In India attraverso le terre dei Maharaja
La meta è l’India e come spesso accade, le aspettative non corrispondono alla realtà ed è stato proprio cosi in questo caso.
Ci aspettavamo, ad esempio, una condizione igienica molto precaria ma non è una corretta definizione, ci siamo resi conto che la struttura mentale occidentale, partendo dalle cose più elementari e semplici va continuamente in conflitto con la realtà che ti circonda. E allora per affrontare questo Paese abbandonate il pensiero occidentale e sforzatevi di comprendere quello orientale, altrimenti il vostro viaggio diventerà “un inferno dantesco”. Se invece riuscirete, a piccole dosi, a intendere almeno un po’ questo luogo, l’India sarà pronta a svelarsi e a catturarvi.
Come al solito l’organizzazione parte dai forum di viaggio dove costruiamo il nostro percorso in base alle esperienze anche di altri viaggiatori. Abbiamo a disposizione circa 25 gg., scartiamo subito l’idea di utilizzare i mezzi pubblici in quanto non sono il massimo dell’efficienza e si rischierebbe di dover saltare alcune mete; prendere un’auto a noleggio è impensabile quindi contattiamo diverse agenzie italo-indiane e indiane. Ci viene proposto sempre un itinerario pressoché identico e sinceramente dopo aver scartato subito chi ci ha sparato prezzi troppo alti erano rimaste 3 agenzie, quelle tra l’altro piu’ blasonate in internet. Dopo uno scambio di email non siamo convinti, i tour proposti sono troppo turistici e standard ed è cosi che continuiamo la nostra ricerca in internet e cominciamo a valutare la possibilità di trovare un autista freelance. Dopo un po’ di valutazioni generali, tra le quali, quella importantissima di non essere in continuazione trascinati dentro ai negozi per far shopping infatti, i vari autisti (molti anche quelli delle agenzie) spesso hanno la commissione e quindi ci sono diverse lamentele su questa fastidiosa pratica in uso in India, la nostra scelta è RAVI. La scelta dell’autista è fondamentale e decisiva per la buona riuscita del viaggio.
Per necessità del nostro lavoro dobbiamo collegarci a internet almeno una volta al giorno e quindi dobbiamo individuare un buon piano tariffario per la connessione dati da smartphone (la connessione wi-fi che troverete negli alberghi spesso è limitata solo alla reception e se è estesa alle camere si paga generalmente un supplemento di 200R c.a.)
La nostra scelta è ricaduta su AIRTEL che può essere comprata sia in rete sia direttamente in India con spese irrisorie ma la burocrazia è infinita. Noi abbiamo preso un piano da 2GB da consumarsi in 4 settimane per 399R (1 rupia 83,50 euro). Per comprare la scheda in India occorre copia del passaporto e del visto, in più chiedono la referenza dell’hotel con copia della fattura di pagamento. Abbiamo anche avuto un problema di configurazione che nessun negoziante è riuscito a capire poi abbiamo incontrato un ragazzo sveglio che per 50R ha risolto in pochi minuti; risultato dopo 72 ore navigavamo ovunque e velocemente. Esiste anche un’altra compagnia che gli indiani dicono essere buona Ideacellular.
Arriviamo all’aeroporto di Delhi cambiamo, una cifra modesta 500€, consci di avere un cambio sfavorevole 83R/1€ ma necessario per affrontare i primi giorni, ci mettiamo poi alla ricerca del desk di Airtel perché avevamo letto che fuori non avremmo avuto la possibilità di comprare la scheda, ma per cercarla usciamo dall’aeroporto e quando proviamo a rientrare scopriamo che non è più possibile, se non sei in possesso di un biglietto di partenza i militari “in stato antisommossa” ti mandano via sgarbatamente.
Un consiglio tenete in considerazione le tempistiche. Perderete molto tempo per i mille controlli a cui i militari vi sottoporranno, praticamente sono ossessionati e burocrati. Senza la scheda Airtel quindi cerchiamo l’autista incaricato da Ravi che ci porterà in albergo. Depositati i bagagli e rinfrescati partiamo alla scoperta di Delhi il primo impatto è subito forte. Clacson che suonano all’impazzata senza apparente motivazione, mucche e cani randagi ovunque, odori molto forti mettono a dura prova il nostro olfatto per fortuna però il clima è buono, come un nostro giugno inoltrato. Raggiungiamo la stazione della metro facendoci largo tra i vari “procacciatori d’affari” che in continuazione ci fermano per accompagnarci, per segnalarci il ristorante, per cambiarci i soldi ecc ecc.
Attraversiamo una zona che ci appare un pò degradata anche se le carrozze della metro sono di ultima generazione.
Alla biglietteria se usi l’educazione sarai travolto e anche quando conquisti la posizione cercheranno continuamente di prevaricarti con spintoni e gomitate (le anziane sono i peggiori elementi!) tanto che diventa difficile anche parlare con il bigliettaio al quale devi comunicare l’esatta stazione che vuoi raggiungere perché, il gettone che ti danno ti permette di entrare ai binari e praticamente andare dove vuoi, salvo che poi quando cerchi di uscire se la fermata non era quella per cui hai pagato non ti viene permesso se non paghi una penale. Conquistato il biglietto ci tuffiamo sul primo convoglio e partiamo per il Red Fort ci sentiamo un tantino osservati e guardandoci intorno notiamo che la carrozza è affollata da donne con sari di mille colori. E’ un ottimo set per scattare delle belle foto ma alcune di loro sono divertite -le più giovani- alcune disturbate -le più anziane- e ci rendiamo conto che io (Leonardo) sono l’unico uomo presente! Ebbene si la metro è divisa in carrozze di cui alcune dedicate, sole alle donne, altre ai soli uomini e alcune miste.
Arrivati a destinazione usciamo dalla stazione della metro e ci troviamo catapultati in mezzo alla degenerazione umana; la vecchia Delhi ci accoglie con il suo più vero volto.
Il confronto viene spontaneo con Hanoi che a questo punto ci sembra Svizzera!
Siamo nel caos più assoluto, tanto che non riusciamo neanche a orientarci e finiamo così per andare per due km dalla parte opposta rispetto al Red Fort grazie anche alla pronta disinformazione dei “procacciatori d’affari”. Red Fort ingresso 500R a poca distanza visitiamo anche la moschea di Jama Masjid dove paghiamo 100r per il “sari” che deve indossare Maura (mia moglie) e 300R per la telecamera. Jama Masjid è la moschea più grande dell’India.
