Israele, Palestina e Giordania low cost

Diario di una vacanza economica zaino in spalla
Scritto da: Federico Giotti
israele, palestina e giordania low cost
Partenza il: 18/09/2013
Ritorno il: 03/10/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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18 settembre

Partenza alle ore 7.45 dalla pineta di Loano, con taxi driver Ilaria. Colazione all’autogrill di Bordighera a base di cappuccini e brioche.

Arriviamo in aeroporto, check-in, baci e abbracci e alle 12 decolliamo. Pranzo e caffe con turbolenza (il mio caffe lo sputo su Diego e sul sedile davanti, il caffe di Diego dritto sui suoi pantaloni). Scalo ad Istanbul e coincidenza per Tel Aviv. Ci sediamo nei posti prenotati e davanti a me trovo un energumeno stravaccato: spazio vitale poco. Ceniamo in aereo e arriviamo al Ben Gurion Airport: formalità (visto il timbro siriano, ci danno direttamente un foglio da tenere nel passaporto e non ci piazzano il timbro israeliano), bagagli, ricerca di un mezzo di trasporto. Purtroppo è il giorno del sukot, o “festa delle capanne”, una delle feste ebraiche più importanti che dura otto giorni e che celebra il pellegrinaggio del popolo di Israele nel deserto. Tutto chiuso, nessuno lavora, tranne i tassisti che furbescamente, approfittando della totale mancanza di mezzi pubblici, si accordano su un prezzo abbastanza alto e senza possibilità di contrattare al ribasso: prontamente mando a “fuck” e cerchiamo una soluzione alternativa. Conosciamo due sbarbatelle tedesche (amburghesi) e troviamo l’alternativa: dividere il taxi in quattro (noi contribuiamo alla loro parte e stiamo aspettando ancora due birre), le seguiamo all’ostello e troviamo un bel giaciglio sul tetto. Usciamo subito alla ricerca della famosa night life telaviviana, ma troviamo solo poca gente che fa barbecue sulle aiuole e poca vita notturna, eccetto una via centrale piena di locali, stranamente aperti. Mangiamo un’ottima focaccina col rosmarino e origano e un fagottino con feta in un forno sulla passeggiata. Dopo una mezza maratona a piedi, torniamo all’ostello, dove ci buttiamo in branda, anzi in suolo e con sottofondo di musica disco e vociare…sono le 3 passate!

La gente va scalza nei cessi.

19 settembre

Ci svegliano le mosche e gli uccelli, alle 6.30 del mattino, le occhiaie sono enormi. Usciamo e ci incamminiamo verso la stazione degli autobus: in giro sempre poca gente. Amara sorpresa alla stazione: è ancora sukot (ma quando finisce sta festa?) dobbiamo prendere uno shared taxi per 70 nis per Gerusalemme.

Arriviamo alle nove in Jaffa Street. Troviamo subito un ostello, ma non c’è nessuno alla reception. Un cartello avvisa che aprirà alle 11, per cui decidiamo di fare un giretto per Gerusalemme Ovest. Neanche un cane in giro: solo gatti. Visitiamo un suq chiuso e torniamo all’ostello. Dopo trenta minuti di attesa decidiamo di andare a cercare un’altra soluzione. Entriamo nella vecchia Gerusalemme e dopo aver camminato per altri 5 chilometri troviamo l’ostello. Il Citadel Hostel e’ pieno e ci mettono nuovamente sul tetto, ma un tetto preferenziale low crowd (poca gente)… bellissima la vista sulla città vecchia. Giriamo per tutti i quartieri di Gerusalemme, visita al muro del pianto e al Santo Sepolcro.

Torniamo all’ostello per cambiarci e cerchiamo un materasso non pisciato dai gatti ne contaminato dagli umani. Lo troviamo, ma un americano, non ce lo lascia prendere. Ringraziamo, mandandolo a quel paese e ne cerchiamo un altro, purtroppo molto sudicio.

Poi ci rechiamo a Gerusalemme Ovest in cerca di un bancomat: poche banche e solo un bancomat fuori da un supermercato. Compro il “Piccolo principe” in ebraico, per un amico che li colleziona: ne guadagno un altro perché in offerta paghi uno e prendi due. Quando decidiamo di sederci per una birra fresca, comincia a piovere e vista la nostra sistemazione sopra il tetto, torniamo mesti e rapidi all’ostello e troviamo cinque tizi che conversano sul nostro “letto”. Ci infiliamo nella conversazione e dopo mezz’ora facciamo capire che è l’ora di andare a nanna: per una buona ora vanno avanti a sussurrare e poi finalmente ci lasciano dormire. Ma, sarebbe troppo bello, se non fosse per il tedesco

Jeremia e i suoi amici che si lanciano i materassi da un tetto all’altro! Finalmente dopo una ventina di minuti tutto tace! Tutto questo a 100 metri dal Santo Sepolcro!

