Sudafrica in auto tra parchi, spiagge e città

Da Johannesburg a Cape Town, passando per i parchi nazionali
Scritto da: mnz86
sudafrica in auto tra parchi, spiagge e città
Partenza il: 10/08/2014
Ritorno il: 26/08/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Viaggio on the road svolto nelle settimane centrali di agosto, da Johannesburg a Cape Town, seguendo sostanzialmente il tragitto della N2 che percorre da est a ovest la costa attraversando aree rurali di grandi varietà e bellezza. 3.300 chilometri in 12 giorni che ci hanno dato modo di gettare uno sguardo a 360 gradi sulla varietà e la ricchezza del Sudafrica visitando alcuni tra i maggiori parchi nazionali (Ithala, Hluhluwe, iSimangaliso, Tsitsikamma, Cape Pensinsula), importanti città (Durban, Grahamstown, Cape Town), spiagge (Cape Vidal, Plettenberg Bay, Buffels Bay, Wilderness, Betty’s Bay) e paesaggi mozzafiato, con un investimento complessivo di poco più di 1.500 euro a testa.

Definita “nazione arcobaleno” per il mosaico di popolazioni che la popolano (mantenendo nella maggioranza dei casi nette demarcazioni e mischiandosi solo raramente e superficialmente, proprio come avviene in un arcobaleno), il Sudafica è effettivamente un paese dai mille volti specie se si ha voglia di esplorarlo davvero, in lungo ed in largo, senza limitarsi a volare da un cliché turistico all’altro. In poco più di due settimane non è ovviamente possibile conoscere in maniera approfondita di un paese di tale estensione e complessità; è tuttavia possibile passare in rassegna un gran numero di situazioni, contesti e paesaggi, godendo degli innumerevoli stimoli che una nazione di tale complessità può assicurare ad un osservatore aperto.

Quello che segue vuole essere un resoconto il più possibile pratico ed “operativo”, utile soprattutto a chi vuole capire se e quale Sudafrica può fare al suo caso e a chi sta pianificando un itinerario in maniera indipendente (in Sudafrica ci si può muovere autonomamente con la stessa facilità con cui ci si muove in Europa usufruendo di un livello di servizio di molto superiore, solo con un po’ di buon senso ed attenzione in più). Per questo ho deciso di limitare per quanto possibile gli aggettivi e gli stereotipi, e di inserire al contrario nella maniera più sintetica possibile tutte le informazioni pratiche che mi sarebbero state utili quando mi trovavo io a dover provare a decodificare questo paese enorme e multiforme, e che ho avuto modo di raccogliere e di sperimentare in prima persona.

In fase di pianificazione ho seguito un semplice “principio”: includere nel percorso la maggior varietà possibile di paesaggi ed esperienze (riserve naturali e con grandi mammiferi, zone rurali, coste, città) muovendoci sempre via terra con auto a noleggio (senza quindi prendere voli interni se non, per limiti di tempo, un Cape Town – Johannesburg per tornare all’aeroporto di partenza del volo) in modo in più possibile indipendente. Per far questo ci siamo dovuti ovviamente muovere costantemente (facendo in tutto 3.300 chilometri, con ogni giorni un trasferimento compreso tra i 120 e i 500 chilometri), cosa di cui non ci siamo assolutamente pentiti (anche se il rimpianto per non aver potuto approfondire alcuni aspetti c’è, ma non si può avere tutto), e che non ci ha stancati fisicamente più di quanto sia lecito aspettarsi da ogni viaggio che si rispetti.

Tutte le struttura sono state prenotate in anticipo attraverso i principali siti di booking o direttamente, nel caso delle riserve nazionali, senza alcuna difficoltà ed approfittando del fatto che in Sudafrica agosto è un momento di bassissima stagione e che i prezzi, per questo e per altri motivi (la recente svalutazione della moneta locale, enorme offerta di sistemazioni ed in particolare di guesthouse), possono risultare per il viaggiatore europeo sorprendentemente convenienti.

Arrivo a Johannesburg (day 2) Siamo atterrati a Jo’burg alle 11 di mattina di lunedì 11 agosto, dopo un viaggio non confortevole di 24 ore (day 1) – a sua volta molto interessante – con la Saudia via Jeddah.

