Vietnam – Cambogia: diario di viaggio ai tempi dei social network

Due settimane in giro per una parte dei due paesi insieme a un caro amico
Scritto da: Corrado Benanzioli
Partenza il: 13/11/2013
Ritorno il: 27/11/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Arrivo a Ho Chi Minh. Dunque, formiche nel piatto: visto scarafaggio gigante… vista pantegana con occhi a mandorla. Bene, dai, il più è fatto.

Il Museo della Guerra è bello tosto, per me insostenibile nelle sale dove sono esposte le foto degli effetti delle armi chimiche sulla popolazione e sui piccoli che sono nati dopo. Ma a Ho Chi Minh c’è poco da vedere e tanto da vivere: i giovani sono splendidi, si avvicinano e cominciano a farti mille domande per conoscere culture differenti dalla propria e sono disponibili ad informarti su tutto. È l’atteggiamento curioso, ma non invadente, che un po’ tutti dovremmo avere.

L’inquinamento è terribile, qualcosa che avevo riscontrato solo in alcune grosse città cinesi; sono tantissimi coloro che si muovono indossando una maschera, spesso anche di vari colori. Arrivato ora in hotel mi sono toccato la fronte ed è come se sulla pelle si fosse attaccata della sabbia fina fina. Pensare di averla anche respirata non è proprio il massimo della vita ed io sono solo un turista che soggiornerà per pochi giorni, ma per chi ci vive…

Serata piena di superlativi: cenato benissimo spendendo pochissimo (5 portate per un totale di circa 5 euro a testa) in un locale aperto da soli 11 mesi, Cyclo Resto, molto spartano (lunga tavolata, pare quasi di essere in casa di qualcuno) eppure ben curato nella cucina con titolare e camerieri molto simpatici, tant’è vero che è balzato ai primi posti su TripAdvisor. Qui non ci sono molti indigeni, in quanto loro mangiano a tutte le ore del giorno, seduti per strada, fuori dai locali su sgabellini improbabili a pochi centimetri dalle migliaia di scooter che sfrecciano e poi qui il menù è fisso, non si può scegliere.

Quindi saltino allo Chill Sky Bar, al 26esimo piano di un bel grattacielo che domina la città. Qui ho visto le ragazze orientali più belle (ma proprio belle belle belle), con dell’ottima musica suonata da una splendida e bravissima dj. Localino molto “su” (volendo si può anche cenare nel piano superiore), frequentato dai “ragazzi bene” di Ho Chi Minh; un cocktail costa “ben” 10 euro (in media). Ah, quasi scordavo: mojito strepitoso, uno dei più buoni che abbia mai bevuto (che fosse per quello champagne che lo fregiava del termine “deluxe”?) ed un altro cocktail altrettanto superbo preparato con cura maniacale dal meticoloso barman.

Ok, ora sono in stanza, dovrei recuperare un po’ di sonno arretrato e poi diciamolo: non ho più (e mai ho avuto) il fisico per queste cose; discoteca io? Ma a far che?!?

Premessa: sono andato a tagliarmi i capelli dal mio parrucchiere di fiducia prima di partire.

Come buon risveglio questa mattina, nello stuoino della doccia, c’era uno di quei millepiedi schifosi che si muovono serpeggiando velocemente ed il bastardo non voleva proprio morire, malgrado i miei ripetuti salti sopra, duro come uno scarafaggio. E sì che avevo gassato la stanza appena arrivato! Vabbè.

Giornata in giro per la città, schivando non del tutto l’inevitabile pioggia acida (e, se non era proprio acida, di sicuro antipatica), tra una chiesa in simil Notre Dame (dentro davvero inutile), l’ufficio postale, un bellissimo tempio, un centro commerciale (…) e strade e stradine a non finire, rischiando la vita ad ogni attraversamento di strada.

Credo che Ho Chi Minh sia la città più caotica che abbia mai visitato: i marciapiedi, se così si possono chiamare, sono perennemente occupati da ogni sorta di attività, di indigeni che mangiano ad ogni ora del giorno e dai soliti scooter (dovranno pure fermarsi, parcheggiarli, ripararli, abbandonarli…).

Dopo aver saltato una pantegana morta ed abbandonata, siamo andati in cerca di un buon centro massaggi, ma ben poco convinti a dire il vero. “Ecco, questo è in un hotel e sembra serio!”. Come no: oltre al massaggio, che tra corpo, viso, piedi, sauna, Jacuzzi durava quanto la mia vacanza, c’era da pagare la stanza. Massaggio rimandato a data da definire.

Camminiamo ed ancora camminiamo, fino a quando non passiamo davanti a degli strani parrucchieri con la scritta “Hot Toc”, con tante, tantissime splendide ed un po’ discinte ragazze che sorridevano al nostro passaggio. Ecco, ora io non vorrei dare un’idea commerciale al mio parrucchiere, sia mai, ma qui funziona così: taglio di capelli con pompino finale. Ma io dico, chi avrebbe mai pensato di abbinare queste due cose apparentemente così lontane? Giusto i vietnamiti! Si potrebbe provare anche con le gelaterie, a questo punto, non credete anche voi..? Uhmmm… forse forse ci sarebbe più attinenza, mi sa…

Oggi giornata di trasferimenti in pullman, da Ho Chi Minh, Vietnam, a Phnom Penh, Cambogia. “Che vuoi che sia, alla fine saranno sì e no 250 chilometri!”. Sette ore e mezza dopo, poggiamo le nostre chiappe a forma di pancake sul tuc-tuc che ci porterà all’agognato hotel, tra l’altro davvero niente male pur costando come il precedente.