20 settembre

Sveglia alle 7, lasciamo i bagagli in ostello e ci incamminiamo verso nord a cercare un’auto. Ma la “Good Luck Car Rental” non ci affitta la macchina perchè, guarda caso, domani e’ festa: shabbat! Allora via a piedi verso il Monte degli Olivi. Visita alla chiesa dove giacciono le spoglie di Maria, visita al Sepolcro dei Profeti, infiltrandoci con una compagnia di anziani inglesi, foto a Gerusalemme e alla cupola d’oro dal belvedere e poi ritorno a Jericho Road in cerca di un bus per Abu Diss. Nessun bus, ci arriviamo quasi a piedi e scopriamo che il centro di Abu Diss è oltre uno stupido muro alto 8 metri e lungo decine di chilometri. Ritorno a Gerusalemme, pranzo nel più sudicio take away della città, dove ti servono un delizioso humus accompagnato dagli avanzi degli altri avventori della giornata. Il cuoco cucina con la sigaretta e si pulisce di continuo i denti color catrame. Torniamo in centro passando per la parte più bella dei suq, quella entrando dalla porta di Damasco e dove, in effetti, sarebbe stato più igienico pranzare. Recuperiamo i bagagli e andiamo alla ricerca di un bus per Amman, via Allenby Bridge. Giriamo come due scemi per un paio d’ore, alla fine riusciamo a trovare una soluzione: saliamo a bordo di un shared bus che dovrebbe portarci fino ad Amman. Invece arriva ad Allenby Bridge, constatando che gli uffici sono chiusi, ci riporta a Jericho e vuole pure di più di quanto pattuito. Caliamo le braghe, ma non fino in fondo, e paghiamo quanto accordato all’inizio: 260 shekels per trovarci nel nulla del nulla. Per lo meno troviamo una stanzetta con due letti in un ostello, recuperato da un ex campo profughi e facciamo amicizia col giovane padrone.

Partiamo a piedi per Jericho Downtown e girovaghiamo per farci venire appetito. Compriamo delle papaye e poi andiamo al ristorante. Ordiniamo agnello e ci riempiono la tavola di cibo e alla fine il conto è un po’ più salato del solito: 160nis. Lì conosciamo due signore lombarde che stanno girando a piedi la Terra Santa: tanto di cappello. Torniamo all’ostello, mangiamo le papaye, una al gusto di gorgonzola e poi a letto. Sono le ore 22.

21 settembre

Sveglia ore 5.00, ma dalle 4 il muezzin sta intrattenendo il villaggio con un assolo canoro dall’alto del minareto. Lasciamo l’albergo alle 5.30, direzione frontiera israelo/palestino/giordana di Allenby Bridge. Appena arriviamo, paghiamo i primi 20 shekel e ce ne chiedono altri 20 perchè non si può attraversare il cancello del primo confine a piedi, ma solo in auto. Entriamo in dogana e dopo una buona mezz’ora di coda, riusciamo a pagare la tassa di uscita, tra spintoni e colpi. Usciamo, saliamo su un altro bus ed arriviamo ad un altro confine, sempre in terra israeliana. Sbrigate alcune formalità e finita di pagare un’altra tassa di uscita, saliamo sul bus ed arriviamo in terra giordana. Passiamo cinque minuti di panico, non trovando più i nostri zaini. Una volta in Giordania troviamo un taxi e partiamo alla volta di Amman. Il tassista si prodiga per recuperarci un’auto: la troviamo a 35 JD. La prendiamo e via verso il nord della Giordania: direzione Jerash. Attraversiamo un territorio collinare, dai colori a tinte gialle e verdi, passando dall’arido al coltivato, girando solo una curva. Senza fretta giungiamo a Jerash e finiamo subito in un ingorgo, stretti nell’unica via centrale della città. Riusciamo ad uscire e cerchiamo l’ingresso del parco archeologico. Parcheggiamo ed entriamo nel sito archeologico: una visita di un’ora. Purtroppo il sito non è ben curato. Probabilmente con poco tempo a disposizione, non vale la pena una deviazione. Usciamo e decidiamo di visitare i famosi castelli nel deserto. Torniamo indietro fino a Ar’ Raqqa e partiamo alla loro ricerca, per lo meno quelli accessibili con una piccola utilitaria 2wd. Ci fermiamo in un paesino in mezzo alle colline e ad un supermarket compriamo un succo, una pepsi light e due gelati, tutto rigorosamente scaduto. Il primo castello che riusciamo a visitare e’ Qsar Al Hallabat: lo stanno ricostruendo, ma resta comunque molto affascinante. Foto di rito e via verso il secondo: Qasr Azqra. Lo troviamo dopo circa un’oretta di strada, ma non è poi cosi bello. Tutt’altra musica per il terzo Qasr Amra: arriviamo che è già chiuso, ma intercettiamo il custode che se ne sta andando a casa. Gentilmente ci riapre il castello e ci fa entrare e ci fornisce di una buona spiegazione. Bellissimi i dipinti all’interno, che riusciamo a vedere grazie alla torcia del mio iphone e alla frontale di Diego. E’ l’unico castello Umayadde dipinto con soggetti umani, illegale per la legge coranica.