Nella Hall arrivo di Jo’burg, assolutamente sicura e con standard di livello, sono presenti alcuni bancomat (quasi tutti i bancomat, con eccezione di quelli della FNB, permettono di prelevare anche con un normale bancomat italiano su circuito Maestro) ed un chiosco informazioni. L’area dedicata ai Car Rental è subito all’uscita della Hall A, sulla sinistra.

Johannesburg ha una fama pessima, che non posso né confermare né smentire direttamente ma che sembra confermata dagli aneddoti e anche probabilmente dalle statistiche.

Piuttosto che saltare del tutto la città alloggiando come molti fanno fuori dall’aeroporto, abbiamo tuttavia scelto di soggiornare a Melville, che è un quartiere dedicati alle classi benestanti per raggiungere il quale sono necessari meno di 30 minuti di strada, per cominciare un po’ a annusare il mondo fuori. Per raggiungerlo abbiamo almeno avuto tra l’altro il piacere di aggirare, anche se velocemente e su una sorta di tangenziale sopraelevata, il centro di Johannesburg. A Melville abbiamo trovato un’ottima guesthouse, in cui ci siamo – come previsto – soprattutto riposati dal lungo viaggio. Non abbiamo avuto purtroppo modo di visitare la città, vista la stanchezza, il poco tempo a disposizione e la fama della città. Abbiamo però fatto un giro per il quartiere di Melville (un “bel” quartiere “per ricchi” con strade ordinate, disturbanti villette protette dai tipici alti muri con filo spinato elettrificato e cctv 24h, un piccolo centro con qualche ristorantino e nei pressi alcuni centri commerciali e fast food), visitando anche un centro commerciale qualsiasi (esperienza che considero tra le più significative) dedicato alla classe media e frequentato soprattutto da neri, completo di supermercato in cui abbiamo fatto una piccola scorta di biscotti cracker ed acqua per il viaggio.

Questa tappa è stato tutto sommato utile e interessante, anche perché ci ha aiutato un po’ a rompere il ghiaccio sia con la guida a sinistra (ci si abitua subito, e il traffico è sorprendentemente ordinato) che con il “tema sicurezza” (con la luce del giorno non abbiamo avuto il minimo motivo di temere per alcunché). Con il senno di poi si sarebbe forse potuto provare ad organizzare un veloce tour guidato del centro città, che ci ha incuriosito molto, o alle township (anche se l’opportunità di questo genere di voyeurismo è tema controverso).

Da Johannesburg all’Ithala Game Reserve (day 3)

Dopo la prima epica colazione sudafricana (2 scrambled eggs, bacon, pork sausage, pomodoro, funghi, succo di mango, pane burro e marmellata, caffé filtrato all’americana) ci siamo avviati attorno alle 8 con direzione Ithala Game Reserve, una riserva statale poco battuta ma molto bella a 6 ore da Jo’Burg in direzione Hluhluwe Game Reserve e iSimangaliso Wetland Park (due tra i più importanti parchi del Sudafrica, il secondo patrimonio Unesco, nei pressi della costa che dà sull’Oceano Indiano). Per raggiungerla abbiamo seguito un percorso abbastanza tortuoso tra diverse strade statali, attraversando prima la periferia di Jo’Burg (capannoni e grandi accampamenti di baracche di lamiera) su grandi autostrade a 5 corsie, poi grandi pianure secche con pochi grandi ranch di bianchi (accuratamente recintati) punteggiati da piccole cittadine abitate da neri (tutte con annessa periferia di baracche, distributore di benzina Total Shell o Engen, stazione di polizia, agglomerato di Cash and Carry e rivendite di materiali da costruzione, supermarket Spar e Kentucky Fried Chicken), poi le prime belle colline della regione del KwaZulu-Natal con i caratteristici villaggi fatti di capanne tonde colorate con il tetto a punta (di lamiera o di materiale vegetale).

Siamo arrivati all’Ithala Game Reserve alle 15, con una prenotazione per pernottare una notte nel “villaggio” all’interno della riserva. Incluso il fee per l’ingresso nella riserva abbiamo speso in 2 circa 65 euro per un’intera casetta indipendente nella foresta (camera, bagno, cucina attrezzata, salotto con tv e veranda – in Sudafrica le sistemazioni sono sempre enormi), che per essere all’interno della riserva pare essere un prezzo onesto. Dall’ingresso della riserva al caratteristico “campo” (ufficio informazioni, ristorante, negozietto e casette per i visitatori pernottanti) ci sono circa 15 minuti di strada asfaltata, in un paesaggio molto bello (ampie valli ricoperte dal tipico bush sudafricano, giallo visto che agosto è in quest’area la stagione secca), durante i quali abbiamo immediatamente avvistato sul ciglio della strada o poco oltre alcuni facoceri e una giraffa. Nel campo, straordinariamente tranquillo vista la bassa stagione, abbiamo visto aggirarsi tra le “casette” un paio di “antilopi” (intendetelo come un termine generico, ho scarsa memoria per le diverse specie) e alcune piccole scimmie.