Il viaggio. Qualcuno disse che non è importante la meta, quanto il viaggio; sicuramente costui aveva un jet privato, ma non posso dargli torto: il paesaggio che cambia più del corpo di Pelù è davvero uno spettacolo, con il verde abbagliante dei campi cambogiani e la gente, perlopiù ex contadini, tutta sul ciglio della strada…

Già, la strada: una sola, lunga cerniera di asfalto che unisce il passato con il presente, ma che al tempo stesso agli occhi di noi stolti turisti sottolinea aspramente tutte le differenze e le divisioni tra mondi diversi, con i bimbi che giocano con la propria vita noncuranti dei mezzi che sfrecciano alla “folle velocità” di 60 km/h, con i “commercianti” che chissà cosa commerciano e a chi, con uomini e donne che camminano e camminano fin dalle prime ore dell’alba… Vi ricorda qualcosa? A me il Kenya, Cuba, ma probabilmente tantissime altre nazioni che, un giorno, spererei di riuscire a visitare.

Lo scenario è comune, malgrado fisionomia e colore della pelle differenti, e subito verrebbe da dire “poveretti”, quando probabilmente i poveretti siamo noi che, in preda all’ansia di dover riempire la nostra vita affinché non sia “vuota”, dando per scontato che sarebbe già una buona cosa viverla o sopravviverla, non ci accontentiamo più di nulla, ma proprio nulla, nulla e nulla, sebbene molti di noi abbiano una famiglia e dei figli; ma si sa, ormai niente ci può più fermare, neppure il sopraggiungere dell’età, giusto?

E mentre noi ci affanniamo ad accumulare beni materiali e sedute dallo psicanalista, a loro basta poco, pochissimo, giusto quel che serve per sfamare i propri cari alla fine della giornata. Altro che scarpette fighette, internet, weekend in giro, cinema…

Viaggiare, anche solo come un semplice turista, forse ci fa capire molto più di noi stessi che non dei popoli che visitiamo.

Ed ora scusatemi, scollego dalla rete wifi l’iPad, silenzio l’iPhone, spengo l’iPod, metto in carica la fotocamera e me ne vado a nanna. Ah no, quasi scordavo di ricaricare il rasoio elettrico…

Doveva capitare, prima o poi, che tu sia un turista fai da te o Alpitour poco importa; sveglia poco mattiniera con, in ordine: Maalox, fermenti lattici morti stecchiti e senza lattosio, Imodium. Il tutto da sciogliere in bocca, perché l’orosolubile bim bum bam “va meglio in mancanza di acqua” che, però, ovviamente avevo.

E via di tuc-tuc, con l’autista avvertito da un “we don’t feel good, typical tourists…”, ma le buche non le ha schivate lo stesso (ok, sarà stato anche per colpa del mio claudicante inglese…).

Phnom Penh è una città molto diversa da Ho Chi Minh e non solo perché si trova in Cambogia anziché in Vietnam. Le differenze sono apparentemente più marcate, con da una parte tantissimi poveri, storpi, menomati che chiedono l’elemosina ad ogni angolo della strada e, dall’altra, supermercati che farebbero apparire l’Esselunga come la dispensa della Caritas, negozioni di tecnologia monomarca e, addirittura, un grattacielo intero dedicato all’abbigliamento ed al divertimento dei bambini (quelli pettinati e profumati, sia chiaro…). Tra i due estremi tanti giovani che si muovono sui soliti motorini e tuc-tuc pieni di turisti o di gente del posto (qui non esistono i taxi), ma il traffico è congestionato solo in alcuni punti della capitale e durante le ore di punta. Naturalmente non mancano anche le solite sbilenche attività una attaccata all’altra.

La popolazione sembrerebbe meno “pressata” di quella della città vietnamita, ma non so se questa sensazione sia dovuta alle strade più larghe o al fatto che quel delinquente di Pol Pot tra il 1975 ed il 1979 sterminò quasi 3 milioni di persone sugli 8 dell’intera Cambogia, quindi in prevalenza abitanti di questa città. Stiamo parlando non di secoli fa, quindi di sicuro per molti cambogiani la ferita si deve ancora rimarginare e Phnom Penh adeguatamente ripopolare.

L’influenza francese ogni tanto la si percepisce, d’altronde il dominio della Francia è durato per una novantina d’anni fino al 1953, ma è il dollaro il vero dio locale mentre la loro moneta non se la fila nessuno, se non per dare il resto ai turisti.

Purtroppo, date le nostre “gravissime condizioni di salute”, oggi siamo riusciti a vedere solo poche cose (il Palazzo Reale ed il Museo di Storia) e a far due passi verso sera.

Ecco, parliamo un attimo dei “due passi”: potrete visitare tutti i monumenti ed i musei del mondo, ma ciò che rimarrà indelebile nei vostri ricordi e nei vostri cuori saranno sempre quelle ore, quei minuti che trascorrerete tra la gente del posto, ve lo posso garantire. Se poi avrete anche la faccia tosta di interagire con loro, allora anche meglio. E guardate che è molto più facile di quanto si pensi.