Diamo una mancia al custode e proviamo a raggiungere il quarto, Qasr Khasana, ma ormai e’ buio. Velocemente rientriamo ad Amman. Raggiungiamo la Downtown e da indicazioni lonely planet cerchiamo e troviamo l’Hostel Cliff: un betthotel ma per 10jd va da benissimo. Inizia tra l’altro a piovere e la nostra usuale sistemazione sul tetto sarebbe stata impossibile. Usciamo a mangiare e ci lasciamo trascinare dalla gola: così iniziamo e finiamo dal dolce. Mangiamo tre tipi di “falafa” o “kunefe” in turco, un dolce arabo, famoso in tutto il Medio Oriente, farcito di formaggio cotto al forno in un tegamino e affogato in uno sciroppo dolcissimo, servito con una spruzzatina di pistacchi tritati o una cucchiaiata di kaymak (altro tipo di formaggio simile al mascarpone). Poi caffe arabo per digerire tutti gli zuccheri e i grassi ingurgitati e via verso l’ostello.

Domani Amman walk.

22 settembre

Sveglia alle 7.00. Stavolta non è il muezin che ci chiama alla preghiera, ma la fame e la voglia di uscire dal ricettacolo di acari in cui abbiamo dormito.

Usciamo dall’ostello e cerchiamo il baracchino delle spremute e dei frullati, ma ahinoi, è ancora troppo presto. Iniziamo il nostro giretto nella downtown di Amman, che poi sarebbe la zona dei mercati. Un insieme di profumi e di colori, ma anche un insieme di immondizia del giorno prima. In effetti, di tante città islamiche visitate negli anni, Amman è quella più sporca che ho visto. Inoltre la sera prima, avendo piovuto, si è creato uno strato di melma nera che, come un velo, copre le strade e rende tutto scivoloso. Passiamo davanti alle rovine del teatro romano e poi ci inerpichiamo tra le strette scalinate che portano alla cittadella, che conserva resti romani, bizantini e islamici. Da qui il colpo d’occhio su Amman è strepitoso. Una città costruita su sette colli, come Roma, ma essendo tutte palazzine basse, il catino di case bianche arroccate è impressionate e la vista si perde. Scendiamo e finalmente il palestinese delle spremute ha riaperto il baracchino. Compriamo un frullato, con banana e melone (frutta tagliata e buttata nel frullatore e mischiata con una carota, per non affettarsi le dita) e poi Diego bissa con una spremuta. Se non fosse che l’omino avesse le mani nere, non per l’abbronzatura e che maneggiasse soldi e frutta senza mai lavarsele, la consiglierei vivamente a tutti. Ma diciamo che i maniaci della pulizia possono evitare questo posto.

Ripartiamo verso l’ostello, ma prima andiamo a comprare un dolcetto nel negozio della sera prima. Spettacolari!

Recuperiamo i bagagli, prendiamo l’auto e affrontiamo il traffico caotico e selvaggio di Amman, dovendo riportare l’auto all’agenzia di noleggio per cambiarla con un’altra. Arriviamo dopo quasi un’ora di coda. Cambiamo auto e prendiamo una hyundai i20, auto già testata in Sudafrica, ma questa con cambio automatico. Partiamo e via verso il Mar Morto. La strada scorre via veloce: a parte i frequenti posti di blocco e le pattuglie della polizia in servizio sulla Dead Sea Highway, in un’ora giungiamo alla prima tappa del giorno. Il Wadi Mujib e’ un canyon lungo una ventina di chilometri, che parte dal centro della Giordania e va a terminare nel Mar Morto.

Parcheggiamo, paghiamo il ticket ed entriamo (31 jd per entrata e giubbetto). Il bigliettaio ci spiega che per tutto il corso del fiume staremo coi piedi a bagno e che molti tratti dovremo nuotare, per cui niente oggetti elettronici se non resistenti all’acqua o ermeticamente imbustati. A fronte di ciò lasciamo la macchina fotografica e il cellulare nell’auto e partiamo. Dopo pochi metri siamo già nel canyon, raggiungibile tramite una passerella metallica che scende nel letto del fiume, diciamo quasi in secca vista la stagione. Il canyon è un tripudio di colori, che cambiano in base alla luce del sole. L’acqua è cristallina e stranamente non è fredda, anzi, col caldo che fa, è un piacere bagnarsi e rinfrescarsi. Incontriamo poca gente nel wadi e velocemente superiamo i vari tratti impegnativi, ma non impossibili, con l’ausilio di corde fisse e scale. In una buona mezz’ora raggiungiamo la fine percorribile con l’escursione a piedi del Wadi Mujib. Una bella cascata che si getta in una pozza d’acqua lucente e trasparente. Torniamo indietro e sulla via del ritorno incontriamo più gente. Volendo immortalare questo posto incredibile, torniamo all’auto e prendiamo lo zaino, un sacchetto di plastica e il mitico iphone. Il tipo all’ingresso ci intima di fare solo una foto ed uscire, noi ripercorriamo tutto avanti ed indietro e se non fosse per la maggior affluenza di visitatori, impiegando circa la metà della prima volta. Dopodichè usciamo e salutiamo il bellissimo Wadi Mujib.

