Cavalcare L’Elefanten

Come attraversare tre stati sotto pioggia e neve e raggiungere un raduno di pazzi nel cuore d'Europa
Scritto da: labattazza
cavalcare l'elefanten
Partenza il: 31/01/2014
Ritorno il: 02/02/2014
Spesa: 500 €
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3/2/2014

Eccomi qua, rientrato salvo e – abbastanza – sano dal mio primo “Elefanten Treffen”. Sano di testa probabilmente non del tutto, perché già prima di partire ti rendi conto che qualche pezzo che dovrebbe fare parte della dotazione standard di ogni “cristiano” probabilmente è restato nel magazzino al momento dell’assemblaggio. Altrimenti non ci si spiegherebbe come ci si imbarchi in una “zingarata” come questa. Sui motivi però ci tornerò più tardi.

Che cosa è l’ “Elefanten Treffen”? Una definzione presa da Wikipedia recita: “L’Elefantentreffen, in Italia anche conosciuto come Raduno degli Elefanti, è un celebre motoraduno invernale che, dal 1956, si svolge alla fine del mese di gennaio, per una durata di tre giorni, in località site nell’Europa centrale (Germania, Austria). […] Le temperature molto rigide, quasi sempre di molto sotto lo zero, la neve e le precipitazioni ne fanno una meta difficile da raggiungere in motocicletta o sidecar, particolarità che accresce il valore dell’impresa da parte dei frequentatori, aumentata anche dal fatto che l’organizzazione non prevede alberghi o camere attrezzate, ma solamente posti tenda.”

La mia definizione personale? Una gabbia di matti, un posto e una fauna che sembrano usciti pari pari da un film della serie di Mad Max. Da anni si svolge in Germania a Solla, a circa 20 chilometri dal confine con la Repubblica Ceca, in una ex cava.

L’idea già c’era tre anni fa, i preparativi erano stati fatti (anche se adesso mi son reso conto che all’epoca non ce l’avrei fatta con quell’equipaggiamento), ma poi il virus intestinale mi tenne a casa. E il mese dopo un simpatico automobilista incurante dei rossi ci ha messo del suo per tenermi lontano dalla possibilità di farlo per almeno un paio d’anni.

Arrivati a ottobre 2013 il mio amico Alfonso mi mette la pulce nell’orecchio e mi dico che si, forse è l’occasione giusta per riprovarci, e dare anche un bel calcio a quelle paure sedimentate dopo l’incidente. Guardare la bestia negli occhi, direbbe qualcuno. Si inizia così a pianificare, preparare il materiale, pensare a come crearsi una corazza contro freddo ed elementi durante il tragitto, come equipaggiare la moto per ogni evenienza, anche la neve sulla strada.

Man mano che il giorno della partenza si avvicina, il dubbio e l’eccitazione si mescolano, litigano come due fratellini stizzosi, il classico angioletto e diavolo che sulle spalle mandano messaggi contrastanti, e in mezzo ci sei tu, come tra un concerto dei Sepultura dal lato destro, e di techno olandese dal sinistro.

Le brutte sorprese però iniziano da prima della partenza. Viene il giorno del “test drive” verso Bardonecchia, per controllare l’equipaggiamento. Prima sorpresina. Livello dell’olio motore insolitamente sotto il minimo. Pace, rabbocco. 1 litro d’olio! Wow.. sarà che ad usarla al freddo e per tragitti cittadini in questi due mesi avrà mangiato come Obelix? Rabbocco eseguito, giretto in quota. Tutto ok. Mani al caldo, copertura di giacca multistrato efficace.

Si arriva al mercoledì – due giorni prima della partenza – e per scrupolo controllo il livello dell’olio. Grande Giove, di nuovo sotto il minimo! Questa volta mi ha mangiato 800cc di olio per 200 km.. c’è qualcosa che non va. La porto dal mio compare di avventura, Alfonso – che lavora dal mio meccanico di fiducia, San Gianpiero – e insieme a Gianluca la prendono sotto le proprie amorevoli manine e sentenziano: “olio contaminato da benzina, probabilmente non ha gradito lo stop di un anno, le fasce non tengono e hai un olio che pare acqua distillata”. Soluzione? Compro in fretta e furia un filtro, loro cambiano l’olio, controllano il liquido raffreddamento e freni.. e son pronto per partire.

Venerdì ore 6:00 sveglia, colazione dei campioni con Alfonso (the zuccherosissimo, fette biscottate con tanta marmellata, succo), poi giù a caricare le somarelle. Ma prima.. operazioni di vestizione che richiedono circa 30 minuti. Infilare multistrati, con tanto di scaldacorpo e scaldapiedi, non è come infilarsi due infradito.