La mattina seguente di buon’ora passa a prenderci il nostro autista Ravi, che già alla sera era passato in albergo per la presentazione “ufficiale” e inizia ufficialmente il viaggio nel Rajasthan, la terra dei Maraja. La destinazione è Mandawa, 270 km, famosa per le sue Haveli, case private affrescate fra il XIX e l’inizio del XX secolo, spesso proprietà di ricchi commercianti. Alcune sono ancora abitate, alcune sono state in parte trasformate in musei altre sono state riconvertite in alberghi carichi di fascino molte però sono ancora fatiscenti.
Impieghiamo buona parte del giorno in auto e all’arrivo scegliamo di passare la notte proprio in una Haveli, dopo esserci rinfrescati incontriamo una guida locale, di soli 15 anni che parla 5 lingue e che ci scorta per il paese alla scoperta degli angoli più suggestivi, alla fine del tour gli diamo 150R. Rientrati nella nostra Mandawa Haveli (3500R senza colazione) ci concediamo un pò di tempo godercela e resterà uno dei luoghi più’ carini del nostro viaggio in India. Ceniamo interamente vegetariano all’ottimo BUNGLI per 1008R questa cena è il primo incontro col cibo indiano dove gli aromi inebrianti incontrano piacevolmente il nostro palato, passiamo così una bella seratina.
L’aria impregnata di note musicali, provenienti da una festa indù che è iniziata al calar del sole e che con il passare del tempo si intensifica contribuisce a rendere magica questa cittadina e ci accompagna nella nostra notte da Maharaja.
Al mattino ripartiamo per la prossima tappa l’autista non è di buon umore “forse non ha digerito” ed è un poco scontroso. Fatehpur, Deshnok, Bikaner, 247 km. Nel programma abbiamo messo la visita del tempio Karni Temple, quello dove scorazzano i topi, anche sapendo che poteva essere al quanto “impegnativo” ma non lo potevamo perdere. In effetti l’impatto per un occidentale non è facile, i topi però sono presi a mangiare l’abbondante cibo portato in offerta dai fedeli che neanche si accorgono della tua presenza, noi intenti a scattare foto di volti e di topi non diamo neanche tanto peso a questi piccoli animali. Alla fine la prova è superata alla grande e quasi ci dispiace andar via…. Nel pomeriggio arriviamo
A Bikaner, per la visita del centro storico utilizziamo il tuc tuc in quanto le strade sono talmente strette che non permettono l’accesso ad altri mezzi, oltre alle belle haveli siamo rapiti dai tanti volti e dalla vita quotidiana completamente diversa dai nostri usi e costumi e quindi partono scatti fotografici a iosa. Finiamo la giornata sulla sommità di un tempio indu’ mentre il sole tramonta tra profumi d’incensi e suoni che riempiono l’aria cominciamo a cogliere l’anima dell’India. La notte da Maharaja di Mandawa ci ha indotto a scegliere anche per questa notte
Un’antica haveli BHAIRON VILAS (2500R) decidiamo di cenare sulla terrazza di un ristorante con vista sulla città, è un po’ turistico ma si mangia bene (1200R).
La prossima tappa ci porta nell’estremo nord-ovest vicino al confine con il Pakistan, a Jaisalmer dove ci fermeremo 2 giorni; il tragitto comprende la visita di Kheechan Ramdeora, 338 km, nel tragitto incontriamo colonne infinite di mezzi militari, camion, carri armati sembrano stiano trasferendo interi contingenti. La tappa è lunga, in particolar modo per le condizioni delle strade indiane, pertanto interrompiamo il viaggio per visitare il villaggio di Kheechan un santuario naturale per l’uccello Kurjan, non originario dell’ India ma che migra in India per sfuggire al freddo invernale di Polonia, Ucraina e Kazakistan. La colonia nei periodi di maggior afflusso arriva ad accogliere fino a 6000 individui dal peso di 4/6 kg ognuno. Come spesso accade veniamo presi d’assalto dagli abitanti del villaggio perché vogliono farsi fotografare con noi in particolar modo con Maura perché ci spiega Ravi è alta, bionda, con occhi azzurri e pelle chiara. Non solo, visto che occorre il cannocchiale, quando lo prendo dallo zaino si innesca una corsa e tutti si mettono in fila perché vogliono provarlo. Risultato i Kurjan non sono più il motivo principale della visita.
La tappa successiva è Ramdeora per la visita del tempio, non è niente di eccezionale, l’interesse vero sono i devoti che in gran numero affollano questi luoghi. La nostra attenzione è attratta dai vari riti e dai bellissimi sari dai colori accesi e perfettamente in tono con i monili. Tutto intorno al tempio c’è una fiera con tante bancherelle piene di mercanzie dalle spezie, alle stoffe, alle ceramiche, che si trasformano inesorabilmente in momenti da catturare in un’istantanea.
In prossimità di Jaisalmer, consigliati dal nostro autista Rav,i decidiamo di visitare Khuri famosa per le sue dune di sabbia e passare una notte nel deserto del Thar abbiamo deciso Khuri perché meno turistica ris petto a altri posti ma all’arrivo ci siamo resi conto che le cose stanno velocemente mutando. Gli abitanti sono stati veloci a sfruttare la crescente popolarità del villaggio e molte strutture ricettive fiancheggiano la strada, molte ancora in costruzione, si deduce facilmente che nei prossimi anni anche qui ci saranno orde turistiche. Il nostro autista ci propone di fermarci all’estremità del villaggio dove alloggiamo in un accampamento a forma di baglio, che ha 4 bungalow fatti di fango e paglia. Al prezzo di 3500R abbiamo la possibilità di passare la notte nel deserto, con l’appoggio di una camera, una jeep che fa da assistenza, in oltre compreso nel prezzo c’è la possibilità di andare a vedere il tramonto in groppa a due cammelli e la cena con spettacolo musicale. Facciamo la cammellata, piuttosto suggestiva, mentre per la notte nel deserto che, in un primo momento ci intrigava, il freddo e l’umido hanno posto subito uno stop. La cena si consuma al centro del baglio alla luce di un falò con musiche e balli della tradizione locale. La notte anche all’interno della capanna sarà fredda e ci racconterà storie di gente indiana. Scopriamo che gli indigeni tirano tardi parlando intorno al fuoco, che la notte ai margini del deserto è tutt’altro che silenziosa, tra continui guaiti di cani, campanacci di mucche e capre e latrati di asini. Non è ancora sorto il sole che attaccano canti indu’ che riattivano la popolazione da poco assopitasi, canti che proseguiranno fino al tramonto con ritmo crescente (questi canti ci hanno fatto da sottofondo per tutto il viaggio). Sicuramente una bella esperienza.