Essendo la nostra prima volta in una riserva di questo tipo ed essendo già le 15 inoltrate (e in agosto, in Sudafrica, il sole tramonta prima delle 6 ed alle 7 è già buio pesto) ci siamo aggregati ad un “safari” organizzato dal parco alle ore 16, per una dozzina di euro a testa. Su un camioncino (ottimo perché, vista la posizione sopraelevata, permette di vedere bene tra gli alti arbusti del bush) abbiamo girato per 3 ore fino ben oltre il tramonto tra le strade di terra battuta del parco aggiungendo alla lista degli animali visti anche elefanti, zebre e bufali.

Per cenare il ristorante offre una cena a buffet più che dignitosa ad un prezzo che per il paese è sicuramente elevato (ma parliamo comunque di meno di 15 euro a testa), ma giustificato visto la mancanza di alternative comode (tutte queste sistemazioni sono comunque complete di cucina attrezzata). Per le ore 20 ce ne siamo quindi tornati camminando sotto le stelle (è utile portare una torcia) nella nostra casetta molto molto bella isolata nel bosco ai margini del campo – val la pena di superare l’eventuale paura nei confronti dei ragni, molto agili e di cospicue dimensioni, che si muovono liberamente dentro e fuori dalla capanna e del tutto indifferenti agli eventuali turisti.

Dall’Ithala Game Reserve a Hluhluwe Game Reserve (day 4)

La mattina successiva abbiamo ripreso la macchina e siamo usciti dal parco (uscendo ci siamo fermati diverse volte su ciglio della strada sia per il paesaggio che per i molti animali visti – da soli è molto più emozionante, perché spegnendo la macchina si ha anche la possibilità di “ascoltare” la natura senza alcun disturbo).

In circa 2 ore abbiamo raggiunto Hluhluwe, cittadina come tante (completa di ATM, distributore di benzina, KFC, Stazione di polizia, …) costituita da una sola strada denominata come nella maggioranza delle città sudafricane di questo tipo “Main Road” (la toponomastica riflette lo scarso interesse dei governanti nel dare addirittura dei nomi a cittadine considerate “insignificanti” come questa) nei pressi della quale si trova l’accesso a quello che è, alle spalle del celeberrimo Kruger, il parco più grande e ricco del Sudafrica (HluhluweImfolozi Park).

Questa volta abbiamo alloggiato fuori dal parco, in una piccola riserva privata (completa di zebre, “antilopi” e giraffe, ma priva di predatori – tanto che è possibile camminarvi attraverso la notte al buio senza alcun rischio, ed anche questa è un’esperienza affascinante) a 10 minuti dall’ingresso del parco. Scaricati i bagagli abbiamo visitato per circa 3 ore la riserva (molto più grande di Ithala, 3 ore sono state sufficienti per vederne solo una parte), addentrandoci lungo la strada principale asfaltata per circa 50 chilometri. Abbiamo visto diversi animali, anche se con densita inferiore a Ithala, tra cui (in lontananza) anche due rinoceronti. Non abbiamo visto i felini, che pure sono presenti nel parco, ma non importa – in fin dei conti si tratta di una vacanza.

iSimangaliso Wetland Park e Cape Vidal (day 5)

Hluhluwe ha il vantaggio di trovarsi a meno di un’ora da un’altra grande riserva, patrimonio Unesco, e cioè l’iSimangaliso Wetland Park che si trova tra l’Oceano Indiano, la laguna e il lago Santa Lucia.