Bene, pare che ora tutto si stia sistemando per via della salute, anche grazie ad una sana alimentazione a base di piccole mele, Coca Cola e di uno strano tipo di creacker così asciutto che, se ne avessi gettato uno nel fiume Tonlè Sap, probabilmente non sarebbe rimasta una sola goccia d’acqua; perciò domani cercheremo di sfruttare al meglio l’ultimo giorno a Phnom Penh e, magari, fare qualche fotografia un po’ meno da scazzato come lo sono stato oggi… Anche perché giornate come queste mi rovinano la media e poi Zuckerberg avrebbe tutte le ragioni per arrabbiarsi, se non gli intaso il suo Facebook con migliaia di foto…

Ultima giornata a Phnom Penh e tutta a piedi; qualche inevitabile “attrazione locale”, ma soprattutto tanta gente, molto spesso disponibile ad un saluto, ad una foto, a due parole in un inglese un po’ stitico (non solo il mio…).

Per le strade si mangia a qualsiasi ora e di certo non panini alla mortadella. Certe cose non so neppure che nome avrebbero per noi occidentali, roba mai vista; qualcosa assomigliava a delle vongole chiuse messe al sole con, pare, del peperoncino, ma vederle sgranocchiare come se fossero dei pistacchi… mah! Altre parevano cubetti di ananas, ma non era ananas. Poi c’erano delle grosse canne che, sbucciate, venivano divorate dai bambini; canne da zucchero? Può essere, ma non ci giurerei. E quei sacchetti trasparenti con un liquido giallino ed una cannuccia infilata? Boh? E quei ragazzi ai bordi delle strade con bottiglie di Coca Cola ripiene di un liquido tra il giallo ed il verde? Ah no, quelli erano “distributori di benzina per scooter”, giusto. Per carità, sicuramente anche le “Crispy Tarantule” trovate sulle foto di un ristorante pubblicizzato su TripAdvisor devono essere squisite, non lo metto in dubbio, ma… ma lascio volentieri questa fantastica esperienza a qualche amico più intenditore di me..!

In questo senso l’immancabile visita al mercato è stata illuminante, con la parte riservata al cibo da brividi, condizioni igieniche inesistenti, odori terribili, però loro mangiano, ridono, vivono e sono fantastici. Perciò quelli “sbagliati” siamo noi, almeno qui.

Personalmente sarei un curioso anche sul cibo, ma sono già stato male ieri e mettere a repentaglio il resto del viaggio, sinceramente… Senza contare che qui non sarebbe così difficile prendersi l’epatite e che io non ho alcun vaccino, neppure l’antitetanica (quindi, se qualcuno vorrà accoltellarmi in qualche stradina buia, sarà bene che utilizzi una lama non arrugginita, grazie).

La città ci è sembrata molto più pulita e curata di Ho Chi Minh, ma presto ci siamo dovuti ricredere: basta allontanarsi di poco, pochissimo, dai percorsi più turistici e… sporcizia ovunque, edifici fatiscenti, puzza di fogna (quando andava bene)… Insomma, proprio ciò che ti aspetteresti da una città con questi contrasti e ciò che ti augureresti di non trovare.

Tante differenze con il “nostro” mondo, ma una cosa che ci eguaglia c’è; no, inutile che pensiate a qualcosa di romantico come “il sorriso dei bimbi”, macché, si tratta di ben altro e decisamente più triste: lo SMARTPHONE! Il rincoglionimento dei “colli piegati sul telefonino” non conosce confini: milioni di persone in tutto il mondo accomunati da questo tremendo virus che, al confronto, gli zombie di Romero erano dei ballerini di tip tap. Persone apparentemente con poco o nulla, ma con in mano l’ultimissimo modello della Samsung o il solito iPhone. Proprio come da noi, insomma.

In fondo è bello sapere che il dolore alla cervicale ed i problemi agli occhi diventeranno il vero “trait d’union” tra i popoli, alla faccia di chi pensava che potesse essere Internet o una sola lingua universale.

Ed ora mezza bustina di Aulin, perché scrivere sull’iPad dal letto dell’hotel non è esattamente così comodo per il mio collo…

“Areare il locale prima di soggiornarvi”; sì, ok, ma come miiinchia faccio se non c’è neppure una finestra?!?

Ma partiamo dall’inizio.

Sveglia all’alba e pronti alla partenza in direzione Siem Reap, in quanto domani si andrà ad ammirare (“vedere” pare che sia riduttivo) Angkor, una delle meraviglie del mondo, per un pelo al di fuori delle solite blasonate 8 (e noi italiani sappiamo bene cosa significa non rientrare nei primi 8, pure King Kong ci deride…).

Pullman super lusso con wifi, aria condizionata, due film sottotitolati con Dwayne “The Rock” Johnson (già visti entrambi) ed uno di animazione, simil brioche, acqua, salviette umidificate e, il tutto, a soli 13 dollari per 300 km di strada e senza dover comprare pentole. Ah già, quasi scordavo: più di sette ore di viaggio con pausa pranzo annessa…

Motorini con anche cinque persone a bordo, motorini con carichi da Tir che barcollano ad ogni passaggio di un mezzo più grosso per lo spostamento d’aria, bambini che giocano, bambini in divisa scolastica, gente che cammina, gente che pedala, gente sui camion e gente sui tetti delle auto, donne che lavorano con una specie di macina quello che sembrerebbe del riso, donne con neonati in braccio, bancarelle una incollata all’altra e tutte con le stesse identiche cose da vendere, paesi, villaggi, tratti di strada che non sembra strada, divieti di velocità superiore ai 60 km/h come se con tutte quelle buche qualcuno si potesse permettere di imitare Lauda, palafitte, case, baracche, la terra arancione ed il verde incredibile dei campi, degrado e caos e poi ordine, orti che sembrano disegnati da un geometra e tutto mentre il nostro autista si fa strada a colpi di clacson con il suo mostro grigio metallizzato e le povere formichine devono scendere sul poco sterrato percorribile per riuscire a portare a casa la pelle.