Jaisalmer, luogo scelto per primo nella costruzione del viaggio ci attirava per la sua posizione estrema al confine con il Pakistan, per questo ci aspettavamo potesse avere influenze multietniche e per questo interessanti. Forse per questo ci siamo lasciati suggestionare ma di fatto questo luogo è quello che più ci è rimasto nel cuore. La città forse proprio per l’influenza araba è meno sporca delle altre viste fin qui, piu’ dignitosa e commercialmente ricca di ristorantini e negozi. L’attrazione di questo luogo è indiscutibilmente il grande castello di sabbia, purtroppo molto sensibile all’acqua. Nei tempi passati disponendo solo di pozzi l’acqua che vi affluiva non costituiva una minaccia, ma la modernità ha portato nelle case l’acqua corrente ed è nato un imminente problema, le fogne a cielo aperto (che si trovano in tutta l’India) minavano nelle fondamenta la struttura; hanno provveduto incanalando le acque come in ogni paese civile risolvendo due problemi: la caduta del castello e l’eliminazione del cattivo odore che purtroppo in altre zone dell’India ti “uccide”. Per il pernottamento abbiamo scelto una struttura recente ma costruita e arredata come una vecchia haveli, personale molto gentile che ci ha supportato con una lettera di referenza per l’acquisto della fatidica sim Airtel. Gorakh Haveli facendo un confronto qualità/prezzo (2500R) con i vari alloggi del viaggio si rivelerà una delle migliori sistemazioni.
Come tutte le mattine, appena saliti in auto, il nostro autista recita la preghiera al Dio Hanuman prima di partire per la prossima tappa che ci porterà a Jodhpur, la città blu. Anche questa tappa è lunga, 307 km, e per interrompere il trasferimento ci fermiamo a Osyan una cittadina per la quale avevamo trovato nella costruzione del viaggio molti buoni consigli ma noi in questa località non abbiamo trovato niente di piacevole, al contrario l’abbiamo trovata molto polverosa e sicuramente tra le piu’ sporche. Tantissimi maiali che razzolavano ovunque, è praticamente una specie di città discarica dove la spazzatura la fa da padrona. Proseguiamo il percorso fino a Jodhpur visitiamo il bel forte che si trova sulla collina da dove si ha una magnifica veduta sulla città blu. La particolare tinteggiatura delle case è stata scelta per contrastare gli insetti e per assicurarsi il fresco nelle caldi estati. Il forte ha delle mura maestose in ottimo stato, il costo di ingresso è di 500R compreso l’audioguida in italiano, alla consegna prendono un passaporto che viene restituito alla fine del percorso quando la si riconsegna. Il forte è molto bello ma se si vuole fotografare la città blu è preferibile visitarlo la mattina in quanto al pomeriggio il sole non è favorevole. Per il pernottamento l’haveli dove Ravi pensa di portarci sembra molto accogliente ma non c’è posto pertanto ci siamo sistemati alla PAL haveli, costo della camera con colazione 3500R, la struttura è molto curata ma ha due nei, il primo, il servizio colazione sconclusionato, il secondo, al check-out abbiamo dovuto battagliare non poco in quanto con il receptionista del check-in avevamo pattuito 3500R quello del check-out ne voleva 4200R. Nel corso del viaggio ci sono stati altri episodi simili, pertanto abbiamo ovviato con pagamento immediato e rilascio ricevuta.
La prossima tappa ci porta a Ranakpur dove pensavamo di fermarci anche per la notte, la distanza questa volta è breve 163 km, Ravi però ci consiglia di proseguire e pernottare a Kumbhalgarh dove a suo dire potremmo godere di uno spettacolo notturno all’interno del Kumbhalgarh Fort in lingua indi, con effetti di luci e sonori molto scenografici, mentre a Ranakpur visto il tempio gianista non ci sarebbe piu’ niente che merita la permanenza, km totali 195 km. La giornata è molto proficua Ravi ci ha organizzato delle visite intermedie che ci portano a conoscere più approfonditamente la vita quotidiana di una famiglia indiana che vive di agricoltura. La vita è molto dura ancora macinano il miglio a mano con un macinino a dischi di pietra, la cucina non è altro che un focolare nel quale cuociono il miglio impastato con acqua e poi lo stendono a forma di focaccia, tra l’altro molto buono, la dispensa è una cesta di vimini che copre gli alimenti ed è direttamente appoggiata sul pavimento. Apprendiamo come viene utilizzato l’oppio a scopi terapeutici. Praticamente allo stato solido viene aggiunta acqua che umidificando l’oppio si forma una poltiglia che sembra miele di castagne, si prende con un cucchiaino e poi ci si beve dietro l’acqua, il sapore è molto amaro. Al contrario di quello che pensavo dicono che non lo fumano ma lo assumono cosi. Il percorso prosegue tutto per strade agresti e chiediamo continuamente a Ravi di fermarsi per scattare foto. Arriviamo al Chaumukha temple nel primo pomeriggio. Il complesso del tempio è posizionato in una valle isolata, interamente costruito in marmo bianco ha una superficie di 48000 metri quadrati ed è sostenuto da 1400 pilastri finemente scolpiti. Il complesso ospita diversi templi minori, il temple Parsavanath, il temple Amba Mata e il temple Surya, ma il più importante e maestoso è il Chaumukha Temple dedicato al Signore Adinath. Il tempio è un capolavoro di architettura, ha 24 sale con 80 cupole un susseguirsi di figure geometriche. Per entrare sono molto fiscali non è consentito portare sistemi di ripresa per le quali non sia stato pagato un’importo fisso ma “venduto” come offerta. Non sono ammesse borse e cinture di pelle ci sono due guardie una donna e un uomo che conducono una minuziosa perquisizione. La giornata prosegue verso Kumbhalgarh, nel tragitto Ravi che crede nella divinità Hanuman (il dio scimmia) offre da mangiare alle molte scimmie che vivono sugli alberi lungo le pareti scoscese della strada, offrendo a noi la possibilità di fare delle simpatiche fotografie. A Kumbhalgarh dormiamo in una struttura nuova, in stile moderno. Ci accorgiamo che la camera è umida ma ormai è tardi e visto le poche opportunità “siamo costretti” anche a mangiare in hotel. Complessivamente la sistemazione è triste e mal gestita, peccato perché la posizione è bella. Comunque, per fortuna, lo spettacolo a cui abbiamo assistito al Kumbhalgarh Fort è stato molto suggestivo compresa, la veduta notturna delle imponenti mura illuminate con luci multicolore. Si può immaginare la magnificenza di questo forte da una gigantografia esposta all’aeroporto internazionale di Delhi. Lo spettacolo è ben studiato, si arriva fino all’anfiteatro dove si svolge l’evento, nel buio di una stradina delineata solo da led. Quando inizia lo spettacolo partono delle musiche diffuse da un ottimo impianto sonoro e vengono proiettate ombre sulle mura, inizia un racconto in indi ed è tutto un gioco di luci, ombre, suoni, rumori di cavalli, elefanti e spadaccini, alla fine dopo un attimo di silenzio assoluto, si illumina tutto il castello che sorge su una scenica rupe. La mattina successiva torniamo al forte per la consueta visita che è meta turistica per lo piu’ degli indiani stessi. Ci inerpichiamo fino alla sua sommità accompagnati da un piacevole silenzio interrotto solo dal rumore del vento. Il fascino del forte, come spesso accade, è dato dall’imponenza mentre l’interno non è all’altezza.