E senza un compagno di viaggio, mai avrei potuto infilarmi anche la tuta antiacqua gentilmente fornitami dal buon Roberto. Essendo di una taglia in meno – L – invece che di una in più – XXL – come avrebbe dovuto, solo con le articolazioni di un fachiro avrei potuto entrarci. E oltre a non esser manco alla lontana parente di un fachiro, ho pure la giacca da moto che ora è ancora più rigida, con Kway inserito.

Una volta bardato a festa paio un Gabibbo che si muove come un playmobil, e manco riesco a toccarmi la sommità della testa, o andare a tirare su lo scaldacollo da dietro la nuca. Un Golem con l’artrite, praticamente. Per salire sulla moto, con la sacca montata sulla sella, devo fare delle evoluzioni che ogni volta rischiano di farmi lussare l’anca, complice anche la tuta strettina. Mi sento come un leone marino che cerca di fare salto in alto con la tecnica Fosbury, e ogni volta che salgo o scendo mi arrampico sul mezzo, temendo sempre di cascare con la belva addosso. Motivo per cui dove posso faccio benzina seduto (sperando di non irrorarmi e fare la fine di un bonzo tibetano anti-imperialista) e pago al benzinaio seduto in sella come un pascià.

Altra mezz’ora a sistemare il bagaglio sulla mia moto, fissato con tirante per evitare sorprese e capitomboli in tangenziale… e alle 8:30 finalmente si sale la rampa del garage, sotto una pioggerellina invitante. Viaggio verso il confine sotto acqua costante, a parte una ventina di km verso Novara dove addirittura spunta un pallido sole a tirare su il morale.

La protezione antiacqua pare tenere, ma si rivelano piccole falle che mi faranno avere un rapporto di amore-odio con la tuta. Amore per il generale senso di protezione contro il vento e l’acqua – senza quella di certo avrei avuto degli spifferi tra giacca e pantaloni che mi avrebbero messo fuori uso i reni prima di Verona, e costretto alla dialisi entro un paio di settimane. Odio perché non serra bene il collo, e da li si infiltra l’acqua che mi bagna lo scaldacollo e sale fino al naso. Ma scopro con piacere che i materiali sintetici e la lana fanno il loro dovere anche se bagnati.

Al primo autogrill per sosta cibo e scarico acque di rifiuto.. sorpresa: addirittura una area dedicata ai motociclisti! Ovviamente deserta! Guardati con sospetto da una mandria di giapponesi scesi da un bus, facciamo il nostro ingresso e ci dirigiamo subito verso il bagno. Qui scopriamo un fatto che sarà una costante del viaggio.

L’impossibilità di espletare le normali funzioni che l’uomo ama fare da in piedi, restituendo alla natura quello che le ha dato. Con due mani sole è una impresa tenere a bada lo strato di vestiti, e fare ciò che si deve fare con l’altra. Ma comunque se l’uomo è riuscito ad andare sulla Luna, può fermarsi di fronte a una bazzecola del genere? Ovviamente no! E infatti non ci si ferma. Ovviamente per richiudere la tuta antiacqua serve sempre l’aiuto da casa, o sarei in balia dei monsoni.

Altra costante: ogni volta che si entra in un luogo caldo, non ci si bagna più per l’acqua che viene da fuori, ma per quella che viene da dentro. L’imbottitura a “panino oversize” si rivela ottima per portare a temperature da autocombustione, ma l’alternativa è spogliarsi in venti minuti, e rivestirsi in altri venti. Si preferisce l’effetto salame trasudato.

Un altro comun denominatore dei tre giorni.. i pasti. A parte qualche rara eccezione rappresentata da panini mangiati al volo (e un pasto caldo a Brennero), ci si nutrirà come capita, mangiando le abbondanti scorte di barrette energetiche e bevendo i succhi di frutta (quando questi non si riversano nello zaino, come scoprirò qualche centinaio di chilometri dopo, irrorando la maglia di scorta, che ora ha un piacevole profumo di albicocca rancida, con uno strato gommoso che mi fa dubitare della provenienza terrestre di quelle albicocche), o mangiando frutta “sciroccata”. Serve, e tanto, mangiare più spesso possibile cose energetiche ma leggere, e bere.. per reintegrare quello che si espelle.

Tra una sosta per il rifornimento e l’altra – tra l’altro… scoprirò con piacere nei giorni seguenti che all’andatura di 80-100km/h in autostrada e statale Baghira si assesta su consumi che vanno dai 22 km/l nel peggiore dei casi, ai 26 km/l nel migliore. Non male, contando quanto è scarenata e quanto io faccia effetto paracadute di frenatura, stile Shuttle.

