Sante, cavalli e Rom
Ogni anno migliaia di zingari europei si radunano in questo paesino per un pellegrinaggio alla loro Mecca.
Ampie aree di sosta appena fuori il paese accolgono le centinaia di camper e roulotte dei pellegrini zingari, ma il benpensante non creda che l’amministrazione dovrà passare giorni a ripulire la zona. Nei tre chilometri che separano il camping dal centro, camping dove abbiamo sostato in un eccesso di inutile prudenza, si costeggia tutta la grande area di sosta riservata agli zingari, e non c’è traccia di immondizia in giro.
Bel posto la Camargue, zona protetta di lagune salate, stagni, canneti, un habitat ideale per centinaia di specie di uccelli. Poche fattorie, nessuna speculazione edilizia, zona di allevamento di tori e bianchi cavalli, per l’appunto di razza camarguais che si vedono pascolare nei prati.
Con un pizzico di fortuna si avvistano anche i fenicotteri. Quando soffia il Mistral il cielo si libera dalle nubi e mostra un azzurro intenso che riempie gli occhi.
Sono più simpatici anche i francesi, qui in Camargue, forse perchè non sono completamente francesi: influenze spagnole li contaminano, e la presenza delle scritte in occitano, antica lingua romanza medievale, li rendono come essa un misto di francese-italiano-spagnolo.
Esistono diverse varianti della leggenda. Secondo una delle più diffuse, quella di Santa Sara sembra derivare dalla fuga dalla Palestina di Maria Josè e Maria Salomè, una Maria sorella della Madonna e l’altra madre degli apostoli Giacomo e Giovanni. Abbandonate su una barca senza vele e senza cibo, furono salvate dalla giovane serva egiziana nera, Sara, il cui mantello magico si trasformò in una barca e portò le sante donne fino in Camargue.
La chiesa cattolica proclamò sante le due Marie ma Sara no, non fu mai santificata forse perchè nera, amata dai Rom e magari anche mezza fattucchiera.
Rom, Gitani, Manouche ed altre varie etnie non badano a questi dettagli istituzionali e l’hanno proclamata Santa di fatto, simbolo e protettrice di tutti gli zingari, ed oggi il Vescovo di zona presiede al rito.
Il suo culto sembra anche collegato alla dea Khali, per il nome ed il fatto che viene immersa in acqua; è nota l’origine indiana dei Rom, che avvalora questa ipotesi.
Inoltre viene quasi naturale associare Sara la Nera al culto delle svariate Madonne Nere sparse per il mondo.
Del resto la Chiesa cattolica è sempre stata molto attenta ad insediarsi sulle ricorrenze e le liturgie di culti precedenti; le più popolari feste tradizionali di Santi spesso conservano parte dei caratteri pagani originari.
Sembra che la conversione al cattolicesimo degli zingari fosse stata spinta dalla necessità di ottenere dal Papa il lasciapassare di transito, approssimativamente nel quindicesimo secolo. Non ho trovato, però, notizie precise in merito. Genericamente si può dire che le popolazioni nomadi d’Europa hanno solitamente adottato la religione del paese ospitante.
In uno spiazzo erboso ben curato, appena fuori il camping, c’è un memorial ad un nobile italiano, il marchese de Baroncelli, che rinunciò titolo e privilegi per diventare un buttero della Camargue, e viene onorato come storico sponsor della Camargue.
Il sangue blu, però, gli tornò utile con il Papa, che dubito avrebbe ascoltato un semplice vaccaro. Fu Baroncelli ad ottenere, nel 1935, che la chiesa riconoscesse il culto di Sara la Nera (pur non proclamandola mai santa), ed istituzionalizzare una processione tutta sua.
Precedentemente solo le due Marie avevano quest’onore, ed ora il sabato è dedicato a santa Sara e la domenica alle Marie. La processione e la mescolanza di etnie come la vediamo oggi si è consolidata solo nel dopoguerra, quasi come riscatto dopo le persecuzioni e lo sterminio degli zingari per mano nazista.
La tre giorni inizia il venerdì e termina la domenica.
Noi arriviamo il venerdì pomeriggio e andiamo subito in centro paese, per una bella cenetta a base di toro, e per fiutare che aria tira. Il tempo non è bello, il cielo porta la pioggia che ci verrà scaricata addosso al ritorno, nei tre chilometri dal paese al camping.