Ve l’avevo già detto che la Cambogia sembra il Kenya, ma senza polizia ed i dissuasori di velocità per le strade? Beh, ve lo ripeto.

Ed eccoci all’hotel. “Cavoli, ma espone il certificato di Booking con un punteggio per il 2012 di ben 9,2!”; entro in stanza e realizzo che, molto probabilmente, nel 2012 in questa pensioncina si sono tenuti dei convegni di non vedenti: una gruccia infilata a malo modo nella fessura adibita alla chiave per dare elettricità, mobilio di recupero, pareti azzurre, condizionatore silenzioso come un trattore ingolfato, bagno angusto e poco pulito con doccia di fortuna e wc di sfortuna, almeno cinque zanzare che cominciano a girarmi attorno neanche fossero degli squali volanti (so che esistono, ci hanno fatto pure un film…), un letto malmesso appoggiato ad una parete ma, soprattutto, niente finestra! Eh no, ma come?!? Sul sito di Booking le foto erano bellissime, cos’è questa storia?!

Con passo deciso del cliente rompimaroni che mai vorrei interpretare, mi dirigo verso la camera del mio compagno di viaggio, apro la porta dicendo “No, no, col cavolo, adesso andiamo giù e…” e resto a bocca aperta: la sua stanza è almeno il doppio della mia, ha ben due letti e, incredibile, due finestrone! Ma come, non potrebbe darmene una a me? La prossima volta me la porterò da casa, ecco.

Scendo alla reception, mi faccio capire in qualche modo ed il gentile ragazzo, con un bel sorrisone, mi dice che… è tutto pieno, ma che forse domani…

Già, ma adesso che ho consumato mezza bombola di Raid e che me la sono pure sniffata, chi me lo fa fare di disinfestargli mezzo hotel..?

Domanda: ma, secondo voi, queste macchie tono su tono sulle lenzuola giallognole, sono normali? Esiste lo sporco impossibile o magari qui non è ancora arrivato Bio Presto Lavatrice..?

Si arriva con il solito tuc-tuc alla biglietteria di Angkor nella giornata più calda del viaggio, almeno fino ad ora; malgrado le code di turisti ed una certa sciocca sensazione di trovarsi a “Buddhaland”, prendiamo il nostro biglietto personalizzato con tanto di foto e ci dirigiamo al primo importantissimo tempio: Angkor Wat. Vi dico già da subito che io non sono Benipedia e, se vorrete approfondire l’argomento, Wikipedia potrà aiutarvi in modo alquanto sintetico e preciso.

L’impatto è notevole e subito, a bocca spalancata, ci viene da domandarci: ma da dove sono sbucate fuori tutte queste orde di turisti?! Poi, oltre la cortina umana, scorgiamo anche l’entrata del tempio, maestosa e desiderosa di farsi fare almeno quel centinaio e poco più di fotografie da ogni essere quasi pensante dotato di una fotocamera, ovviamente tutte perfettamente inutili perché mai nessuno scatto (con paffuti visitatori annessi) renderà mai l’idea di che cosa sia questa meraviglia. Da bravi turisticoli prendiamo pure una guida (in inglese) che ci spiegherà un bel po’ di cose che io capirò solo in parte, ma tanto sarebbe andata così anche se avesse parlato in italiano.

Passiamo quindi al secondo tempio, Angkor Thom che, strano a dirsi, ci ha entusiasmato ancora più del precedente. Durante la visita abbiamo incontrato pure dei monaci con l’abito che li fa e l’iPad tra le mani per far le foto. Orange technology, ma vaglielo tu a dire che sono un pochetto ridicoli…

Poi, sì, un altro tempio ed un altro ancora, fino a quando l’ignoranza della stanchezza ha preso il sopravvento facendoci esclamare “Vabbè, visto un tempio, visti tutti…”, con buona pace dei neuroni sopravvissuti e dei fantasmi dell’Impero Khmer, pace all’anima loro.

Fortunatamente il nostro fidato autista di tuc-tuc ci propone una visita ad un villaggio galleggiante, ma non prima di averci accompagnato ad un piacevole ristorantino probabilmente di suo cugggino, ma l’importante è che si sia mangiato bene (chissà se uscirò dal tunnel dello zenzero, una volta rimpatriato).

Passiamo frazioni, paesi, nubi di polvere, di smog, di puzze indicibili, sguardi rassegnati di vacche anoressiche, maiali indifferenti, scimmiette e poi, finalmente, l’acqua; torbida, ma sembra davvero acqua.