Si arriva all’area di soste Adige, la prima del Trentino. Da lì si iniziano ad ammirare le montagne, che prima o poi dovremo valicare. Senza sapere – ma sospettandolo – cosa ci aspetti, sosta per riscaldarsi – temperatura mai sopra i 2/4° – fare benzina e prendere l’adesivo per circolare sulle autostrada austroungariche, e si riparte…

Iniziano a sentirsi gli effetti delle ore in sella, qualche acciacco alla spalla incidentata, il gomito e il polso destro si sono bloccati in posizione “90 km/h” e servirebbe lo Svitol, le ginocchia ululano per far cambiare posizione ogni 10 km. E nei giorni seguenti sarà sempre peggio, anche perché la crucco-nipponica ha una seduta che va bene per fare le gare in pista da motard o girare in città-statale per tragitti medio-brevi, ma certo non per una transiberiana. Oltretutto spinge il guidatore in avanti (inimmaginabile come si soffre col passeggero!), facendo si che i dispensatori di eredi siano allegramente compressi sul serbatoio: per fortuna su suggerimento di Alfonso nella sezione “gambe” ho inserito anche un paio di pantaloncini da ciclista che hanno mitigato l’effetto sella, in ogni caso la parte bassa del corpo dà segnali di sofferenza.

Con l’idea di scavallare e fermarci a cercare un pagliericcio a Innsbruck, iniziamo l’ascesa verso il Brennero: 190 maledetti chilometri. Quanto cacchio è lungo il Trentino? (Lo penserò ancora di più al ritorno). La luce cala, cerchiamo di tenere un buon ritmo ma ormai è tardi, Arriviamo al casello che sono le 18passate, il ragazzo al casello mi dice che per ora va bene perché piove solo, e che lui non è partito con gli amici che sono andati su in vespa, viste le previsioni e vista la neve del giorno prima. “Solo” 40 cm, poca roba per il posto e il periodo!

Ripartiamo, confidando che quel che dicono i pannelli luminosi “Attenzione – Neve tra Vipiteno e Brennero” sia solo in parte vero, e sia nevischio misto acqua. Il gruppo di supporto da casa, in costante contatto Whattsapp con Alfonso (il mio metallico HTC non avrebbe retto alle temperature, quindi mi sono fatto prestare un muletto dal buon Sergio, un inossidabile Nokia, per stare in contatto via sms e voce con diverse fonti amiche) ci ha costantemente aggiornato su come evolvevano le condizioni meteo lungo il tragitto. Dipingendoci scenari di difficoltà verso il Brennero, ma migliori in Austria. Che si fa? Ovvio, ci si prova, alle brutte ci si ferma. Scopriremo di li a poco che anche fermarsi non è possibile.

A passo lento- 70-80 km h – saliamo, la pioggia diventa stranamente sempre più “solida” e a Vipiteno effettivamente appare lei: sua maestà la neve. Per i primi chilometri ancora si procede, con cautela, confidando nelle luci delle macchine e nel fatto che i camion dovrebbero salire ai 60 km/h, come da limiti. Invece abbiamo conferma delle abitudini pessime di chi guida in Italia, siano autisti italiani o stranieri. Dei limiti se ne strafregano, ti sorpassano anche se vai ai 90 (e loro dovrebbero avere il limite degli 80 su strada normale) ma in Austria.. prova a vederne uno che sgarra anche solo di 5 km/h!!!

La situazione peggiora sempre più, fa buio, c’è venticello, la neve si deposita sulla visiera e non fa vedere, la corsia di sinistra è totalmente imbiancata da un dito di coltre bianca, così come quella di emergenza. Davanti raramente vedo qualcosa, e accendendo gli abbaglianti si vede la strada ma non molto chiaramente, anzi.. spesso la visibilità tanto peggiora. Le gomme tengono ancora decentemente, non credevo… ma un paio di sbacchettamenti mi fanno chiudere il gas e le chiappe come un convento alla calata dei Lanzichenecchi.

Procediamo ai 50, con la terza inserita, buon compromesso tra trazione e tenuta.. ma i tir dietro scalpitano, suonano, sfareggiano, sono a mezzo metro da Alfonso. Se per disgrazia scivola lo fanno diventare parte della segnaletica orizzontale, per poi dedicarsi a spiattellarmi contro un guardrail. Porca zozza, pazientate pochi chilometri, ci togliamo da questo inferno bianco e poi fate quel che volete, di la dal confine è secco come nel mio conto in banca dopo che passa la rata del mutuo!

No, non si può andare avanti. Scene apocalittiche si materializzano nella mia mente, devo concentrarmi per non farmi prendere dal panico. Inizio a pensare positivo, una soluzione si trova sempre. Alla prima occasione utile mi butto fuori e piuttosto piazziamo la tenda oltre il guardrail. Dai cartelli nessuna informazione utile, sono coperti di neve.