Percorriamo tutta la costa giordana del Mar Morto, in cerca di una spiaggia dove buttarsi nelle salatissime acque di questo lago, ma non troviamo una via che scenda. Cosi decidiamo di continuare e seguire per il sud della Giordania.

La strada comincia a salire: dai 200 metri sotto il livello del mare del Mar Morto, sinuosamente raggiungiamo i 1500 metri dell’interno, tra viste mozzafiato sul grande lago e la costa israeliana. Mosè aveva visto la terra promessa, da qua si vede una terra deserta che si estende fino all’orizzonte ed oltre.

Dopo un’altra oretta giungiamo ad Al Tafila, dove la strada diventa più larga e veloce e dopo poco ci porta sull’altra grande direttrice giordana, la Kings Highway, che taglia dritta la Giordania fino ai confini con l’Arabia Saudita.

Viaggiamo veloci e poco prima di Ma’an carichiamo un autostoppista. Cambio di guidatore: cedo il posto a Diego e mi siedo dietro, mentre il tizio lo facciamo sedere avanti.

I prossimi 30 chilometri saranno la conferma che Diego si è ambientato bene all’habitat giordano e il dio del guidatore arabo si è impossessato del suo spirito. Al che, guidando a 140 km/h, strombazzando e superando a destra e sinistra, uscendo fuori strada, riesce ad agitare il sottoscritto e soprattutto il malcapitato autostoppista che gesticola nervosamente, chiedendo spiegazioni: allah ma perche’ mi hai fatto salire su questa bara a quattro ruote guidata da un pazzoide e dal suo amico lobotomizzato dall’iphone..perchè? Ad un certo punto il tizio ci chiede di accostare, vicino ad un posto di blocco della polizia. Ci saluta e ci dà informazioni sulla strada da seguire per raggiungere il Wadi Rum e poi ci invita a seguirlo per un caffè. Dove: ma chiaro, dove lavora! Scopriamo con grande stupore che è un poliziotto e che si sta apprestando al servizio notturno presso il posto di controllo. Beviamo il caffè e oltre le informazioni di viaggio, ci consiglia di guidare con più prudenza e poi prendendomi da parte, mi chiede se Diego ha la patente e che comunque sarebbe meglio non farlo più guidare. Detto fatto riprendo il controllo del mezzo, salutiamo e ringraziamo e lentamente riprendiamo il cammino.

Il sole tramonta e quando giungiamo al posto di controllo del wadi rum è già buio pesto.

Ci avvicina un tizio: ci chiede cosa vogliamo fare e ci propone un po’ di alternative. Lo seguiamo verso il villaggio di Rum e alla fine optiamo per sistemazione a casa sua, cena e colazione. Poi, una volta a casa sua decidiamo il tour ed il relativo prezzo per il giorno seguente: 105 jd per pernotto due persone, 3 ore e mezza in jeep nel deserto, cena e colazione. Non male! Chiacchieriamo davanti ad un the, nell’attesa della cena e dopo una buona mezz’ora, arriva in tavola, anzi in terra, una padellona ripiena di riso, verdure e pollo. Si aprono le danze: rigorosamente solo con la mano destra, ci avventiamo sulla cena, come si usa tra i beduini. A parte il fatto che si usi la mano destra, perchè con la sinistra si fa altro, gestendo l’igiene delle parti intime, ciò darebbe una certa sicurezza, se non fosse che la mano destra non sempre viene lavata.

Finiamo la cena con un altro the e ci apprestiamo per la notte: tre materassini sistemati nel suolo, mitici sacchi a pelo, inseparabili compagni e protettori dalle malattie, espletiamo i bisogni fuori dal cortile in mezzo alla stradina e poi dritti a dormire. Il deserto domani ci attende!

23 settembre

Sveglia alle 6, dopo una lunga notte passata in sacco a pelo nel cortile di una casa di berberi. Cani che venivano ad annusarci, formiche e scarabei in transito sui nostri corpi. Comunque siamo sopravvissuti. La nostra guida ci porta subito nel wadi e ci abbandona per tornare a recuperare qualcosa a casa. Noi passeggiamo all’alba del primo mattino, immersi in un mare di deserto rosso che attende l’ascesa del sole da dietro le alte montagne. Il deserto è affascinante e con l’aumentare della luce, tutto sembra riprendere vita . Arriviamo vicino ad un canyon e la nostra guida ci recupera e ci porta ai piedi di un’alta duna rossastra. La scaliamo e dalla cima la vista spazia a 360 gradi su tutto il wadi. Torniamo alla jeep e dopo qualche minuto a tuono saltellando tra le dune, giungiamo ad un accampamento beduino. Beviamo qualche tazza di the, usciamo per visitare uno stretto canyon e poi torniamo alla jeep. Ripartiamo per andare a vedere due ponti di roccia, un roccione a forma di fungo e delle incisioni petroglifiche. Poi ancora qualche volata e derapata nel deserto prima di tornare alla casa.