A caro prezzo (per la Cambogia) ci imbarchiamo solo noi due con “capitano”, guida e due silenziosi tizi ad occhio non molto a posto, tutti giovanissimi, mentre osserviamo che le altre barchette sono un po’ più popolate; ma va meglio così, “tour personalizzato.” Il ragazzo che fa da guida comincia a dirci che qui la situazione è difficilissima, che la gente muore per colpa dei “mosquito” (le zanzare che sto sterminando a colpi di insetticida, insomma) e qualcun altro per i morsi dei serpenti perché le case galleggianti sono troppo vicine agli alberi. “Case”… definirle “case” vorrebbe dire raccontarsi una bugia: ho visto delle baracche in alcune favelas messe molto meglio, davvero. Bambù e barili arrugginiti fanno da galleggianti a queste abitazioni e famiglie incuranti di noi continuano la propria vita, con i piccoli che giocano sulle barchette, mentre quelli di almeno cinque anni chiedono l’elemosina ai turisti, pretendono soldi se gli si fa una foto con al collo un biscione o, nel migliore dei casi, balzano sull’imbarcazione tentando di vendere lattine di bibite.

Dopo essere sbarcati su una grossa chiatta, nella quale si trova una vasca con dei coccodrilli, andiamo ad acquistare al “Market” galleggiante 50 chili di riso che subito dopo porteremo alla scuola, anch’essa galleggiante, per bimbi con famiglie disagiate (cioè praticamente tutte) o orfani. Gli insegnanti ci accolgono tutti sorridenti ed i bambini non sono certo da meno, chiedendo loro stessi di essere fotografati da noi. Lo so, tutto questo sarà un “rito” che ripeteranno più volte al giorno, ne sono più che certo, ma per il sottoscritto “uomo duro” è la prima volta e, come per tutte le prime volte, chi se la scorderà più?

Rientriamo, felici di aver vissuto una giornata molto piena ed istruttiva, seppur stancante. Ma noi chi ci ferma? E, infatti, due orette dopo ci tuffiamo nella “vita notturna” di Siem Reap, con i locali che sparano decibel, chi ti chiede di entrare nei ristoranti a mangiare, chi ti propone massaggi, chi ti offre “very special lady”, chi elemosina, chi si ostina a volerti portare sul tuc-tuc (e ce ne sono davvero taaanti!), chi non ha neanche cinque anni e porta in braccio un neonato e ti si avvicina chiedendoti dollari…

Ok, è ufficiale: non siamo esattamente dei viveur e, dopo vari dribbling ed un’ottima cena in un locale segnalato su TripAdvisor, ce ne torniamo in hotel alle dieci e mezza circa.

Ah, nel frattempo mi hanno anche cambiato la stanza: da una maltenuta e rumorosa cella di sicurezza senza finestra ad una maltenuta e rumorosa cella di sicurezza con finestra. Lusso sfrenato! Però c’è pure la zanzariera che impedisce alle zanzare di uscire. Che cosa potrei volere di più, a parte smetterla di trasudare insetticida..?

Il primo pensiero, lasciando ieri Siem Reap, è stato: “Quante foto che non ho fatto…”. Malgrado ciò le cose che ho visto difficilmente spariranno dai miei ricordi tanto presto, anzi.

Dopo l’immancabile piccola disavventura di ieri (primo volo interno ok, secondo volo interno cancellato causa maltempo, valigia rotta e pur bisogna andar, strappo alla schiena, sosta di poche ore in un ottimo hotel adiacente l’aeroporto di Ho Chi Minh), prendiamo l’aereo alle 5,18 del mattino per Nha Trang, ovvero la località di mare che avrebbe dovuto rilassare i nostri pallidi corpicioni per gli ultimi giorni di ferie, grazie ad un assoluto ed assolato dolce far niente (non che fino a ieri ci fossimo ammazzati di lavoro, lo so…). “Avrebbe”, esatto; giungiamo a destinazione accolti da acqua e vento e le previsioni, da qui al termine della vacanza, non sono affatto incoraggianti. Per la cronaca: a Nha Trang il mare d’inverno è come un film in giallo e nero visto alla tivù.

Fortunatamente l’hotel prenotato cinque minuti prima della partenza da casa (la prenotazione della precedente sistemazione l’abbiamo cancellata quando mi sono accorto, leggendo una nota piccola piccola, che le stanze non avevano finestre…) non è affatto male e siamo stati sorpresi di aver trovato sia una piscina al coperto che una spa non menzionata nelle descrizioni della struttura.

Bene, ora sapete cosa sto andando a testare. Ho mal di schiena, l’ho già scritto, suvvia…

Ah, nei miei aggiornamenti precedenti mi sono scordato di menzionarvi un ottimo massaggio che mi hanno fatto nell’hotel a Phnom Penh, sebbene con l’aria condizionata a meno dieci gradi perché la massaggiatrice era vestita come Ambrogio Fogar ed aveva “incredibilmente” caldo, e poi un altro trattamento ai piedi, della durata di una mezzoretta, in un aeroporto: tutti molto professionali ed affatto ambigui.

Update: ho appena visitato il centro massaggi dell’hotel: più che una spa sembra una snc, con un’unica ragazza che non parla due parole in croce d’inglese, ma alla fine con i gesti ci siamo capiti. Tornerò nel pomeriggio per il massaggio. Forse.

Secondo un ristoratore greco trasferitosi qui (il quale alla nostra domanda sulla “pressione fiscale” ci ha riso in faccia), a Nha Trang l’alta stagione dura 11 mesi, mentre il mese restante lo si può considerare media stagione. A quanto pare noi abbiamo scelto l’unica settimana di pioggia continua senza un raggio di sole, benché si stia in maniche corte e bermuda. Comunque, come dice il mio compagno di viaggio, “sempre meglio che lavorare”. E come dargli torto senza sembrare degli ipocriti?