Uscendo da Kumbhalgarh notiamo che ci sono molte grandi strutture ricettive in costruzione per ospitare gruppi turistici quindi nei prossimi anni il silenzio del forte andrà perduto…. Il nostro viaggio prosegue per Udaipur, 100 km. Udaipur ha come maggiore attrazione il Jag Mandir Palace costruito su un’isola del lago Pichola, chiamato anche Lake Garden Palace e fatto costruire da tre Maharana Rajputs, oggi hotel di lusso. Erroneamente pensavamo che il palazzo si trovasse in mezzo a un lago in un contesto naturale e piu’ scenografico invece il lago dalla nostra prospettiva è uno stagno in mezzo alla città e il palazzo è circondato dalla cementificazione di tanti alberghi e ristoranti. L’eldorado del turismo ha reso questi luoghi un pò meno sporchi e trascurati per “adattarsi” ad un turismo di massa, andando però un po’ persa la vera anima indiana, riscontrata invece in siti di minor interesse. Qui ci fermeremo due giorni, come albergo scegliamo la guest house Hill Lake in ottima posizione per muoversi a piedi. Ubicata nel quartiere mussulmano pulito e confortevole così come la gestione. Spendiamo 4000R per due notti, il wifi costa 300R una tantum ed è uno dei pochi che copre anche le camere, noi però non né abbiamo usufruito. Avendo tempo e scarsità di denaro in contante abbiamo cambiato 800€ a 85,5R/1€ che ci sono bastati e avanzati fino alla fine del viaggio. Per la cena ci concediamo un ristorante di charme, l’Ambrai, Ravi ci prenota un tavolo vicino al lago dove con luci e candele il giardino emana magia. Cibo ottimo e buon prezzo considerato lo standard,1600R.Un piccolo consiglio essendoci poca luce una torcia è utile per leggere meglio il menu. La mattina del giorno successivo la dedichiamo alla visita del City Palace, lo potremmo descrivere con mille superlativi ma basta dire che è un luogo regale e maestoso strapieno di turisti con file continue.
Il pomeriggio lo passiamo per vicoli alla scoperta della città, il vicolo dei gioiellieri il vicolo delle stoffe sono quelli che piu’ ci hanno attirato. I negozi sono fondi aperti dove il pavimento è ricoperto di materassi per permettere al compratore di stare a proprio agio sorseggiando un tè in quanto le contrattazioni sono molto lunghe e complesse. Tra un vicolo e l’altro troviamo uno stanzone vuoto con l’insegna di Airtel e infondo seduti a un tavolino di legno polveroso sbucano due ragazzini che armeggiano a degli smartphone, li hanno completamente smontati e lavorano con un saldatore al processore, visto che sono tre giorni che lottiamo con la configurazione della rete 3G, senza successo, gli chiediamo se sono in grado di risolvere il problema, sorridono chiedono 50R e con due “spippolamenti” settano il telefono, si connette alla rete in un baleno e naviga in internet, velocissimo. Pensare che il giorno prima al centro ufficiale Airtel in un’ora tre impiegati non ci avevano capito niente, liquidandoci con la risposta che era un problema del telefono europeo non adatto a lavorare in India! Finiamo la giornata su uno dei ù Ghat a goderci il tramonto, ceniamo al Jansmin per 500R, localino simpatico sul lago, personale gioviale, cibo ottimo.
Ci aspetta Bundi, 267 km, passando però prima da Chittorgarh per visitare il Chittorgarh Fort non molto famoso per il turista occidentale, la maggioranza di turisti sono indiani molte scolaresche. Chittorgarh è abitata dai veri Rajput famosi per il patriottismo e il rispetto di sé, gente che ha scelto sempre la morte prima di arrendersi contro chiunque. Il Chittorgarh Fort si trova sulla cima di una collina all’altezza di 180 metri; è la più grande fortezza dell’India è talmente vasta che per sportarsi da un punto di interesse all’altro ci vuole la macchina e occorre dalle 3 alle 4 ore, a piedi ci vorrebbe tutto il giorno. I punti di maggiore interesse sono le torri, ne sono rimaste due ma sono veramente belle tutte finemente intarsiate. Una è la Vijay Stambha è la piu’ alta, 37 metri, ha 9 piani ed è tra le piu belle dell’intera India. Si può salire fino sulla sommità, si accede scalzi, 157 gradini ripidi e stretti, i soffitti sono bassi non ci sono balaustre, è buio quindi meglio portarsi una torcia. Sono piene di persone che salgono e che scendono, l’ultimo piano è una stanza con tante finestre da dove si vede il forte in tutta la sua vastità. La seconda torre è Kirti Stambha alta 22 metri e ha sette piani. Il forte era sempre sotto la minaccia di assedio, per questo vantava 84 pozzi idrici, oggi ne sono rimasti 22, alimentati alcuni in maniera naturale altri alimentati dalle pioggie. Questi pozzi potevano soddisfare le esigenze idriche di un esercito di 50.000 persone per quattro anni. Alcuni erano a forma di veri e propri pozzi altri di vasche con scalinate. Ed è proprio alla Gaumukh Reservoir la vasca piu grande di tutto il forte, lì con un po’ di discrezione, si riesce a scattare foto bellissime alle donne che si immergono per le abluzioni. Si accede alla vasca percorrendo delle ripide scalinate ma da quel lato non è facile essere discreti in quanto completamente immersi nella folla, mentre è possibile scendere da lato mura. Percorrendone una parte si arriva in un punto poco frequentato da dove con un buon zoom si fanno foto interessanti. Arriviamo a Bundi che è già buio, dopo alcune peripezie ci sistemiamo in una haveli nella quale in un primo momento ci avevano detto essere al completo, doppia 2000R, poi però ci rincorrono per strada e ci danno la camera… Facciamo una prima perlustrazione della cittadina e subito ci ritroviamo nel caos più assurdo, la strada principale non permette a due macchine di scambiarsi ma nonostante questo un ingorgo blocca la via, il caos è tale che neanche a piedi si riesce a passare, saltiamo da un cortile all’altro, tra cumuli di macerie e sterco di mucche ma poi ci dobbiamo arrendere. Passiamo quaranta minuti a cercare una via di uscita tra i gas di scarico e clacson che suonano ininterrottamente. E’ incredibile! Per la cena, come sempre, preferiamo non mangiare in hotel, ci dirigiamo verso l’uscita del paese e scegliamo una “trattoria casereccia” la Lake view paying Guest House gestita da una coppia gentile, ottime pietanze in riva al Naval Sagar, 550R. La notte è un pò rumorosa in quanto Bundi fa da cassa di risonanza alla strada principale che passa sul lato opposto del lago che in effetti è una camionabile piena di buche, ci addormentiamo tra sferragliamenti e musica a palla degli impianti hi-fi dei camion che ininterrottamente passeranno per tutta la notte. Le luci della mattina seguente ridanno un pò di dignità a questo luogo, ci avviamo per la irta strada lastricata per visitare il Bundi Palace, come sempre il bello deriva dall’imponenza e dalla posizione arroccata, in questo caso su una roccia che domina i territori sottostanti. La fortezza è molto deteriorata,ma ancora in grado di trasmettere i fasti di un passato glorioso, dalla sommità la cittadina appare più ingentilita dalla veduta del lago e delle case azzurre. Dopo la visita riproviamo a visitare il centro e questa volta con un po’ meno traffico” folle” della sera precedente. A questo punto possiamo domandarci cosa “si siano fumati” quelli della Lonely Planet quando descrivevano questo luogo in modo così idilliaco :…”affascinante cittadina…sebbene sia meta di molti viaggiatori, non richiama masse di turisti paragonabili a Jaipur o UUdaipur, né le sue strade sono intasate da rumorosi e inquinanti veicoli a motore o fiumane di gente. Pochi altri posti del Rajasthan conservano in uguale misura l’atmosfera magica del passato”. Mah!