Il beduino ci da la colazione: 4 pite, un barattolo di marmellata e una scatola di formaggini: li sbraniamo lungo la strada per Petra.

Senza tanti intoppi giungiamo alle 12 a Petra: facciamo il biglietto (regalato: 55 jd a testa!) valevole per due giorni ed entriamo in uno dei siti più visitati al mondo e considerati una delle sette meraviglie del mondo moderno. Dal giorno che vidi Indiana Jones e l’ultima crociata, mi sono messo in testa che ci sarei venuto ed ora, eccomi qua! Entriamo nel sito e subito veniamo assaliti da ogni tipo di venditore: cartoline, monete, portantini col calesse, cavallieri, camellieri, asinieri… ma imperterrito proseguiamo non curanti dei mantra “uan dinar” recitati da chiunque nel sito. Come due bambini attirati dalla sorpresa dell’uovo kinder, guadagnamo terreno e nel men che non si dica siamo all’uscita del siq (canyon) che conduce al tesoro, tomba resa famosa per il film di Indiana Jones. Sublime: nonostante i turisti nel mezzo, uscire dal canyon e trovarsi di fronte ad un capolavoro simile è qualcosa di indescrivibile e per un attimo ci sentiamo Indiana Jones. Foto di rito e inizio del tour. Il sito è gigantesco e per girarlo abbiamo calcolato 2 giornate. Decidiamo di affrontare il trail che passa dietro al teatro e arriva fino alla parte più a sud di Petra, passando per il punto del sacrificio. Da questo punto il percorso si fa stretto, scendiamo attraverso scale scavate nella roccia e passiamo in rassegna altre tombe, giungendo ad un bivio: ahi, ci siamo persi. Abbiamo seguito il corso di uno wadi e ci ritroviamo molto lontano dalla citta di Petra. Risaliamo una collina e ritroviamo la strada. Decidiamo poi di affrontare la salita al qasr ( vecchia fortezza crociata) e dalla cui vista si gode di tutto il panorama di Petra a 360, per poi ridiscendere e affrontare tutta la via del ritorno, passando per la città antica, il teatro e nuovamente al tesoro e quindi seguendo il siq per arrivare al parcheggio. 15 km il totale percorso in 6 ore di visita.

Torniamo all’auto e cerchiamo un ostello, consigliatoci da un italiano incontrato nel wadi rum. Il Valentine Inn si presenta come un ostello semplice, ricettacolo di acari e con un problema ahimè scoperto dopo aver pagato la camera (20jd): doccia calda solo la mattina…

Andiamo in centro a Wadi Musa per mangiare un boccone: solito kebab, neanche dei migliori (“who is the wood?” tradotto in italiano dall’inglese giordano: “come era il cibo?”). Poi andiamo in un caffe, compriamo dei dolcetti (4jd) e ci sediamo a bere due the (4jd). Abbiamo scritto turisti sulla fronte e ci inchiappettano a sangue.

Usciamo, andiamo in ostello e buona notte ai pasticceri giordani e a tutti i “beoble” (“gente”) che visitano Petra.

24 settembre

Sveglia alle 6.35, lavaggi rapidi e via a fare colazione comprando succo e biscotti al supermarket. Alle 7.30 siamo nuovamente dentro Petra. Questa volta, a parte il primo tratto uguale al giorno precedente, visitiamo le tombe reali, poi una lunga scarpinata fino al monastero, dove un beduino ci impedisce di arrampicarci fino in cima al tempio e infine andiamo alla ricerca del sentiero e del canyon che portano all’ingresso del siq passando attraverso il tunnel nabateo (percorso sconsigliato nel senso contrario dalle guide di Petra). Riusciamo a fare tutto e alle 12.30 siamo fuori dal sito archeologico. Conclusione: in due mezze giornate siamo riusciti a vedere tutto, ma bisogna camminare.

Partiamo alla ricerca di Little Petra, che la lonely planet osanna come una Petra in miniatura e che vale la pena di una deviazione. E noi deviamo: niente di speciale (mannaggia la lonely). Decidiamo quindi di muoverci verso nord, cercando di raggiungere e visitare i due castelli crociati: shobak e karak. Il primo riusciamo a vederlo: ingresso gratuito e posizione scenica, fanno consigliare una visita a questo castello; inoltre troviamo un lungo tunnel, che, per mezzo di ripide scale, giunge fuori sulla strada, circa 200 metri più in basso, una via di fuga per i castellari sotto assedio. Visitato e fotografato Shobak, voliamo verso Al Karak, altra fortezza crociata. Purtroppo la strada è molta e quando giungiamo a destinazione i cancelli sono chiusi. Troviamo il nostro albergo, il Tower Hotel, paghiamo 20 jd per una camera doppia vista pianura di Karak e poi usciamo a mangiare. Il cameriere parla solo arabo e non capisce nemmeno quello: ordiniamo due shawarma con patatine e non sbagliamo.