Ma un certo punto vedo il simbolo di una pompa di benzina! e l’indicazione: 3 km. Evvai! Stringiamo le chiappe per poco e siamo salvi! Ancora prima di vedere l’uscita metto la freccia per far capire ai bestioni che gli lasciamo campo libero . Appena vedo lo svincolo chiudo il gas, metto con circospezione la seconda, inizio a scendere prendendo la parte relativamente più pulita.. uso il freno motore e carezzo il freno posteriore, per quanto possibile per via dello stivalone e dalla gamba irrigidita da freddo e strizza.

Fermi in mezzo a un incrocio ho un rapido consulto con Alfonso: non è lo svincolo dell’area di sosta, ma l’uscita per Brennero paese. Poco male, ci avventuriamo sulla statale innevata e cerchiamo di raggiunger il paese, tanto sono pochi chilometri.

Insperabilmente le gomme Mutant vanno alla grande anche su neve fresca, riesco pure a partire in salita da fermo, a un incrocio, sgommando poco. Gambe larghe, seconda innestata, e via verso il paese! Ci sarà una locanda ? Intanto siamo davanti alla stazione, penso di scendere e chiedere informazioni (mi è stato confessato un paio di ore dopo che non sapendo il tedesco li avrei ricavato ben poche informazioni utili), quando vedo l’insegna gialla di un albergo.

Siamo salvi! Lo indico ad Alfonso “occhi di talpa” che non vede, ma si fida. Quando facciamo per ripartire, però – forse preso dall’emozione – nonostante le gomme tassellate si esibisce in una belle scivolata. Porco boia, proprio a 100 metri da un posto caldo! Finché mi fermo piantandomi nella neve faccio 20 metri, il tempo di tornare indietro e vedo che già si è rialzato con l’aiuto di un automobilista austriaco.

Risultato? Lui sta bene. E la Tenerona? Danni? si.. leva frizione. Porca zozza, già mi vedo bloccati per impossibilità di inserire le marce. Invece è solo monca, ma fa il suo lavoro. Arrivati all’hotel il simpatico proprietario ci dice che il giorno prima un medico con un bmw era stato portato li scortato dalla polizia dopo esser stato fermato dalla bufera, ma al mattino aveva ripreso la marcia. Quando gli chiedo se ha una stanza mi dice: “Si, ma solo col bagno in corridoio”. “E dove sta il problema? Dormirei pure in una stalla con il bue e l’asinello che mi alitano in faccia, pur di stare al coperto!”

Così passiamo la notte romanticamente illuminata dalle luci della stazione che fanno ben vedere la nevicata che continua copiosa. Ci ristoriamo con un piatto di pasta alla cacciatora per Alfonso, e un ottimo gulasch per me. Poi a nanna alle 22, con l’intenzione di valutare il mattino successivo. Per me se le cose rimangono così, giro e torno indietro, non vorrei che per tentare di domarlo, l’elefante mi schiacciasse!

Al mattino le strade sono state spazzate, ma il cielo rimane cupo. Il gruppo di supporto e l’albergatore dipingono scene di primavera ad attenderci al di la del confine: questo mi fa venire voglia di continuare. D’altro canto, però, per la domenica è previsto l’arrivo di una perturbazione con abbondanti nevicate pure in Germania e Austria, proprio dove dovremmo passare noi. Questo invece mi preoccupa, perché rimaner bloccati lì sarebbe un bel problema anche sul posto di lavoro, oltre che per il mio portafogli.

Pare che i treni Innsbruck-Bolzano ci siano solo in estate, tutti i furgoni degli autonoleggi austriaci risultano prenotati. Vabbè.. mi dico che saremo tanti motociclisti al ritorno, e in un modo o nell’altro troveremo una soluzione. La moto parte al secondo colpo, il suo brontolio basso e rassicurante mi mette di buonumore, mi ci arrampico e. .si parte! Facciamo inversione, con la gente che guarda un po’ stranita e un vecchietto che fa il pollice su e ci augura buon viaggio.

Così facciamo l’ingresso in territorio asburgico e.. sorpresa! Cielo terso, temperatura mite – siamo sui 10°! – vento sui viadotti… fantastico. Al primo autogrill familiarizziamo con alcuni motociclisti coi quali ci eravamo sorpassati parecchie volte sulla A4 e sulla A32. Loro si erano fermati a Bolzano, alle prime avvisaglie. Foto di rito, consigli sulla strada, e si riparte! Gradita sorpresa.. qui la benzina costa di meno, per cui regalo al mezzo meccanico dell’ottima benzina super a 100 ottani, per farle prendere un po’ di brio.