Alle 11 il viaggio riprende per Pushkar, 200 km, arriviamo alle 15:00 con “una certa ansia” in quanto in fase di stesura del programma avevamo previsto di arrivare qui con un giorno di anticipo coincidente con l’ultimo giorno della festa annuale dei cammelli descritta come imperdibile, ma Ravi ci ha convinto ad arrivarci tranquillamente anche con un giorno di ritardo in quanto a suo dire in India le feste non finiscono mai il giorno previsto ma continuano anche per altri 4/5 giorni perché buona parte della gente arriva a piedi pertanto ripartono con calma. Infatti all’arrivo troviamo una cittadina ancora in festa con tantissima gente, accampata lungo le strade. Si nota rispetto ad altri luoghi visti fin qui visti una certa occidentalizzazione, c’è un servizio di raccolta rifiuti, le strade sono asfaltate, ci sono locali fashion e occidentali, fricchettoni che girano scalzi. Questa piccola Varanasi, come viene descritta dalla guida, si disloca tutto intorno a un lago con molti ghat dove gli induisti vanno a fare le abluzioni. Visitiamo la tipica fiera con bancarelle e giostre, a tarda sera, quando decidiamo di rientrare in hotel ci perdiamo e vaghiamo per la campagna per un bel po’ prima di ritrovare la strada. Alla fine vediamo una signora che sta chiudendo il cancello di casa, le mostriamo la chiave dell’hotel e con cenno di aspettare chiama il marito che era già a letto, il signore mezzo assonnato disponibilissimo esce in strada e ci spiega come tornare all’albergo, essendo in aperta campagna eravamo un po’ timorosi d’imbatterci in qualche famelico gruppo di cani randagi, come letto nel bellissimo libro Shantaram. Per il pernottamento avevamo scelto il Pushkar lake Palace, 2000R, una buona soluzione per trascorrerci una notte.
Proseguiamo per Jaipur, 160 km, dove abita Ravi. Viviamo una delle piu’ belle esperienze di questo viaggio che non sono la visita ai sicuramente belli e maestosi palazzi che raccontano la vita e i fasti dei Maharaja, ma la visita, al meno conosciuto, tempio di Galta, 8 km a est da Jaipur al santuario di Hanuman, il dio scimmia. Qui grazie a Ravi, frequentatore e devoto di Hanuman abbiamo incontrato il cosiddetto uomo delle scimmie, un soggetto molto particolare che sembra comunicare perfettamente con loro, è stato soggetto anche di un documentario del National Geographic Channel. La sorpresa è venuta dal nostro essere prevenuti nei confronti di questi animali perché avevamo dei preconcetti che ci limitavano l’approccio. Preconcetti presto decaduti grazie alla sicurezza trasmessaci “dall’uomo delle scimmie” fino ad avere un’interazione con loro; siamo rimasti colpiti “dall’umanità” di questi animali sempre gentili e delicati nel prendere il cibo da noi offerto, a volte provavamo ad ostacolare loro la presa, ma le scimmie guardandoci, con molta delicatezza ci aprivano il palmo della mano per prendere la nocciolina o la banana spostando ad una ad una le nostre dita… Il tempio è situato all’interno di una gola intorno ad un torrente incanalato tra giochi di acqua e vasche dove i credenti fanno le abluzioni e nel suo complesso è molto suggestivo. A Jaipur abbiamo visitato tutte le attrazioni di maggior interesse delle quali non ci dilungheremo a descrivere le bellezze, l’unico appunto che possiamo fare è al Palazzo del vento, che dalle riprese fotografie, a nostro parere, non si capisce che in effetti si trova su una via con traffico congestionato. Per fotografarlo devi fermarti su un piccolo marciapiede affollato da turisti che salgono e scendono dai pullman Gran Turismo quindi riuscire a fotografarlo per bene è un po’ una lotta. Non lo abbiamo visitato all’interno poiché avevamo letto e Ravi ci ha confermato che non ha niente d’interessante. A Jaipur ci siamo fermati due notti e abbiamo dormito al Maya Niwas, per totali 4000R; la prima sera abbiamo cenato in un ottimo e rinomato ristorante proprio di fronte all’hotel per 600R; la seconda cena ci è stata offerta a casa di Ravi che ci è venuto a prendere in albergo orgogliosamente con la sua vecchia jeep rimessa a nuovo da solo. Conosciamo così la sua famiglia, la moglie, la madre che dopo un saluto veloce si congeda e la simpatica bambina. Prima della cena c’è una sorpresa per noi: ci vendono regalati, a ciascuno, abiti indiani che non possiamo non indossare. In perfetta mise indiana, dopo le foto di rito, la cena si svolge mostrandoci tante cose di cui Ravi va orgoglioso, fotografie, diari scritti da lui, regali ricevuti da alcuni turisti e poi ci porta fuori a vedere l’acquario con i suoi pesci ed è proprio lì che sentiamo una musica allegra…la moglie apre il cancelletto di casa…Maura mette la testa fuori ed è letteralmente presa d’assalto dagli abitanti del quartiere che erano tutti lì intorno perché stava passando un corteo matrimoniale ma l’attenzione si sposta su di lei e diventa immediatamente l’attrazione della serata ed inizia così un continuo scatto di foto tra risate e presentazioni!