Ripartiamo per l’hotel e stanchi per la sfacchinata della giornata, crolliamo alle 23…

25 settembre

Sveglia alle 7.30. Usciamo e andiamo a cercare qualcosa per colazione: troviamo una pasticceria in centro e compriamo un assaggio di diversi dolcetti. Il padrone è molto gentile e ci fa provare un po’ tutto e alla fine ci chiede 2 dinari, che non abbiamo in tagli piccoli e quindi ci fa pure lo sconto. Poi andiamo a visitare il castello templare di Karak (…). Purtroppo non è come ce lo aspettavamo, più o meno sulla falsariga di Shobak, ma piu’ curato e sicuramente meno avventuroso. Appena entrati subito un tizio ci segue e si propone come guida: prendiamo una serie di vicoli e saliamo per seminarlo, a quel punto lo visitiamo da soli. Dopo una buona oretta di visita al castello usciamo e “voliamo” verso Amman dove dobbiamo riconsegnare l’auto. Il tizio mi chiama ogni mezz’ora e alla fine con un’ora e mezza di ritardo giungiamo nella capitale giordana e nell’ufficio, riconsegnando l’auto. Prendiamo un taxi (altra inchiappettata: 4 jd per 5 km) per la stazione degli autobus e lì riserviamo un posto sul primo bus per Aqaba (17 jd in due). Si liberano due posti e riusciamo a salire sul primo bus disponibile: dopo 4 ore di viaggio giungiamo nella “Sharm” giordana sul mar Rosso, o cosi vorrebbe essere. Invece appare subito una città sporca, le spiagge non sono un gran che e dopo aver trovato un ostello, aver fatto un giro a vedere le spiagge a sud, verso il confine con l’Arabia Saudita, decidiamo di passare solo una notte e di ripartire l’indomani per Eilat, la controparte israeliana. Mangiamo, facciamo un pò di shopping e poi dritti nel letto.

26 settembre

Dopo una notte caldissima ad Aqaba ripartiamo per Eilat. Prendiamo un taxi, pagato 4,90jd, dopo un’estenuante contrattazione e arriviamo al confine. Per uno sporco dinaro dobbiamo cambiare gli euro, con cambio tarocco: paghiamo le tasse di uscita (20jd) e ci incamminiamo verso Eilat. Arrivati in città con sommo stupore, scopriamo che è festa…cavolo, qua in Israele non lavora mai nessuno!

Così mestamente, zaini in spalla, ci spariamo altri 6 km per arrivare alle spiagge sud di Coral Beach, alla ricerca di un campeggio. Arriviamo dopo un’ora e mezza di camminata sotto il sole delle 14 e ci accampiamo (la tenda ce la recupera il tipo alla reception). Poi andiamo al diving center e affittiamo maschere, pinne e boccaglio e ci immergiamo nel mar Rosso. Uno spettacolo di pesci colorati e qualche corallo. Stiamo un’ora a nuotare con la fauna acquatica e quando il freddo comincia a farsi sentire, usciamo e torniamo al campeggio. Ci prepariamo e prendiamo un taxi per il centro: la serata si preannuncia interessante. Nel centro, vicino al mall, hanno montato un palco: ci beviamo qualche birra e ascoltiamo i due gruppi, uno di sbarbatelli e uno di matusa inglesi che fanno cover da discoteca. Poi appena arrivano due dj, Nimrod e Sparro, decidiamo che è giunta l’ora di alzare i tacchi. Altri 6 km a piedi e siamo al campeggio, sperando che da domani finiscano tutte le feste ebraiche!

27 settembre

Lasciamo il campeggio e andiamo a prendere un bus per Eliat e poi ad affittare un’auto. Troviamo una mazda 3 con la Eldan, per 788 nis. Partiamo, destinazione deserto del Negev. Prima tappa il Red Canyon poco fuori Eilat.

La strada per parecchi chilometri corre parallela al confine con l’Egitto. La presenza di militari e controlli è altissima. Sembra una zona di guerra.

Poi ci dirigiamo al Timna Park nell’omonima valle, visitando i canyon e i resti delle miniere di rame e i laboratori, utilizzati dagli Egizi. Ripartiamo per il nord, diretti a Mitspe Ramon nel cratere di Ramon, una formazione geologica di natura carsica. Causa shabbat facciamo fatica a trovare supermercati aperti: alla fine troviamo pernotto in un campo beduino, pieno di israeliani lì per il week end e la cena ce la preparano in un locale in centro a Mitspe, ma take away perchè stavano chiudendo: assurdo! Torniamo al bivacco e si va a nanna.