Abbiamo visitato questa riserva il giorno successivo, accedendovi dalla cittadina turistica (che abbiamo evitato) di St Lucia. Abbiamo girato questa sezione del parco in lungo e in largo, anche percorrendo in auto (una semplice VW Polo 1.4) le strade secondarie sterrate indispensabili per accedere ai punti più belli, tra cui alcuni “hide” (capanni da cui è possibile osservare, inosservati, radure e stagni) e un paio di belvedere sull’oceano e sulla laguna. Anche qui abbiamo visto diversi animali (a molti dei quali ci eravamo nel frattempo già quasi assuefatti) tra cui grandi gruppi di scimmiette e – a grandissima distanza – le sagome di alcuni ippopotami nell’acqua della laguna. Non abbiamo invece visto coccodrilli: pare che a St Lucia ci siano dei luoghi privati in cui è possibile vederli (non so se in gabbie o stagni), ma abbiamo preferito dedicarci alla natura incontaminata dei parchi anche se questa non sempre comprende tutti gli animali che, da catalogo, uno pretenderebbe di incontrare.

Il parco termina con Cape Vidal, una lunghissima spiaggia di sabbia sul gelido Oceano Indiano, in cui è possibile passeggiare sul bagnasciuga per chilometri e nei pressi del quale c’è l’unico piccolo negozio in cui acquistare acqua ed eventuali generi di conforto (in particolare decine di tipi diversi di patatine e barrette di cioccolato, che a questa latitudine vanno decisamente per la maggiore).

Durban (day 6)

Il giorno successivo abbiamo lasciato lo scenario ovattato e senza tempo delle riserve nazionali con l’obiettivo di scontrarci (cercando di non farci troppo male) con la contemporaneità di una metropoli pulsante e contraddittoria quale Durban.

Durban, come tutte le grandi città dei paesi più o meno in via di sviluppo, è una città in cui è necessario prestare attenzione e in cui pochi turisti vanno. Ha la fama di essere (insieme a Jo’burg) la città più pericolosa di un paese che, anche se nelle riserve ce lo eravamo dimenticati, è tra i primi 10 al mondo per numero di omicidi e al numero 1 per percentuale di HIV positivi, che vanta una disoccupazione superiore al 30% ed in cui è normale ascoltare al giornale radio notizie di morti ammazzati e di “car hijacking”.

In realtà la nostra esperienza di Durban è stata positiva, e fondamentale. E’ stato soprattutto nel cuore di Durban, nel centro commerciale costruito all’interno del vecchio mercato o nelle strade tra il centro coloniale e la stazione degli autobus, unici bianchi (insieme a qualche vecchio homeless) in zone frequentate esclusivamente solo da neri e ciò nonostante per nulla oggetto di attenzione, che ci siamo sentiti davvero a contatto con il giovane Sudafrica e con la sua strabordante vitalità. Chiaro: si è trattato di passeggiate di poche decine di minuti, vissuti con tensione e circospezione e facendo attenzione ad annusare attentamente l’atmosfera di ogni angolo e di ogni strada per non finire nel cul-de-sac sbagliato. Ma sono stati belli, anche se vissuti con la frustrazione di non poter registrare serenamente il momento (la macchina fotografica è rimasta nascosta sul fondo di una borsa anonima, insieme alla guida turistica ed alla cartina) e di non poter godere a pieno dell’atmosfera curiosando tranqullamente tra le bancarelle, i negozietti, parrucchiere e manicure di strada, i venditori di frutta, i liquor store e le taverne piene zeppe di uomini stretti attorno ad un biliardo. Il tutto, con il dubbio che tutta questa sensazione di “inadeguatezza” sia in parte frutto di un clima di tensione che un po’ si autoalimenta (specie tra i viaggiatori), perché camminare nel caos di una qualsiasi città di soli neri in Sudafrica ti fa sentire un potenziale obiettivo solo in quanto bianco, ma non è detto che ogni bianco costituisca davvero un obiettivo in quanto tale (e, come detto, finché siamo rimasti nelle vie del centro nessuno ha badato a noi). Ma tant’è.