Lasciata Jaipur raggiungiamo il Ranthambore National Park, 145 km, uno dei parchi nazionali più grandi e rinomati nel nord dell’India. Il parco si trova nel distretto di Sawai Madhopur del sud-est Rajasthan, ex riserva di caccia del Maharaja di Jaipur, oggi è uno dei luoghi con il più alto numero di esemplari di tigre del bengala. Gran parte del tragitto si snoda su strade sterrate, il paesaggio rurale offre molte opportunità di cogliere fermi immagine della vita quotidiana, come già notato in altre occasioni, la campagna rispetto ai centri abitati rende la vita più decorosa, la città con i suoi falsi miraggi al contrario porta alla perdita di dignità tra degrado totale, caos e sporcizia. Nel tardo pomeriggio arriviamo a Sawai Madhopur la cittadina alle porte del parco da dove partono i safari. Noi alloggiamo al Hammir Wildlife resort, consigliato da Ravi, in quanto a suo dire sarebbero suoi amici, in verità si rivelerà il peggior luogo dove abbiamo avuto il peggior trattamento di tutto il viaggio. Con il proprietario tramite Ravi, che traduceva in indi, avevamo pattuito un prezzo di 2400R per una camera a notte trattamento B&B nell’ala nuova dell’albergo ma quando ci accompagnano alla camera ce nè viene data una nella zona vecchia, per la pace di tutti preferiamo soprassedere. Per il safari abbiamo preferito la jeep da 6 pax anziché il canter da 15 pax pensiamo di dedicare due giorni al parco sperando di aver qualche possibilità in più di vedere la tigre. Qualche ora prima del tramonto passa a prenderci una jeep, prima di salire il titolare dell’albergo ci chiede di pagare subito l’escursione, 3200R a uscita ci pare un pò troppo ma anche questa volta per rispetto di Ravi soprassediamo. Partiamo, ci fermiamo in altri hotel per prendere altre due coppie una di russi, una di tedeschi e arriviamo al parco. All’ingresso ci sono i militari, i quali allontanano l’autista e fanno il check dei partecipanti rilasciandoci una ricevuta di ingresso dove scopriamo che il costo complessivo a coppia è di 800R considerato che poi c’è anche il costo autista, della jeep sarebbe accettabile 2000/2400R che è anche il prezzo che indica la LP e il prezzo pagato dalle altre due coppie. Ok ci hanno fregato pazienza lasciamo perdere, siamo in vacanza! L’autista risalendo in macchina ci sfila la ricevuta dicendo che quella è per lui, ma non la prende agli altri. Questo gesto non ci piace ma ancora una volta lasciamo correre anche se ci siamo un po’ innervositi. Sulla jeep la nostra posizione è la più alta di tutti quindi ci permette di vedere e di non essere coperti dalle coppie d’avanti che con la telecamera e con la macchina fotografica stanno riprendono di tutto. Quando ci troviamo davanti, a pochi metri, una mamma orsa con i suoi piccoli anche noi prendiamo la videocamera perchè ha un bello zoom. Fosse mai! Appena mamma orsa sparisce dalla nostra vista veniamo assaliti dall’autista che ci inveisce dicendo che se vogliamo usare la videocamera dobbiamo dargli altri 400R per un totale di 3600R, la misura è colma io (Leonardo) m’infurio, gli dico, con tono severo che non sono il suo bancomat, insistiamo per riavere la ricevuta, fa finta di non sentire, allora mia moglie (Maura) vedendola spuntare da sotto cruscotto scende e la prende. Gli ribadiamo che non è nostra intenzione pagare un centesimo in più e che ci spieghi come mai non ci ha chiesto i soldi per la telecamera all’ingresso del parco! Il proprietario dell’albergo ci aveva confermato che il prezzo a lui pagato comprendeva tutto. Il tragitto prosegue con tensione poi magicamente sulla sponda opposta di un torrente che fiancheggia la strada ecco l’emozione piu’ forte: vediamo un bel esemplare di tigre che è sdraiata a rilassarsi e li rimane cambiando di tanto intanto posizione permettendoci di riprenderla e scattare delle splendide fotografie. Al rientro appena vediamo il titolare dell’albergo gli comunichiamo che il giorno seguente avremo lasciato l’albergo e che gli scaliamo dal prezzo pagato per il safari il costo della camera, a quel punto blatera in indi ma poi sparisce lasciandoci con due ragazzi dello staff che non sanno come comportarsi; noi non molliamo. Paghiamo 1600R per la camera e ci facciamo, a questo punto, spostare nell’area ristrutturata che è decisamente meglio. Cosi facendo il safari ci è costato 2400R
Lasciamo il parco e puntiamo verso Agra, 277 km, impiegheremo tutto il giorno, poco importa perché essendo venerdì il famoso Taj Mahal, è chiuso al pubblico ma il nostro unico obbiettivo è la possibilità di cambiare la prenotazione del treno notturno per Varanasi, in quanto da un rapido calcolo ci siamo resi conto che con le tempistiche indiane rischiamo di arrivare e ripartire senza vedere niente e visto che abbiamo guadagnato un giorno ci piacerebbe raggiungere prima Varanasi. Ravi è scontroso, non è di buon umore, evidentemente è stato turbato dalla baruffa del giorno precedente e in oltre ci pare di capire che non prende tanto bene la nostra partenza anticipata. Il problema non sono i soldi in quanto l’abbiamo già pagato e non è nostra intenzione farci restituire niente, ma forse perchè crede che il suo non sia stato un buon servizio. Gran parte del percorso si svolge sulle loro autostrade che niente hanno a che vedere con quelle occidentali. Attraversa di tutto, ci sono mucche che bivaccano nel mezzo della carreggiata, carri, carretti, biciclette, mucche morte o agonizzanti che nessuno sposta e che restano lì dove sono state investite in stato di decomposizione, TIR che tranquillamente vengono in contromano anche in corsia di sorpasso, oppure improvvisamente qualcuno decide di attraversare le quattro carreggiate o fare inversione di marcia, insomma per noi pura follia! Non è la prima volta che vediamo tutto ciò, è frequente anche sulle strade a due carreggiate, dove fanno continui sorpassi al limite del possibile. Ravi ride del nostro stupore e ci dice che lui può guidare anche da noi ma per noi guidare in India è pericoloso e difficile. Ha ragione! Il difficile è capire cosa fanno gli autisti infatti in certe occasioni scelgono le carreggiate non per il senso di marcia ma piuttosto per schivare le numerose buche. Arriviamo ad Agra prendiamo alloggio all’Atithi hotel, per 3500R trattamento B&B, d’impatto non ci sembra male ma in realtà si rivelerà uno dei peggiori, ma abbiamo fretta perché vogliamo ripartire subito per andare a vedere il tramonto al giardino Mehtab Bagh di fronte al Taj Mahal, ci divide soltanto il fiume si trova a soli 7 km dall’albergo ma per arrivarci dobbiamo passare sul ponte di Ambedkar Bridge attualmente in rifacimento dove persiste un ingorgo