Fortunatamente abbiamo il tempo, prima e durante la cena, di ascoltare i gruppi che si esibiscono per le strade.
Fantastiche orchestrine si sfidano in una esibizione di bravura collettiva, in cui il premio è catturare l’attenzione e l’applauso dei passanti. Violini, contrabbassi e immancabili fisarmoniche suonano veloci ritmi balcanici; qualche gruppo chitarra e voce si esibisce in melodie dal sapore ispanico, flamenco e canti gitani. L’offerta di qualche moneta è veramente opzionale, gli zingari sono qui per la “loro” festa, mi viene da definirla un “Rom Pride”.
Siamo noi i gagè, i non zingari, gli ospiti in questo fine settimana.
Il sabato mattina si apre in una giornata di sole limpidissima e fresca, perfetta per far risplendere i colori del cielo, dell’erba e dei vivaci vestiti ed ornamenti delle donne, dei cappelli da buttero, degli orecchini e delle collane.
E’ l’allegria della festa; in fondo i camperisti veri, quelli per cui il viaggio è più importante della meta, hanno un pizzico di spirito nomade e trovo questa folla colorata e stravagante bellissima.
La processione ci sarà nel pomeriggio e la chiesa fortezza è un brulicare di gente che entra ed esce, dentro si prega a getto continuo, impossibile avvicinarsi all’altare o alla cripta. L’aria è pesante per il caldo,l’incenso e l’umidità, La salita al tetto della chiesa è aperta e vale la pena salire per ammirare dall’alto cielo e mare e i colori della folla.
C’è anche un mercato zingaro. Se volete comprare attrezzatura da campeggio solida e a buon mercato è il posto giusto. Per parte mia cedo alla tentazione di regalarmi un bel coltello a serramanico di fattura corsa facendo incidere il mio nome sulla lama.
Proseguono suoni, canti ed anche balli. Un sound familiare ci attrae, una tammurriata stile Nuova Compagnia di Canto Popolare ci riporta agli anni settanta. Alcuni giovani e meno giovani ballano al ritmo della tammurriata mentre una bella voce maschile canta ininterrottamente in una lingua che capisco quanto l’arabo, ma che mi è familiare. Sono napoletani, e rubano meritatamente la scena agli zingari, applauditi dalla folla.
Troviamo con molta fatica un posto per pranzare prima di posizionarci nei pressi della porta della chiesa. Per un colpo di fortuna finiamo davanti alle transenne che limitano la folla e così Ivano riesce a scattare le foto in posizione migliore.
Un altoparlante trasmette la preghiera del vescovo dall’interno della chiesa, intervallata dal ritornello Vive le Saintes Marie, vive la Saint Sarà! gridato dalle voci della folla. Ci sono reporter, la televisione, anche la giovane ministra della Cultura, che arriva senza auto blu e senza scorta, e si mescola ai rom. Non posso fare a meno di intristirmi pensando che tutto questo è inimmaginabile nella nostra italietta provinciale e razzista.
Intanto sono arrivati i “butteri” a cavallo, chiamati guardiani, che scorteranno la statua fin dentro il mare. Dopo due ore di attesa sotto il sole esce finalmente la Santa Nera; a malapena si vede la testa, è ricoperta da uno strato di innumerevoli veli e collane appese dai fedeli durante la preghiera.
Si avvia la lunga processione per le strade del paese fino alla spiaggia, fin dentro l’acqua con i portatori del baldacchino, i butteri a cavallo, i fotografi, il cameraman, ed una parte della folla cantante. Le orchestrine del giorno prima hanno partecipato al corteo suonando e cantando su ritmi ben diversi dalle litanie delle nostre processioni!
Portatori del baldacchino, butteri, cavalli, cameraman, fotografi, curiosi, fedeli e miscredenti compreso mio marito si bagnano fino alla cintola nel mare per seguire la santa statua pregando o scattando foto, complice la bella giornata.
La santa, portata fuori dall’acqua, resta sulla spiaggia per la lunga preghiera. Domani si darà il cambio con le due più nobili Marie, che seguiranno lo stesso rito.
Noi miscredenti ci sentiamo però appagati dai colori, riti e musiche di Sara La Nera e troppe processioni, per quanto ricche di cultura popolare, rischiano di farci male.
Ripartiamo il giorno successivo per goderci con calma il ritorno percorrendo la bella costa provenzale, invece dell’anonima autostrada, perchè il viaggio è più importante della meta.
Foto di Ivano dei Giudici