Siamo arrivati a Durban in tarda mattinata, e dopo aver lasciato i bagagli e l’auto in un piccolo hotel vicino al waterfront all’altezza di northern beach, siamo usciti a piedi (ripromettendoci di tornare a rintanarci nel nostro bunker o sul lungomare pattugliato dalla polizia, come da prassi locale, al primo sentore di pericolo) per un giro del centro distante un paio di chilometri. Abbiamo raggiunto il centro percorrendo il marciapiede (uno dei pochi del paese, credo) a bordo della grande arteria a 3 corsie che entra in città, e poi abbiamo raggiunto piazza del mercato, il centro commerciale costruito nella vecchia struttura metallica del mercato stesso, il vecchio municipio edificato dagli inglesi alla fine dell’800, il retro della stazione degli autobus, la zona con i negozietti della minoranza indiana e musulmana. In tutto il percorso abbiamo incontrato al massimo 3 persone che il precedente regime amico dell’occidente e signorilmente deposto nel 1994 avrebbe certificato senza dubbio sulla carta di identità come “white”, a parte cinque o sei homeless sulle panchine di fronte ai vecchi palazzi coloniali (fantastica visione). Alla fine del giro ce ne siamo tornati contenti e carichi in hotel, dove abbiamo cenato (unici bianchi, mi si perdoni l’ulteriore nota di colore, in un hotel con clienti solo neri e indiani).

Il giorno successivo abbiamo fatto una passeggiata lungo il waterfront in stile californiano costruito in occasione dei mondiali. Lungo 4 chilometri in tutto e molto spazioso (e pattugliato dalla polizia), il waterfront è percorso da una varia umanità fatta di giovani surfisti biondi, ragazzini neri in gita provenienti probabilmente dalle vicine township, anziani turisti indiani, coppiette e famiglie di turisti più o meno spaesati, runner e ciclisti di ogni possibile etnia (livellati da un impeccabile abbigliamento tecnico). A parte un ragazzo con passo strascicato, occhio spento e caschetto rosso da operaio che girava con un machete nella tasca posteriore dei jeans, il lungomare di giorno ci è parso assolutamente ok e, specie con il sole, anche godibile. Non ci sentiamo invece di dire lo stesso delle strade che stanno immediatamente alle spalle dei grattacieli e degli hotel del lungomare (da lontano sembrano Nizza, da media distanza sembra Tangeri, da vicino si nota in realtà spesso si tratti di palazzi provati dal passare del tempo) che è una zona di liquor store e alberghi ad ore. Abbiamo fatto una veloce escursione nella zona (incrociando tra l’altro un ragazzo che scherzava con un amico impugnando una pistola ipotizzo giocattolo – ma senza tappo rosso CEE), ma la nostra sensazione è stata che è meglio evitare.

Da Durban a East London (day 7-8)

A sud di Durban, a parte poche decine di chilometri di costa disseminati da cittadine balneari prive di interesse, si stende la cosiddetta “Wild coast” che è wild nel senso che non è raggiungibile via terra se non con strade faticose e molto distanti rispetto alla “autostrada” N2 che in questo punto si allontana dalla costa inerpicandosi sulle montagne dell’interno. Pare che questa parte della costa sia molto bella, ma visti i pochi giorni a disposizione non abbiamo tempo per esplorarla.

Il piano prevedeva quindi di percorrere l’autostrada N2 (si tratta in realtà di una strada con una corsia per senso di marcia, ben asfaltata, che attraversa villaggi e cittadine) per alcune centinaia di chilometri fino al successivo punto in cui la costa torna ad essere accessibile nei pressi della città di East London. Lasciata quindi la costa, le palme e le piantagioni di canna da zucchero della zona di Durban, ci siamo quindi inerpicati sulle montagne dell’interno incontrando prima ampie vallate con fattorie sterminate e grandi catene montuose sullo sfondo, e poi le zone rurali popolate dai pastori di etnia Xhosa (la stessa di Mandela).

Vista la lunghezza del viaggio, abbiamo fatto una tappa intermedia in una fattoria-guesthouse gestita da due anziani signori bianchi anglofoni (praticamente l’unica soluzione in quest’area in cui sono del tutto assenti gli hotel, ed in cui turisti e bianchi non residenti in generale normalmente non viaggiano preferendo volare da Port Elizabeth o da East London a Durban) alcuni chilometri prima di Kokstad. L’esperienza della fattoria-guesthouse è stata un’esperienza molto piacevole, che consiglio, così come sono piacevoli i paesaggi in quest’area e nelle successive zone rurali abitate esclusivamente da neri e frequentate dai non residenti solo se necessario e comunque senza mai fermarsi per alcun motivo (se non nel grande autogrill gestito dalla Shell subito dopo la capitale regionale Mthatha, come consigliatoci dalla proprietaria della fattoria-guesthouse). In realtà questi grandi spazi ci hanno trasmesso una grande sensazione di pace e le comunità rurali (che sono presenti quasi esclusivamente in questa zona e nel KwaZulu-Natal) ci hanno trasmesso una forte simpatia, al meno per quanto è possibile trasmettere simpatia attraverso i finestrini di un’auto in corsa.