costante. Ravi è teso perché vogliamo andare lì subito e non comprende che vogliamo guadagnare tempo e non tornarci il giorno dopo e che vorremmo ci aiutasse a cambiare la prenotazione. E’ talmente teso che non vede un dislivello stradale e prende un colpo nella scocca creando un’ammaccatura. La veduta è bella anche se parzialmente offuscata da una coltre di nebbiolina, c’è tantissima gente attrezzata con cavalletti e super zoom. Ci rendiamo conto che siamo fortunati perché spesso la nebbia è talmente fitta che il Taj non è visibile. Al rientro facciamo una sosta ad una agenzia per il cambio prenotazione ma ci spara 8000R e Ravi sostiene che quelli sono i costi da sopportare se vogliamo anticipare la partenza… ci crediamo poco. Andiamo a cena al Pizza Hut dove si mangia una discreta pizza ma ci spennano, 1600R, poi a nanna. La mattina seguente partiamo presto perchè alle 7:00 è l’apertura del Taj Mahal; siamo tra i primi, il tempo è buono e lo spettacolo è veramente emozionante più passa il tempo però piu’ si riempie di gente. Non spiegheremo tutte le emozioni, ognuno vivrà le sue, ma è veramente un luogo bellissimo che stare gli occhi da lì diventa dura. Dentro il mausoleo si entra scalzi o con scarpe protette da babbucce di plastica, noi abbiamo preferito scalzi, le scarpe le abbiamo messe dentro due buste e ce le siamo portate dietro. Le entrate sono tre di cui due identiche, ma ai lati opposti, noi presi dall’euforia quando siamo entrati non abbiamo preso i riferimenti, abbiamo così trovato un pò di difficoltà ad uscire. Le entrate sono sorvegliate da militari armati fino ai denti ed estremamente diffidenti se esci non rientri se non hai un biglietto nuovo, per fortuna solo dalla nostra parte esisteva un servizio navetta elettrico ed è stato il nostro riferimento. Usciamo che è quasi mezzogiorno e subito ci facciamo portare in stazione, dove ci sono le solite file infinite e disordinate e vige la regola degli spintoni. Per fortuna due inglesi che hanno fatto il biglietto prima di noi ci dicono che nonostante gli indiani facciano gli gnorri siamo ad uno sportello dedicato ai turisti e quindi abbiamo la precedenza, quindi con un pò di gomitate e spinte guadagniamo la postazione. Ci fanno riempire un modulo rosa e con 800R abbiamo due cuccette sul treno delle 24:00 per Varanasi! La giornata prosegue con la visita di altre attrazioni di Agra, ci colpisce molto il piccolo Taj Mahal il mausoleo Itimad-ud-Daulah é veramente interessante belle le geometrie e gli intarsi di architettura pakistana. Ovviamente anche il forte di Agra è degno di nota. Finita la visita dei siti storici chiediamo a Ravi di andare al Bazar e comincia una sorta di sciopero, ci porta in una via di negozi dozzinali, perlustriamo la zona e scopriamo di essere in una zona anonima torniamo da Ravi, che intento a scrivere il suo diario e gli chiediamo di portaci al Kinari bazar. Ci ritroviamo al parcheggio dell’ Agra Fort dove, sempre per la tensione, a nostro avviso, non vede un evidentissimo pietrone che prende in pieno dopo di che il motore comincia a ciottolate gli altri autisti gli inveiscono dicendo come ha fatto a non vederlo… Certo se invece di lasciarci nel parcheggio del forte ci avesse accompagnato alla stazione che si trova di fronte al bazar lo avrebbe evitato… Prendiamo quindi un risciò e nel caos piu’ incredibile raggiungiamo il “benedetto” Kinari bazar. Siamo contenti di chiudere questa giornata così anche se un pò preoccupati per le sorti della macchina di Ravi che al rientro troviamo ancora piu’ scuro in volto, ma la macchina sembra funzionare. Ci dirigiamo a cena in un locale vegetariano storico di Agra, i cibi sono ottimi (come sempre), 630R, la cena procede lentamente per ammazzare il tempo.
Arriviamo in stazione alle 23:00 non sapevamo bene cosa aspettarci. Qui i treni sono in eterno ritardo il nostro ha 1,30 che diventeranno 2 ore, tutti gli altri vanno dalle 4 alle 9 ore di ritardo. La stazione è un bivacco permanente si cammina a fatica tra la gente che dorme in terra uno affianco all’altro, qualche topo che scorrazza, scimmie che litigano e cani che vagano. Ci dirigiamo in sala d’aspetto di prima classe?! E’ piena di backpacker, ci sono sedie di legno molte sfasciate, un bagno senza porte allagato dove ogni tanto un cane passa a bere. Ravi prima di congedarsi ci ha spiegato che pagando 200R ad un indiano che bivacca in stazione puoi dormire “tranquillamente” fin quando arriva il tuo treno, visto i ritardi, lui penserà a svegliarti, a sorvegliare i tuoi bagagli e poi ti porterà alla carrozza giusta visto che non è semplicissimo districarsi tra i treni. Usufruiremo dell’insolito servizio non tanto per dormire quanto per stare tranquilli e non dover andare continuamente al tabellone a cercare di decifrare quale sia il nostro treno e quante ore ha di ritardo. Alle 2:00 arriva il treno, avevamo fatto il toto carrozza quale poteva essere più simile alla nostra, scopriamo che erano quasi le peggiori, più che un treno passeggeri sembravano carrozze per bestiame con finestrini piccoli con grate. L’interno è un pò meglio anche se avevamo fatto espressa richiesta per la seconda classe ma ci accorgiamo che ci hanno appioppato la terza! Prendiamola con filosofia. L’interno è a forma di pettine da un lato due cuccette a castello tutti ti passano davanti dall’altro 6 cuccette a castello, gli unici separatori sono quelli che dividono le 6 cuccette da quelle successive. Nel nostro quadrilatero siamo 8 backpacker 6 donne 2 uomini e una montagna di zaini, essendo arrivati per primi i nostri restano sepolti. La notte è fredda, i finestrini non chiudono e le porte della carrozza restano aperte, grazie a questo e alla pigrizia di non spostare tutti mi becco un bel mal di gola e raffreddore. Arrivo stimato a Varanasi 11:00, in realtà arriveremo alle 14:00 scendere dal treno è come in metropolitana, un’impresa, un flusso costante di gente ti spazza via ma a “zainate” ci facciamo largo, ci fiondiamo a prendere un tuc tuc a tariffa prepagata,105R. La fretta deriva dal fatto che non abbiamo nessuna prenotazione per questo giorno e Varanasi è sempre piena di gente, arriviamo in centro, decidiamo di fare un tentativo alla guest house dove abbiamo la prenotazione per l’indomani, la Ganges Inn. Arrivarci è un pò complicato perchè l’ultimo km non è percorribile che a piedi. Ci dirigiamo al Dashaswmedh Ghat (rampe di scale fatte in pietra che digradano verso il fiume e permettono ai fedeli di fare le abluzioni mattutine e serali) e da li cerchiamo il Munshi Ghat che è una scalinata ripidissima che ci consuma le ultime risorse disponibili. Fortunatamente troviamo alloggio.
