul volo di ritorno ho ritrovato uno steward del volo di andata, che ci ha riconosciute e ce l’ha detto ( l’avevo riconosciuto anch’io, ma ovviamente non gliel’avrei mai fatto notare!). Peccato non rientrasse nella categoria dei turchi carini… comunque i voli di ritorno con Turkish sono stati eccellenti come all’andata, non per nulla è stata votata dai passeggeri come la miglior compagnia europea ( del resto, mi sento di dire che di concorrenza in Europa praticamente non ne ha!!)!

CONCLUSIONI

Che dire del Giappone… È un paese meraviglioso, non tanto per quello che ha da offrire a livello di beni artistici (diciamocelo, la vecchia Europa vince sempre), quanto per la sua gente; sono davvero belle persone: educate, gentili e rispettose, che si inchinano sempre per salutare o ringraziare. Il livello di moralità ed educazione che hanno loro, noi, purtroppo, l’abbiamo perduto decenni fa.

Altre cose particolari che mi hanno piacevolmente colpito del Giappone sono il fatto che nonostante il paese sia pulitissimo, trovare dei cestini per gettare l’immondizia è praticamente impossibile. Se compri da bere ad una macchinetta – e ce ne sono letteralmente ovunque-, poi rischi di doverti portare fino a casa la lattina perché non ci sono bidoni, o comunque ce n’è molto pochi! E che dire poi del fatto che ci sono bagni pubblici gratuiti in ogni angolo – un po’ come le macchinette-? E quando dico bagni pubblici non intendo luoghi sporchi, puzzolenti e senza carta igienica! Tutto il contrario! Non sembra, ma è psicologicamente un sollievo andare in giro e sapere che se hai necessità del bagno non c’è bisogno di trovare un bar, prendere un caffè e sperare che il bagno ci sia e non faccia schifo!

A proposito di bagni, non posso che concludere con un’ode al water elettronico: può sembrare una banalità per noi che abbiamo il bidet, ero scettica anch’io prima di provare e invece mi sono ricreduta alla grande. È l’invenzione del secolo, da premio nobel! L’unico motivo che mi viene in mente del perché non si sia ancora radicalmente diffuso in occidente è che la maggior parte di noi non l’ha ancora provato, perché altrimenti proprio non si spiega – a meno di pensare male di coloro che neanche hanno il bidet…. Insomma, se lo provi ti cambia la vita e non ne vorrai più fare a meno! Io infatti ora sto cercando di capire come comprarne uno, perché se si cerca, si scopre che li vendono anche in Europa! Fidatevi, è stupendo! Provare per credere! 😉



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