Dopo aver pernottato a Kokstad abbiamo quindi proseguito per East London (facendo una sosta nell’autogrill Shell consigliatoci, caratterizzato – come gli autogrill presenti ogni 200/300 chilometri su tutta la N2 – tra l’altro da bagni immacolati, da un paio di ATM e dagli ottimi fast food locali). A East London, cittadina industriale in cui gli stranieri capitano soprattutto per motivi di lavoro o per fare turismo balneare (specie nell’annessa cittadina di Kidd’s beach, in questa stagione una cittadina fantasma), abbiamo soggiornato presso una guesthouse sontuosa (al posto della stanza doppia ci siamo trovati, a 49 euro in tutto compresa la colazione, un bilocale stile Malibu) nel quartiere di ville con filo spinato elettrificato (che qui ricompaiono, dopo 500 chilometri di aree tribali) denominato manco a farlo apposta “Bunkers Hill”.

Da East London a Port Alfred e Grahamstown (day 9)

Ad East London le strade statali tornano a percorrere la costa che, in questa sezione, è ancora abbastanza “wild” ed è caratterizzata da un susseguirsi di fiumi e torrenti, generatisi nelle colline e negli altipiani dell’interno, che confluiscono placidamente nell’oceano dando luogo a spettacolari river mouth con annesso canneto e duna di sabbia candida.

Sulla maggior parte delle bocche di fiume sono stati costruiti lussuosi resort che le rendono inaccessibili, abbiamo però trovato casualmente una bocca (Birah river mouth, riva destra del fiume) completamente dimenticata (e per questo un po’ inquetante, ma splendida) che risulta liberamente accessibile prendendo una strada stretta, sterrata e apparentemente abbandonata che conduce in pochi minuti ad un capanno diroccato da cui è possibile proseguire a piedi costeggiando il fiume.

Attorno all’una abbiamo raggiunto Port Alfred, cittadina dal sapore nordeuropeo con un’ordinatissima marina artificiale (canali disegnati con il righello fiancheggiati da villette tutte uguali col tetto verde, ciascuna con il suo attracco per la barchetta), un piccolo centro deserto dopo le 18 con qualche negozietto ed un paio di ristoranti, e una selva di guesthouse (anche qui per meno di 50 euro abbiamo alloggiato in un trilocale riarredato in un impeccabile e straniante stile shabby chic) arrampicate sulle colline.

Port Alfred rende esattamente l’idea di quella che era (e che in buona parte ancora è) la separazione degli spazi tra i ricchi (in buona parte bianchi), che risiedono in belle villette con giardino recintato in cittadine amene piene di servizi (compreso campo da croquet, biblioteca, clinica privata, negozi per il giardinaggio, clinica veterinaria) e che spesso riescono a mantenere il loro stile di vita approfittando della manodopera nera a locale o migrante a basso costo, e questa manodopera nera locale o migrante che vive in quartieri densamente abitati situati alla periferia della città (a Port Alfred è addirittura dietro ad una collina, in modo da risultare invisibile) in cui gli unici edifici pubblici sono la stazione di polizia la guardia medica e la scuola statale, in casette di mattoni e/o di lamiera talvolta ma non sempre allacciati a rete idrica ed elettrica.

Port Alfred si trova direttamente sull’oceano e a 40 minuti da Grahamstown, che si trova invece tra le colline dell’interno e che nel pomeriggio siamo andati a visitare. Grahamstown è un antico ed importante centro che risale alla dominazione inglese di fine ‘800, con una grande università statale (che ci è sembrata effettivamente multietnica), ampie strade alberate fiancheggiate dalle villette della middle class, circa 40 chiese edificate nell’800 e nel ‘900 dagli inglesi (tra cui una grande cattedrale anglicana neogotica), un piccolo centro storico visitabile abbastanza tranquillamente a piedi che conserva l’architettura della vecchia capitale regionale inglese (ma nei cui negozi operano e fanno shopping quasi esclusivamente cittadini di colore) ed alcuni caffè frequentati soprattutto da studenti. Come tale, merita senza dubbio una visita di un paio d’ore.