In questa bella località di mare siamo circondati da migliaia di russi, mastodontici, paffuti e caciaroni, spesso incuranti del fatto che l’inglese sia la sola lingua, oltre a quella vietnamita, utilizzabile per comunicare con la popolazione locale. Diciamo che, tra tutti i turisti che abbiamo incontrato in viaggio, per maleducazione se la battono con i chiassosi cinesi. Il comunismo sarà anche morto, ma fa ancora tanto rumore.

Scrosci improvvisi d’acqua e spessi nuvoloni ci impediscono la tintarella, perciò optiamo per una passeggiata sulla spiaggia ed all’interno della città.

La differenza con una Ho Chi Minh è abissale: non ci vuole molto per capire che questo divertimentificio è stato creato ad uso e consumo dei facoltosi “ti spiezzo in due”, i quali non necessitano neppure del visto per entrare in Vietnam. Strade in ordine, mendicanti praticamente assenti, solo qualcuno che ti si avvicina per offrirti un passaggio, un massaggio o del pompaggio “bum bum”, ovvero le solite ragazze a pagamento (la moderna globalizzazione è figlia di buona donna, in fondo).

Dopo aver tentato inutilmente di smaltire un’abbondante colazione, eccoci quindi di rientro all’hotel. Credo che opterò per un altro massaggio, visto che quello di ieri a 4 mani mi ha sistemato quasi del tutto la schiena.

Lo so, è una vita difficile, ecc. ecc.

Qualsiasi vietnamita, possessore di un mezzo di trasporto, non vedrà l’ora di utilizzare il clacson. A differenza che da noi, però, non seguono mai imprecazioni e/o gestacci, macché: è un loro modo di avvertire gli altri, pedoni e non, che stanno arrivando. Infatti le strisce pedonali non sono che un mero ornamento del manto stradale, quindi non fateci caso se vi stireranno incuranti delle vostre rimostranze occidentali dal sapore internazionale (“Sona a to’ pare!” o “Sona a to’ mare, chetacaga’!”); semplicemente fate attenzione ed imparate a zigzagare in mezzo al traffico. Presto ci farete l’abitudine, oppure verrete tirati sotto.

Ecco, ci avrei scommesso: sarò l’unico italiano a tornare ingrassato da un viaggio in Vietnam e Cambogia e no, non diventerò vegetariano, come qualcuno ha paventato prima della mia partenza. Mangiare un sacco di zenzero (persino nel francesissimo croissant di questa mattina c’era una marmellata di zucca e zenzero) non vuol dire che si dimagrirà, soprattutto se ci abbinerete riso, pollo condito con curry e latte di cocco, gamberi e zuppe con verdure in quantità. E va bene, giusto, facevo finta di scordarlo: pure il dessert non aiuta, specialmente la cheescake che, pare, vada per la maggiore, neanche fosse stata inventata da loro. Il cibo vietnamita, ma pure quello cambogiano, è estremamente gustoso e molto meno stucchevole di quello cinese, giusto per restare in “zona”. Però lo ammetto: qualche disgressione non propriamente locale, l’abbiamo fatta, ma fino ad ora stando lontani dall’amata cucina italiana, sebbene solo qui a Nha Trang ci siano ben 15 ristoranti di proprietà di altrettanti connazionali. Ormai ovunque si trova la cucina di chiunque, anche per questo i fast food americani o di imitazione americana sono pieni di persone vietnamite: in fondo anche a noi in Italia ogni tanto piace provare qualcosa di diverso da un piatto di pasta, anche se il confronto regge poco dal momento che vantiamo più varietà culinarie, a differenza di tante altre monotone nazioni.

Una cosa inevitabile, inutile sperare il contrario, è un po’ di dissenteria che, implacabile come una tassa di soggiorno, vi colpirà dopo tre o quattro giorni dal vostro arrivo in un paese asiatico. Mettetela in conto, è praticamente impossibile schivarla; all’inizio vi laverete i denti con l’acqua in bottiglietta gentilmente omaggiatavi dall’hotel, eviterete il ghiaccio, la verdura cruda, la frutta lavata, ma quando vi accorgerete che malgrado i vostri sforzi la “Maledizione di Montezuma” avrà avuto comunque la meglio su di voi, non vi resterà che assumere fermenti lattici ed Imodium. È una battaglia persa, ma la vostra resa durerà poco (un giorno o due), perciò assicuratevi almeno di aver prenotato un albergo decente per poter alleviare un po’ le vostre pene, così vi eviterete inutili, impulsivi e sciocchi pentimenti sul vostro viaggio. Che sarà bellissimo, fidatevi. Tanto in questi posti la loro acqua la troverete ovunque (non potrete evitarla nei cocktail, nei frullati, nei gelati, nello yogurt, nel tè forse bollito o forse no, così come sulle loro verdure fresche che accompagnano ogni pietanza) e poi, diciamolo, il “cagotto del viaggiatore” fa curriculum.