Dopo pochi chilometri… la sorpresa che non ti aspetti. Code su code! Pare che qui ci sia una festività, e tutti sono in strada per un ponte fuori porta. Altra scoperta.. gli austro-teutonici alla guida sono molto rispettosi del codice, ma in autostrada fanno volentieri strada – a parte alcune eccezioni – creando un varco tra le corsie nel quale ci si può infilare con circospezione e andare avanti. In un momento di traffico “lento ma scorrevole” (come direbbero quelli dell’Anas) vengo affiancato da un altro gabibbo come noi che ci chiede se vogliamo compagnia.

Lui è al 20esimo Elefanten e conosce bene la strada. Accetto di buon grado, è un problema in meno, e poi non mi pare il tipo che ci porterebbe in un macello clandestino per farci asportare i reni (anche perché potrebbero essere compromessi dagli spifferi, e questo un veterano come lui lo sa!!!). Iniziamo così un percorso che ci porta ad attraversare cittadine come Rosenheim, e altre amene località. Nelle città gli autisti teutonici sono molto ligi, così ligi che se provi a fare una manovra non consentita ti chiudono di netto, rischiando di farti cadere. Per fortuna non ne faccio di “italianate”, ma agli altri due han fatto begli scherzetti!

Finalmente ci si gode il viaggio, la campagna è una alternanza di erba e terra scura, quella proprio da centroeuropa. Si può guidare rilassati e godersi la vista. E così.. alle 17:00 circa arriviamo alla frazione di Solla, Loh. Un delirio di moto tra le più strane che vanno e vengono, gente del posto che a piedi viene per vedere le scimmie al circo.. facendo lo slalom tra cristiani – probabilmente protestanti, visto il paese – e moto, arriviamo all’ingresso e… si materializza Simone, l’amico trasferito in Germania che è arrivato poche ore prima.

Salutiamo momentaneamente la nostra guida, che come una chioccia ha guidato due imberbi pulcini alla tana del lupo, ripromettendoci di salutarlo dopo, perché lui si accampa vicino alla stradina di ingresso, non volendo addentrarsi nel girone di fango nel quale è tramutata la buca dopo il rialzo di temperature. Effettivamente a parte un po’ di permafrost, sopra è fango a gogò, schizzato ovunque dalle moto di passaggio.

Simone vuole convincerci a portare le moto alla tenda, gli dico “Tu sei pazzo che scendo li col rischio di finire lungo, e di non riportarla su domattina”. E infatti scendo. Foto di rito, acquisto del braccialetto, si entra. Arrivo alla postazione con qualche difficoltà.. e subito montiamo la tenda, sta facendo buio.

Finalmente ci si più rilassare, facciamo un giro per l’accampamento e ammiriamo un bel po’ di stranezze, tra i mezzi a 2-3 ruote e gli umani bipedi. Scendiamo fino alla base, dove finalmente gustiamo un bel panino con un insaccato di fegato e beviamo un delizioso vin brulè, socializzando con alcuni autoctoni interessati alla mia strana motoretta.

Tra una cosa e l’altra il tempo scorre e si va a nanna verso mezzanotte, dopo aver chiacchierato vicino al falò mentre la temperatura scende rapidamente sotto lo zero. La paglia per terra e sotto la tenda fa il suo porco lavoro e isola bene. Nel sacco a pelo si sta divinamente, e dopo un po’ anche la musica ad alto volume e il continuo lancio di fuochi d’artificio e bengala non danno più fastidio e si prende sonno.

Sveglia alle 6, per fortuna non ha nevicato come da previsioni, altrimenti sarebbe un macello smontare il campo! Ri-vestizione in vista del viaggio, si carica tutto fuori dall’ingresso, dopo che Simone mi ha portato su la moto. Per fortuna l’abbassamento della temperatura ha reso il fango più duro, così con poca spinta la moto – partita praticamente subito, grazie alla batteria maggiorata che le avevo regalato – raggiunge l’ingresso.

Subito fuori, mentre aspettiamo di lasciare le cose extra a Simone che le porterà via in macchina, dei simpatici poliziotti tedeschi si avvicinano e chiedono: “Come va, tutto bene? State bene? Avete Bevuto? Vi facciamo un esamino e poi potete partire!” Li capisco, ma io mai riuscirei a farmi il cicchettino appena alzato! Mentre aspetto il mio turno per soffiare nel boccaglio, il riccioluto tutore dell’ordine chiede: “Italiani?” “Si”. “Ah, bene, da dove?” Pare amichevole, e così scambiamo due ciance. Quando arriva il mio turno – dopo che Alfonso deve fare ricorso al polmone d’acciaio per riuscire a fare una misurazione accettabile – mi accorgo che non cambiano il beccuccio. Meno mal e che prima di noi solo altri due avevano soffiato! Viva la mononucleosi!