Tsitsikamma Forest Coastal Reserve (day 10)

L’indomani siamo partiti preso, sempre in direzione ovest e senza fare fermate intermedie (neppure per il popolare Addo Elephant Park, che si trova in questa zona), dirigendoci verso lo Tsitsikamma Forest Coastal Reserve. Tsitsikamma è un parco naturalistico con uno splendido campo situato sulla riva dell’oceano lungo una notevole costa rocciosa su cui si frangono in maniera kantianamente sublime le onde dell’oceano, ed è stato uno dei luoghi più emozionanti visitati nel corso del viaggio.

Tsitsikamma si trova all’inizio della Garden Route (il tratto stradale immediatamente successivo a è stato a mio avviso uno dei più belli), all’interno dell’omonima foresta e con sullo sfondo (come spesso accade in Sudafrica) una catena montuosa. All’interno del parco, facilmente raggiungibile dall’N2, sono presenti numerosi sentieri (da quello più semplice che arriva alla bocca del fiume Storm a trail della durata di 3 giorni). L’altra attrazione principale è tuttavia costituita dalle onde dell’oceano, che si frangono con schizzi spettacolari sulle rocce di fronte al campo che è costutuito da una sottile striscia lunga un paio di chilometri di casette di legno e di spazi per il campeggio stretti tra l’oceano e il pendio scosceso della foresta. In particolare le cosiddette “Oceanette” sono monolocali (con angolo cottura) ed un ampio balcone posto direttamente di fronte all’oceano da cui ammirare gli spruzzi (e da cui all’alba abbiamo avvistato i delfini) e da cui sentire, per tutta notte, il rumore delle onde che si frangono sulle rocce a pochi metri di distanza.

La sera è possibile mangiare (se non si vuole usufruire dell’angolo cottura attrezzato) presso il ristorante interno, con prezzi abbordabili (sui 10-15 euro a testa). Per raggiungerlo, dalle Oceanette, è possibile percorrere i due chilometri circa del campo nel buio (non c’è altra illuminazione se non quella interne alle stanze, quindi conviene portare una torcia) e nel silenzio più assoluto (onde escluse) a piedi.

Unico neo negativo, nelle Oceanette dello Storm River Mouth Camp ci sono solo prese sudafricane, incompatibili con le nostre spine e anche con gli adattatori internazionali “universali”, motivo per cui è consigliabile avere con sé un adattatore specifico. Da Tsitsikamma a Wilderness lungo la Garden Route (day 11) Tsitsikamma è il punto di inizio della Garden Route, zona costiera caratterizzata da una specifica vegetazione che si rianima e colora con la primavera (che da queste parti cade proprio tra agosto e settembre). In quest’area le tensione di Durban e dintorni sono un lontano ricordo, le villette (in gran parte hanno l’area di essere case-vacanze) non hanno alcuna protezione anti-intrusione e i quartieri in cui risiede la manodopera locale sono virtualmente invisibili: nel complesso si respira un’aria di sicurezza e spensieratezza assoluta.

La Garden Route è punteggiata da cittadine molto frequentate dai turisti balneari, pur senza risultarne eccessivamente deturpata almeno in bassa stagione (qual è, in Sudafrica, Agosto). Tra queste abbiamo deciso di pernottare a Wilderness, che tra le località della Garden Route è tra quelle che ha la fama di essere più tranquille e meno contaminate, dove avevamo prenotato l’ennesima guesthouse ocean view direttamente su una scogliere a picco sull’oceano, con tanto di striscia di spiaggia accessibile tramite una scaletta utile per sconfinate passeggiate sul bagnasciuga.

Lungo la strada abbiamo sperimentato due località poco battute ma assolutamente degne di nota. La prima è Plettenberg Bay, cittadina di cospicue dimensioni che però ha almeno un’enorme spiaggia di sabbia assolutamente meritevole (accessibile da una discesa che si trova a sinistra immediatamente prima dell’ingresso in città) direttamente affacciata sulla baia, con sullo sfondo le montagne nonché – quando l’abbiamo visitata noi – praticamente deserta e immacolata. Il secondo posto è invece Buffels Bay e la Goukamma Nature Reserve, altra enorme spiaggia immacolata e – ad agosto – completamente deserta, a mio avviso la spiaggia più bella incontrata lungo tutta la costa sudafricana.