Dopo un meritato riposo partiamo alla scoperta di Varanasi considerata Città Santa per gli induisti, è meta di pellegrinaggi continui. Qui infatti ogni induista deve recarsi almeno una volta nella vita e immergersi nel fiume sacro, il Gange (detto Ganga dai locali). Molti fedeli vengono qui a morire, per farsi cremare e spargere le proprie ceneri nel fiume. Conosciuta anche come Benares, il nome preferito dai fricchettoni quando vanno a meditare. Dopo esserci stati due giorni, sicuramente pochi, ma intensi ci è parsa più che mistica un bel trappolone in alcuni casi. Anche qui come a Pushkar ci sono molti occidentali che seguono corsi di yoga, di meditazione di massaggio ayurveda o si cimentano nell’apprendimento della tabla una sorta di chitarra. C’è tanta gente “persa” nei fumi dell’oppio che vaga fluttuando scalza in mezzo a escrementi e immondizia di ogni specie. Poi ci sono i furbacchioni, conosciuti anche come bandoni, che apprendono quattro regole auree per poi farci i soldi quando rientrano in patria. L’odore che costantemente ti perseguita non è il profumo di incenso e spezie ma, la puzza pungente mista tra urina e fogna. Dopo aver osservato per un mese si capisce che il fiume e i pozzi serviti da Ghat, oltre ai motivi religiosi, servono anche come toilette collettiva e lavanderia in quanto la maggioranza delle abitazioni delle persone comuni non dispongono di acqua corrente. Ad Agra abbiamo visto delle vere e proprie lavanderie “industriali” organizzate con tanto di dipendenti che lavavano nel fiume biancheria di hotel e ospedali, quelli più sporchi li bollivano in contenitori metallici disposti su pire di legno, asciugando tutto al sole. Al tramonto circa le 18:00 saliamo bordo di una barca di turisti indiani per assistere alla suggestiva cerimonia ‘Aarti’ (preghiera collettiva). Arathi (Aarti) è un rituale durante il quale la luce emessa da una fiamma di canfora viene offerta alla Divinità o ad uno dei Suoi aspetti. L’Arathi viene eseguito solitamente al mattino e alla sera, come conclusione del puja. Trascorriamo un’altra intera giornata a Varanasi per comprenderla un po’ meglio ma ancora una volta notiamo un’aria affaristica che mal si conciglia con la misticità di cui è famosa; svolgiamo il compito che Ravi ci ha dato a casa sua affidandoci alcuni suoi diari con la promessa di gettarli nel Gange e restiamo lì per un pò a guardarli partire…
Il nostro viaggio in India finisce qua, lasciandoci molte emozioni contrastanti, molti dubbi, ma anche voglia, tra qualche tempo, di tornare per conoscere un’altra fetta di questa grande nazione e avere una visione piu’ completa.
Due righe sul nostro autista. Come già detto in precedenza la scelta dell’autista è molto importante. Prima di contattare Ravi abbiamo chiesto pareri su di lui ad altri viaggiatori e abbiamo avuto risposte contrastanti che in parte confermiamo. E’ un induista fiero delle sue radici per cui occorre, in alcuni casi, un certo sforzo per comprendere alcuni comportamenti per noi bizzarri o comunque non familiari. Sicuramente è una persona onestissima, generosa e disponibile che sono doti di non poco conto. “I problemi” che abbiamo avuto con lui, a nostro avviso, sono dovuti al fatto che parla poco inglese. Abbiamo scoperto che le mail che gli spedivamo dall’Italia per organizzare il viaggio venivano gestite dalla moglie. Poiché anche noi non abbiamo una conoscenza fluente dell’inglese alcune volte s’inervosiva perché non lo comprendevamo o comunque notava che tra di noi che si parlava piu’ spesso che con lui e questo secondo noi gli faceva pensare, sbagliando, che il viaggio non andava bene. Forse dovevamo maggiormente rassicurarlo anche se alcune volte abbiamo provato a coinvolgerlo ma il suo umore altalenante non ci permetteva di avere successo. Abbiamo sempre scelto gli alberghi secondo i suoi suggerimenti e alcune volte sono state ottime scelte altre, decisamente no ma abbiamo soprasseduto poiché dove ci siamo trovati male la gestione era prettamente indiana e lì gli veniva offerta una camera “confortevole” anche a lui mentre in altre sistemazioni per lui il prezzo era troppo alto e quindi preferiva dormire in auto. Per questo non abbiamo mai contestato e ci siamo adattati anche se dopo una giornata vissuta pienamente in certi luoghi avresti voglia la sera di un certo confort e soprattutto di pulizia. Ma ripeto la visione nostra rispetto a quella degli indiani è molto diversa. Detto questo resta un ottimo autista, puntuale, preciso e la sua guida è sempre stata prudente. Il prezzo per accompagnarci è stato piu’ che onesto per i nostri standard e quello pattuito è quello che ci ha richiesto, senza tener conto di eventuali cambi di programma, sono sicuro che se gli avessimo chiesto uno sconto non avrebbe obiettato a praticarlo! Ovviamente riconoscendo tutto ciò, anche se in alcuni casi ci ha fatto “un po’ arrabbiare” gli abbiamo lasciato una bella mancia che per lui è molto importante visto che non lavora tutto l’anno, le sue origini sono umili e ha un grosso finanziamento per pagarsi l’auto, essenziale per il suo lavoro. Al rientro in Italia ci ha subito scritto per sapere complessivamente come era stato il viaggio e scusandosi dei suoi alti e bassi,chiedendoci di rispondergli francamente cosa pensavamo di lui e noi abbiamo cercato di rendere il nostro pensiero piu’ chiaro possibile al solo fine di aiutarlo per lavorare meglio ma soprattutto serenamente…