Così finalmente abbiamo il permesso di partire. Subito incontriamo un’altra situazione meteo avversa. La nebbia. Ci mancava! Fin quasi all’autostrada, guidati dal buon Simone, il muro bianco ci accompagnerà. Una volta sull’autobahn andiamo – relativamente – spediti. 100-110 costanti, temo che la perturbazione ci sorprenda e voglio esser vicino al confine il prima possibile. Sotto zero costante, qualche goccia di pioggia mista a neve ogni tanto mi fanno temere il peggio, ma poi smette. Quando siamo vicino a Monaco.. brivido. Mi perdo Alfonso, non lo vedo più nello specchietto. Pensando sia rimasto dietro qualche auto, rallento.. nulla. Mi fermo in corsia di emergenza, provo a chiamarlo ma.. non mi risulta il numero in rubrica! Chiamo il supporto a casa, che in questo caso è la sua fidanzata, la quale però mi dice di non riuscire a contattarlo dalla sera prima.

Scenari foschi si profilano all’orizzonte. Attardati da guasto meccanico, tardiamo e la tempesta ci sorprende in territorio teutonico. Faccio esercizio di positività, e riparto, per non fare la fine del riccio in tangenziale. 5 km più avanti c’è un distributore, lo raggiungo e vedo il da farsi. Arrivo, è invaso da Elefantisti. Chiedo lumi a degli italiani che ci avevano passato e ripassato, e che sono arrivai dopo di me, ma di Alfonso non c’è traccia. Porca vacca, che si fa? Per fortuna dopo pochi minuti, mentre son al telefono con Raffaella.. Alfonso si materializza!! Era rimasto a secco, e per aprire il rubinetto della riserva sulla sua si perde del tempo. Ottimo. Ci rifocialliamo, e si riparte.

Il morale rimane abbastanza alto, il tempo non peggiora, ma i problemi di posizione si fanno sempre più pressanti. Pensare che se tutto va bene fino ad almeno le 20-22 di sera sarà così non è di conforto. Comunque si prosegue verso Innsbruck. Qui in autogrill chiedo a un gruppetto di veterani con una mandria di BMW GS se sanno qualcosa delle condizioni del Brennero. Loro stanno pasteggiando con pasta e carni, visto che è gestito Autogrill il cibo è anche buono. Dicono che sanno che nevica ma per ora è percorribile. Contano di esser a Torino alle 20 al più tardi, perché coi loro bestioni tengono la media dei 120-130. Belli loro, gli piace vincere facile!! Lo farei anche io, potessi permettermelo!

La notizia mi conforta, visti i messaggi che arrivano dal campo base dove consigliano di fermarsi a Innsbruck e continuare il giorno dopo. A quel che so, però, se tutto va bene nevicherà fino a lunedì almeno, e la prospettiva di dover trovare riparo per due giorni, e magari il modo di trasportare la moto in Italia, mi atterrisce. Decidiamo di proseguire e valutare chilometro dopo chilometro.

La strada inizia a salire… la pioggerella si intensifica e poi dopo un tunnel ecco ricomparire.. la neve! Saliamo a passo costante, per fortuna sono le tre di pomeriggio e c’è luce. Tre corsie, noi restiamo a destra a farci sorpassare da chiunque, ma nessuno ci infastidisce. Fa un po’ specie essere in moto e passare a fianco alle piste dove la gente scia! Man mano che si sale verso i 1400 del Brennero la neve aumenta, bisogna tirar fuori sempre più spesso la mano dalla moffola per togliere la neve dalla visiera, tenendo ben saldo il manubrio.

Per fortuna qui il sale lo preferiscono a terra piuttosto che nell’insalata, e la strada rimane abbastanza pulita. In quei momenti pensi a tutto.. a una doccia e a un letto caldo, alle mani del fisioterapista a risistemare la spalla.. al fatto che se qualcuno inventasse una visiera veramente idrofobica, nevefobica, grasso fobica.. insomma “tutto-fobica” gli darei volentieri la mano di una eventuale figlia, oltre a 50€!!! Ma bisogna fare con quel che c’è, il guanto e l’attenzione, valutare il momento di tirar fuori la mano quando nessuno sta per sorpassarti. E seguire le luci di chi sta davanti. Così, con passo costante.. si arriva al confine, e si è di nuovo in Italia!!! Giubilo!! Su un rettilineo mi azzardo, preso dalla gioia, a tirar fuori la mano e far il pollice alzato ad Alfonso, che segue costante dietro.. ah.. il sapore dell’Italia. Scendiamo il più in fretta possibile per toglierci la neve, che per fortuna smette verso Vipiteno.