Questa notte ho avuto una “piacevolissima” quanto inaspettata sorpresa: dopo aver sospirato intorno alle una per gli schiamazzi nel corridoio dell’hotel di alcune ragazze russe alquanto alterate dall’alcol, sono stato svegliato (io che già dormo poco e che ho difficoltà ad addormentarmi…) intorno alle 5,31 da un russo barbuto di mezza età in mutande che bussava insistentemente alla mia porta. Qualcuno alla fine se lo è venuto a prendere, ma spero per lui che l’episodio non si ripeta più, perché la prossima volta lo farò a pezzetti con le posate di plastica dell’albergo per poi metterlo nel frigobar della stanza; sarà la mia personale “guerra fredda”.

Abbronzatissimi. Ci credo poco, malgrado la crema “Protezione Burqa”, sono più che certo che riuscirò a scottarmi anche questo giro. Ebbene sì, oggi è comparso un timido, ma neanche poi tanto (lo vedo bello lanciato), sole che sta finalmente scaldando i nostri scultorei fisici. Vabbè. Non dovrei neanche sottolinearlo, ma non aspettatevi foto in merito (autolesionista sì, ma a tutto c’è un limite). Per vostra informazione, pure a Nha Trang questi chilometri e chilometri di bellissima spiaggia sembrano uguali a mille altri chilometri di spiaggia di altrettanti luoghi balneari (va bene, “quasi” uguali…), detto da uno che evidentemente non ha tra le sue priorità il dolce far niente sotto ad un ombrellone (è noto a tutti che sono un uomo d’azione, vero..?).

Anzianotti in discoteca

Scartata l’idea di andare al cinema, cosa fare la sera dopo cena? Le opzioni sono sempre quelle in tutto il mondo: droga party, orge, rapine ai bancomat, pestare delle indifese vecchine, saltare nelle pozzanghere. Ma, volendo far qualcosa di più originale, cosa di meglio di un giretto in una discoteca del posto?

Raggiunto il solito Sailing, che ormai ci ha adottato per colazione, pranzo e tintarella, eccoci di fronte a decine e decine di ragazzi vietnamiti “bene” (l’ingresso, con consumazione, costa l’equivalente di ben 3,60 euro a testa…), russi con le loro donne trofeo che sculettano come anguille epilettiche dentro e fuori la pista, ed altri occidentali apparentemente anglosassoni che tentano di rimorchiare allungando le mani (nota tecnica sopraffina che porta sempre ad ottimi risultati, certo…) su alcune indigene.

Sembrano tutte ragazzine: magari avranno anche trent’anni, ma ne dimostrano sedici. Però, si sa, all’uomo occidentale con la lingua a penzoloni non interessa l’età, purché sia più o meno la metà della propria. La classe non è acqua, se proprio proprio è vodka con Redbull.

Il dj si affanna a cercare il perfetto “brano riempipista”, ma qualcosa mi sa che non funziona nel modo giusto, perché i pezzi sono tutti uguali. Sì, lo so, ho una certa età, ma questa “musica” fa un certo schifo.

I mastodontici russi si dimenano in pista con il loro ricercato abbigliamento da discoteca, costume e canotta, uguale identico al loro abbigliamento da spiaggia, cena, evento mondano. A colpi di ascella e saltando come bovini con elettrodi ai testicoli, diventano ben presto i reucci della pista facendosi terra bruciata attorno.

A questo punto, sentendomi tagliato fuori come una Suor Germana in un McDonald’s, decido di smetterla di trattenere il fiato per simulare addominali che non ho e lascio il locale abbassando, così, l’età media della serata. Sia benedetto l’iPad ed i film che ci ho caricato sopra.

Il Vietnam è uno stato comunista, marxista, leninista, sei il primo della lista

La disoccupazione è solo del 3,9%, ma bisognerebbe anche capire che senso danno da queste parti al termine “occupazione”. Come già detto, nelle grandi città ci sono attività commerciali una attaccata all’altra (pseudo negozi dal fatiscente allo splendente, baldacchini su ruote, ecc.), con i “titolari” quasi sempre seduti su sgabellini alti sì e no 20 centimetri, ma se si controlla bene non sempre lo sgabellino c’è (fa un po’ strano vederli in quella posizione tra il fetale ed il defecatorio, ma se sono tutti messi così un qualche motivo ci sarà per forza, anche se al solo pensarci mi si sono indolenzite le gambe).

A Nha Trang, cittadina di mare, la situazione è un po’ diversa: i negozi sono perlopiù per turisti, anche se scarseggiano quelli di souvenir veri e propri, quindi tenuti piuttosto bene secondo i nostri semplici parametri occidentali: scaffalature dritte, vetrine pulite, merce in ordine (sembrerebbero accorgimenti banali, ma in Vietnam ne ho viste di cose che voi umani non potreste immaginare). In più ci sono gli ambulanti: donne che si aggirano per le strade con un contenitore al collo proponendo sigarette come in quei vecchi film americani, altre che sulla spiaggia camminano portando, in due secchi attaccati ad un bastone che tengono sulle spalle, delle enormi aragoste dallo sguardo minaccioso (e vorrei ben vedere…). Se alle prime consiglierei la svolta imprenditoriale di buttarsi sulle sigarette elettroniche prima che vengano stupidamente tassate pure qui, delle seconde mi sfugge una cosa: come mai loro hanno quelle splendide bestione mentre nei ristoranti non vengono mai proposte nel menù? Forse perché non fanno parte della cucina vietnamita e, quindi, poco interessanti per il turista medio, cioè quello russo? Non si vive di solo caviale e vodka (ho terminato con gli stereotipi, giuro), diteglielo che anche voi quando siete in vacanza volete provare nuove esperienze! Sì, vabbè.

