Weekend a Budapest…

... margine orientale dell'Unione Europea
Scritto da: mare_di_beaufort
weekend a budapest...
Partenza il: 04/04/2014
Ritorno il: 06/04/2014
Viaggiatori: 1
Spesa: 500 €
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8.10, si decolla ed era ora dato che sono a Malpensa dalle 5.45

Dopo 90 minuti sono al Ferihegy ed il primo problema, reperire la moneta locale, lo risolvo rapidamente al bancomat. Trovare la BudaPestCard, però, è più difficile di quello che internet suggeriva dato che i botteghini della metro ne sono sprovvisti.

All’albergo il check-in è rapido ed indolore anche per un englishspeakerverybasic come il quipresente.

Passeggiata in centro sino a Erzsebet Tere a respirare un po’ la città. Graziosa e vitale, così a prima vista pare, con un sacco di donne ungheresi dal sorriso aperto e dalle belle gambe. Belle ed anche lunghe. Prendo la linea gialla del metrò sino ad Hosok Tere e quando salgo in superficie mi accoglie una piazza immensa dominata dalla statua equestre di Re Arpad e da altri fusti che per qualche secolo hanno condotto il valoroso popolo magiaro.

Da qualche parte leggo come nel ’91 proprio qui anche papa Wojtyla abbia arringato la medesima folla, chissà se con altri argomenti rispetto ad Arpad. Sentz Itsvan anche lui a cavallo lì poco dietro suggerisce che forse no.

C’è il Szépművészeti Múzeum, il Museo delle Belle Arti ma ci rimango pochissimo, non ne vale proprio la pena mentre il Mucsarnok, dedicato all’arte contemporanea è decisamente più attraente

Verso le 16 riprendo la metro e parto alla ricerca del D11-12, il leggendario ferryboat pubblico sul Danubio.

E’ una ventina di giorni che sto tenendo d’occhio il sito dei Trasporti Pubblici cittadini e, pare, che dal 15 di marzo siano ripresi i normali servizi di linea.

Scendo alla fermata Gyongyosi Utca ed in un quarto d’ora a piedi sono all’approdo di Meder in orario come da tabella esposta. Il cancello per scendere alla banchina è però chiuso col lucchetto e questa cosa già mi garba poco. Infatti dopo qualche minuto il battello transita tirando dritto.

Ci riprovo all’approdo precedente, quello di Nepfurdo Utca ma è la stessa storia: metropolitana, una decina di minuti a piedi, scala chiusa e l’imbarcazione che passa e di fermarsi neanche fa finta.

Ce l’hanno il senso dell’umorismo ‘sti ferrotranvierimarinai ungheresi, penso.

Verso le 18 dopo un paio d’ore di tentativi a vuoto rinuncio.

Passo in albergo per una rapida doccia ed alle 19 sono all’Hungaricum Bizstro. Sulla porta, senza mai avermi visto prima (ho prenotato via mail) mi accoglie in italiano miss Szusza (la dizione magiara, Giugia mi ha strappato un sorriso). Il menù fatto di gulasch e di coscia d’anatra arrosto con purè è onesto nel prezzo, nella qualità e nel servizio.

Alle 21 sono in camera, mi corico e prima ancora di aver spento la luce sono già nel mondo dei sogni

Alle 8 e mezza mi sveglio e dopo essermi toccato mi accorgo di essere ancora tutto intero nonostante il materasso da museo degli strumenti di tortura.

Spazzolino, doccia, TG5 ed in una decina di minuti sono in strada. Dopo nemmeno 100 metri trovo ospitalità presso la caffetteria Lipoti, sulla Rakozi utca che mi offre un cappuccino ed una pasta al cioccolato dal contenuto calorico di una pizza 4 formaggi. A dire il vero in vetrina la cosa più eccitante è l’insaccato di suino locale ma rendere in termini comprensibili l’idea del pane&salame è troppo arduo e ci rinuncio.

Alle 9 di sabato a Budapest è ancora prima mattina e in tutta calma costeggiando il Danubio me la faccio a piedi sino al Parlamento dove ho prenotato la visita col tour italiano. E’ una costruzione enorme che ricorda vagamente Westminster a Londra, a sentire la guida ci sono più di 600 stanze, ma al sottoscritto la cosa non fa grande impressione. La corona e lo scettro simboli della nazione magiara, qualche curiosità sui porta sigari dei deputati dell’800 ed in una mezzora sono fuori.

Ritorno verso sud e dopo aver reso onore, in Szabadsag Ter, all’Obelisco ai caduti sovietici liberatori della capitale nel ’45 (l’unico monumento che riporta la stella rossa ancora in piedi in città, come a Berlino, che cosa curiose accadono nei paesi dell’ex patto di Varsavia, vero?) mi ritrovo alla basilica si Szent Istzan (quello che ieri stava appena dietro ad Arpad, con l’aureola in testa lui e lo spadone in mano l’altro) ossia il principale luogo di culto della cattolicissima Ungheria. Rapido giro fra le navata ed il transetto e poi via: poco meno di 250 scalini e sono in cima alla cupola a godere dello skyline cittadino. Niente di che a dire il vero, né il sopra né il sotto.