Da allora in poi, sarà solo – si fa per dire – pioggia, che ci accompagnerà quasi ininterrottamente fino a Rondissone. Facciamo svariate soste e chiacchiere con gli altri elefanti: è sempre una gioia incrociarne, sembra di conoscersi da una vita, anche se ti sei parlato 5 minuti qualche centinaio di chilometri prima, o addirittura mai! Presto mi assale a consapevolezza che la giacca a vento inserita tra la giacca da moto e la tuta antipioggia – inserita per poter togliere la giacca kway sotto la giacca da moto ed evitare che stringedomi impedisca la giusta circolazione del sangue negli arti – spunta un po’ dal collo. Così ora mi si sono inzuppati i tre scaldagola, e un rivolo di acqua ogni tanto scende sullo sterno: meno male che i pile e la canotta di lana tengono caldo!

Da li in avanti, doppia sofferenza per la posizione e l’acqua. Mi ritrovo ad odiare, nell’ordine: la lunghezza del Trentino. Gli automobilisti italiani, che sulla bretella Affio-Riva del Garda non si smentiscono, e pur essendo una strada in certi tratti a una sola corsia ti stringono contro le barriere per sorpassarti, quando non ti tagliano la strada. L’asfalto non drenante che fa alzare nuvole d’acqua, tanto che pare di attraversare le cascate del Niagara.

Brescia, che oltre ad essere invisa ai bergamaschi ha il difetto di aver più uscite di New York, facendoti pensare che non raggiungerai mai Milano. L’acqua, lenta e inesorabile, che ha iniziato a bagnare anche guanto e sottoguanto. Mi accorgerò poi di aver le mani raggrinzite come dopo un pomeriggio in piscina, con la differenza che la temperatura è molto più bassa.

Quando riesco a vedere i km della A4 che scendono piano partendo dai 260 circa non è facile, ma quando scendo sotto la soglia psicologica dei 150.. penso che ce la posso fare. Le pause si fanno sempre più frequenti, l’andatura resta sugli 80-90 ma pare di essere fermi. Sula tangenziale di Milano un pazzo con una Smart Roadster apre il tettuccio per tirar fuori il braccio e farci il pollicione di incitamento.

Al casello, preso dall’euforia, scambio due chiacchiere con la casellante, e mi viene pure fuori il caro vecchio detto “Semel in anno licet insavire”. E lei risponde: “Allora per quest’anno la sua dose di pazzia l’ha già usata, vero?” Le rispondo di si, e che probabilmente la cosa più pericolosa che farò sarà alzarmi dal divano per prendere una birra in frigo. Penso sempre alle parole di Bilbo Baggins “Fai attenzione, quando sei vicino casa è più facile rompere le uova!!” Per cui.. massima attenzione nonostante tutto!

A Novara decidiamo… ultima tappa. Prima c’è tutto il tempo per augurare di essere sbranati vivi dalle termiti a quelli che fanno si che i lavori della TO-MI vadano avanti da 15 anni, e ci sia ancora un budello fatto di slalom, corsie senza asfalto drenante, pozzanghere, barriere di cemento senza corsia di emergenza, assoluta mancanza di barriere antiabbagliamento. Coi fari delle macchine che arrivano in senso inverso certi momenti vedi solo mille prismi luccicanti. Cacchio, volessi fare l’esperimento di Newton con la luce, lo farei con comodo a casa! Maledetti!

Senza contare i soliti automobilisti e i tir. Troppo veloci e arrembanti, quando ti superano, anche dove la strada è larga, prima ti fanno spostare a destra, poi ti fanno sballonzolare fino a quando sono a qualche centinaio di metri, tanto che ti senti la barchetta fatta col guscio di noce nella vasca da bagno in compagnia di un tarantolato.

Anche in questo autogrill noto che la gente ci guarda come fossimo alieni. Pure brutti. Come dargli torto?? Capelli lunghi di due mesi, appositamente lasciati crescere per aver più isolamento. Idem per il pizzo. E non è una idiozia: tengono davvero più caldo. La natura ci avrà dotato di peli mica per nulla? Poi.. barba di 5 giorni allo stato brado, sembro uno yeti che ha appena preso la patente.

C’è chi incita, chi guarda divertito, le sciantose che guardando schifate, quelli che ti chiedono “Ma come fai con tuta quell’acqua?” Faccio, signora.. faccio.. e apro le acque come Mosè. Così si arriva a Rondissone, poco dopo smette di piovere.. e c’è il gelo, ma almeno per terra è pulito. Il casello della tangenziale è la porta del paradiso.. freddo quanto si vuole, ma veder scorrere le uscite di casa tua, dopo quasi 1000km ti fa sentire la fatica che scivola via.