Arriviamo nel primo degli aeroporti di questo lungo viaggio di rientro (subito 1 ora o poco meno di volo, quindi 8 ore ad Ho Chi Minh per aspettare quello successivo, poi 7 ore e passa di volo, altre 2 di scalo ad Abu Dhabi, infine altre 6 e mezza di volo, Malpensa, parcheggio, autostrada per Verona) portati da un taxi con uno strano tettuccio interno in gomma lucida, così basso che trascorriamo la mezz’ora di tragitto tutti insaccati per evitare l’effetto “dito infilato nel pongo”.

I display negli aeroporti vietnamiti ci stanno facendo impazzire: mai che siano aggiornati, con informazioni sempre assenti ingiustificate. Bisogna chiedere, farsi capire e cercare di capire, ma tanto il risultato è sempre quello: bisogna aspettare. Quando va bene e ci si trova in un grande aeroporto si può sempre fare un giro nei Duty Free Shop alla ricerca dei sacchetti di M&M’s più costosi (roba da pazzi, peggio che nei cinema Uci..!) o annusando tutti i tester dei profumi esposti finché non gira la testa, ma in quelli più piccoli il massimo è trovarsi a tu per tu con un tizio che, dai quattro termos davanti a sé, ti versa del caffè o del tè (degli altri due non oso chiedere), da accompagnare a degli strani Oreo (“Figo, hanno gli Oreo! Ma… com’è che la crema è viola?!?”) e no, non si può certo definire “bar”.

Arrivati a Ho Chi Minh decidiamo di mettere a dura prova i nostri fisici, entrando ed uscendo di continuo da alcuni centri commerciali: da più trenta gradi a meno tre gradi in pochi istanti, un’escursione termica tale che alla dissenteria improvvisa potrebbe unirsi il salto di tutte le otturazioni, neanche fossimo in “Terminator 2” con l’azoto liquido. In pratica questo sarebbe da considerare un allenamento per quando, tra poche ore, rientreremo nella nostra fredda Italia…

I soldi locali stanno terminando. Dobbiamo contare quelli rimasti necessari a prendere un taxi per tornare all’aeroporto. Ma il mio compagno di viaggio ha fame ed io ho voglia di un gelato. La carta di credito non viene considerata, neppure se ci si trova nell’area “food” di un grosso centro commerciale. Ricontiamo i nostri averi; da una tasca sbucano miracolosamente altre banconote. Grande, possiamo ancora infierire sulla nostra salute! Mentre mi “gusto” due palline di un gelato industriale appena passabile, il mio amico arriva al tavolo con del riso con pollo al curry, degli involtini e, orrore!, una bibita che neppure lui sa cosa sia: bicchierone di plastica trasparente, ghiaccio, colore scuro ed una montagna di simil-alghe nere. Temevo che Samara, quella del film “The Ring”, stesse per uscire dalla cannuccia, una cosa inguardabile che, infatti, è rimasta inviolata ed immacolata là dove è stata posata.

Ora sono in aereo; il rientro, come detto, non sarà propriamente una passeggiata, specialmente per uno come il sottoscritto che prima di riuscire a dormire deve penare un po’, ma di certo non voglio lamentarmi, ci mancherebbe. Ho trascorso quindici bellissimi giorni spesso indimenticabili, una splendida esperienza a contatto con popoli tutti da scoprire che sanno lasciarti a bocca aperta e, in qualche occasione, anche con gli occhi lucidi (e non parlo solo per il piccante dei loro piatti).

Mi ero unito al mio amico solo dopo che lui si era già organizzato e prenotato per conto suo il viaggio, perciò il merito di tutto questo va solamente a lui. Grazie, anche se non leggerà mai queste righe perché un po’ avverso all’utilizzo dei social network (proprio come me…).

E, naturalmente, grazie ancora a chi ha letto questi lunghi sproloqui sotto forma di “diario di viaggio in diretta”, una cosa nuova per me che, però, mi ha divertito scrivere e che mi ha tenuto compagnia nelle pause tra un’emozione e l’altra.

Alla prossima, speriamo!

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  • Corrado Benanzioli Corrado Benanzioli
    Ciao!!!! Scusami, ma sono poco pratico del sito e ho visto solo ora il tuo commento! Grazie mille!!! Com'è andato il viaggio, tutto bene?"
  • Corrado Benanzioli Corrado Benanzioli
    Ciao!!!! Scusami, ma sono poco pratico del sito e ho visto solo ora il tuo commento! Grazie mille!!! Com'è andato il viaggio, tutto bene?"
  • Corrado Benanzioli Corrado Benanzioli
    Ciao!!!! Scusami, ma sono poco pratico del sito e ho visto solo ora il tuo commento! Grazie mille!!! Com'è andato il viaggio, tutto bene?"
  • manzo82 manzo82
    Ciao, ho letto il tuo racconto tutto d'un fiato perché anch'io come te tra qualche giorno raggiungerò il Vietnam e successivamente la Cambogia insieme alla mia ragazza. Bellissime anche le foto!"
  • manzo82 manzo82
    Ciao, ho letto il tuo racconto tutto d'un fiato perché anch'io come te tra qualche giorno raggiungerò il Vietnam e successivamente la Cambogia insieme alla mia ragazza. Bellissime anche le foto!"
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