Ps: ho trovato una birra con un simbolo dell’aquila, ma non ho controllato la gradazione alcolica. In effetti era una birra free alcol: buona ma dopo un po’ nauseante.

28 settembre

Ripartiamo alla solita ora del mattino e la direzione è mar Morto. Arriviamo verso pranzo e senza esitare ci buttiamo subito a provare l’effetto del galleggiamento. Lo scenario è stupendo, l’acqua è pulitissima, ma è talmente salata che qualsiasi taglietto brucia per non parlare il contatto con gli occhi.

Foto di rito, doccia dolce desalinizzante e pranzo.

Ripartiamo per Masada, roccaforte degli israeliti sul mar morto, Ci attende una camminata di 45 minuti (ma noi ne impieghiamo 28) per giungere in cima al colle dove sorge Masada. Questa fortezza divenne nota per l’assedio dell’esercito romano durante la prima guerra giudaica e per la sua tragica conclusione. Alle 17 il sito chiude e dobbiamo scendere velocemente, sperando che nessuno chiuda il parcheggio dove abbiamo lasciato la nostra auto.

Ancora una volta, mentre il sole sta tramontando, ci dirigiamo verso Jericho e andiamo alla ricerca dell’ostello della prima volta. Lo troviamo e il tipo, sorpreso, ma felice di rivederci, per lo stesso prezzo dell’altra volta, ci riserva la suite, stanza con aria condizionata. Gli diamo un passaggio in centro e ci consiglia un ristorante dove mangiare bene ed economico. Spettacolare e con 110nis ci strafoghiamo. Poi dolcetto e via a dormire.

29 settembre

Jericho, la più antica città del mondo: iniziamo dal monastero greco-ortodosso della Tentazione. Riusciamo ad evitare una sfacchinata su per l’irta scalinata, arrivando fin quasi al cancello con l’auto. Poi terminiamo l’ultima parte a piedi e giunti all’ingresso bussiamo. Dentro stanno litigando: il custode palestinese con un monaco ortodosso. Comunque ci aprono e visitiamo il primo di questi splendidi monasteri arroccati su precipizi, come nidi d’aquila. Terminata la visita, lasciamo una mancia di 10 nis al palestinese, usciamo e lasciamo i due alla lite da noi interrotta. E via verso il secondo monastero Mar Musa: purtroppo la cartina non è molto chiara e arrivati nel bel mezzo del deserto della giudea, la strada si interrompe e si può proseguire solo in 4×4. Torniamo indietro e ci fermiamo a Nebi Musa, che secondo la tradizione contiene la tomba di Mosè e che, per questo motivo, è meta di pellegrinaggio fin dal XII secolo.

Ripartiamo e lottando sempre contro il tempo cerchiamo di visitare il monastero di san Giorgio, nella valle del Wadi Qelt, uno dei più antichi monasteri della Terra Santa. Fatichiamo un po’ a trovare la strada, ma alla fine è la strada che trova noi, tramite un crocchio di palestinesi che ci assale per venderci ogni cosa, soprattutto veli e keffie. Dribliamo e scendiamo nella gola per poi risalire nel monastero. Entriamo e ci accolgono due monaci, all’ombra dell’atrio. Ci offrono caffe, biscotti e caramelle. Visitiamo il monastero, che è in ristrutturazione e ampliamento e poi ritorniamo all’auto.

Quindi si riparte e ahimè ci tocca attraversare Gerusalemme per giungere a Betlemme e quindi il monastero di San Saba. Il traffico è intenso e ci mettiamo più di un’ora. Poi alla fine, passati i checkpoint e i muri di confine, riusciamo a trovare la strada per il monastero sperduto nel deserto. Arriviamo e veniamo subito accolti da un branco di mini palestinesi che vogliono dolcetti o money: parcheggiamo e un tipo ci abborda per farci fare il giro del monastero, ma abilmente lo aggiriamo e suoniamo al campanello del monastero. Ci apre un monaco e ci obbliga ad indossare i pantaloni lunghi. Entriamo ma purtroppo, per un problema di incomprensione linguistica, non abbiamo molte informazioni in più, visto che i monaci parlano solo greco o russo e noi solo inglese. Non ci resta che fare un rapido giro e uscire.

Ultima visita della giornata: chiesa della natività a Betlemme. Dopo aver sbagliato città, riusciamo a giungere a destinazione e parcheggiare proprio sotto la chiesa. Entriamo dalla porticina secondaria, costruita per impedire l’accesso ai mercanti e andiamo a visitare la grotta. Quindi usciamo e torniamo all’auto.

Deviazione ad Abu Diss a vedere il muro che divide la città. Sulla strada nel centro troviamo un tipo che cucina pizze su pietra. Ne prendiamo una (10 nis): buonissima!

Fotografiamo il muro di Abu Diss, pieno di scritte e graffiti e ripartiamo, ma dopo poco incontriamo un’altra pizzeria e ci prendiamo due pizze, sempre cotte su pietra (25nis).