Arrivato al garage, un ultimo aiuto da Alfonso per farmi passare le chiavi dello zaino che non riesco a sfilarmi, un saluto pieno di complicità e riconoscenza.. e si scende a far riposare la belva. Un ultimo sforzo per disincastrarmi dalla sella, e poi finalmente.. casa!! Inizio a spogliarmi e.. terribile sorpresa. Non riesco a sfilarmi la tuta!!! Con calma, aprendo tutto, contorcendomi con le ultime energie, sfilo il braccio e poco per volta conquisto la libertà e mi levo tutti gli strati.

Rimango in mutande e canottiera per dieci minuti sul divano, assaporando con ogni cellula del mio corpo il caldo, l’asciutto e la sensazione di… casa! Solo allora mi rendo conto di quanto sono stanco. Dopo aver sistemato tutto ad asciugare in previsione delle lavatrici dei giorni seguenti, posso andare a dormire, con il rombo di motore e acqua nelle orecchie, la sensazione di essere sotto l’effetto di un mix di lsd e peyote. Ma alla fine riesco cedere al sonno.

Cosa ho imparato? Che le moffole sono indispensabili, ma comunque alla lunga sotto i 4° le mani si raffreddano, anche con guanti e sottoguanti. Per il futuro dovrò investire 70€ nell’acquisto delle manopole riscaldate, ma devo assolutamente fare un impianto a regola d’arte per non ritrovarsi un ammassi di cavi sciolti. Che con un po’ più di rispetto da parte di tutti, come oltre confine, andare in moto sarebbe ancora più un piacere. Che nelle situazioni difficili si trova quasi sempre chi aiuta. Che abbiamo sempre energie e risorse nascoste. Che quando sei in difficoltà la mente si attiva e ti da sempre nuovi stimoli per andare avanti: il prossimo autogrill, un letto caldo, la salvezza di una strada spazzata, la voglia di riabbracciare quelli a cui vuoi bene e non dargli un dispiacere, la doccia calda, una birra con gli amici per renderli partecipi dell’avventura e ringraziarli del sostegno (a proposito.. un sentito grazie a tutti, nessuno escluso, quelli che hanno fornito supporto logistico e morale: senza di voi non ce l’avrei fatta. E’ stato prezioso per valutare il da farsi, e prendere le decisioni con qualche minimo elemento in più. Certo, c’è stato l’azzardo, ma altrimenti.. che avventura sarebbe stata? ). E ringrazio anche la mia famiglia che mi ha dato un motivo in più per stringere i denti quando si faceva più pesante, e per avermi trasmesso un po’ di buon senso – ma non troppo, o non sarei partito – , e alla quale non ho detto nulla perché nessuno si preoccupassero e vivesse nell’angoscia. E alla quale è meglio non dire nulla altrimenti poi chissà che patema ogni volta che mi sanno lontano dalla città.

Dovessi rispondere ora sul perché l’ho fatto… Di sicuro per me è stata una sfida con me stesso e i miei fantasmi, per capire fin dove posso spingermi e quanti sono limiti che mi autoimpongo. Ho voluto mettermi alla prova anche per capire quanto sono in grado di valutare le situazioni e prendere le decisioni giuste (so che quella sbagliata al momento sbagliato può costare la vita, ma capita più spesso di quanto pensiamo). Probabilmente perché anche noi uomini cosiddetti “moderni” sentiaom l’esigenza di vivere la nostra piccola Odissea e avere una propria Itaca alla quale fare ritorno. E di sicuro c’è la voglia di vedere il mondo dalla prospettiva delle due ruote anche in una situazione che tutti considerano impossibile, provare un campeggio “extreme” e soprattutto.. la voglia di vedere dei pazzi scatenati nel loro habitat naturale. Sono sempre stato attratto da certe follie goliardiche, e almeno un a volta nella vita avrei voluto vederlo. Se lo rifarò? Stavolta è andato tutto bene, sicuramente era stato pianificato abbastanza bene, si può migliorare, la buona sorte ci ha messo del suo. Ma ora non esprimo un giudizio definitivo: lo deciderò tra un anno!

Molte cose devo ancora metabolizzarle, certo che quando sei per tante ore da solo con te stesso in certe situazioni, nel tuo casco girano molti pensieri e rivaluti la tua vita. Quasi un’ autoterapia, direi. Chissà che ne sarà del futuro. Per ora mi godo i ricordi e la soddisfazione di aver superato questo piccolo esame che mi ero prefisso. E ora posso dirlo… Ho cavalcato l’elefante, ma lui ha abbondantemente abusato delle mie parti basse!

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