L’Oceano è in questa stagione molto freddo, e nessuno si azzarda a fare il bagno. Il tempo, da Tsitsikamma a Ovest, ha la fama di essere instabile, con la possibilità (crescente a mano a mano che ci si avvicina a Cape Town) di incontrare la pioggia e/o un vento particolarmente freddo. Noi siamo stati fortunati: in caso di sole, e per noi è stato spesso così salvo alcuni rari momenti di pioggia le temperature hanno superato i 25 gradi per scendere di parecchio la sera, senza mai essere insostenibili (a confronto la notte è molto più fredda Jo’Burg o nell’area di Kokstad).

Da Wilderness a Hermanus (day 12)

Il giorno successivo, ultima tappa prima dell’ingresso a Cape Town, abbiamo pernottato presso la cittadina balneare di Hermanus famosa in quanto “miglior posto al mondo in cui avvistare le balene dalla costa”. Effettivamente, almeno ad Agosto, le balene ad Hermanus sono molto facili da avvistare e si spingono anche a distanze dalla costa molto ridotte.

Oltre a questo, all’aria di spensieratezza già respirata lungo la Garden Route (con tanto di piccolo centro storico con mercatino di souvenir e negozi di abbigliamento in stile marittimo per vecchie signore benestanti), alle marmotte (praticamente endemiche lungo la scogliera, così come già a Tsitsikamma) ed ai babbuini (ne abbiamo avvistata una famiglia intenta a mangiare le erbacce sul bordo della strada statale) Hermanus non vanta particolari attrattive ma è tuttavia una buona tappa di avvicinamento a Cape Town e si trova pur sempre affacciata sull’Oceano (un contesto un po’ più inusuale, per noi italiani, rispetto ai vigneti che a questa altezza caratterizzano l’interno).

Da Hermanus a Città del Capo, passando per il Capo di Buona Speranza (day 13)

Il giorno successivo ci siamo mossi da Hermanus in direzione Cape Town, seguendo però non più l’N2 (che passa all’interno) bensì la statale costiera che aggira la Kogelberg Nature Reserve percorrendo la sponda est di False Bay.

Highlight di questo tragitto, oltre al panorama con le montagne che scendono a picco sull’oceano ed alle balene, è la spiaggia di Betty’s Bay, popolatissima colonia di pinguini, versione molto meno battuta di Boulders Beach (che si trova di fronte sulla Cape Peninsula). Giunti la mattina attorno alle 9.30, ci siamo trovati ad essere i primi ed unici visitatori a camminare lungo la passerella di legno a pochi centimetri dai nidi e da centinaia di pinguini.

Abbiamo quindi proseguito il percorso costiero fino ad arrivare alla periferia di Cape Town ed ai resort balneari di palazzine che abbiamo attraversato fino a raggiungere la Cape Peninsula, sul lato opposto di False Bay. Lungo il percorso, abbiamo fiancheggiato la mozzafiato township di Khayelitsha, terzo agglomerato di baracche del Sudafrica con circa 1 milione di abitanti, che si stende a perdita d’occhio con i suoi tetti di lamiera scintillanti tra Città del Capo e le dune dell’Oceano (come per Johannesburg, rimpiangiamo di non aver avuto modo di approfondire maggiormente la visita).

Abbiamo quindi percorso l’intera penisola del capo fino al piccolo e piacevole parco nazionale spazzato dal vento (che impedisce la crescita della vegetazione) in cui si trova il Capo di Buona Speranza che non il punto più a sud del continente (quello è Cape Agulhas, più a sud est, che non abbiamo avuto modo di visitare per questioni di tempo) ma che è comunque un luogo storico che non potevamo esimerci dal visitare.

Siamo quindi tornati a Cape Town, che abbiamo raggiunto alle ore 16, dove abbiamo pernottato due notti visitando il centro della città (merita Bo Kaap e, al momento della nostra visita le due mostre monografiche presenti alla National Gallery) e quel paradiso artificiale che prende il nome di Victoria & Alfred Waterfront (per i souvenir è meglio l’aeroporto di Johannesburg).

Cape Town ha segnato l’ultima tappa dell’itinerario (day 14). Il terzo giorno abbiamo infatti riconsegnato la macchina all’aeroporto internazionale (comodamente raggiungibile in 25 minuti di macchina dal centro) dove abbiamo preso un volo interno con l’ottima low cost Kulula.com fino a Johannesburg (day 15), da cui il day 16 siamo ripartiti (dopo un pernottamento in un hotel nei pressi dell’aeroporto) per l’Italia.



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