Il pomeriggio lo dedico a Buda quindi passo il fiume sul ponte Szechenyi, niet funicolare e salita a piedi sulla collinetta che domina il centro. In cima prendo a destra e trovo il Bastione dei Pescatori, una piccola fortezza che pare quasi finta, forse l’hanno fatta coi Lego e poi il Matyas Templon, la chiesa a mio giudizio più elegante di tutta la città. A suo modo assai raccolta, alterna luci ed ombre su pareti dipinte con colori caldi -molte varietà di giallo, arancio ed anche marrone, ma tendenti tutti allo scuro più che al chiaro- e dappertutto il fregio del corvo, stemma appunto dell’ultimo re d’Ungheria di sangue magiaro.

Tocca poi al complesso del Budai Var, il Palazzo Reale ed ai due musei: il Budapesti Tornereti Muzeum che narra più di due millenni di storia della città dall’Acquincum romana alla rinascita postcomunista e, soprattutto, il Magyar Nemzeti Galeria. Salto senza pensarci i piani inferiori e mi dedico solo agli ultimi due riservati alle arti figurative del ventesimo secolo pre e post 1945. L’impressione è positiva quasi di un più modesto ma del tutto dignitoso Centro Pompidou.

E’ tardi oramai, quasi le 18, ora di chiusura, siamo in pochi, quasi tutti visitatori solitari e la cosa mi trasmette una sottile sensazione d’aristocrazia del senso estetico.

La serata la trascorro in centro, nell’isola pedonale. Tiro il bidone al Biztro di ieri sera ed a Giugia (anche se avevo prenotato e la cosa mi dispiace, sul serio) e ceno per strada in una baracchina di Deak Ferencs utca. Mi faccio poi Vaci Utca a cercare qualche souvenir: cucchiaio&forchettonedacucina per mamma, borsetta adolescenziale per mia nipote e qualche gingillo, così, per buttare via un po’ di denaro.

Si sta bene, l’atmosfera è da primavera piena, quasi frizzante ed io giro bellamente in maglietta. Budapest pare una metropoli dell’Europa occidentale ma di 20 fa: i primi butta dentro nei locali ma non sfacciati come i nostri, equadoregni che vendono ninnoli luminosi ma non sono poi in tanti, aria che odora di cibo ma non satura di fritti e sughi come a Venezia od a Roma.

Sono le nove ed in un market 24ore24 mi prendo la sorella della pasta di stamani, una CocaZero e mi ritiro in albergo

E’ domenica, il cielo è velato ed è ora di sgomberare la stanza. La valigia la lascio nella luggage-room dell’albergo.

La mattina la trascorro visitando il complesso della Sinagoga Dohany. Alla 10 aprono, la fila si esaurisce in pochi minuti e, fornito di kippah, entro confondendomi in mezzo ad una scolaresca romana. Sul retro passando di fianco al cimitero c’è l’Albero della Vita, assai particolare e poi il Museo. La cosa più toccante è un documentario filmato sulla vita di un macellaio del secolo scorso, uno qualsiasi si direbbe. Ci sono gli aspetti più minuti del suo lavoro e la disciplina kosher, qualche spezzone di dialogo colla clientela solita, le frequentazioni e non solo quelle del sabato e tutti i dettagli che rendono il senso più autentico dell’ethos ebraico.

A cavallo del mezzogiorno ho l’ultimo appuntamento fissato al Magyar Nemzeti Muzeum una (altrettanto bella) copia di quanto visto ieri al Palazzo Reale ma estesa a tutta la nazione anche se l’impressione è che Budapest sia magna pars dell’Ungheria. Il percorso è ben organizzato ed assai curato nei particolari ed anche spettacolare il giusto, soprattutto nella sezione riservata all’800, a quell’impero Austro-Ungarico a noi ben noto.

Il programma previsto a tavolino s’è concluso e come si suol dire, ci sarebbe il pomeriggio libero. Ritorno allora a ciondolare sul fiume ed eccolo di nuovo, il D11-12 (D13, nella versione week-end) e questa volta l’accesso alla banchina è aperto. Alle 14.42 finalmente, il battello attracca e mi fa salire.

Mi piazzo a prua, seduto bello comodo e dico tra me e me: arrivo al capolinea e mi faccio tutto il ritorno, la tabella oraria dice che saranno un paio d’ore, e siamo a posto.

E così sono a godermi un sole smorto in mezzo a bimbi strepitanti, adolescenti armati di iphone e lattina di birra e copiette che si sbaciucchiano.

Dopo l’isola Margherita inizia la periferia, le case sono più rade ed all’orizzonte spuntano i casermoni eredità del periodo comunista.

All’approdo di Romaifurdo sono quasi anestetizzato, aspetto che la barca giri ed invece no. Quello col cappello da comandante mi fa capire che quella era l’ultima corsa, che non c’è il tragitto di ritorno.

In un attimo faccio il quadro della situazione: isolato ad una decina di km dal centro su una spiaggia semideserta del fiume più lungo d’Europa, aereo fra un paio d’ore e semi-incapace di comunicare il mio dramma ho un attimo di panico. Ma è breve: il gestore d’un bar è assai gentile e mi indica la via di salvezza, il bus 106 che mi riporta in terra consacrata ossia presso la rete della metropolitana.

Siamo agli sgoccioli, ripasso in albergo per il bagaglio, cambio dei fiorini avanzati e poco dopo le 20 l’aereo WizzAir decolla

Addio Budapest.



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