Ora si punta a nord, lago di Tiberiade. Arriviamo che è già buio, anche se sono solo le 20.30 e troviamo posto in un ostello, in una camerata da sei, vuota, tutta per noi. Caffe, acqua e internet gratis.

29 settembre – Giornata senza destinazioni precise. Viaggiamo verso nord, per visitare la regione del Golan, territorio sottratto da Israele alla Siria e sotto contenzioso tra i due Stati. Facciamo tappa alle sorgenti del fiume Giordano, presso le cascate di Banyas, che non sono nulla di che. Sulla strada fotografiamo il castello di Nemrut e odiamo echi di spari.

Poi ripartiamo e percorriamo parecchi chilometri spalla a spalla col confine libanese fino a giungere a Ros Hanikra, ultimo avamposto israeliano prima del Libano. Riusciamo a vedere giusto le scogliere, ma non le grotte, che non sono nulla di eccezionale e quindi partiamo con l’idea di passare la notte ad Haifa. Ma ad Haifa riusciamo solo a vedere da fuori il mausoleo del Bab e i giardini, perché già chiuso. Ripartiamo così per Caesarea, ma sfiga vuole che proprio questa sera ci sia un concerto di una cantante israeliana che fa sold out: ci tocca telare e alla prima località vicina ci accampiamo in auto e dopo una frugale cena si va a dormire.

1 ottobre

Visita a Caesarea e alle rovine, col pezzo forte dell teatro sul mare. Ma visto il concerto del giorno prima, il teatro e’ ancora allestito col palco nel bel mezzo del proscenio, escludendo la vista del mare: peccato. Delusi ripartiamo e andiamo a Nazareth. Visitiamo la chiesa dell’Annunciazione e facciamo un giro del suq e poi ripartiamo per Tel Aviv. Ci sorbiamo il traffico della frenetica capitale e finalmente riusciamo ad arrivare al mare. Facciamo un giretto e troviamo una zona che ci era sfuggita la prima volta: il suq. Tra bancarelle di cibo e altre migliaia di cose, troviamo anche un grazioso gazebo che vende birra: 90 tipi di birre israeliane. E vai di birra! Ripartiamo carburati e andiamo a Jaffa, famosa per i pompelmi. Visitiamo la cittadina e il porto: sembra che tutti gli sposi si siano dati appuntamento qua. Pieno di future coppiette che fanno booking fotografici e spuntano come funghi in tutti gli angoli della città. Poi aspettiamo che il sole scenda dietro il mare e ci prepariamo per la sera. Troviamo un parcheggio a sud di Tel Aviv, con bagni, docce e accesso pubblico alle spiagge e decidiamo di fermarci li. Mangiamo un boccone veloce, usciamo a fare un giro per Tel Aviv e poi di nuovo a Giaffa per vivere la vita notturna: tanti tanti giovani. Spettacolo.

2 ottobre

Altra notte passata in macchina. Ci svegliamo e ci buttiamo subito in mare. Doccia, colazione e riportiamo la macchina all’ufficio della Eldan, con un ritardo di quasi 2 ore. Siamo appiedati, ma gentilmente alla Eldan ci tengono in consegna gli zainoni. Andiamo in spiaggia, bagno, doccia e andiamo a fare il biglietto del treno per l’aeroporto. Ci fermiamo nel suq: compriamo due paia di mutande con la bandiera di Israele e ci beviamo altre due birre israeliane dal chioschetto e poi ritorniamo a prendere gli zaini e finiamo la giornata in spiaggia ad aspettare il tramonto. Poi un giro zaino in spalla per locali, dove ci mettono tra gli appestati e a mezzanotte siamo sul treno diretti all’aeroporto di Ben Gurion.

3 ottobre

Notte semi insonne all’aeroporto di Ben Gurion. Aspettiamo l’aereo che ha un ritardo di un’ora: mille controlli e domande inutili e finalmente saliamo sull’aereo. Scalo ad Istanbul alle 13.00 e coincidenza alle 15.00 per Nizza. Sul primo volo ci danno della verdura da mangiare, mentre il secondo ci regala un buon pasto, entrambi comunque annaffiati da buona birra. Alle 17 siamo a Nizza e dopo due ore di autostrada siamo rincasati a Loano.

Conclusioni: bellissima esperienza, posti incredibili. Sicuramente con qualche giorno in più si sarebbero potute vedere alcune attrattive tralasciate in Giordania.

Per quanto riguarda il costo della vita, non ci sono grosse differenze tra i due Stati, fatta eccezione per le zone turistiche della Giordania, dove i prezzi levitano magicamente e dove il turista è considerato un pollo col portafoglio.

A livello di sicurezza, nonostante la situazione siriana ancora instabile, non abbiamo incontrato pericoli e, con l’accortezza e le precauzioni da buon viaggiatore, si possono visitare città e siti archeologici in tutta tranquillità.

Raccomandazioni: se state progettando un viaggio in Israele, controllate le date delle varie feste ebraiche, per non avere disagi.



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